(12.11.14) La cultura e l'accademia italiana sono affette dai secolari vizi di provincialismo , conformismo, disprezzo per i contadini. In Francia, invece, 35 studiosi e specialisti firmano un appello a favore dei pastori denunciando che la pressione predatoria mina la biodiversità. Tra loro Carlin Petrini
Dalla Francia
Appello per i pastori
di Michele Corti
La diversità tra Francia e Italia si coglie bene nell' appello (pubblicato sotto) a favore dei pastori che devono confrontarsi con la crescente pressione predatoria da parte dei lupi firmato da 35 specialisti di varie scienze (agrarie, biologiche e umane). Quanti in Italia avrebbero il coraggio di sottoscriverlo sfidando il pensiero unico del "lupo è bello"?
In Italia un appello del genere è inconcepibile perché l'Italia è il paese del gattopardo, del conformismo, dell'intellettuale di corte. Gramsci sferzò i vizi dell'intellettuale italico con il risultato che... divenneno tutti gramsciani. Oggi sono tutti 'lupisti'. Dire 'lupo è bello' è diventato un dogma, indipendentemente dal fatto che la specie sia in forte espansione e che siano i pastori a soffrire per una pressione predatoria sempre meno sostenibile. Attraverso la protezione 'assoluta' e ideologica dei grandi predatori al di fuori di qualsiasi ragionamento ambientale, territoriale, sociale il ceto medio 'urbano' riafferma la propria superiorità sui 'villici' (chiamati letteralmente così dagli animalisti 'calati' su Pinzolo per 'vendicare' la morte dell'orsa Daniza). Un esercizio di rivalsa tipico di un contesto di declassamento sociale e di crisi. In realtà la politica di wilderness, con l'avanzata del bosco e dei grandi predatori mira a desertificare la montagna e le aree rurali 'marginali' per consentire agli interessi economici capitalistici di sfruttare senza più le 'noie' della presenza fastidiosa di comunità locali le risorse naturali.
Trivellare, captare acqua, produrre biomasse, riempire i crinali di pale questo è il programma di sfruttamento del erritorio. Orsi e lupi sono la cigliegina che da un tocco ecologico (es erve a favorire lo spopolamento). Dal conformisno all'ideologia 'lupo è bello' non si sottraggono neppure gli specialisti, gli esperti, i professionisti che operano nel settore agricolo e zootecnico. In Francia un ricercatore nelle discipline agrarie si concepisce prima come componente scientifica ed intellettuale del mondo agricolo e poi come l'appartenente ad una specializzazione della casta accademica ed intellettuale. In Italia avviene il contrario e così anche chi si occupa di pastoralismo, di zootecnia estensiva a volte non ha il coraggio di difendere ciò che rappresenta il proprio ambito di interesse.
L'appello firmato da 35 studiosi e specialisti francesi di scienze agraie, ecologiche, umane da questo punto di vista toglie ogni pretesto qa che ha sino ad oggi 'guardato dall'altra parte', finto che il problema del conflitto tra lupi e pastori non esistesse come problema sociale e culturale. I firmatari, non a caso anche etnologi, sociologi, antropologi, smascherano la costruzione sciale della 'convivenza pacifica', l'idea buonista e politically correct che il lupo e l'agnello possano giacere uno accanto all'altro. Cos' cone si verifica anche in Italia i 'mezzi di protezione' le reti, i cani i dissuasori limitano i danni fino a che l'aumentare dei lupi o la loro acquista capacità di aggirare le difese ne allullano l'effetto (ma con costi e sacrifici aggravati per i pastori che devono stendere recinzioni, sfamare e controllare i cani, restare giorno e notte a difesa del gregge).
Gli specialisti francesi demoliscono il mito del 'lupo selezionatore della fauna selvatica' facendo presente che da animale intelligente e opportunista preferisce (in assenza di rischi elevati per sé) le facili prede domestiche "Il nostro paese non è né il Wyoming né il Montana" dicono i francesi. Ovvio che lo stesso vale anche per l'Italia dove il paesaggio pastorale è un paesaggio umanizzato ricco di biodiversità non NONOSTANTE i pastori e i contadini ma GRAZIE a loro e agli animali domestiuci con cui hanno vissuto per millenni in simbiosi.
In Francia ci sono 300 lupi in Italia 2000 (stime, pubblicate, di esperti impegnati nei monitoraggi). In Francia un pastore riceve 50€ al giorno per il plus di lavoro imposto dalla presenza dei lupi. In Italia in quasi tutte le regioni non riceve nulla e anche i risarcimenti sono tardivi e parziali. In Francia le istituzioni intervengono mettendo a disposizioni "aiuti pastori" sfornati da seri corsi professionali, in alcune zone hanno collocato sui pascoli dei ricoveri mobili per i pastori. Un appello per i pastori redatto per la realtà Italiana avrebbe quindi. ancora più ragioni di essere firmato. Vedremo quanti avranno il coraggio di farlo.
Quanto a Slow Food sarà interessante vedere se smentirà il suo fondatore o assumerà un nuovo atteggiamento sul tema (meno appiattito all'ambientalismo borghese).
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Lupi in Francia
Un gruppo di studiosi e specialisti ha firmato
Appello a difesa degli ecosistemi non
abbandonati dai pastori
vai al testo originale in francese
I nostri paesaggi più emblematici, costituiti da montagne, colline, boschi, siepi, filari e zone umide sono composti da un mosaico di luoghi plasmati nel corso dei secoli dalle pratiche agricole. La vitalità di queste aree, sempre più apprezzate dalle nostre società urbanizzate, si degrada rapidamente in special modo ove viene a mancare l’attività del pascolo. È ormai noto che, in numerose regioni, gli allevamenti sono sottoposti all'assalto dei lupi. Cosa fare? La gravità della situazione richiede l'adozione di misure di emergenza, sia direttamente sul campo che in ambito normativo.
I lupi, considerati specie a rischio di estinzione in Europa, sono una specie rigorosamente protetta. Nelle regioni nordamericane così come in quelle eurasiatiche, essi sono considerati alla stregua di una “specie chiave di volta” degli ecosistemi, indicatrice di una natura rimasta selvaggia o rinselvatichita. In Francia, dove la geografiaa e la storia sono molto diverse, i lupi mostrano invece il loro comportamento opportunistico. Quando si presenta l’occasione, trascurano la loro funzione di "regolatori" della fauna selvatica, indebolita o malata, e finiscono con l’attaccare greggi e mandrie in perfetta salute. Paradossalmente è proprio la pastorizia, una delle attività agricole più rispettose della biodiversità, cui si riconosce peraltro un importante ruolo nella fornitura di una vasta gamma di servizi ecosistemici, che i lupi, sotto ferma protezione, stanno minacciando di scomparsa.
Dal 1992, varie direttive europee hanno promosso la gestione delle aree agropastorali, ovvero quelle che hanno resistito alla semplicazione dei paesaggi e all’artificializzazione indotta dall’agricoltura convenzionale. In realtà, molte specie di notevole pregio vi trovato rifugio: coturnìci, pernici bianche, stambecchi, gipeti, ecc. I mosaici di prati, steppe e brughiere, gestite con il pascolamento offrono e rinnovano svariati tipi di attrazioni anche per chi apprezza fiori, insetti, rettili e anfibi. Questa biodiversità è altresì domestica e include, tra le altre, razze ovine locali come le raïoles delle Cevenne, le brigasche e le mourerous, oltre che le capre di Rove e di Poitou, mantenute dal tenace impegno di alcuni allevatori. Nei parchi nazionali e regionali, nelle riserve e nelle altre aree naturali, la tutela della biodiversità selvatica e di quella domestica sono accomunate nel medesimo impegno.
La questione è diventata di portata nazionale. Diffusi in tutto l'arco alpino, i lupi hanno ormai conquistato il Giura, i Vosgi, i Pirenei orientali, fino ad arrivare nelle regioni dell’Ardèche, della Lozère, fino al Cantal e all’Aveyron, passando per le pianure di Lorena e Champagne. I rilievi ufficiali, per il 2014, contano ventisette branchi, i due terzi dei quali nelle Alpi Meridionali. La popolazione è di 300 lupi adulti in oltre venti provincie, con un incremento annuale del 20%. Ogni anno, le perdite registrano il dato non trascurabile di 20-25 pecore o capre uccise in media da ogni lupo adulto. Gli attacchi si estendono anche a giovenche, vitelli e cavalli. Si svolgono nei pascoli, ma anche nelle brughiere, in collina e nelle valli, nei boschi e nei pascoli. Come siamo arrivati fino a questo punto? Dovremmo attribuire questo flusso costante di perdite all'inerzia degli allevatori? Sarebbe come insultarli. Dal 1994 varie misure di protezione sono state offerte ad allevatori e pastori, che le hanno prontamente messe in atto. Nelle Alpi sono stati acquistati più di duemila cani pastore per la protezione delle greggi. I pastori si sono impegnati, per quanto possibile, a raccogliere le loro greggi ogni sera nei parchi chiusi da reti elettrificate, gli aiutopastore hanno rafforzato la sorveglianza. Tali misure si sono rivelate efficaci? Dopo una tregua tra il 2006 e il 2009, a nulla sono valsi ulteriori sforzi! Nonostante una protezione rafforzata, le perdite sono raddoppiate in quattro anni.
Allevatori e pastori hanno adattato le loro pratiche, ma anche i lupi lo hanno fatto e, a quanto pare, sono questi ultimi che stanno avendo la meglio. Nonostante i cani da guardia, i lupi si sono spinti ad attaccare anche in pieno giorno oltre che di notte. Desta maggiore preoccupazione anche il fatto che, talora, neanche la presenza umana sia più in grado di scoraggiarli. I lupi hanno saggiato il vantaggio di attacchi ripetuti senza rischi, spingendosi fino ai bordi delle strade o in prossimità delle abitazioni. Si tratta di un cambiamento di comportamento ampiamente previsto. Già da tempo era noto negli Stati Uniti, dove i ranger lottano quotidianamente, sia dentro che nelle vicinanze dei parchi nazionali, contro gli effetti negativi della piena tutela delle specie protette. Incoraggiare i grandi mammiferi a mantenere un comportamento selvaggio nei nostri territori richiede un controllo molto più attento, persino vigoroso.
Bisogna trarne una conseguenza: anche i dispositivi di protezione più complessi hanno perso efficacia in pochi anni. Varie tecni-che complementari sono state proposte, compresi razzi luminosi, generatori di ultrasuoni, droni sonori. Tutti strumenti efficaci più per terrorizzare le greggi che per mettere in fuga i loro predatori. I lupi sono intelligenti e reattivi. La strategia europea di coesistenza delle attività zootecniche e di questo grande predatore ha fallito e deve essere rimessa in discussione. Al di là dei costi finanziari, le questioni ambientali e umane hanno oggi una portata più ampia e restano imprescindibili.
La Francia si è impegnata con l’UNESCO a preservare i paesaggi culturali dell'agropastoralismo di Causses e Cevenne come Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Nelle Cevenne, come altrove in Francia, il declino delle attività pastorali causerà il rimboschimento e il degrado di habitat preziosi per una miriade di altre specie protette. Questa prospettiva chiaramente non può essere limitata alla musealizzazione dello status quo: i paesaggi sono vivi, i loro attori non hanno smesso di evolversi. Alcune associazioni, che in un passato recente sostenevano la "convivenza", oggi chiedendo la completa dismissione della pastorizia. Ma il nostro paese non è né il Wyoming né il Montana. Gli allevatori e i pastori francesi non meritano di essere dequalificati, spossessati delle loro attività. Appassionati, ispirati dal rispetto per la vita, questi uomini e queste donne si impegnano in professioni gravose, eppur poco remunerate.
Siamo ancora in tempo a ridisegnare un futuro per le nostre campagne? Ad evitare lo sfratto degli agricoltori che forniscono prodotti locali di qualità, pur sostenendo paesaggi diversificati e accoglienti? Possiamo ancora incoraggiare i lupi a rimanere “selvaggi” pur ottenendo che si mantengano a debita distanza dagli allevamenti?
Le nostre società hanno bisogno di ecosistemi e di paesaggi diversicati. Molti di questi funzionano e si rinnovano grazie al meticoloso lavoro di pastori e allevatori. Dato che la situazione è diventata insostenibile per loro, un importante patrimonio sta per essere colpito dai lupi. È necessaria una regolazione. È molto tardi. Forse non è già troppo tardi.
Gilles Allaire, economista, direttore di ricerca all’INRA - Gérard Balent, ecologo, direttore di ricerca all’INRA - Olivier Barrière, giurista dell'ambiente e antropologo del diritto, ricercatore all'IRD - Claude Béranger, zootecnico, direttore onorario di ricerca all'INRA, membro dell’Académie d’Agriculture de France - Jean-Paul Billaud, sociologo, direttore di ricerca al CNRS - Jean-Luc Bonniol, antropologo, professore emerito all’Université Aix-Marseille - Anne-Marie Brisebarre, antropologa, direttrice emerita di ricerca al CNRS, Collège de France et EHESS - Bernard Denis, veterinario, professore onorario all’École vétérinaire de Nantes, membro dell'Académie d'Agriculture de France - Vinciane Despret, filosofo, ricercatore all’Université de Liège - Christian Deverre, sociologo, direttore di ricerca all’INRA - Jean-Pierre Digard, antropologo, direttore emerito di ricerca al CNRS, membro dell'Académie d'Agriculture de France - Laurent Dobremez, agronomo, ricercatore all’Irstea - Jean-Claude Duclos, etnologo, conservatore onorario del Musée dauphinois - Laurent Garde, ecologo, ingegnere al Centre d’Études et de Réalisations Pastorales Alpes Méditer-ranée - Alfred Grosser, professore emerito delle Università a Sciences Po - Laurent Hazard, agroecologo, direttore di ricerca all’INRA - Bernard Hubert, ecologo, direttore emerito di ricerca all’INRA e direttore di studi all'EHESS - Gilbert Jolivet, veterinario, direttore onorario di ricerca all’INRA, membro dell’Académie d’Agriculture de France - Frédéric Joulian, etologo et antropologo, insegnante-ricercatore all’EHESS - Etienne Landais, zootecnico, direttore onorario di ricerca all’INRA et direttore generale onorario di Montpellier SupAgro - Guillaume Lebaudy, etnologo, ricercatore all’Université Aix-Marseille - Bernadette Lizet, etnologa, direttrice onoraria di ricerca al CNRS e al Museum National d’Histoire Naturelle - Michel Meuret, ecologo, direttore di ricerca all’INRA - André Micoud, sociologo, direttore onorario di ricerca al CNRS - Danielle Musset, etnologa, ricercatrice all’Université Aix-Mar-seille - Pierre-Louis Osty, agronomo, direttore onorario di ricerca all’INRA - Michel Petit, economista, professore all’Institut agronomique méditerranéen di Montpellier, ex direttore del Département Agriculture et Développement rural della Banque Mondiale, membro dell’Académie d’Agriculture de France - Carlo Petrini, sociologo, fondatore e presidente di Slow Food International - Xavier de Planhol, geografo, professore emerito all’Université Paris-Sorbonne, membro dell'Academia Europaea - Sylvain Plantureux, agronomo, professore all’Université de Lorraine - Jocelyne Porcher, sociologa, direttrice di ricerca all’INRA - Daniel Travier, etnologo, fondatore-conservatore del Musée des vallées cévenoles - Pierre-Marie Tricaud, agronomo e paesaggista, ex Presidente della Fédération Française du Paysage - Marc Vincent, zootecnico all’INRA.
13 ottobre 2014
Apparso sul quotidiano Liberation