v(12.11.14) L'epopea dei bergamini/malghesi è stata parte della storia di tante comunità lombarde di montagna e di pianura. Il viaggio tra le queste località dovrebbe toccare molte tappe. Dopo la Valzurio (che sarà oggetto in un'altro articolo) restiamo in val Seriana con queste vive memorie della famiglia Avogadri che caricava l'Alpe Vaccaro salendo dal Cremonese e raccolte da Anna Carissoni
Parre: quando arrivava la carovana "Di Aogàder!
di Anna Carissoni
Forse è la sua ubicazione che l’ha salvata, salvando perciò anche i tratti caratteristici delle costruzioni rurali di una volta in cui ogni elemento – ol portèch col foglà [focolare]e la sigógna [cicogna, ovvero gru mobile di legno per spostare la cadala con il latte sul e dal focolare] per la lavorazione del latte, la penzàna [tettoia aperta su un lato per il ricovero al coperto degli animali], ‘l réss [selciato, rìs-sc, rissada, risciada in alte forme lombarde], il fienile, ecc… - era funzionale allo scopo per cui erano state costruite. Solo la grande stalla, in seguito alla ristrutturazione risalente agli anni ’80, è stata trasformata in taverna. Parliamo della cascina Spiàss (Spiazzi) nell’omonima località di Ponte Selva, sulla sinistra orografica del Serio, appena sotto il tracciato della vecchia ferrovia, che per generazioni ha costituito una tappa della transumanza estiva degli allevatori Avogadri - originari di Fontanella al Piano poi trasferitisi nel Cremonese - verso l’alpe Vaccaro, sopra Parre.
Di essi alcuni anziani parresi ricordano ancora il passaggio in paese nei primi decenni del ‘900, quando all’inizio di giugno la loro carovana attraversava l’abitato e in tanti accorrevano a vedere lo spettacolo: il suono dei campanacci della mandria numerosa - sull’Alpe Vaccaro si potevano 'caricare' circa 150 'paghe' (cioè bovini adulti) -, i carri variamente carichi; le file di muli che si sarebbero poi accollati tutto il carico dei carri; il correre e l’abbaiare indaffarato dei cani; i fischi e i richiami dei conducenti e dei carrettieri; e in testa, a cavallo, Francesco Avogadri, ol casér, sorta di patriarca che ne regolava le soste e l’andatura. Una specie di migrazione biblica tutta al maschile, perché le donne e i bambini erano stati lasciati sul fondovalle, alla cascina Spiazzi, appunto, dove avrebbero trascorso quei mesi facendo da supporto – come una specie di 'campo base' – agli uomini saliti all’alpeggio, che vi sarebbero scesi alternativamente per qualche giorno, a turno, per dare una mano nei giorni della fienagione.
Ponte Selva (1911) Membi della famiglia Avogadri
Agli Spiazzi però gli Avogadri erano arrivati già alla fine di aprile, per consumare il fieno dell’estate precedente e pascolare le zone più difficili dasfalciare e per permettere ai numerosi bambinial seguito di terminare l’anno scolastico nella scuola di Ponte Selva; e vi sarebbero rimasti anche dopo la discesa dall’alpeggio, per approfittare del foraggio fornito dal rebött, la ricrescita dell’erba dopo l’ultima fienagione. Ricorda uno dei nipoti, Alessandro, 77 anni, storico presidente dell’Associazione Alpeggi
Quella degli Spiazzi era la cascina preferita dagli zii come punto di appoggio per le transumanze. Ne avevano altre, lungo il percorso, tra cui due sulla riva del fiume Oglio, ma le avevano ben presto abbandonate perché il fiume, facile alle esondazioni, faceva loro paura, mentre questa della Selva era più alta rispetto al Serio e quindi certamente più sicura. Vicino alla cascina ce n’era un’altra, più piccola, con due stalle che ospitavano solo muli e cavalli: si trattava di una struttura funzionale al traffico dei carri che salivano verso Clusone percorrendo la mulattiera che ancora costeggia la zona della Casa dell’Orfano e che ancora si chiama la ràta caài. Per affrontare la ripida salita, ci voleva qualche mulo o qualche cavallo in più, perciò si ricorreva alle prestazioni delle bestie che stazionavano, appunto, nella Ca’ ègia [Casa vecchia]: una volta svolto il loro compito e tirato il carico in cima alla rampa, i muli e i cavalli di rinforzo venivano staccati dai carri e ricondotti giù, dove si riposavano in attesa di essere riutilizzati alla successiva occasione.
La transumanza degli Avogadri, sia all’andata che al ritorno dal Cremonese, doveva poter contare sull’ospitalità di parecchie cascine, perché si percorrevano 25 kilometri al giorno e ogni due giorni di cammino c’era un giorno di sosta. Sosta per la quale servivano stalle per il ricovero delle bestie, foraggio per la loro alimentazione nonché la possibilità di lavorare il latte, trasformandolo in strachì, un formaggio che non richiede una lunga stagionatura e che si chiama così perché prodotto col latte delle vacche stràche, cioè stanche.
Allora non c’erano gli autocarri per il trasporto del fieno, bisognava trovarlo già pronto nei luoghi in cui la transumanza faceva tappa, tra cui una grande cascina ad Albino e una, detta la Cansunéra, al bivio per Cremona. Il bestiame veniva curato giorno e notte dai proprietari e dai loro aiutanti, molto spesso bergamaschi e perciò chiamati bergamì, perché i fattori delle cascine della Bassa si occupavano solo della produzione granaria.
Tra i tanti aiutanti alle dipendenze degli Avogadri, Alessandro ricorda in particolare un certo Francesco Fiorina originario dell’Alta Valseriana ed abitante a Nasolino:
Un tipo davvero simpatico e originale: nato nel 1900, aveva lavorato parecchi anni in miniera e si diceva che all’arrivo di ogni nuovo figlio era solito far scoppiare una mina per aprirsi lo spazio necessario ad ingrandire la casa….Stanco della miniera, era venuto da noi in pianura, dove rimase una ventina d’anni a fare il manzulér, cioè l’addetto ai manzöi. Era bravissimo anche ad addestrare i cani da mandria, tutto quello che so in proposito l’ho imparato da lui; e poi ci impressionava, noi ragazzi, con le strane cure che conosceva per ogni tipo di malanno: per esempio, se gli capitava di ferirsi, pisciava sulla ferita e poi la copriva con scorza fresca di sambuco….Quando andò in pensione, si costruì con le sue mani una casetta vicina alle nostre stalle, dove visse per il resto dei suoi giorni occupandosi di alcune capre che aveva comprato:’ Tanto per non fare il lazzarone – diceva - tanto per non stare con le mani in mano...