(19.12.14) Ogni anno che passa ci rendiamo conto sempre di più di quale contributo i pesticidi rechino alla crescita di gravi patologie che affliggono il nostro tempo: tumori infantili, infertilità, malattie metaboliche e neuropscichiche. Il junk food annebbia la mente e impedisce la ribellione
I pesticidi sono una chiave di volta del sistema di potere mondiale
di Michele Corti
L'impegno contro i pesticidi vede uniti contadini, agricoltori biologici (quelli che vedono nel bio non solo un business ovviamente), genitori, abitanti di aree particolarmente 'bersagliate', medici preoccupati per l'ambiente e agronomi (pochini) preoccupati per la salute, Gas, comitati locali per la difesa della salute e del territorio, amministratori locali. Gli ambientalisti istituzionali sono a rimorchio. Gli ambientalisti e chi è legato alla politica e alle ideologie fanno da pompieri, consigliano la linea morbida, la gradualità. Se in buona fede non hanno capito nulla della posta in gioco. Sui pesticidi si gioca una partita che riguarda il potere mondiale, il controllo del cibo. Smontare il modello di agricoltura high input - low price - high pollution significa mettere in discussione i centri del potere globali. Solo la chiarezza delle poste in gioco e la radicalità di un movimento pacifico mondiale possono contrastare il controllo crescente da parte delle multinazionali della terra, del cibo, della vita. Non è facile lottare contro chi ha mezzi enormi per influenzare media, partiti, organizzazioni ambientaliste, università, organizzazioni economiche. Solo un grande movimento dal basso, non ricattabile, non comprabile ma coordinato può costringere le multinazionali e i loro referenti a combattere su un terreno dove le loro artiglierie pesanti hanno poca efficacia. Il sistema globale va espugnato comunità per comunità pensando globalmente e agendo localmente dove la gente senza potere ha ancora qualche chance e se è unita può influenzare i decisori locali
Combattere i pesticidi, significa combattere un sistema integrato di controllo messo in piedi da pochi gruppi mondiali che producono e commercializzano i principali fattori di produzione agricola in tutto il mondo, significa combattere un modello di produzione agricola che determina vilissimi prezzi delle materie prime che sono causa di:
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alti profitti delle multinazionali che controllano sia i fattori di produzione (sementi, pesticidi, concimi chimici) che la trasformazione e la distribuzione alimentare e che consentono loro di disporre di risorse immense per influenzare e asservire i media, la politica, la scienza;
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perdita di biodiversità agricola e selvatica, perdita di patrimoni e saperi, contaminazione di tutte le matrici ambientali e accumulo di sostanze tossiche delle catene alimentari, perdita di sostanza organica e fertilità dei suoli, erosione, compattamento, salinizzazione
Il sistema che si basa sul controllo da parte delle multinazionali dei pesticidi, delle sementi, del biotech è puntellato dai “sussidi”” che tutti i paesi in forme diverse concedono ai produttori agricoli di fatto “girandoli” alle multinazionali e mantenendo buona parte dei contadini del mondo in condizioni di sussistenza (spesso anche sotto). Rompere queste catene significa liberare l’agricoltura, ma anche liberare l’umanità che sta regredendo ad una massa di schiavi (piccoli produttori agricoli e consumatori) del tutto controllati nei loro comportamenti da una politica del cibo che è di totale manipolazione di una massa di iloti, sempre più inconsapevole, “primitiva”, facilmente manipolabile e “standardizzata”, priva di saperi e conoscenze e guidata da suggestioni che fanno leva su istinti primari.
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Manipolazione dei mercati dove il “libero mercato” è una foglia di fico che serve per abbattere le resistenze a condizioni di imposizione di monopoli e monopsoni e che consente alle multinazionali di spostare a piacimento secondo le proprie logiche geopolitiche e secondo la logica dei mercati più profittevoli ed emergenti i fulcri dell’attività economica provocando la marginalizzazione e l’impoverimento di intere aree geografiche (inclusa in prospettiva la “vecchia Europa” che in caso di ulteriore americanizzazione del mondo rischierà anche di vedere messe in forse sul piano quantitativo e qualitativo la disponibilità di cibo convogliato verso mercati più promettenti);
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Manipolazione politica (sistema di normative) in forza della capacità delle multinazionali di comprare a piacimento le classi politiche non solo del “terzo modo” ma anche del primo;
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Manipolazione dei gusti, degli orientamenti delle culture, dei valori, dei sistemi di significati, dell’immaginario collettivo che devono uniformarsi alle esigenze di standarizzazionee di economie di scala del global food system e che travalicano la sfera del cibo per comprendere quella del costume, della morale, della politica;
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Manipolazione alimentare che consiste nel creare una artificiosa varietà di offerta di alimenti differenziati solo attraverso il packaging e l’aggiunta di additivi a pochissimi cibibase sempre più impoveriti;
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Manipolazione psicofisiologica attraverso la stessa (bassa) qualità del cibo globalizzato ampiamente manipolato con additivi e l’advertising che inducono comportamenti ripetitivie di dipendenza, che ottenebrano la mente attraverso il senso di sazietà che previene i comportamenti di ribellione, attraverso il comprovato effetto depressivo del junk food che induce al consumo di farmaci e di alcolici.
Va considerato che oltre alle manipolazioni fisiologiche indotte dal cibo anche lo stesso uso dei pesticidi, attraverso il residui nel cibo e la contaminazione ambientale provoca un effetto sui “consumatori” (ovvero le popolazioni esposte). L’ipotesi di una voluta “regolazione” demografica attraverso la caduta di fertilità umana indotta dai distruttori endocrini non è affatto peregrina e si affacciano ipotesi di ogm programmati allo scopo di compromettere la fertilità umana.
Una manciata di multinazionali sementiere, dei pesticidi e della biotecnologia controlla il destino del cibo e dell’agricoltura in tutto il mondo. Nel loro ambito sei compagnie rivestono un ruolo assolutamente prevalente: la Monsanto, Dow, BASF, Bayer, Syngenta e DuPont (73% del mercato). Esse controllano l’industria sementiera, la produzione dei pesticidi e il mercato della biotecnologia agricola. Il potere detenuto da queste “sei sorelle” non ha precedenti storici e va molto al di là di quello dei vecchi cartelli petroliferi. Questo potere consente loro di:
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orientare la ricerca agricola (compresa quella pubblica);
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dettare accordi commerciali e politiche agricole;
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presentare e far accettare le loro tecnologie quale soluzione “basata sulla scienza” finalizzata ad aumentare i raccolti, nutrire gli affamati e salvare il pianeta screditando qualsiasi posizione contraria;
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sfuggire a controlli democratici e normativi;
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sovvertire mercati competitivi.
Nel mentre le multinazionali conseguono questi obiettivi esse intimidiscono, impoveriscono e tolgono potere agli agricoltori, minano la sicurezza
alimentare e lucrano profitti record anche nel bel mezzo di una crisi. Secondo le Nazioni Unite la concentrazione delle imprese del mercato input agricoli “presenta implicazioni di vasta portata per la sicurezza alimentare mondiale, dal momento che la privatizzazione e i brevetti sull’innovazione agricola (caratteri genetici, tecnologie di trasformazione e germoplasma della semente) soppiantano le tradizionali convenzioni agricole in materia di semi, diritti degli agricoltori e dei costitutori
di varietà coltivate ” (1).
Anche se le multinazionali sono presenti nel settore food & beverage e nell’agricoltura da decenni, solo negli ultimi 10 – 20 anni hanno hanno raggiunto livelli attuali di controllo dei mercati. Il settore della fornitura di input all’agricoltura, utilizzando varie tattiche, è divenuto il più concentrato, integrato e collusivo tra i settori economici mondiali. Da qui deriva il suo enorme potere politico e l’assurgere del cibo al più importante
problema politico.
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Fusioni e acquisizioni. Dal 1990, la Big 6 si è impegnata in un programma di spesa folle, acquisendo i tre segmenti chiave del settore agricolo (pesticidi, sementi e biotecnologie) per organizzare secondo una logica integrata i marchi di prodotti chimici, sementi, e genetica progettati per essere utilizzati gli uni insieme agli altri;
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Strategie di cooperazione e pratiche collusive tra i pochi grandi concorrenti, in particolare attraverso la creazione di elaborate strutture di cross-licensing (si tratta di accord tra Monsanto e BASF, Monsanto e Dow Agrichemicals, Monsanto e Syngenta, Syngenta & DuPont;
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L’integrazione verticale verso l’alto della filiera alimentare, con la creazione di cluster di filiera che integrano la gestione degli input agricoli con le forti strutture di trasformazione e di commercializzazione dei gruppi che controllano il commercio dei cereali.
Tutto ciò ci dice chiaramente che se da una parte la lotta ai pesticidi. la liberazione dell’agricoltura dai veleni rappresenta una battaglia difficilissima perché colpisce uno dei gangli del sistema di potere alimentare e politico dall’altra essa assume un’importanza tale da giustificare le tante energie necessarie. Essere consapevoli di chi è il nemico e cosa vuole è già una mezza vittoria. Bisogna essere anche consapevoli che la mostruosa concentrazione di potere che si è realizzata nelle nostre società (e ora a livello globale) modifica completamente i fondamentali dell’azione politica e sociale. Le istituzioni non sono più solo i vecchi “comitati di affari”, non c’è solo la “classica” corruzione, il clientelismo, il peso dei poteri forti su tutta la politica e le istituzioni di una “democrazia rappresentativa” sempre più vuota di significato. Oggi il rapporto tra lobby e politica è più diretto. Con la quantità di profitti accumulati (i tassi delle simpatiche società di cui abbiamo parlato sono restati sul 10% anche nei peggiori anni di crisi) le multinazionali possono comprare intere classi politiche, accademiche, burocratiche. L’azione di opposizione popolare da parte dei piccoli e medi produttori agricoli, dei consumatori, degli abitanti delle aree esposte all’avvelenamento da agoindustria deve seguire nuovi canali, deve assumere nuove forme. La capacità di incidere sulle scelte politiche diminuisce mano a mano che si risale lungo le filiere politico-istituzionali. Sappiamo bene come la Commissione europea sia più permeabile alle “esigenze” delle multinazionali dei parlamenti nazionali, come questi siano più permeabili di quelli regionali e come – in definitiva – solo al livello politico-amministrativo più basso oggi ci sono reali spazi di manovra. Sappiamo anche bene come ogni entità organizzata (vedi le associazioni ambientaliste istituzionalizzate) oggi sia permeabile – in forza del fabbisogno finanziario e della necessità di pagare gli stipendi ad una burocrazia interna che assume il vero controllo politico – all’influenza delle lobby economiche.
Solo dove chi ha una responsabilità non può nascondersi e deve guardare negli occhi i propri elettori quando si radunano in assemblee popolari per bloccare una centrale a biomasse piuttosto che per chiedere un referendum sui pesticidi. Ma tante lotte locali assumono automaticamente una valenza politica.
Note (1) United Nations Conference on Trade and Development TRACKING THE TREND TOWARDS MARKET CONCENTRATION: THE CASE OF THE AGRICULTURAL INPUT INDUSTRY Study prepared by the UNCTAD secretariat, 2006 (PDF)