(16.04.15) Un appello a Carlin Petrini per fermare l'operazione "campesinos ad Expo" che - stante la percezione diffusa che associa l'evento a multinazionali e malaffare rischia di diventare una deleteria operazione di social washing
Petrini non portare i campesinos a Expo
di Michele Corti
Expo è la fiera delle promesse mancate e degli orrori puntualmente verificatisi. Petrini farebbe bene a lasciare i campesinos a casa loro e a non compromettere il format di Terra Madre e la sua figura con l'Expo di Coca-Cola, McDonald e Farinetti (e del convitato di pietra: la Mafia)
L'Expo era nato male ma è diventato sempre peggio mano a mano che si avvicina la scadenza fatidica del 1 maggio. In tempi non sospetti quando ancora non erano ancora evidenti le mancate promesse dell'Expo, la serie di speculazioni e di scandali che molto hanno già dato da fare alla magistratura (e che ne procurerà ancora parecchio lavoro spenti i riflettori alla fine di ottobre), avevamo qualificato l'Expo come unoshow in bilico tra Club Med, New Age e Barilla Foundation (vai a vedere l'articolo di ruralpini del 28.12.2013).
Una visione tra National Geographic Magazine e Barilla Foundation (oggi, però, è molto peggio)
l'Expo della Lombardia, sin dall'inizio parlava di mare, di isole e di deserti nel cuore di una regione (non solo la Lombardia) fatta di montagne e di fiumi . Nessun accenno alle Terre Alte in una regione per metà montana, nessun accenno alle produzioni animali. In omaggio alle culture radical-vegan-chic (che allignano anche a destra) si parla di spezie e di cacao, di qualche più prosaica coltura vegetale ma di agricoltura animale nemmeno l'ombra. Va a dato atto a Slow Food, interessata pragmaticamente anche a “tirare la volata” a Cheese, di aver fatto rientrare il tema dedicando ai formaggi, in particolare a quelli lombardi, lo spazio principale del suo padiglione. Una delle poche occasioni visibili di collegamento territoriale.
In verità, per “contestualizzare” l'Expo avevano promesso, per far digerire la pillola dell'enorme malaffare che ruota intorno all'evento, di far tornare Milano una città d'acqua, riscoprendo i navigli o, quanto meno, qualche tratto di essi. In realtà non si è riusciti nemmeno a riportare l'acqua nella Conca dell'Incoronata mentre, dei canali che dovevano collegare il sito dell'Expo al sistema dei navigli non vi è più traccia. Forse, ma anche questa ipotesi è ormai in dubbio, l'acqua al sito di Expo arriverà con una condotta rubandola dal Lago Maggiore e dal Ticino, aggravando i problemi dell'inquinamento e sottraendo acqua l'agricoltura. Che il tema di Expo: “ Nutrire il pianeta” rappresenti solo una beffa crudele .
Expo affama il pianeta e nutre le multinazionali
Ma la beffa peggiore è legata alla cementificazione. Intanto del sito Expo ( 110 ha) passato da area agricola a zona D (edificabile) con una operazione che ne ha portato il valore da 10 a 163 euro al mq facendo intascare lauti profitti al Gruppo Cabassi e alla Fondazione Fiera (pubblica quindi controllata dai partiti). E pensare che nel concept iniziate l'Expo doveva essere fatta di orti e giardini... e che si prometteva di rendere Milano la città dei sogni con acque pulite che scorrevano e tanto tanto verde e piste ciclabili (quelle vere, non quelle di Pisapia che sono trappole per ciclisti).
Il completamento dell'operazione consisterà nel rifilare l'area (che nessun privato ha voluto) all'Università di Milano che, per compiacere ai “Signori dell'Expo”, vedrà – a fronte dell'impegno colossale – bloccati tutti i suoi investimenti per lunghi anni.
Il peggio è avvenuto con le autostrade. 1000 ha di terreno agricolo perso, parchi (di Pulcinella) tagliati a fette senza colpo ferire con mostri da cinque corsie con il risultato che chi ha intascato ha intascato e che i collegamenti previsti sono in ritardo o sono stati cancellati. Data la situazione della mancanza di collegamenti (compensati da navette e soluzioni tampone) sono previsti giganteschi imbottigliamenti. In tutto questo su un piatto della bilancia c'è da mettere costi lievitati (come denunciato da Cantone), orrenda cementificazione e … problemi giganteschi di accesso a Expo. Complimenti.
La fiera dei ciarlatani
MaExpo è la fiera dei ritardi, degli imbroglioni e dei ciarlatani. Ritardi non dovuti solo a incapacità ma alle guerre tra cosche politiche e alla furbizia di chi ha retto le danze dei finanziamenti. Non decidendo sino all'ultimo si sono potute assegnare le risorse con procedure tali da consentire che arraffassero solo gli amici degli amici.
Quanto ai lavori sul sito e alle infrastruttura non solo non si completeranno in tempo (alcune saranno pronte dopo un mese o due o … mai e saranno celate ai visitatori paganti il biglietto da abili camouflage) ma non ci saranno collaudi (solo autocertificazioni), non solo non ci saranno i canali, i corridoi ecologici ma nemmeno le “Opere pubbliche”, le tante grandiose promesse che avrebbero dovuto far sognare i milanesi (molto scettici sin dall'inizio per la verità).
Qualcuno si era illuso di un rinascimento milanese fatto di ecologia, buon cibo, cultura, salute. Sull'area dell'ex stazione ferroviaria di Porta Vittoria (di fronte all'ex verziere ora Parco Marinai d'Italia) doveva sorgere la Biblioteca europea, un sogno, Milano capitale europea dei libri e della cultura. Risultato: i metri cubi di residenziale li hanno realizzati, la Biblioteca si è persa nelle nebbie (che non ci sono più ma tant'è..). E della Città del gusto e della salute”? Si sono perse le tracce. Della “Città biomedica”? Anche. Idem per la città dello Sport e quella della Giustizia.
Chissà cosa ne pensano al Bureau International del Expositions e a Smirne, volgarmente imbrogliati facendo balenare fantasmagorici progetti di archistars?
La mazzata finale
Per chi ha a cuore il cibo (buono, pulito e giusto) la mazzata finale è arrivata con la decisione di ammettere come sponsor ufficiali McDonald e Coca-Cola (senza dimenticare che nei padiglioni ci sarà ampia presenza delle peggiori multinazionali degli Ogm e dei pesticidi). La cifra dell'Expo a questo punto è chiarissima e Carlin Petrini si è beccato con Oscar Natale Farinetti che ha commentato “Quelli di McDonald's li ho incontrati, e abbiamo parlato di prodotto sano e pulito. Intanto danno lavoro a tante persone”. Anche le fabbriche di armi, anche l'industria della droga danno lavoro a molte persone.
Intanto
Farinetti si è portato a casa da bravo pescecane l'affaire dei 20
ristoranti regionali. La cucina italiana sarà monopolio di Farinetti
che si è aggiudicato il contratto senza gara d'appalto. Cantone ha
chiesto chiarimenti ma un proforma. Oltre a garantirsi il 95% degli
utili Farinetti utilizzerà la piattaforma Expo per promozionare il
suo più grande business: quel FICO (“la Disneyland del cibo”)
un'operazione molto più ambiziosa che sta decollando
alle porte di Bologna nell'ambito del CAAB, il Centro agro-alimentare, una
società a prevalente partecipazione pubblica (Comune, CCIAA,
Regione, Provincia) per quanto partecipata da Istituti di credito,
Organizzazioni di categoria e operatori (ma a Bologna, si sa che –
pubblico o privato – tutto ruota nella sfera di quello che lì
chiamano ancora “il Partito”). Su spazi (prevalentemente)
pubblici, grazie a investimenti privati (capitali asiatici), sorgerà la creatura più
ambiziosa della megalomania di Farinetti, che – almeno nelle
intenzioni dell'esponente del capitalismo renziano – dovrebbe
proiettare la catena Eataly verso un ruolo primario nel retail
italiano (dove è già largamente egemone se si considera il complesso
Eataly-Coop). FICO è il nome ufficiale del progetto e l'acronimo
(versione italiana e involgarita dell'onnipresente anglismo “smart”)
e sta per Fabbrica
italiana contadina (sic).
Social
washing e rural washing
Eataly (di cui Slow Food è consulente) e, a maggior ragione FICO, fanno parte di quei fenomeni che, sotto l’etichetta del local food, del cibo tipico, presunto artigianale, delle tradizioni “contadine” reintroducono dalla finestra forme di ‘feticismo della merce’, di reificazione, (ri)commodificazione ovvero in definitiva l’assorbimento del cibo locale in un ruolo di nicchia del mercato – governato dalle stesse logiche di profitto - del cibo di massa, del divertimento e della cultura. Peggio ancora rappresentano forme di “esproprio della tipicità”, operazione di marketing cosmetico, di rural washing che danneggiano pesantemente i produttori rurali e le loro comunità.
Un grave rischio di rural washing si sta correndo anche all'Expo. Ancora poche settimane fa Carlin Petrini (ma non c'era ancora stato il battibecco con Farinetti parlava di portare a Milano “migliaia di campesinos” per Terra Madre giovani da tenere ai primi di ottobre.
Intanto a Milano si terrà tra il 23 e il 31 maggio la Worl Fair Trade Week. Anche in questo caso si parla di “centinaia di campesinos”. Pisapia e la sua giunta corresponsabili di Expo (sarà celebrata la frase del sindaco: “il sito sarà comunque fruibile dall'inizio”) hanno tentato una captatio benevolentiae dei tanti critici di Expo comunicando che accoglieranno questi contadini a casa loro. Lascia a dir poco perplessi che la stessa Slow Food per salutare questo evento usi frasi roboanti quali “Un rinascimento contadino globale per nutrire il pianeta”. Ma è giustificata tanta enfasi per eventi che rischiano di essere usati principalmente nel disperato tentativo di controbilanciare l'Expo delle multinazionali? Di fronte al precipitare della situazione e al dibattito interno a Slow Food (la partecipazione all'Expo ha creato mal di pancia anche all'interno) vale la pena mantenere l'iniziativa con “migliaia di campesinos nell'Expo? Non è che invece che per raddrizzare un po' il bastimento inclinato, che carica acqua da ogni parte, di Expo si va a delegittimare formule come Terra Madre?
Se l'evento scompare non se ne accorge nessuno visto che Expo è la fiera del “Chi l'ha visto”. Se, invece, in un Expo disastroso all'insegna di Coca Cola, McDonald, Barilla e global food system che la fa da padrone (ci sarà anche ampio spazio per le agroenergie che rubano terra al cibo) qualcuno cercherà di usare Slow Food e Terra Madre per mascherare i propri orrori le conseguenze sulla credibilità di tutto un movimento cresciuto intorno ad una diversa politica del cibo saranno pesanti.