(06.05.15) C'è chi continua a sostenere che il formaggio è solo un alimento e che solo le strategie di quantità possono pagare (con un po' di cosmesi di marketing e meglio con tanto sostegno pubblico) non si rassegna ad essere smentito dal caso del bitto storico. E chi ha combattuto (e continua a combattere) l'utopia ribelle dello "storico" sta perdendo la faccia
Bitto storico: un gioiello in asta
di Michele Corti
Il bitto storico sta scrivendo un nuovo capitolo nella storia dell'alimentazione. A dirlo sono eventi come l'asta Bolaffi di settimana prossima in un tempio della moda milanese (a fianco del ben più importante tempio internazionale della musica: la Scala), un'asta che vedrà battute diciassette forme di bitto storico, alcune risalenti al 2000, una - la decana - al 1996
La sede della casa di mode Miroglio a fianco della Scala a Milano dove "sfileranno" le forme di bitto storico
Nessuna esagerazione in ciò. Contro ogni ragionevole previsione, contro la "ragionevolezza" dei succubi, dei ricattabili con una minaccia da nulla, non solo è sempre in campo, ma sta umiliando coloro che da tanti anni cercano di farlo sparire. Non lo sopportano perché presenza scandalosa per dei modelli di agroalimentari basati sul "mulino bianco", sul sostegno pubblico, sulle connessioni politico-finanziarie, sull'erosione parassitaria dei capitali di rinomanza e credibilità costruiti nei secoli dagli artigiani del cibo. Il bitto storico, però, non molla perché forte del sostegno, a volte palesemente espresso, a volte silenzioso, di chi vede nella sua esperienza un argine allo scivolamento progressivo verso la logica del cibo di plastica globale, né buono né pulito né giusto. Cui ci conducono gli opportunisti, gli speculatori, i pavidi.
Carlo Duca, giovane casaro che fa inorridire gli igienisti con il suo abbigliamento poco "ortodosso" è l'autore della maggior parte delle forme che andranno all'asta a Milano in Piazza della Scala il 13 maggio. Maestro indiscusso della lunga stagionatura. Questa immagine apre la sessione "gastronomica" del catalogo dell'asta
Protagonista delle aste del vino e della gastronomia
Mercoledì 13 maggio il bitto storico si prepara a vivere una delle sue grandi giornate. Un'asta come mai prima d'ora si era vista. Oggi sono ben diciassette le forme di "storico" all'asta. La maggior parte intere, qualcuna a metà, qualcuna a quarti. Le forme più antiche sono due del 2000 dell'Alpe Ancogno soliva (Mezzoldo, Bg) opera del mastro casaro Carlo Duca di Talamona (So). Pesano 17 kg l'una e la base d'asta è di 2.000 € l'una (118 € il kg). Vero è che lo "storico" non è nuovo alle aste. Ma i precedenti erano ben diversi. Il 19 dicembre 2011 (in vista del natale) a Parigi presso l'Hôtel Marcel Dassault negli Champes-Elysées era andata all'asta (casa d'aste Artcurial) una forma di bitto del 2004 per 1000 euro. I prodotti gastromici provenienti da diversi paesi erano stati selezionati dal giornalista enogastronomico Bruno Varjus.
Il secondo precedente è quello di Bra (nel contesto di Cheese) del 19 settembre 2011 (vai a vedere l'articolo di allora di ruralpini). Vennero battute tre forme, una del 1996, una del 1997 e una del 1998. La prima venne prodotta nell'estate del 1996 dal casaro Acquistapace Faustino all'alpe Trona Vaga. Un casaro eccezionale che ogg non c'è più. Quando ha saputo che la sua forma di dieci anni fa era la star di un grande evento di risonanza più che nazionale Faustino si commosse alle lacrime.
Complessivamente le tre forme furono battute per 6 mila euro. La più vecchia, quella del 1996, fu protagonista di una storia particolare. Se la aggiudicò Virginio Cattaneo, patron del ristorante hotel La Brace di Forcola (So) e socio dalla fondazione della società Valli del Bitto, la strana spa etica (ma cosa è ordinario nella storia del bitto storico?) che rappresenta il braccio commerciale dei ribelli del Bitto e che conta tra i soci il Consorzio per la salvaguardia del bitto storicoe i singoli produttori oltre a piccoli imprenditori, professionisti e sostenitori (coproduttori) che sostengono con il loro capitale (senza ricevere null'altro che il 2% di dividendo simbolico di bitto storico in natura). Gino si riportò la forma in Valtellina ed è rimasta nel "Santuario del bitto" (la casera di Gerola alta) sino ad oggi. Oggi essa è pronta per la nuova asta. Per entrare nella leggenda. Anche nel 2011 l'incasso fu devoluto per la campagna di Slow Food 1000 orti per l'Africa (che nel frattempo sono divenuti 10 mila).
Ma vediamo cosa dice lo stesso Guido Bolaffi dell'asta:
L’idea è stata quella di far “sfilare” grandi vini e prodotti gastronomici con le battaglie a colpi di rilanci “in vetrina” da Miroglio, a pochi metri dalla Scala, centro di cultura, in uno spazio tradizionalmente dedicato alla moda, altro grande orgoglio del made in Italy. Questa scelta è stata dettata dalla volontà di far vivere al pubblico che sarà con noi il giorno dell’asta un’esperienza nuova, divertente, un po’ mondana, ma soprattutto al cospetto delle grandi eccellenze che l’Italia e Milano hanno da offrire.
Qualcuno potrebbe storcere il naso: "Ma come, tanta retorica sulla dura vita dei pastori, sull'etica del prodotto alimentare e poi vi mescolate alla mondanità, esaltate un prodotto per pochi ricconi"? Sì, a prima vista può apparire stridente il contrasto tra il contesto dove il bitto nasce, sui pascoli alpini, tra forti sentori di erba, di latte, di sterco, del sudore di chi lavora onestamente alle atmosfere mondane delle signore profumate e ingioiellate. Innanzitutto va chiarito che il bitto storico è formaggio al vertice dell'eccellenza "da sempre", non è un'invenzione di marketing per solleticare i palati e i portafogli dei "sciuri". Circa 1200 anni fa il bitto a Milano arrivava già, e finiva sulla tavola dei potenti abati di Sant'Ambrogio che erano entrati in possesso di alpeggi nella valle del Bitto per l'unico e preciso motivo consistente nel poter disporre con garanzia di continuità del prezioso formaggio che veniva corrisposto loro quale "canome in natura". Era la rendita delle loro possessioni. Per secoli solo i ricchi hanno potuto permettersi vini pregiati e formaggi come il bitto. Ma oggi non è più così.
Al di là della facile demagogia non è difficile capire che chiunque, rinunciando a un po' di quantità (in Italia si consumano 27 kg a testa di formaggio contro i 7 dei primi anni Sessanta) può, se ritiene che ne valga la pena, acquistare del bitto storico. Non è formaggio "facile" da colmare un languorino, da mangiare tutti i giorni. È formaggio da meditazione. Ma il valore del bitto storico non è legato solo all'esperienza sensoriale. Ha commentato nella presentazione contenuta nel catalogo dell'asta Piero Sardo, esponenste storico di Slow Food, e grande e sincero amico del bitto storico:
L’occasione di avere a disposizione queste annate di Bitto e di Parmigiano, queste selezioni di Aceto Balsamico e San Daniele è irripetibile: assaggiarle sarà come fare un viaggio a ritroso nel tempo. Quanto sareste disposti a pagare per un viaggio nel tempo? Ecco la vostra occasione.
Chi si aggiudicherà le forme di bitto storico in asta contribuirà non solo alla campagna per gli orti in Africa ma anche a rafforzare l'immagine del bitto storico. Di per sé questo è un atto etico perché rafforza un simbolo di un modo buono, pulito e giusto di allevare gli animali, trattare il latte, gestire il pascolo, curare la montagna, mantenere un patrimonio millenario di saperi e valori che è di tutta l'umanità.