(09.01.15) Complice anche la sospensione della manifestazione della capra Orobica a Branzi, nella vicina val Brembana, la Fiera di Ardesio si conferma un evento di carattere regionale che potrebbe anche diventare l'evento principale sul tema dle capre di tutto l'arco alpino. Le odiose provocazioni di un gruppetto di facinorosi animalisti non hanno scalfito il clima di festa
Ad Ardesio la Fiera delle capre
continua a crescere
di Michele Corti
Le provocazioni di alcuni corvacci animalisti, che - inpiegabilmente lasciati liberi di agire dalle forze dell'ordine - hanno provocato e insultato allevatori e famiglie presenti alla fiera non sono riuscite a rovinare una splendida giornata di festa
La Fiera delle capre (e dell'asinello) attira sempre più l'interesse degli appassionati e degli allevatori (per professione e per passione) ma anche di giovani e famiglie, provenienti anche dalla pianura e dalle città. Un insieme variegato di frequentatori e di protagonisti uniti dalla riscoperta dei valori della ruralità, della montagna viva, di un rapporto con gli animali come compagni di lavoro e di vita e non come cose. Si tocca con mano come tutta Ardesio (cosa che non succede sempre quando si organizzano questi eventi) è coinvolta nell'evento mettendo a disposizione il suo bellissimo nucleo storico. Un riconoscimento che va a tutta la comunità e, soprattutto, alla Pro Loco che schiera un bel gruppo di giovani organizzatori appassionati e capaci. La fredda mattinata è stata poi allietata da un sole splendente. Unica nota stonata i lugubri e squallidi personaggi (una quindicina) che in nome di un falso animalismo (che non dissimula la sua vera motivazione: l'odio per la specie umana e per i valori della famiglia, della tradizione) ha inscenato una odiosa provocazione che le forze dell'ordine hanno interrotto solo a seguito della sdegnata reazione dei partecipanti alla fiera.
La gara delle capre
Il concorso delle capre ha visto la partecipazione di diverse razze autoctone alpine. La capra Orobica, però, non poteva non essere quella più presente considerato che è la "padrona di casa". In concorso, però anche Bionde dell'Adamello, Frise valtellinesi, Vallesane. Purtroppo le Orobiche premiate, come da tempo lamentano gli allevatori (anche qualcuno presente nel ring) non sono più le "capre di una volta". Quella che era la caratteristica che distingueva l'Orobica dalle altre popolazioni alpine autoctone era una statura tendenzialmente non elevata ma un ottimo sviluppo delle misure "trasversali" (larghezza del torace e del bacino). Chi scrive parla a ragion veduta avendo partecipato insieme al compianto Prof. Gallati Scotti alla prima campagna di rilevamento biometrico della razza quasi trent'anni fa. "Con i becchi è un disastro" mi confida un allevatore "di punta" dell'Orobica e alla mia domanda "La colpa è anche delle mostre?" risponde con decisione di si.
Il modello della "bella capra" apprezzato dai tecnici - che non sanno riflettere a sufficienza a differenza sul fatto che è stato elaborato per la Saanen e la Camosciata delle Alpi e la Nubian - quando applicato alle nostre razze autoctone porta inevitabilmente a premiare animali troppo "fini". Sarebbe ora di cambiare pagina. Ma siccome i pregiudizi tecnici sono duri a morire è meglio puntare su una "rivoluzione dal basso". Valorizzando i prodotti di capra Orobica ottenuti nel contesto di un sistema estensivo (l'unico idoneo per l'Orobica). La ricerca dell'attitudine al pascolamento congiunta ad una ragionevole attitudine lattifera possono riportare l'Orobica in careggiata. E' quanto si prefigge la neonata associazione tra produttori di latte e formaggi di Orobica.
Non solo Orobica
Ma Ardesio non significa solo Orobica. Sono già presenti diverse altre razze e ancora di più potrebbero essere presenti il prossimo anno. Quest'anno è arrivata una delegazione dal Trentino di allevatori della Pletzet Goes Van der Bersntol (capra pezzata della Valle del Fersina) (sotto nella foto) che hanno invitato quelli di Ardesio alla mostra della loro capra il 31 maggio e che l'anno prossimo porteranno le loro capre ad Ardesio. Probabile l'allargamento ad altre realtà lombarde e piemontesi e quindi al crescita della Fiera delle capre dell'alta val Seriana a punto di riferimento degli allevatori dal Trentino al Piemonte. Sarebbe bello vedere capre Valdostane, Sempione, Fiurinà dal Piemonte e dalla Valle d'Aosta ma anche le Verzaschesi da Como e Varese.
Non solo capre
Ma Ardesio non significa solo capre. Non si può non citare l'interesse per gli asinelli. Animale simbolo di un'agricoltura "slow" non industrializzata l'asino sta vivendo da qualche anni un meritato revival dopo anni di declino. Lo testimonia la nascita, proprio in questi giorni, di una rivista dedicata interamente al simpatico quadrupede.
Protagonisti di attività didattiche e di onoterapia gli asini stanno tornando ad essere anche utili per i trasporti e i lavori agricoli, specie in montagna. Non dimentichiamo, però, che l'asino non ha mai cessato il suo ruolo di compagno dei pastori, indispensabile per il trasporto agnelli. Sotto un turista posa con un asinello molto mansueto che fa dimostrazione del suo lavoro, bardato con la speciale attrezzatura per riporre gli agnelli di pochi giorni di vita non in grado di camminare con il gregge.
La presenza degli asinelli attira, come dimostrano queste fotografie, l'attenzione e l'interesse di grandi e piccini. Peccato che qualcuno che non riesce a capire il significato di questa festa abbia cercato di rovinarla.
Non solo animali
La Fiera di Ardesio è dedicata a due animali: la capra e l'asino che rappersentano il simbolo della ruralità, dell'agricoltura contadina. Non a caso disprezzati da una certa cultura che nei secoli (ma ancora oggi) cerca di avvalorare la superiorità della città sui "villici" per poterli dominare e sfruttare. Asini e capre erano (ma sono ancora oggi in tutto il mondo) animali utilissimi nell'ambito dell'agricoltura di sussistenza, quella che assicura dignità e indipendenza alle famiglie e alle comunità rurali. La guerra alle capre, condotta per secoli anche nelle valli bergamasche, tendeva a togliere di mezzo un animale utilissimo, a costringere le comunità rurali ad uscire dall'autosufficienza per farle entrare nel mercato, per farle diventare esercito industriale a basso costo. In questa guerra i tecnici e gli intellettuali (asserviti ai potenti come tutt'oggi) hanno elaborato argomenti pseudoscientifici e stereotipi culturali per sostenere una politica anticontadina e antimontanara. Oggi il confronto tra agricoltura contadina e multinazionali (che controllano cibo e mezzi di produzione agricola) ha assunto scala globale ma i termini del conflitto per certi versi ricalcano quelli di secoli fa. In questo contesto chi sostiene la necessità da parte della montagna di ritornare ad una forma di multifunzionalità e di pluriattività pensa, giustamente, che la montagna debba venire ancora coltivata. Non solo con le frutticoltura e la viticoltura specializzate (che utilizzano un fiume di pesticidi) ma anche con la pataticoltura, la ceralicoltura, l'orticoltura (fagioli, cavolfiori ecc.). Ad Ardesio nel contesto della Fiera delle capre si è parlato anche di cereali. Lo ha fatto l'amico Andrea Messa che con un intervento al convegno di sabato sera all'auditorium e con uno stand alla fiera la domenica ha caldamente promosso il progetto di ritorno alla coltivazione dei cereali (e del grano saraceno) nell'asta del Serio e su tutti i terreni non cementificati o abbandonati alla crescita dei boschi dei versanti che un tempo erano arati e seminati.
In fiera Andrea ha raccolto non poche nuove adesioni ("siamo a sessanta pertiche") di aspiranti coltivatori e proprietari di terreni. Grazie alla sua capacità di esporre i contenuti del progetto con entusiasmo ma anche argomenti convincenti. Molti ragazzi hanno imparato ha conoscere che il grano saraceno non è una graminacea, a riconoscere un coreggiato, a distinguere la face fienaia da quella messoria. Un'attività didattica efficace.
Un paese coinvolto
La Fiera di Ardesio oltre alla gara delle capre, agli stand di formaggi di capra (diversi a km zero a testimonianza della forte diffusione che l'allevamento caprino sta conoscendo anche in val Seriana), agli stand di accessori per l'attività pastorale (abbigliamento da pastore, campanacci ecc.) ha visto l'organizzazione di intrattenimenti musicali e di vario genere. Molto pertinenti le performance del cantastorie calabrese Biagio Accardi che gira i paesi del Parco del Pollino accompagnato da un asinello ("lo alleva mio papà) e lavora sul recupero di tradizioni musicali della sua terra. Ma vanno citate anche la dimostrazione di falconeria (presso il campo sportivo dell'oratorio) e le degustazioni di formaggi caprini presso l'albergo "Giorgio". Molti altri esercizi pubblici si sono messi in sintonia con levento proponendo menù a tema e vaie iniziative (sotto il menù dell'Albergo-Ristorante Bigoni che, encomiabilmente, propone l'agnello bergamasco).
Ignobile provocazione
Al pomeriggio la Fiera è stata sporcata dalla presenza di una quindicina di tristi figuri vestiti di nero del Fronte animalista che contestavano la manifestazione perché "gli animali vengono usati come merce di scambio dai pastori o per far divertire famiglie di ignoranti". Gente, loro si, ignorante, cresciuta come polli da batteria nelle città in mezzo alla bambagia che non sa nulla della vita contadina e del rapporto tra pastori e allevatori con i loro animali, che odia l'umanità con il pretesto di amare gli animali. "Nel 2015 nelle vallate alpine si può benissimo vivere di turismo, agricoltura ed artigianato. Allevare e poi uccidere degli esseri viventi per ricavarne carne, latte, formaggio o vestiario (lana e pelli varie) non è necessario, quindi diventa un crimine che noi combatteremo fino in fondo". In un mondo dove gente vestita di nero (come loro) sgozza un essere umano con molta più noncuranza con la quale vengono macellati gli animali, in cui - come ha denunciato anche il papa nel suo recente discorso sull'agricoltura - si avvelena consapevolmente la terra, l'aria, l'acqua - in cui i poteri forti pianificano la scarsità di acqua pura, di terra ancora fertile per dominare il mondo, i corvacci animalisti se la prendono con brava gente che alleva i propri animali con grande rispetto e affetto (quante volte si sente dire: "mia moglie mi rimprovera che voglio più bene alle capre che a lei").
Questi animalisti sono gente coccolata dai poteri forti, dai media, dalla destra e dalla sinistra che in questi ultimi a anni hanno fatto a gara a lisciare il pelo all'animalismo. Salvo poi, come in Trentino, pentirsene amaramente. Questa gentaglia se la prende con gli allevatori di montagna, i pastori perché sono "pesci piccoli". Non se la prende con i grandi interessi che, sotto sotto, li sponsorizzano. Lo fanno in tanti modi. L'animalismo aggressivo è anche figlio della melassa ambiental-naturalistica televisiva, del perdurante disprezzo per la cultura rurale. E' anche figlio di quella malintesa politica "naturalistica" dei parchi. Compreso quello delle Orobie bergamasche che ha elevato l'orso a totem, finanziando il lavaggio del cervello dei ragazzini delle scuole inculcando che biodiversità significa orso e lupo, che questi sono animali magnifici e fieri. Asini e capre, umili e puzzolenti, possono diventare bocconi da self service dei predatori, tanto per i pastori ignoranti - umanità di serie B che è capace solo di pensare al soldo - coi sono gli indennizzi. Ci riflettano certi amministratori che pensano che nel 2015 si ancora possibile fare i furbi, lisciare il pelo agli ambiental-animalisti e spendere un po' di retorica a buon mercato per i montanari che li votano.
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