(14.04.15) La società della tarda modernità e del turbocapitalismo,(oggi biocapitalismo senza limiti etici), sta ponendo a capo delle generazioni future un fardello di disastri sociale e ecologici. Il cibo a basso costo, merce globale che scaccia il cibo buono è alla base di un modello tossico di "sviluppo"
Pesticidi: una questione politica e morale
che impone una svolta etica e ideologica
di Michele Corti
Oggi più che mai diventa necessario affermare che l'uso di pesticidi di acclarata pericolosità rappresenta un comportamento immorale, un danno inferto consapevolmente al prossimo e a tutti gli esseri viventi. Quanto al consumatore è necessario che inizi a svegliarsi dall'ipnosi indotta dalla comunicazione commerciale e dalle interessate rassicurazioni di un sistema (burocrazia, accademia, organizzazioni corporative agricole) largamente asservito agli interessi dell'agroindustria e delle multinazionali. Le insufficienze del mondo cattolico e ambiental-animalista rispetto alle minacce del biocapitalismo per l'uomo, la società i sistemi viventi
Nel corso degli ultimi quindici giorni si sono susseguite una serie impressionante di notizie che dovrebbero scuotere chiunque abbia a cuore la salute, la qualità degli ecosistemi, l'agricoltura, l'ambiente, il destino stesso dell'uomo e la salvaguardia del creato. L'agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione (IARC) ha classificato il Glifosate, il pesticida più diffuso al mondo quale "probabile cancerogeno". Francia, Olanda e altri paesi hanno subito annunciato che esso verrà messo al bando. In Italia, invece, non solo non si sono avuti annunci in tal senso, ma la Coldiretti di Brescia, la provincia della "terra dei buchi", dell'inceneritore mostro della A2A, del Pcb, dell'acqua contaminata con Glifosate oltre i limiti di legge ha commentato che: " noi continueremo ad usarlo finché il ministero lo autorizzerà". Un esempio eclatante di sollecitudine nei confronti del prossimo e del creato, un esempio di ipocrisia burocratica che si fa beffe del principio di precauzione. Eppure la Coldiretti vanta di essere un'organizzazione cattolica, con tanto di assistenti spirituali.
Frutta e verdura con residui di pesticidi sono cause di infertilità maschile
Unostudio apparso sul numero del 30 marzo della rivista Human fertility (vai all'articolo) dimostra per la prima volta in modo diretto qualcosa di temuto ma non provato attraverso studi scientifici condotti seguendorigidi protocolli. Se in passato diverse indagini epidemiologiche avevano provato come nelle categorie esposte ai pesticidi ( lavoratori agricoli e residenti in aree a coltivazioni intensive) si osservi una riduzione della fertilità maschile, questa nuova ricerca dimostra che a rischio di è anche l'ignaro consumatore di prodotti ortofrutticoli. È triste constatare che frutta e verdura, consigliate caldamente quali fattori protettivi in ragione del contenuto vitaminico e di antiossidanti, possono rappresentare un rischio per la salute. Chi consuma prodotti ortofrutticoli con elevati residui di pesticidi presenta un peggioramento della qualità e della quantità di spermatozoi.
Malattie cardiovascolari in donne giovani
Uno studio dell'università di Porto pubblicato sul Journal del Endocrine Society of Clinical Endocrinology & Metabolism ha messo in evidenza come l'esposizione a pesticidi organoclorurati a causa del noto effetto di interferenza endocrina possa mettere a rischio anche l'apparato cardiovascolare di donne in premenopausa a causa dell'indebolimento di difese naturali
Tumori e intersessualità nei pesci dell'Atlantico (anche a 1600 m di
profondità)
I fondali marini sono un collettore dei veleni prodotti dalla società tardoindustrale, e dalla sua ancella: l'agricoltura industrializzata. Veleni meno massivi di quelli della fase industriale precoce ma più subdoli e pervasivi che sono diventati ubiquitari nell'ambiente. Tutte le matrici ambientali sono contaminate e con loro le catene alimentari: non c'è essere vivente che non sia esente dall'esposizione ai veleni, li accumuli e li "passi" ad altri, uomo compreso, ovviamente, inquinato non solo attraverso i prodotti agricoli irrorati con pesticidi ma anche quelli della caccia, della raccolta e della pesca. E parlando di pesca non può non destare preoccupazione una riverca pubblicata questo mese online del prossimo mumero di maggio di Marine Environmental Research una rivista scientifica del settore. (S.W. Feist , G.D. Stentiford, M.L. Kent, A. Ribeiro Santos, P. Lorance. Histopathological assessment of liver and gonad pathology in continental slope fish from the northeast Atlantic Ocean, May, 2015, pp 42-50).
Lo studio, condotto da ricercatori Research, della Oregon State University, del Centre for Environment, Fisheries and Aquaculture Science del regn Unito e da altre agenzie, sponsorizzato dall'Unione Europea, mette in evidenza come l'ittiofauna del Golfo di Biscaglia (al largo delle coste francesi), un'area di grande importanza per la pesca) un quadro patologico chiaramente legato all'esposizione di composti tossici e cancerogeni con alterazioni a livello del fegato e degli organi sessuali, spesso associate anche a intersessualità e, segnatamente a femminilizzazione dei pesci maschi (secondo il ben noto modello di mimesi degli estrogeni e quindi dell'attività androgeno antagonista degli interferenti endocrini).
La longevità dei pesci che vivono in profondità, supera spesso i 100 anni, in relazione al metabolismo rallentato delle condizioni ambientali e determina quindi un bioaccumulo di tossici prodotti dall'attività umana nei loro tessuti. L'accumulo (e le alterazioni) non interessano molto - per nostra fortuna - i tessuti muscolari di cui ci alimentiamo in quanto consumatori di pesce ma queste osservazioni dovrebbero preoccuparci comunque parecchio in quanto, come umani, siamo una specie longeva.
Preparato istologico che mostra nel tessuto del testicolo di un pesce un ovocita
Verso la sterilizzazione ed emasculazione di massa come premessa del controllo biocapitalistico della riproduzione umana
L'uomo è vittima dell'azione degli interferenti endocrini come i pesci e gli anfibi.
La comunità scientifica è perfettamente consapevole del deterioramento della fertilità umana (causato non solo dagli interferenti endocrini ma anche da altri fattori concomitanti). Gli allarmi che essa lancia, però, sono molto deboli. I motivi sono facili da intuire: la ricerca agronomica è condizionata direttamente o indirettamente dagli interessi delle multinazionali mentre nell'abito delle tecnologie della riproduzione e della manipolazione genetica scienza e capitale hanno trovato un fertile terreno comune e una simbiosi perfetta.
La tendenza al controllo e alla manipolazione del vivente (essere umano compreso) è un aspetto fondativo del biocapitalismo che si espande trasformando in merce organi, tessuti, cellule, patrimonio genetico, attraverso l'ibridazione tra natura e artefatti della tecnica, attraverso il porgressivo svuotamento di tutte quelle sfere sociali e biologiche non ancora entrate nella sfera del mercato.
Il controllo della riproduzione umana consente al biocapitalismo di eliminare un residuo ambito ancora sottratto al mercato e lasciato al "capriccio" dei sudditi dell'impero. Che il perseguimento di una sterilizzazione ed emasculazione di massa strisciante rappresenti una strategia consapevole del biocapitalismo lo dimostra il fatto che essa è portata avanti su due fronti: quello chimico e quello dell'influenza sulla cultura e il costume con l'ideologia gender e la propaganda omosessuale (sino ad arrivare a misure legislative lesive della libertà di pensiero e religiosa).
Risposte deboli
La strategia biocapitalistica punta abbastanza scopertamente a ledere le capacità omeostatiche e autoriproduttive dei sistemi viventi e sociali per sostituire alla "imperfetta" natura, concepita per chi crede, dal disegno provvidenziale divino, con una seconda natura "tecnologica" e alla società come l'abbiamo sin qui conosciuta una forma di tecnocrazia totalizzante.
Le denunce di questi pericoli non mancano ma sono quasi sempre parziali, e invece di favorire una opposizione coerente ed unita frantumano il fronte in segmenti l'un contro l'altro armati.
La componente ambiental-animalista tende a sostituire all'antropocentrismo rigido della visione tradizionale religiosa un biocentrismo altrettanto rigido e unilaterale che condanna la specie umana in quanto "nociva", senza distinguere tra sfruttati e sfruttatori, tra avvelenatori e avvelenati, tra i ceo delle multinazionali e un pastore africano. Una versione appena aggiornata del vecchio interclassismo che, dietro superficiali appelli radical-progressisti, nasconde un segno sociale regressivo. La componente cattolica "tradizionalista" si appella invece alla difesa della morale tradizionale, della famiglia, della vita nascente. Ma il bersaglio è la "cultura laicista", il radicalismo. Non vi è il coraggio di denunciare l'aggressione all'integrità dell'embrione e del feto, minacciati sin nel loro patrimonio genetico dalle sostanze chimiche (prodotti delle combustioni, residui di pesticidi, plasticizzanti).
Quale crimine peggiore che condannare al cancro i bambini che nasceranno dai discendenti di quello che è un feto aggredito attraverso la placenta da un bombardamento chimico? Forse è perché la conta dei morti, delle sofferenze, delle infermità è necessariamente frutto di stime che il delitto è meno grave. Si uccide il prossimo anche senza sbudellarlo e far scorrere il sangue. Si può uccide in modo invisibile. Il biocapitalismo, le multinazionali dei veleni, le ecomafie uccidono in modo invisibile.
La tragica unilateralità e l'impotenza delle critiche al sistema
Il mondo cattolico non solo non è sensibile al genocidio strisciante operato in nome del dio profitto ma è condizionato da una visione che vede ancora moralisticamente il male del capitalismo in una "degenerazione", in eccessi di egoismo, che avverte ancora - come del resto anche la "sinistra" - la "questione sociale" in termini largamente redistributivi. Come se morte, malattia, sofferenza non fossero da computare in un bilancio sociale in un bilancio di sfruttamento.
Il modello di "sviluppo" capitalistico e il consumismo sono ancora considerati l'esito positivo di quell'esortazione biblica a "dominare" la terra, a manipolarla, a farla fruttare una versione "santificata", solo leggermente temperata, di quell'ubris tecnologica che induce a individuare nel cristianesimo (non solo weberianamente nel protestantesimo, ma anche nel cattolicesimo) la molla dello "spirito capitalistico".
Sull'altro fronte la miopia è ancora più accentuata. L'ideologia animal-ambientalista si colloca in un solco di radicalismo borghese che si rifiuta di vedere nell'aggressione ecologica anche un aggressione alle comunità non ancora inglobate nel mercato globale. Ecco allora che ogni pretesto è buono per avallare il green washing capitalistico e per attaccare la resistenza sociale di contadini e pastori (africani ma anche europei) che si oppongono alla "parchizzazione" del territorio, che reclamano la possibilità di difendersi dai grandi predatori.
In forza di un altro equivoco ideologico (altrettanto anacronistico delle radici della timidezza cattolica nel denunciare i crimini ecologici e sociali del biocapitalismo), l'ambiental-animalismo e la "sinistra" in generale si allineano anche in altro modo alle posizioni borghesi "progressiste" favorendo, sul terreno della morale e dei "diritti", la completa disgregazione sociale. Essi fingono di non capire che l'attacco alla famiglia, alla morale tradizionale, ai vincoli comunitari è per il biocapitalismo una premessa per esercitare un controllo totalizzante sulle vite, che l'individuo isolato, apparentemente libero, forte del "diritto" senza limiti alla ricerca del proprio piacere e della utilità, è in realtà totalmente nudo e impotente rispetto agli apparati del potere.
In un panorama di critiche inefficaci perché ipocrite e a senso unico, espressione dell'inadeguatezza a capire la natura di un biocapitalismo che, fintanto che non saranno superate le vecchie posizioni ideologiche, non può che consolidare il proprio dominio.