(22.04.14) L'atto di accusa di un sindaco della montagna "vera" contro le caste politiche che vogliono distruggere l'autonomia dei comuni imponendo accorpamenti e svuotando il ruolo dei sindaci
Comuni di (vera) montagna
baluardo di democrazia e
controla deriva autoritaria
Dopo la vicenda della legge regionale piemontese sulla montagna contestata dai piccoli comuni perché annulla i finanziamenti a chi non si aggrega nelle Unioni (egemonizzate dai grandi comuni vicini alla pianura) assume un preciso significato di accusa alla classe politica la lettera inoltrata a Lido Riba, presidente dell'Uncem e massimo fautore della legge stessa
Gianfranco Benzo
Sindaco di Ormea
Ormea, 09.01.2014
Caro Lido,
Leggo la tua prenatalizia e ne sono rattristato. Purtroppo nessuna buona nuova per le Montagne.
Da pubblico amministratore montanaro non sento che parlare di accorpamenti di comuni, di cancellazioni di province, di soppressione di tribunali, di ospedali, di linee di trasporto, e di altro in nome dei risparmi. La crisi economica degli ultimi anni, è vero, non ammette sprechi.
A Roma e a Torino la burocrazia autoreferenziale che prepara le leggi ai politici, non consapevoli della natura delle Unioni di Comuni e delle funzioni che questi enti dovrebbero svolgere, sta sconvolgendo la vita amministrativa. Ma senza rendersi conto che il modello costiero o padano proposto non lo si può imporre alla montagna, meglio alle montagne: quel modello diffonde e acuisce gli squilibri ideologici, e specialmente diffonde il contagio di una cultura che non è propria delle montagne, ma tipica del mercantilismo oggi trionfante: “deve vivere solo quanto produce grandi guadagni”, lasciando continuare gli spechi a Torino e a Roma. In questo modo le montagne diventeranno un deserto. Certo non mi riferisco a Sestriere, a Cortina o Livigno. Le uniche montagne conosciute dai politici e dai burocrati.
La Politica non ha il coraggio di fondere i Comuni perché pare una ricetta fascista o comunista. Propone ed enfatizza le “Unioni”, destinatarie della gran parte delle funzioni dei Comuni con popolazione fino alla soglia di 5 mila abitanti ( 3 mila in montagna, è l’unica differenza tra il piano e il monte) prodromici centri di ulteriore burocrazia, di potere e di spesa. Quando si verificherà che non avranno funzionato (come non hanno funzionato le Comunità Montane, peraltro per legge esse stesse “Unioni”), le fusioni dei comuni saranno inevitabili !
Anche alcuni amministratori montani che bevono alla sorgente della partitica non lo capiscono. Ho letto molto sull’argomento, ma nessuno ha ancora spiegato come le Unioni potranno essere centri di risparmio.
Ad esempio, il Ddl Del Rio è piuttosto ambiguo e foriere di nuove spese: in contrasto con il TUEE, il Segretario delle Unioni sembra una figura facoltativa. L’ Unione potrà essere priva di una figura che la legge prevede per tutti i Comuni ?
Sarà una questione di estro degli amministratori destinati ad essere facile obiettivo dei Pm ?
Di fatto si intende aggregare i piccoli Comuni montani con i Comuni più grandi posti a valle, con il risultato di azzerare la specifica rappresentanza democratica delle popolazioni di montagna ed il loro storico impulso all’autogoverno.
Se vogliamo rilanciare la montagna da vivere, la strada da percorrere va decisamente nella direzione opposta: autonomia.
Solo non ci si sbaglia a individuare nello spopolamento il pericolo di collasso della nostra montagna, la Val Tanaro corre i maggiori rischi dal punto di vista economico e sociale
La crisi economica si affronta in modo credibile solo con pratiche quotidiane e forme strutturali di autonomia, come hanno fatto in Svizzera dove l’ordinamento federale su base cantonale immunizza da qualsiasi forma di centralismo, sia nazionale che regionale.
La necessità è di porre al centro della discussione una proposta che dia autonomia e responsabilità alle popolazioni che abitano la montagna, che la conoscono, che la vivono anche con sacrificio e che abbiano esigenze comuni.
L’omogeneità stimola il mutualismo, la cooperazione, la sussidiarietà
Spesso i “Soloni” dell’italico riordino amministrativo non sanno che piccoli comuni delle Alpi amministrano territori immensi, altri non sono che modesti villaggi.
Serve addivenire a un nuovo concetto di montanità che qualifichi come montani esclusivamente quei territori con caratteristiche montane vere, anche se a volte molto diverse tra loro..
Per rimanere nella mia alta Val Tanaro, nel territorio di Comunità Montana ante 2007, mi sai dire cosa c’ è di omogeneo, ad esempio, tra il comune di Nucetto (7,64 kmq, 436 abitanti), di Ormea (124,3 kmq, 1800 abitanti) ed Alto (7,58 kmq, 121 abitanti) ? Non hanno in comune neppure la parlata, usano tre diversi dialetti !
La montagna merita autonomia.
La prima forma di autonomia è quella di lasciare recuperare ai comuni gli istituti premoderni di auto-organizzazione economica-sociale-politica. Quando è subentrato lo stato assistenziale, ora in crisi, si era prefisso di assicurarli a costi sempre più elevati, ormai insostenibili. La montagna deve rimanerne senza ?
La democrazia comincia dal comune, che è cosa dei cittadini.
L’autogoverno continua nella Regione, che come lo Stato da sé si fa le sue leggi. Le forme intermedie sono inutili.
Per contribuire a risollevare la sua montagna, il Piemonte può ben utilizzare l’ articolo 116 della Costituzione, lì dove consente ad una Regione di contrattare forme particolari di autonomia per sé o per una parte del suo territorio.
Sono ridondanti, ma ad esempio, se i “partiti” proprio sentono la necessità di un Ente intermedio, perché la Regione Piemonte, in luogo delle misere Unioni, non istituisce le “Province montane autonome” (su soli territori veramente montani per gestire la vera montanità : trasporti, viabilità, BIM, impianti di risalita, ecc.) ?
La capacità di riattivazione di forme di auto-organizzazione può rappresentare la soluzione per fornire quei servizi che lo Stato non è più in grado di assicurare a costi sproporzionati ai decentrati comuni di montagna che già soffrono per la chiusura di uffici postali, banche, strutture sanitarie, ma anche per riattivare circuiti di microeconomia informali.
Per realizzare qualcosa servono le risorse, ma anche l’eliminazione dei vincoli e delle pastoie burocratiche. Per “fare” non servono le costose Unioni montane. Se due o più comuni montani hanno bisogno di attivare iniziative sovracomunali sono perfettamente in grado di mettersi d’accordo. Hanno tutti gli strumenti per farlo senza dover delegare ad ulteriore burocrazia.
Guarda cosa è successo sulle montagne italiane con le Unioni montane che si chiamavano Comunità Montane:
Il blu e l’azzurro rappresentano lo “spopolamento”, rispecchiano proprio i confini piemontesi: non possiamo anche noi adottare leggi e procedure come i dirimpettai francesi o svizzeri ? Vogliamo perseverare nell’ errore ?
Si ri-chiudono le comunità montane che la legge dice essere delle “unioni di comuni montani” e si creano le “unioni montane di comuni” che si avvarranno dei beni e del personale dipendente dalle stesse comunità montane, che hanno fallito il loro compito.
Come si può unire la disomogeneità ?
Non siamo nella Sicilia de “Il gattopardo” dove ”tutto cambia affinchè nulla cambi”.
La questione è veramente da meditare bene perché maggiori forme di autonomia e di autogoverno sono necessarie per gestire problemi e risorse secondo la logica propria di un territorio di montagna. In passato avevano individuato i Comuni ed hanno funzionato per oltre un millennio. Negli ultimi cinquant’ anni hanno inventato le Comunità montane, le Unioni, i Comprensori, ecc, ma non hanno funzionato. Vogliamo perseverare nell’errore.
Grazie per la considerazione. Gian