(20.08.14) Laura Zanetti, fondatrice della Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai ha intervistato per noi Stefano Moltrer, un giovane che ha rianimato un'associazione culturale della locale minoranza linguistica della valle del Fersina (Tn) puntando sulla sinergia tra cultura ancestrale e nuove dinamiche rurali ... e non poteva mancare una capra
Nel Bersntol (valle del Fersina)
il nuovo volto ruralpino
delle culture minoritarie
di Laura Zanetti
Abbiamo conosciuto Stefano Moltrer al 2° Convegno Latte e Linguaggio, tenutosi a Milano il maggio scorso. E con Stefano abbiamo riscoperto quello che fu per centinaia di anni un mondo contadino caleidoscopico, ora, pericolosamente a rischio di scomparire. Stefano Moltrer 31 anni, residente a Palù del Fersina ha deciso un giorno di mettersi “ lo zaino in spalla” , come recita l’antica metafora tedesca, ripartendo dall’Associazione culturale Schratl, ferma da qualche anno.
LZ: Stefano quali sono i valori fondanti di questa associazione?
SM: sono simili a quelli del Kultur Institut, sorto per preservare la lingua mochena. Abbiamo attivato dei corsi musicali per il recupero di vecchi strumenti come ad esempio la fisarmonica diatonica, e i canti popolari collaborando con il Referat Folks Musik di Bolzano.
LZ: la valle del Fersina attuale è sempre quella studiata e descritta da Giuseppe Sebesta?
SM: sotto certi aspetti è rimasta la valle di un tempo perché le cose da valorizzare sono ancora molte ed eccezionali. Certo la globalizzazione è arrivata anche qui, si è insinuata tra i giovani e soprattutto nelle dinamiche turistiche e culturali. A livello paesaggistico e architettonico poi si sono fatti troppi errori. Mentre alcuni masi che identificavano più che altrove la nostramontagna sono ancora integri, i centri storici dei paesi sono stati rovinati dalle mode anni’60. Per quanto riguarda la cura del paesaggio legata alle pratiche dell’agricoltura montana dobbiamo ancora fare i conti con certe scelte economiche tipiche degli anni ’70, attraverso le quali la Provincia trentina elargiva sovvenzioni con incredibile superficialità per l’abbattimento del bestiame con l’obiettivo di spostare forza lavoro nelle fabbriche di Pergine Valsugana e, chiaramente, crearsi un bacino elettorale. Ai tempi davano un milione di lire per ogni capo abbattuto.
LZ: cosa ha comportato tutto ciò nel sociale della valle?
SM: a farne le spese sono state le nuove generazioni che ora si trovano senza una precisa identità e l’opportunità di crearsi un lavoro in loco. Siamo stati trasportati in breve tempo verso un futuro dove è andato smarrita quella specificità culturale nostra che era un “tavolato” psicologico necessario. Devo tuttavia ammettere che ci sono, anche se in numero ridotto, giovani innamorati della vita rurale di montagna. Sono la nostra speranza.
LZ: non pensi che nel tempo la valle del Fersina potrebbe riqualificarsi attraverso una agricoltura sostenibile?
SM: sicuramente , ma questo può avvenire solo con un passaggio culturale essenziale sia della popolazione sia dei politici. Abbiamo molti esempi a livello alpino in cui questo percorso è stato intrapreso e realizzato con grande successo. Non si capisce perché la politica dopo molti anni di possibilità sia economiche che burocratiche e molti errori si ostini a promuovere iniziative ormai autoreferenziali chiuse che di riflesso scoraggiano la gente del luogo.
LZ: quindi resistere in quota in modo sostenibile, è un’utopia concreta?
SM: gli esempi ci sono. Le buone pratiche pure. Sarebbe sufficiente trasportare idee sul proprio territorio convergendole in esigenze locali, culturali e geografiche.
LZ: avete tutta una progettualità in questo senso che è partita con il Marchio territoriale…
SM: abbiamo ideato questo progetto per combattere la mercificazione dell’identità locale. Per riassumere la cosa : negli ultimi 20 anni il termine “ mocheno” [forse dall'antico tedesco con il significato di 'lavoratori', legato alle miniere]è stato abusato dentro una connotazione folklorica quasi sempre non veritiera. Ti faccio qualche esempio: la treccia mochena, dolce tipicamente portoghese, l’aperitivo mocheno, la lucanica mochena, la braciola mochena in terra veronese, i rufioi mocheni nella ristorazione medio – alta di Trento, i verzotti mocheni a Levico, il complesso musicale Mochenroll… Per staccarci da questa mercificazione è sorta una seria rivendicazione rappresentata dal marchio collettivo, depositato presso la Camera di Commercio di Trento. Esperienza ben vissuta e partecipata dalla popolazione con concorso di idee, ma non dai politici.
LZ: vi siete quindi autodeterminati con finanziamenti propri?
SM: si, e con il senno di poi è stata una carta vincente.
LZ: cos’è nello specifico il Marchio?
SM: è un marchio collettivo rappresentato dalla scritta BERSNTAL, che sta per valle del Fersina e che indica più classi soggette a tutela: animali e loro prodotti, bevande, dolci autenticamente locali, strumenti musicali e un po’ tutto l’artigianato artistico
LZ: soffermiamoci sugli animali locali….
SM: nel 2012, con l’appoggio degli allevatori e appassionati locali abbiamo costituito una nuova associazione culturale denominata: 35 associati in tutto tra allevatori e agricoltori.
LZ: è da qui che parte la riscoperta della capra mochena?
SM: il riconoscimento a livello nazionale di questa razza autoctona è stato dato negli anni 2000 dopo una tesi di laurea di Bruno Grisenti, appassionato dell’ambiente rurale dell’altopiano di Pinè. Successivamente dopo un più approfondito studio sulla presenza di questo animale nella valle del Fersina e per ricondurre in modo più marcato i prodotti derivanti dalla capra pezzata mochena con il luogo di origine si è deciso di costituire una nuova associazione, denominata De Hirtn ont de Plètzet Goas van Bersntol [sulla scorta del motivo identitario rappresentato dsalla locale capra "Pezzata della valle del Fersina"].
LZ: quanti sono attualmente i capi della capra pezzata mochena?
SM: in valle del Fersina 250. In tutto il Trentino circa 500
LZ: c’è una produzione di formaggio in valle con il latte caprino? E come è organizzato?
SM: durante il periodo di lattazione ogni piccolo allevatore lavora il proprio latte con l’aggiunta di latte vaccino
LZ: avete già un canale di commercializzazione di questo prodotto caseario?
SM: per il momento la produzione è contenuta, considerando il numero di capi in lattazione. Il prodotto viene usato per l’autoconsumo e proposto negli agritur della zona
LZ: che prospettiva vedi in questo progetto?
SM: l’intento è quello di ricostituire quella trama e quello spirito collettivo che era proprio in quella che in un tuo studio hai chiamato “comune pastorale tedesca”, per rinvigorire la speranza in una nuova e oculata gestione economica di un territorio alpino sapientemente gestito dai nostri padri.
La valle del Fersina/ Fersental, posta ai piedi del Lagorai occidentale è lunga 17 km, attraversata dal torrente Fersina che nasce dal lago di Erdemolo a 2100 m slm. Una valle ricca di natura con quattro comuni di cui tre appartenenti alla comunità di minoranza linguistica germanofona. Colonizzata dopo il 1200 con la discesa di colonie bavaresi con i suoi “roncadores” , robusti contadini adatti a dissodare la terra, ebbe il suo primo insediamento stabile a Roveda/ Oachlait ,seguita poi da Fierozzo/ Vlarotz e dopo alcuni decenni da Palù/ Palai en Bernstol quando il clima era favorevole alla coltivazione delle terre alte. Il paese di Sannt’orsola invece, attualmente il comune con la maggior densità di popolazione, fù interessato da una colonizzazione latina e, sembra, da alcuni gruppi famigliari provenienti dalla Valtellina. Tra il 1400 e il 1500 la valle fu interessata da un forte sfruttamento minerario, autentica economia di rapina in mano ad alcune compagnie minerarie dell’impero : dalle miniere di rame si estraeva la calcopirite, per lo più concentrate nel comune di Palai de Bernstol. Questo periodo viene ricordato come esperienza distruttiva del territorio che fu sottoposto ad uno scellerato disboscamento con danni idrogeologici tuttora visibili. L’indiscriminato uso del larice per la sua attività calorica durante al fusione portò la popolazione ad un impoverimento generale. Abbandonate le miniere, la vita rurale legata all’allevamento e all’agricoltura riprese gradualmente, forgiando un territorio unico nel Trentino fino agli anni’60 quando la Provincià introdusse quelle dinamiche economiche antitetiche alla cultura di montagna. |