(23.08.14) Cuore delle Orobie, anima alpina della Lombardia, una valle non raggiunta dal turismo 'di massa' conserva decine di contrade, un tempo abitate tutto l'anno che, pur con fenomeni di degrado e interventi impropri, riescono ancora a suscitare ammirazione per come i nòss vècc organizzavano lo spazio
Val Tartano, anima orobica
testo e foto di Michele Corti
Settimana scorsa sono stato in val Tartano per illustrare il progetto Principi delle Orobie (i percorsi intervallivi e i prodotti turistici - guardando Expo e oltre - all'insegna dell'unità del massiccio e delle sue componenti divise tra Sondrio, bergamo e Lecco). I Principi si sono aggregati sul tema dei grandi formaggi che nascono sugli alpeggi delle Orobie occidentali ma non per fare 'promozione agroalimentare'. Lo scopo è la promozione del territorio, della sua cultura, delle sue tradizioni, di un immenso poco conosciuto, e ancor meno riconosciuto e valorizzato, patrimonio materiale e immateriale. A Tartano ci sono già iniziative in atto, di catalogazione del patrimonio, di turismo enogastronomico (grande successo ha l'Accademia della polenta), vi sono stati eventi sin in anticipo sui tempi ("L'urlo di pietra"). Il terreno è fertile per proioettare quanto già fatto e quanto si potrebbe fare in una dimensione orobica che acquisisca la meritata visibilità.
Il giorno successivo, con la guida di Fausto Gusmeroli, ho visitato alcune contrade (ce ne sono una quarantina). Una visita troppo rapida ma sufficiente per avere la percezione di un patrimonio prezioso in grado di emozionare il milanese (che non conosce questa valle meravigliosa, così vicina - non solo in termini di km) ma anche l'americano e il cinese. Così metto in comune queste note, queste foto, queste riflessioni.
La val Tartano con le baite, ovvero le tante stalle-fienile (o solo fienile) isolate sui ripidi pendii e il rosario delle quaranta contrade, con le dimore rurali anch'esse costruite con la tecnica del blockbau, sconcerta chi è legato agli stereotipi della montagna 'latina' caratterizzata dagli insediamenti aggregati e dall'uso prevalentemente della pietra.
Qui siamo nell'hirtschland lombardo, nelle Orobie umide, forestali, pastorali dove puoi pensare di essere in Svizzera o in Sud-Tirolo. Territori ecologicamente e etnoculturalmente affini. Valli lontane dalle vie principali di comunicazione dove l'influsso della romanizzazione è stato molto limitato ed è forte il substrato celtico e significativo il superstrato longobardo germanico.
Oggi Tartano, comune veramente montano (corrispondente ad una valle 'sospesa'), conta (2011) 192 abitanti mentre negli anni'50 del secolo scorso ne contava 1.200 e ben 2.000 nel periodo tra le gue guerre. L'attuale comune si è costituito nel 1816 quando quelli di Campo e di Tartano si fusero. In precedenza facevano parte del comune di Talamona (sul fondovalle valtellinese) che, nel 1726, si divise in Talamona, Campo e Tartano. In precedenza la val Corta insieme a Campo apparteneva a Talamona, la val Lunga ad Ardenno e la val di Lemma (diramazione della val Corta) costituiva il comune autonomo della Sciocada, (oggi l'insediamento è chiamata Zoccada/Sciucada ed è in rovina). Erano comunità del tutto autonome (1).
Sciocada corrispondeva alla valle più interna della val Tartano ed era quello che manteneva i più stretti rapporti con il versante bergamasco tanto è vero che Zoccada, Foppolo e Cambrembo (le due ultime bergamasche) portavano insieme i propri morti al cimitero della chiesa dei SS. Giovanni e Antonio in Sparavera (oggi semplimenente Sant'Antonio). Citata dal vescovo Feliciano Ninguarda nella sua famosa relazione (2). Come in tanti altri paesi alpini le salme di chi moriva in inverno aspettavano (congelate) nei solai... che i passi tornassero agibili.
A un miglio e mezzo oltre Tartano c'è Sparavera con poche famiglie. Qui c'è un'altra chiesa dedicata a S. Antonio Abate, con il battistero in disuso così che bisogna asportarlo. Al di là di questa chiesa c'è il monte che divide la regione dal territorio di Bergamo.
Mappe dell'alta val Tartano (per la bassa valle vedi mappa in fotoracconto su Sostila). Mappe da G. Bianchini, R. Bracchi Dizionario etimologico dei dialetti della Val Tartano, Grosio (So), 2003
Un'unica Tèra orobica
L'unità dei versanti orobici ha radici antiche. Le Orobie occidentali presentano un substrato celtico golasecchiano, emerso dai recenti rinvenimenti di parole in lingua celtica leponzia nell'area di incisioni rupestri del pascolo dell'Armentarga a 2.300 m nel comune di Carona (sul versante bergamasco)(3). Tale substrato differenzia la val Brembana e le valli orobiche occidentali valtellinesi (dove gli insediamenti si sono sviluppati da alpeggio di pastori brembani e valsassinesi più a ovest nella valle del Bitto di Gerola) dalla cultura del Doss Trento (peraltro anch'essa celtica) che interessa la val Seriana e le valli più orientali e tende ad unirla all'Insubria. Ma il connotato culturale delle Orobie deriva anche dall'influsso longobardo legato alla colonizzazione delle alte valli da parte dei gruppi (fare, arimannie) di origine longobarda che si erano insediati nei secoli del dominio longobardo nella fascia pedemontana e di alta pianura bergamasca.
Ancora nel XIII sec. uomini della val Brembana dichiaravano, come emerge da documenti notarili dell'epoca, di seguire la legge longobarda e quindi si sentirsi ancora appartenenti a quella nazione (nel medioevo la nazione era un fatto personale e di discendenza, non territoriale)(4).
Il forte legame della val Tartano con la val Brembana e la bergamasca deriva anche da fatti orografici anche se non è sempre facile discernere tra influssi culturali e geografici che tendono ad interagire (5).
Il dato di fatto è che in passato era molto più agevole scollinare oltre i versanti attraveso passi piuttosto agevoli, seguire le creste che percorrere i fondovalle.
ll Tarteno minaccioso torrente, che da nome alla detta Valle, è il terribile flagello di questa Terra. ln della Valle è poi il Luogo, o Villaggio di Campo. lndi essa Valle in due altre si parte, l’una detta Biorca, e l'altra Zoccada, da l'una, e l’altra delle quali à Bergamaschi si da passaggio. Quivi fiorirono i Cammucci, i Fioccari, i Mazzoni ecc. (6)
Che i passi tra la val Tartano e l'alta val Brembana (Cambrembo e Foppolo) fossero agevoli e frequantati lo testimonia la presenza di edifici di culto. Dalla preistoria i passi sono sacralizzati e incisioni e manufatti dedicati alle divinità protettrici delle montagne e dei passi stessi sono state rinvenute iscrizioni dedicate al dio Penninus (dal celtico pen = picco)nel santuario all'aperto celtogolasecchiano di Carona (pascoli dell'Armentardga a 2.300 m di quota (7). In tempi molto più recenti su entrambi i versanti del passo di Tartano furono edificate delle chiesette (oratori). Sul versante bergamasco quella di San Salvatore o San Sisto (8), su quello tartanese, quella - anch'essa - di San Salvatore di cui non esistono più neppure le fondamenta ma di sui è stato recentemente localizzato il sito (9).
L'Adda è stato per millenni un limes culturale, a Nord del fiume i retici, i Cèch, a Sud gli orobici, detti maròch. In passato i ponti erano pochissimi, il fiume dilagava liberamente nel fondovalle paludoso e gli attraversamenti erano possibili solo con traghetti. Il traghetto che consentiva di risalire dalla bassa Valtellina verso Sondrio si trovava a San Gregorio (vicino al paese di Sirta in comune di Forcola), oggi poche case intorno alla chiesa quattrocentesca; qui c'erano una torre e un'osteria e ci si portava sulla sponda destra dell'Adda.
Per questo le gens tendevano ad occupare un territorio da acqua ad acqua a differenza di quello che si è affermato qualche secolo fa con la definizione di 'sacri confini' sugli spartiacque. Esattamente il contrario di quanto l'uomo ha praticato per millenni. Le divisioni tra retici ed orobici si sono trasposte nel XIV-XV sec. nelle lotte che contrapposero in tante parti della Lombardia e d'Italia i Guelfi e i Ghibellini. Gli orobici 'valtellinesi' , come i camuni - di ancor più forte impronta longobarda - erano (in generale) ghibellini, filoviscontei e filomilanesi, i retici guelfi (10).
Una storia di passato splendore
La storia della val Tartano è ricca. Anch'essa nei secoli del tardo medioevo ha conosciuto lo splendore dell'epoca d'oro delle Alpi (11). La ricchezza della valle derivava dall'attività estrattiva e di prima lavorazione del ferro (12).
Camillo Gusmeroli nella sua Storia di Tartano fa riferimento all'importanza dell'attività mineraria sottolineando come essa si svolgesse in stretta relazione con la località di Cambrembo sul versante bergamasco:
[...] nella valle dei Lupi - caposaldo tra l'Alpe Dordona, Porcile di Tartano, Dordonella di Colorina e Cadelle di Foopolo-si possono ancora osservare le cave abbandonate e di mulattiere, intagliate a tratti nella roccia e selciate nel terreno di natura molle, che si diramano per kilometri e kilometri: a sud-est per il valico di Tartano portavano a Cambrembo, località Forno in Provincia di Bergamo; a est-ovest, per Corteselle, Dordona, strada Altar, Bratta di Cuminello, Torc di Sant'Antonio in Sparavera, all'omonima località Forno in provincia di Sondrio (13).
È significativo che, sia alla testata della val Lunga di Tartano che al di là del passo di Porcile si trovino due località con lo stesso nome: 'Arale'. Il benessere acquisito con l'attività mineraria ( testimonia la presenza di dimore con caratteristiche signorili. Ve ne sono in diverse contrade tra cui Sciucada/Zoccada (ora in rovina) a 1415 nel ramo orientale della val Corta detto val di Lemma (vedi mappa). L'importanza delle attività economiche si rifletteva in qualla dell'attività amministrativa e giudiziaria: In località Tegge vi era la sede della pretura, in quella Rondelle del comune. Un fatto certo è che le contrade verso il fondovalle, più vicine ai passi che collegavano con la bergamasca, avevano un ruolo prioritario (14). Tutt'oggi nella val Lunga (mappa sotto) vi è la contrada Dosso dei Principi (non indicata in carta ma prossima a Sant'Antonio) ad indicare la presenza di famiglie facoltose (anche se spesso i soprannomi altisonanti rappresentavano degli sfottò da parte delle contrade vicine).
Una serie di borgate
Dalle mappe si ricava come mentre alcune borgate costituivano dei piccoli villaggi (con tanto di chiesetta) altre erano costituite da pochissime dimore con grande probabilità derivate dall'insediamento di un singolo gruppo famigliare. Come altrove molte borgate prendono il nome dalle famiglie originarie, altre dalla morfologia del sito, altre dalla presenza di particolari strutture funzionali (es. Pila, ovvero la particolare struttura per svestire le cariossidi dell'orzo). La contrada più alta è Arale (1.485 m).
Arale (a destra) e Pra de Ules (a sinistra)
Ad Arale vi sono due rifugi: Beniamino e Il Pirata (foto sotto). Quest'ultimo rappresenta anche un buon esempio di recupero di una vecchia stalla con fienile. Al livello superiore vi è la sala da pranzo, a quello inferiore - dove era la stalla - un camerone.
Il rifugio Il Pirata alla contrada Arale
Arale era una contrada di bergamini. Non meraviglia, essendo quella a quota più alta. Nell'ambito delle valli e delle diverse località i transumanti erano infatti insediati sempre nei siti più elevati (15). Numerose testimonanze sull'importanza dei bergamini di Tartano nel quadro della transumanza bovina tra le Orobie e il Milanese sono contenute nei documenti notarili dei sec.XVI-XVIII studiati da Natale Arioli. Egli così sintetizza questa realtà:
Anche il comune di Tartano in Valtellina, che confina con il bergamasco, era terra di malghesi, la loro presenza si intreccia negli archivi della pianura con quella dei colleghi bergamaschi [...] Nella pianura dello Stato di Milano troviamo la presenza di parecchie figure di malghesi transumanti, alcune provenienti proprio da comuni come Mezzoldo, Piazzatorre, Carona, Valleve , Foppolo e Tartano (16).
Le famiglie di Tartano e dell'altra val Brembana, interconnesse nell'attività mineraria, rimasero legate anche nelle reti della transumanza che prevedeva una serie di relazioni commerciali e patrimoniali nell'ambito della tribù bergamina. Una tribù dove i vincoli di parentela e di 'tribù' contavano molto di più di quelli di villaggio e consentivano di allacciare relazioni entro uno spazio che andava dal Vercellese al Lodigiano, alla Valsassina. L'idea del montanaro 'chiuso nella sua valle' è totalmente lontana dalla realtà. Nelle carte studiate da Arioli emerge un gran numero di toponimi legati alla val Tartano: alpeggi ('monti') per lo più, ma anche contrade: Aralli/Aralle (Arale), Prati Oles (Pra de Ules), Zochada (Zoccada, Sciucada). I cognomi di bergamini tartanesi citati sono Tirinzoni, della Quarta, Fondrini/Sfondrina (uno dei cognomi bergamini più diffuso nella Bassa milanese e lodigiana), Mainetti, Gusmaroli/Gusmarollo/Gusmarolo, Goglio (17).
Pastoralismo e industria estrattiva: un binomio che dura dalla preistoria
I nessi tra attività mineraria e allevamento erano già stretti in precedenza. Sappiamo che è dalla preistoria che i montanari , nell'ambito dei comprensori vocati all'estrazione mineraria, svolgevano il ruolo polivalente di minatori-pastori-guerrieri. Con la romanizzazione le cose in parte cambiarono (non per molto) dal momento che alle miniere venivano destinati i condannati a scontare i lavori forzati (damnatio ad metalla).
Nel tardo medioevo i montanari avavano in larga misura ripreso il controllo di entrambe le risorse, qualla pascoliva e qualla mineraria (salvo dove rimasero le proprietà allodiali di origine feudale). Il passaggio da un'attività all'altra non deve essere stato particolarmente difficile in quanto i nostri montanari erano piuttosto intraprendenti. Oltre a varie attività produttive e commerci (ferro e derivati, formaggi, legname) gestivano anche trasporti, osterie e... contrabbando.
Illuminante il personaggio di Antonio Pedrotelli dei Cattaneo di Valleve (un antenato di Carlo Cattaneo come messo in luce da recenti studi di Natale Arioli)(18).
Alla metà del XVI sec. Antonio Pedrotelli dei Cattaneo di Valleve era proprietario, con altri 4 soci, della miniera di ferro del monte Sasso di Carona, dalla quale ricavava un affitto 138 ‘cavalli’ di ghisa e - a indicazione dell’intersecarsi dell’economia mineraria con quella casearia - 15 pesi di formaggio. Grande dinamismo caratterizzò il figlio di Antonio, Pietro Pedrotello, che, oltre alle miniere, possedeva una caneva (osteria) allora molto frequentata perché i traffici da e per la Valtellina (non essendo stata ancora aperta la strada Priula, che sarà realizzata negli ultimi anni del XVI sec.) passavano per Valleve e la val Tartano. Dalla Valtellina, attraverso il passo di Dordona, si introduceva anche vino di contrabbando (utilizzato anche dal Pedrotello) (19).
I montanari (orobici ma non solo) devono smettere di piangersi addosso, di concepirsi come un popolo di pezzenti, di 'vinti'. Le cose stanno all'opposto. I montanari orobici impegnati nel pastoralismo, nei commerci, nelle attività minerarie erano discendenti di personaggi del calibro dei Cattaneo (capitanei ovvero vassalli maggiori del vescovo) e comunque uomini liberi anche se al fondo della piramide feudale. Uomini atti a portare le armi, a combattere per il loro clan. Una bella differenza dalla pianura dove i contadini erano caduti (o ricaduti) in servitù.
La soluzione della transumanza
Crisi dell'attività mineraria e sviluppo dell'alpicoltura sono ovviamente legati anche dall'intenso sfruttamento delle risorse forestali che la presenza dei forni fusori imponeva. Mano a mano che i boschi si diradavano e regredivano aumentava il pascolo. Sulla crisi pesarono, però, in modo ancor più decisivo la crescente concorrenza di altri distretti minerari più competitivi. Fatto sta che la crisi della siderurgia orobica durò secoli. L'ultimo forno fu spento in val Brembana, a Lenna, nel 1880.
Le famiglie tartanesi (e brembane) che erano legate all'attività estrattiva, con il calo di redditività delle miniere, furono spinte ad allevare sempre più bovini compensando con la vendita del formaggio (sugli alpeggi di Tartano si faceva Bitto/Branzi) e del bestiame da vita. Ma ilforaggio per mantenere l'aumentato patrimonio bovino (siamo tra XV e XVi secolo) non era certo reperibile nelle altre valli e così esse (o almeno le più intraprendenti) iniziarono a praticare la transumanza verso la pianura lombarda.
Dalla val Tartano, attraverso i passi di Porcile, Tartano e Lemma i transumanti (che venivano chiamati 'bergamini' in pianura, nome con il quale si autoidentificarono) scendevano lungo la val Brembana, attraversavano Bergamo e si dirigevano verso il ponte di Cassano, il porto (traghetto) di Vaprio per poi dirigersi verso Trucazzano, Melzo, Melegnano.
Poteva succedere che per motivi legati ad epidemie o guerre (o per precoci nevicate sui passi) la discesa dalla val Brembana non fosse possibile. Allora ai bergamini di Tartano toccava percorrere la bassa Valtellina, la via del Viandante e risalire la Valsassina per scendere a Lecco. Nel 1643, a Pasturo - in Valsassina - nacque Angela Margherita Fondra, di Angelo e Margherita Terinzo (uno dei cognomi già visti in precedenza). “Erano di Tàrtano in Valtellina e si trovavano qui di passaggio, essendo mandriani”(20).
Tra il 1818 e il 1831 l'ing. Donegani realizzò per l'l.R. governo Lombardo Veneto la strada regia del Lago di Como e dello Spluga. Così i bergamini di Tartano poterono compiere un viaggio più lungo ma più comodo che consentiva loro di caricare gli attrezzi per la lavorazione del latte, gli effetti personali, i bambini, i vitelli di pochi giorni sul carèt a due ruote (con tanto di copertura 'stile Far West').
Dopo una sosta per il pascolo nei pressi di Talamona si caricava sul basto del mulo o sulle spalle il carico e si risaliva la ripida mulattiera per Tartano. Riferiva il Bianchini che:
A Talamona pagavano l’afftto al Comune per un terreno vicino alla contrada Serterio, sulla strada per la valle, dove faceva sosta. Naturalmente, il carro a due ruote non poteva proseguire oltre la sosta, essendo da qui la strada per la Val Tartano mulattiere: dovevano quindi caricare su muli o portare a spalla ciò che c’era sul carro. Diversi bergamini prima di condurre le mucche in alpeggio si fermavano per alcuni giorni nella contrada Araal perché qui possedevano prati, che furono poi - in seguito - acquistati da contadini del luogo. (21)
Alcuni bergamini di Arale (gli ultimi) detenevano diritti di pascolo in località Sarterio di Talamona che furono anch'essi ceduti (22).
La contrada appena a valle si rale è Pra de Ules dove troviamo questo portale (dedi foto sotto) di fattura medioevale molto interessante (foto sotto). Vi sono inserite (nell'arco e nei conci soprastanti) tre diverse croci: una croce graca è incisa nella chiave di volta, una croce egizia è definita dalla chiave stessa, da un concio soprastante molto appiattito e da uno di forma ovale forato appoggiato sopra quello piatto. Un'ultima croce (ramponata) è incisa in un concio collocato sopra i precedenti e sotto un'apertura. Tutti elementi che definiscono una dimora non certo rurale. La contrada "Prati Oles" è spesso citata in atti, rogati a Milano del XVII sec. che riguardano bergamini.
Portale e dettaglio di dimora a Pra di Ules
Affresco devozionale ottocentesco a Pra di Ules
Pra di Ules. Quanto resterà in piedi?
A Tartano, l'orgoglio locale - anche se, come avviene spesso, in forme un po' campanilistiche - è più forte che in altre valli e il patrimonio, materiale e immateriale, è oggetto di discussione e di iniziative. Iniziative non sempre sostenute dalle Istituzioni. Queste ultime continuano a focalizzarsi sugli interventi 'che rendono' (in termini di mazzette e ritorni politico-elettorali o personali o chi cerchia). Si preferiscono interventi materiali dove di sono di mezzo grossi sbancamenti, colate di cemento. Purtroppo la val Tartano dopo l'alluvione del 1987 (23) è stata oggetto anch'essa di pesanti interventi. Il Tartano è stato 'intubato' con briglie mastodontiche e si sono realizzate senza risparmio delle strade (sia in val Lunga che in val Corta) che hanno cancellato le bellissime mulattiere lastricate che univano le contrade tra loro e che si snodavano lungo il fondovalle. Prima della realizzazione della strada che in val Lunga collega le contradeesse erano servite da teleferiche e collegate alla mulattiera di fondovalle e tra loro da comode vie selciate. Tutto cancellato.
Iniziative
Rispetto ad altre valli, però, qualcosa si è fatto. Sia dal punto di vista della catalogazione che di quanche intervento di recupero edilizio. In occasione dell'Urlo di Pietra, una manifestazione sull'identità linguistica, architettonica, gastronomica che nel 1996 precorreva i tempi (in prima fila tra i promotori e organizzatori c'era il tartanese doc Fausto Gusmeroli), vennero realizzati dei cataloghi del patrimonio tra cui quello degli affreschi devozionali. Giorgio Spini, animatore del Comitato per la difesa della val Tartano (dalla captazioni e non solo) ha, tra l'altro, prodotto una mappa toponomastica molto ricca (edita dal Cai Valtellina). Tutto il patrimonio edilizio storico è stato in qualche modo censito (per iniziativa locale visto che da questo punto di vista la Regione Lombardia latita paurosamente).
Spini ha così espresso le motivazioni che spingono a Tartano a conservare il patrimonio della loro heimat:
Cultura [...] che, divenuta sentimento, si manifesta ora nel legame emotivo profondo ai luoghi, nell’ostinato radicamento dei contadini, nella affezionata memoria dei ricordi ed in una sorta di sottaciuto complesso di colpa collettivo, per non aver saputo difendere dal degrado tante fatiche. Senza lasciarsi tentare da giudizi arbitrari e nostalgie ingannevoli, vien da riflettere sulla profonda mutazione e dimenticanza intervenute nella montagna di oggi. Non sarebbe importante che quell’antico sentimento, nato per necessità di sopravvivenza, venisse recuperato in un rapporto con la montagna che la modernità ha emancipato e reso più libero? (24).
C'è molto di vero in questo ma forse oggi dobbiamo diffidare anche di una nostalgia ingannevole nella modernità. Abbiamo visto che i montanari orobici non erano affatto pezzenti al limite della sopravvivenza. Tra la fine del medioevo e l'inizo dell'età moderna sulle Orobie, come su tutte le Alpi, c'era benessere, le comunità erano prospere, vi erano dei nobili, vi erano traffici. La modernità - che risale a cinque secoli fa e non agli anni '60 del secolo scorso- è stata il contrario della libertà. I comuni di Tartano, come del resto della montagna lombarda si autogovernavano, eleggevano i funzionari, i poliziotti, i giudici (a Tartano come abbiamo visto c'era una pretura). Solo per i delitti di sangue intervenivano i rappresentanti dei poteri lontani, del Principe. Per ottenere la fedeltà di comunità fiere e bellicose le autorità lontane di Milano e Venezia concedevano larghissima autononia e altrettanto larghe esenzioni fiscali. Anche i Signori Grigioni non calcavano la mano più di tanto. Sono state le tasse, cresciute vertiginosamente con la fine dell'ancient régime a schiacciare la montagna, la mancanza di autonomia che portava a sottomettere l'intereresse locale alla nascente borghesia, una classe rapace ma al tempo stesso capace di quell'ipocrisia e capacità manipolatoria che rappresenta tutt'oggi la cifra della società non ancora uscita dalla modernità.
L'economia di sussistenza, che nella percezione comune è ancora la caratterizzante "il passato" è frutto innegabilmente anche della crescita demografica tra XVIII e XIX sec. e dell'eccessiva parcellizzazione fondiaria. I nostri antenati in precedenza erano molto più liberi. Potevano scegliere se transumare o meno, se restare in pianura, se dedicarsi al commercio dei formaggi o del bestiame. Anche in pianura erano sostenuti da reti parentali e valligiane che li rendevano forti nelle relazione con la gente del piano.
La modernità pare aver portato libertà perché ha dissolto i legami che raccordavano la persona con una più ampia comunità (di villaggio, di pratiche).Oggi dopo anni di crisi una salutare riflessione è necessaria perché i vantaggi della modernità tendono a venir meno e ad essere sovrastati dagli svantaggi (l'individuo 'isolato' con il venir meno dei servizi sociali e del reddito rimpiange le reti di solidarietà organica, non quelle della solidarietà pesolsa di stato o del business delle onlus).
Se negli anni '60 televisione, automobile, elettrodomestici, mezzi meccanici di ogni tipo hanno sollevato da quelle che erano pesanti fatiche fische e aperto nuovi orizzonti va anche considerato che, andando indietro nei secoli, il lavoro fisico era suddiviso tra molte più persone mentre i montanari, con l'emigrazione stagionale qualificata (oltre che mandriani-casari erano anche, commercianti, maestri di scuola e artisti 'transumanti'), avevano molte occasioni di relazioni in un raggio che arrivava spesso oltralpe. Le fatiche disumane, gli uomini-mulo, sono un frutto della modernità. In forza della pressione fiscale, dell'esproprio delle risorse della montagna (che continua ancor oggi, basti pensare all'acqua), della crescita demografica, il montanaro per (soprav)vivere ha dovuto - tra XVI e XIX sec. - moltiplicare lo sforzo lavorativo per ottenere la stessa quota di beni di sussistenza.
Un fattolegato da una parte alla necessità di utilizzare risorse sempre più marginali, dall'altra ad un innegabile sfruttamento da parte dei poteri esterni. Non ci si deve dimenticare che, sino al XVI sec., sugli alpeggi si suonava, di danzava, si facevano sport 'alpestri' (25). Poi è arrivata la modernità, anche con il volto di una chiesa post-tridentina funzionale ad un progetto di rigida disciplina e controllo sociali. Ma anche questa religiosità, così diversa da quella medioevale, è moderna.
Una valle in bilico
La val Tartano oggi - come riflesso di tutti questi intrecci storici (e culturali) - è una valle in bilico. Da una parte c'è, palpabile, la tensione a conservare e rifunzionalizzare il patrimonio, dall'altra le perduranti spinte alla sua distruzione. Nella conservazione di una valle, di una singola contrada c'è un elemento che dipende da volontà individuali e dall'altra un quadro collettivo, di regole (spesso scritte a Milano, Roma e Bruxelles) ma anche di interventi, iniziative e inerzie dei soggetti locali. Pesa su tutto la sfiducia, il senso di sproporzione tra le forze umane rimaste e le cose da fare. Ma se si considerano le cose da un altro punto di vista, ovvero delle enormi potenzialità di una montagna vera, bella, accessibile come la val Tartano, se si ha la voglia di credere in queste potenzialità, nella forza delle idee, nella forza delle reti di cooperazione tra tanti soggetti animati da comune buona volontà, tutta la prospettiva cambia e c'è spazio per l'ottimismo (della volontà e dell'intelligenza).
Tipiche dimore in Contrada le Tegge
Dosso dei Pricipi: la via coperta
Gli interventi di recupero sono legati alla buona volontà, alle disponibilità (economiche e di conoscenze), alla sensibilità dei singoli. Se intere contrade non vengono banalizzate ad ammassi informi di volumi edilizi il merito è di quello che rimane di spirito di cooperazione montanaro, dei freni a quell' individualismo, narcisismo, esibizionismo che la modenità ha scatenato. Alla Contrada dei Principi è possibile assaporare l'atmosfera di intimità, funzionalità, ordine delle contrade del passato.
Affresco in Contrada Dosso dei Principi
Fontana coperta in Contrada Dosso dei Principi
Un segno di una sensibilità che non guarda solo al proprio orticello, al confine della propria parcella catastale è dato dal recupero della fontana di contrada (sopra). Però al Dosso dei Principi abbiamo notato anche un'altra cosa interessante: una "Piccola biblioteca di contrada aperta a grandi e piccini". Anche talenti diversi posso contribuire a mantenere in vita e dare senso (e un suo rinnovato connotato specifico) a una contrada. Servono le mani ma anche chi mette a disposizione qualcosa per gli altri di altro tipo. Dei libri perché no? Quello che conta è che la gente (qui presente solo in estate per lo più) non si chiuda nel guscio.
Da guadagnare c'è una qualità della vita fatta di quelle relazioni che la realtà urbana (condominio o villetta con giardino cinta da cancellate) hanno disseccato. Fatta di quello che la televisione e internet non danno.
Un passaggio a Dosso dei Principi
Portoncino a Dosso Principi
Non tutto è attento e rispettoso neppure qui. Il portoncino della foto sopra è 'affogato' da un brutto intonaco cementizio. Si possono sempre biasimare i proprietari? No di certo. Servono artigiani competenti e disponibili per applicare le tecniche del 'raso pietra', della malta naturale. Basterebbe che le 'Istituzioni' (ma si meritano ancora quesa denominazione?) invece di alimentare le caste e le clientele autoreferenziali utilizzassero un po' delle (ancora tante, troppe) risorse estorte ai contribuenti per attivare laboratori, scuole, apprendistato, esperienze di cultura della manualità e di autoimprenditorialità. È eversivo dire queste cose o è buon senso, senso del bene comune?
L'alluvione e le strade
L'alluvione del 1987, che ha fatto 19 morti in val Tartano (forse anche per una cultura edilizia che non rispetta quei limiti, quei criteri di prudenza del passato) non ha indotto salutari ripensamenti sul modello di infrastrutturazione della montagna. Anzi. Il Tartano, come visto è stato imbrigliato con ciclopici manufatti 'tradizionali' e la realizzazione di nuove strade è avvenuta a spese delle bellissime (restano solo le foto e i ricordi) mulattiere lastricate, vere opere d'arte, che costituivano la sapiente rete di collegamento delle contrade. Purtroppo pare che delle lezioni del passato si continui a non fare tesoro. Invece che investire nel patrimonio si vuole continare a investire in strade di dubbia o nulla utilità. Sono previsti ridondanti collegamenti tra gli alpeggi ignorando che solo pochissimi sono utilizzati e che la crisi degli alpeggi non si risolve con le strade.
Gli stessi che vogliono le strade. A cominciare dal Parco che li ha inseriti nel proprio piano "così da facilitare i finanziamenti europei" e che poi si rifà una verginità a buon mercato con gli orsi. Chi vuole le strade "per gli alpeggi" sono gli stessi che hanno spinto e spingono per una zootecnia intensiva con vacche da 90 q.li per lattazione che l'alpeggio non lo possono vedere se non in cartolina (basti dire che Raschetti, presidente del Parco, è di professione venditore di mangimi...). Invece che spendere per strade inutili (tranne per i soliti impresari e politicanti) ci sarebbero tante iniziative per valorizzare il patrimonio unico della val Tartano che rappresenta un enorme potenziale per quel turismo rurale e culturale che la Valtellina ha sinora snobbato (per inseguire le lobby immobilaristiche che premono per l'industria della neve artificale). Trattando le Orobie, vocate per un turismo soft che non muove speculazioni, clientelismo, corruzione, da cenerentola. È ora di cambiare.
Dalla val Lunga alla val Corta
Il tempo volava e dopo una rapida visita ad un'altra contrada della val Lunga ci siamo spostati in val Corta. Sotto siamo alla biforcazione tra la val di Lemma e Budria e i fabbricati che si intravedono solo le case di Sciucada.
Imbocco val di Lemma (si intravede Sciucada)
La contrada, meritevole di visita, che ho potuto vedere per ultima è Bagini, l'ultima tra quelle abitate un tempo anche in inverno salendo per la val Budria. Bagini è un ottimo esempio di 'se si vuole si può'. Un esempio di passione puntigliosa per un recupero attento, rispettoso. Bastano pochi particolari per capire che chi tiene viva la contrada non solo è motivato da intelligente passione ma ha anche 'mani sapienti' che ancora sanno lavorare il legno e la pietra come i vecchi. Canali di gronda scavati nei tronchi, niente calcestruzzo. Non tutte le proprietà sono stare empre recuperate con una qualità dell'intervento elevata. Ma l'insieme è di qualità. L'aspetto della contrada è stato rispettato.
Piccoli capolavori di sapienza manuale. Notare le forcelle che reggono i tondi appoggiati a fungere da parapetto (il manufatto a destra è una budulera, per la conservazione del latte)
La 'piazzetta di Bagini
Bagini è viva, è stupenda perché è autentica, perché è ruralpina. I prati sono sfalciati a mano (pendenze da record). E ci sono anche le patate
Questa legna è sistemata con una precisione svizzera
La solidità del blockbau. A onor del vero questa tecnica è diffusa anche in Valchiavenna, alta Valtellina, alta Valcamonica. Un tempo era estesa a una larga parte della montagna lombarda (come le scandole per copertura)
La bellezza dell'insieme della contrada. Per fortuna la Lombardia è anche e ancora questo e non solo il degrado delle informi periferie conurbanizzate. Ma qualcuno si preoccupa di farlo sapere ai milanesi che pensano che queste cose ci sono solo in Svizzera, Trentino-Sudtirol, Valle d'Aosta?
Sull'altro versante della valle questi splendide baite (della Cerabèla)."Erano del mio nonno" mi racconta Fausto, con giusto orgoglio, rammaricandosi che la famiglia abbia svenduto le proprieta rurali.
All'inizio della val Corta ecco un altro splendido esempio di architettura
ruralpina della val Tartano.
Con queste belle immagini finisce il racconto. Si deve tornare a Milano. Ma ci sarà una prossima puntata
Note
(1) G. R. Orsini, Storia di Morbegno, Sondrio, 1959, p.60
(2) F. Ninguarda, Atti della visita pastorale diocesana (1589-1593), ordinati e annotati dal sac. dott. Santo Monti, Como, 1892
(3) S.Casini, A.Fossati, F.Motta "Incisioni protostoriche e iscrizioni leponzie su roccia allesorgenti del Brembo (Val Camisana di Carona, Bergamo).Note preliminari" In Notizie Archeologiche Bergomensi, 16, (2008):75-101
(4) M.Corti La civiltà dei bergamini , S.Omobono Terme, 2014, p.185
(5) M.Corti Ribelli del bitto, Bra, 2011, pp.132 ssg.
(6) F. S. Quadrio, Dissertazioni storico-critiche intorno alla Rezia di qua delle Alpi, oggi detta Valtellina al Santissimo Padre Benedetto XIV P.0.M. dedicate, Nella stamperia palatina, Milano, 1755, p.466
(7) S.Casini, A.Fossati, F.Motta, Incisioni protostoriche...
(8) G. Molinari "Le 'Antiche Chiesette-Oratori' e la parte alta della 'Via Mercatorum' di Gianni Molinari In Quaderni Brembani, 6 (2008):69-71
(9) Fausto Gusmeroli, comunicazione personale. Negli ultimi anni sono state rinvenute anche incisioni rupestri e coppelle.
(10) M.Corti Ribelli del bitto ..., Id.
(11) P. Guichonnet Storia e civiltà delle Alpi. Destino storico, Milano, 1986, pp. 195 ssg.
(12) C. Gusmeroli Storia di Tartano, s.l., 1985
(13) Id.
(14) D. Benetti P.H. Stahl, Le radici di una valle alpina: antropologia storica e sociale della Val Tartano, Sondrio, 1995, p.15.
(15) M.Corti La civiltà dei bergamini ..., pp.178 ssg.
(16) Arioli N. “I malghesi dell’alta Valle Brembana, e di alcune aree con nanti, nelle fonti d’archivio tra ne ‘500 e ne ‘700”, in M. Corti, Studi sulla transumanza alpina (in corso di pubblicazione).
(17) Id. Riporto alcuni stralci di documenti significativi citati da Arioli: «Tommaso della Quarta figlio di Giorgio abitante nel luogo di Valle Tartano, comune di Talamona giurisdizione di Morbegno vende a Gio.Maria Piatti detto Berera figlio di Giovannino abitanti nel luogo di Mirabello, Parco vecchio di Pavia, [i Berera erano malghesi di Foppolo] nominativamente di quella quantità ... integra del monte chiamato Lema, posto nel luogo di Val Tartano, di vacche sei, il quale monte confina a mattina il Porcile [Alpe Porcile] a mezzogiorno Costa di Tartano e i volgarmente detti Rai et Cavizzola, a sera i monti Budrio et Vendulpiano et dall’altra parte il monte detto Zuccada [...] per il prezzo di lire tremila trecento ventisei moneta di Valtellina. Detto venditore ha locato detto monte, per anni nove cominciando dalle Calende di ottobre, ad Andrea Magenes detto il Barbì del luogo di Cambrembo Valle Brambana diocesi di Bergamo [...]» «Giacomo Tirinzoni figlio di Antonio abitante in località Aralli [territorio di Tartano]comune di Talamona, Valtellina, fece e fa vendita a Domenico Tirinzoni figlio di Bernardino abitante ai Prati Oles [territorio di Tartano ) comune di Talamona Valle Tellina, nominativamente degli infrascritti beni : una pezza di prato con dentro una casa fabbricata di legname coperta di piode per tener fieno e bestiami in detto luogo di Oles […]; un’altra pezza di terra prativa con attorno incolto con dentro una casa parimenti fabbricata di legnami dirupata coperta pure di piode dove si dice al Ronco […]; per il prezzo di lire cinque cento in moneta di Valle Tellina. Testimoni sono Angelino Fondrini figlio di Gaspare abitante alla Zochada comune di Talamona , Gaspare Santi figlio di Vanino abitante a Foppolo Valle Brembana bergamasca e Domenico Goglio figlio di Giovan Pietro abitante ad Averara in Valle Brembana».
(18) N. Arioli Le radici di Carlo Cattaneo: storia di una famiglia da Valleve alla Bassa Milanese, Corponove, Bergamo, 2012, pp.11-14
(19) Id.
(20) A. Orlandi Le famiglie della Valsassina: repertorio con brevissime illustrazioni, Cortenova (Lc), 2005, p. 157.
(21) G. Bianchini, R. Bracchi Dizionario etimologico dei dialetti della Val Tartano, Grosio (So), 2003, pp. 80-81
(22) C.Gusmeroli, Storia...
(23) Che costò 12 morti di cui alcuni forse sarebbero stati evitati se si edificasse con quella cautela e quel rispetto che caratterizzavano la cultura edificatoria tradizionale
(24) G.Spini, l'Gazetin, aprile 2013
(25) G.Arrigoni Documenti inediti risguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe, Milano, 1857, pp.37-38