(22.08.15) Attraverso la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono riusciti a imporre per il proprio prodotto etico un prezzo che consente un equilibrio economico tale da compensare gli elevatissimi costi di una produzione che va contro ogni schema della società industriale e consumistica che si è imposta anche nella produzione agroalimentare
Bitto storico rivoluzionario
(le forme in dedica forzano la forma merce)
di Michele Corti
Una vera e propria rivoluzione accompagna la vicenda del bitto storico, punta avanzata in Italia di forme di community supported agriculture e di creatività commerciale contadina. I ribelli del bitto non sono incazzosi e puntigliosi difensori di una tradizione incartapecorita (come a qualcuno fa comodo far credere), ma un'avanguardia della resistenza sociale rurale e contadina che rappresenta una delle forme più avanzate del conflitto sociale contemporaneo. Aiutare il bitto storico acquistando una forma in dedica (o sottoscrivendo delle azioni della Società Valli del Bitto) è un modo per dire che un'altra società è possibile e per costruire dal basso nuove istituzioni. Per praticare una democrazia di sostanza e non solo procedurale e di apparenza.
La forza di una piccola produzione tradizionale (e perciò eversiva, che sfida le leggi del mercato e i poteri forti) sta nell'innovazione. Un paradosso? Affatto.
La prima innovazione in un mondo di plastica, di apparenza, di liquidità consiste nell'ancoraggio a valori solidi, a tradizioni che consentono di rifarsi alla forza e alla lezione dei tempi lunghi, a risorse di lungo periodo. Un modo per guardare a dove si viene per riuscire a puntare ad andare oltre una realtà schiacciata sul presente (e sul profitto massimo e immediato). Ma basta riproporre la tradizione? No, va interpretata nelle forme, contesti, opportunità del presente. La realtà storica offre anche in contesti apparentemente disperanti degli appigli, delle vie d'uscita, delle possibilità di alternativa.
È quello che fanno i "ribelli del bitto" raccogliendo la sfida di un mondo globalizzato e integralmente mercificato.
Non si chiudono (e non si sono mai chiusi in vent'anni di lotta) nella nostalgia, nel lamento, nell'autocompatimento consolatorio del "lassù gli ultimi". Sperando nell'elemosina. Hanno deciso di combattere la loro guerriglia con tenacia, accusati da tanti, che a parole ne condividono i valori, di essere un po' troppo incazzosi, con il pugnale tra i denti ecc.
In realtà, però, i ribelli combattono più spesso con le armi dell'ironia (Paolo Ciapparelli è sì il "guerriero del bitto", ma anche "l'anarchico ironico") e della fantasia. Quali che siano le armi a disposizione (il potere economico e politico non ne lascia molte a chi si ribella) essi combattono da vent'anni a questa parte e continuano a dare un fastidio enorme ai poteri forti.
Paradossalmente, per dei partigiani della tradizione, l'arma più efficace da essi usata è la creatività dell'innovazione. Unendo la "retroinnovazione" (la straordinaria novità del ritornare ad una produzione basata sull'erba e sui microrganismi "selvatici" del latte) a quelle innovazioni commerciali e sociali che offre l'era di internet e dei social networks. Ovvio che così si sono creati tantissimi nemici che non hanno mai smesso di cercare di distruggerli e di combatterli (anche dopo una "pace del bitto" più formale che sostanziale). Fastidio a chi vuole sciogliere nell'acido dell'omologazione industriale e consumistica quanto rimane di legato a forme preindustriali, artigianali nella produzione agroalimentare. Fastidio a quelle istituzioni (paravento di lobby locali e non) che continuano a far girare grossi flussi di denaro in vortici di clientelismo e sprechi grandi volumi di denaro pubblico estorto a un sistema produttivo indebolito dal parassitismo, dalle corporazioni, dalla sudditanza all'Europa. da un sistema che toglie ai poveri per dare ai ricchi (e non è semplificazione demagogica). Il Bitto storico, i ribelli del bitto sono una pietra di scandalo. Le istituzioni sprecano fiumi di denaro con la scusa di promuovere i territori e le produzioni (in realtà per oliare canali clientelari) i ribelli, invece, accedono a canali televisivi europei senza versare un euro (non a caso riprendiamo in questo articolo i fotogrammi del servizio mandato in onda a maggio dal principale canale televisivo germanico).
Come fanno a resistere i ribelli? Con l'arma del prezzo etico, del prezzo sorgente, di veronelliana memoria, che riconosce al primo produttore (che fornisce il formaggio fresco) una remunerazione nettamente più elevata del "mercato" ma indispensabile a compensare i maggiori costi di un prodotto "buono, pulito e giusto", di un prodotto che rispetta il pascolo, l'animale, la cultura ancestrale, la dignità di "maestri casari". Sappiamo che il mercato, invece, tiene artificialmente bassi i prezzi ma distruggendo volutamente valori ecologici e umani.
Non è finita. Per ottenere un prodotto straordinario (nel senso di non ordinario, di non piegato alle logiche di massificazione e di distruzione della qualità artigianale) serve che anche tutta la lunga fase di produzione nella cantina di stagionatura sia all'altezza. Niente celle frigorifere quindi, ma cantina naturale. Il raffreddamento e la regolazione dell'umidità si ottengono regolando le bocchette di areazione (naturale). Per ottenere un formaggio che stagiona degli anni è necessario sottoporlo a continue ed attente toelettature. Non usando una "cella" se l'umidità di alza troppo (vedi piovosissima estate 2014) le forme vanno continuamente pulite dalle muffe. Poi ci sono i costi (salati) dell'affitto dei locali, gli adempimenti fiscali, previdenziali, normativi che pesano come macigni sulle piccole aziende. Come si fa a restare in piedi? Comunicando al consumatore che questo prodotto è extra-ordinario e che merita prezzi extra-ordinari e - soprattutto - mantenendo un livello di qualità che si traduce in esperienze di consumo altamente gratificanti.
Non basta, però, mantenere un prezzo di vendita elevato, bisogna anche vendere in modi nuovi, sfruttando al massimo ciò che il Bitto storico rappresenta, valorizzando la sua identità. Ed ecco allora che unendo l'antico (la personalizzazione del prodotto e del rapporto con chi lo acquista) con il moderno (internet e i social networks) il Bitto storico si è inventato una nuova forma di vendita: l'acquisto anticipato (anche di anni) delle forme in dedica. Oggi sono centinaia di forme di Bitto storico in dedica. La crescita di questo canale è promettente. Vergate a mano con inchiostro di mirtillo per essere dedicate ad un'associazione, ad un matrimonio o ad un'altra ricorrenza famigliare, ad un ristorante, a un gruppo di amici. Ma vi sono anche dediche speciali non suscitate da un "committente" ma nate per impulso "interno", ovvero dediche "istituzionali" come quelle agli "Orti per l'Africa" messe all'incanto a favore del progetto Slow Food (e si badi bene che la gestione economica del Centro del bitto storico non produce alcun utile e che il raggiungimento del pareggio è stato un traguardo). Ci sono le forme dedicate ai "giusti del bitto storico" (nella rispettiva "galleria") personaggi come Veronelli e Francesco Arrigoni. Ciò a conferma dell'etica del bitto storico.
Il marketing oggi usa spesso il fascino della "personalizzazione". Dalla Ford modello T (venduta in un solo colore e senza alcun optional) si è passati, con la transizione postfordista (per l'appunto) e poi con la più generale postmodernità, a forme di apparente possibilità di scelta del consumatore. Ma quello che avviene con le forme in dedica del bitto storico è ben diverso dalla "personalizzazione" anonima del prodotto industriale (come quando scegli l'allestimento dell'auto su internet). Si tratta di qualcosa di profondamente diverso perché riguarda la relazione sociale sottesa allo scambio, c'è una vera e propria decostruzione della forma merce, quella forma che la modernità e il capitalismo ha generalizzato soppiantando tendenzialmente tutti rapporti umani precedentemente basati su relazioni che lasciavano ampio spazio (pur non mancando in alcune forme sociali elementi di sfruttamento) al dono, alla redistribuzione, alla reciprocità.
È una forma di scambio che ritorna ad essere una relazione personalizzata. Il prodotto non è staccato dal produttore artigianale (che resta visibile) e dal luogo dove il prodotto nasce (il pascolo) ed "evolve" e invecchia (il santuario del bitto). Gli artigiani che producono e curano il Bitto storico hanno un nome e un cognome e una faccia. Chi entra nel Santuario ottiene spiegazioni, dialoga con chi non è certo un "venditore" ma è partecipe del "movimento". Chi acquista le forme in dedica (spesso per donarle) entra in una relazione calda. Le forme vengono invecchiate nella Casèra di Gerola Alta a fronte di un modesto costo di mantenimento che copre le assidue cure. Esse possono essere costantemente controllate (in foto) sul sito internet del bitto storico o fatte oggetto di visita dal vivo nel Santuario del bitto storico. Raggiunta la stagionatura desiderata o in occasione di una ricorenza importante si ritira la propria forma in dedica per una…. buona degustazione che diventa un evento non di "consumo" ma di convivio.
Ma la rivoluzione del bitto storico non si ferma qui. Sono in cantiere nuove formule.
Per acquistare o regalare una forma personalizzata il Centro del Bitto Storico di Gerola Alta (meglio recandosi di persona).
Per tutto agosto il Centro del bitto storico è aperto tutti i giorni dalle 10 alle 19