(30.06.15) Proseguiamo la riflessione sul biocapitalismo e le ideologie ambientaliste allargando la riflessione all'animalismo che in modo più esplicito e violento nega il valore della vita umana. Esso si presenta come un perfetto strumento per legittimare i paradigmi del nuovo biocapitalismo in cui l'uomo diventa una merce da fabbricare e la vita umana può essere rliminata senza particolari scrupoli (come e peggio che nei Gulag e nei Lager)
Animalismo, biocapitalismo,
ecototalitarismo
di Michele Corti
L'ideologia animalista radicale rappresenta solo uno dei volti del nuovo ecototalitarismo, un volto utile a supportare ideologicamente il biocapitalismo trionfante che vuole trasformare i processi della vita in processi di produzione di merci a mezzo di merci. Distruggendo quelli che non riuscirà a trasformare.
Quello che ci minaccia oggi con la messa in opera della politica dell'austerità, è che rappresenta l'anticamera di quello che io chiamo "ecofascismo", "ecocrazia" o "ecototalitarismo" [...]
Serge Latouche in: A.Jappe e S.Latouche Uscire dall'economia, p. 94
Mimesis, Milano, 2014
L’animalismo è solo una delle componenti dell’eclisse di quella civiltà cristiana che ha introdotto un rispetto per la vita umana che davamo per acquisito per sempre e che ora è apertamente messo in discussione. Nell’ambito dalla crociata animalista a favore degli orsi del Trentino non solo le persone vittime di aggressioni da parte degli orsi sono state insultate e minacciate ma è emerso chiaramente il disprezzo per la vita umana da parte degli "amici degli orsi" che non verserebbero una lacrima di fronte a persone vittime di incidenti mortali con i plantigradi e che, anzi, ne trarrebbero motivo di soddisfazione in quanto "lezione" all'uomo che deve imparare a restare fuori dai boschi proprietà esclusiva degli orsi.
Dal quadro valoriale animalista siano stati eliminati quei punti fermi sul valore per sé della vita umana che il cristianesimo era riuscito ad affermare duemila anni fa. Ci siamo dimenticati che prima del cristianesimo le cose stavano in modo molto diverso, che la vita dello schiavo era alla mercé del padrone, che anche la vita della donna e dei figli non emancipati aveva un valore ridotto. Da questo punto di vista la nostalgia del paganesimo è fuorviante.
La svolta può essere collocata simbolicamente con il 387 quando l’imperatore Teodosio, che aveva ordinato un terribile eccidio della popolazione ribelle di Antiochia, fu costretto a pubblica penitenza da Sant’Ambrogio. Nell’ambito dello stesso occidente cristianizzato ci sono stati ancora grandi orrori, ma gli orrori delle stesse «eresie totalitarie» del XX secolo, che hanno perseguito sistematicamente e industrialmente l’annientamento dell’uomo, presupponevano un preliminare procedimento ideologico di disumanizzazione.
L’uomo o la categoria umana da distruggere (il «nemico del popolo», il «kulako», l’«ebreo») venivano spogliati della loro umanità, assimilati ad animali.
Nel XXI secolo è la vita dell’uomo in quanto tale, in quanto «specie nociva» e «eccessivamente proliferata» che non è più ritenuta degna di rispetto per sé, di un rispetto che il cristianesimo è riuscito, almeno in parte, ad affermare quale sacrale. L’animalismo, da questo punto di vista, proclamando il transpecismo, annullando la differenza tra animale e uomo, contribuisce a livello di diffusione di massa di nuovi orientamenti di valore che spianano la strada alle peggiori distopie neomalthusiane ecototalitarie (anche più temibili dell’animalismo).
Sia che si voglia ridurre drasticamente la popolazione umana per lasciare spazio alla wilderness (gli animalisti) o per consentire all’umanità «ridimensionata» di continuare nella politica di iperconsumo e di esaurimento delle risorse terrestri (i tecnocrati come l’Aspo – Association for the Study of Peak Oil & Gas) siamo in presenza di un ribaltamento etico che pone il valore della vita umana dopo altre priorità . Anche le «ricette» sono le stesse: si chiamano eugenetica. Come abbiamo già avuto modo di ricordare in questo blog il teorico animalista Singer ritiene accettabile non solo l’aborto ma anche l’infanticidio e la soppressione degli handicappati. Il fondamento dell’etica animalista è che un animale può essere una persona e quindi titolare di diritti, un umano malato, un handicappato no.
Partecipa di questa eclisse della civiltà, della fine dell’umanesimo cristiano, anche il transumanesimo che tende ad annullare l’identità dell’uomo come premessa dello sviluppo di ibridi tra umani e strumenti artificiali (una tendenza in realtà già avviata con gli organi artificiali e non da poco oggetto di attenzione del sociologo francese Bruno Latour).
In una prospettiva opposta a quella biocentrica questi surrogati umani che rappresentano lo stadio successivo a quello dell’uomo degradato ad appendice della macchina, potrebbero sopportare inquinamento chimico, cambiamento climatico, esaurimento risorse alimentari, radiazioni mentre la vita biologica potrebbe degradare senza limiti (ma il sistema economico e produttivo potrebbe espandersi e colonizzare altri pianeti). L’idea dell’uomo in armonia con la creazione è estranea a tutte queste prospettive che tendono a sostituire al Dio cristiano nuovi idoli pagani: vuoi una natura contrapposta all’uomo e gli animali, vuoi la tecnoscienza (elevata a nuova religione).
La chiesa cattolica vuole ridursi al ruolo decorativo dei Flamini e alle Vestali di fine impero?
In un clima palesemente di "fine impero" il cristianesimo se incapace di cogliere la portata della sfida rischia di essere relegato nel ruolo dell’antica religione nel declinante impero romano: un involucro vuoto, decorativo, un'agenzia spirituale prêt-à-porter confinata in una dimensione privata, consolatoria (per chi non può permettersi l'analista), riempita dai più disparati contenuti (come duemila anni fa la religione romana era stata, di fatto, soppiantata da disparati culti orientali). Purtroppo la reazione alle ideologie che sgretolano la famiglia naturale, dissolvono l'identità umana e demoliscono quanto conseguito dalla civiltà cristiana in termini di affermazione del valore della vita umana, non appare né vigorosa, né convinta, né unanime, frenata dalla preoccupazione di non urtare il potere.
Mons. Galantino, segretario Cei cui si attribuisce la posizione di "disimpegno" (a dir poco) della Cei nei confronti del Family day del 20 giugno 2015 in piazza San Giovanni a Roma
Una timidezza che denuncia il timore di perdere le residue posizioni di influenza politica ed economica che garantirebbe il ruolo di "cappellana ossequiente del tardocapitalismo" che la Chiesa rischia di assumersi. Parliamo ovviamente della chiesa cattolica, perché quella ortodossa - chiusasi l'epoca del comunismo - conosce una nuova feconda stagione, mentre il campo protestante appare in disarmo, considerato che il ruolo di cappellano del capitalismo se lo era già assunto e che non è possibile per esso essere di ulteriore utilità (tranne nell'america latina dove i pentecostali protestanti erodono le posizioni cattoliche grazie all'influenza negativa di certa teologia "progressista").
Particolarmente insidiose appaiono l’ideologia del gender che mette in relazione l'identità di genere portando ai suoi esiti estremi il processo di soggettivizzazione prodotto della modernità e dalle scienze umane. Faucault aveva individuato in questo processo che si innesta sull'invenzione moderna dell'individuo una "tecnica del potere" che consentiva, attraverso l'attribuzione all'individuo di un'identità rigida e precostituita un suo incapsulamento in ruolo preordinati e in comportamenti appropriati (dal punto di vista del potere) consentendo un più efficace controllo sociale. Come per tanti altri aspetti della vita sociale il passaggio dalla modernità pesante (emblematizzata dalla fabbrica ma anche dalle "rigide" istituzioni educative e sociosanitarie) a quella liquida non ha affatto rappresentato un progresso verso una società senza controllo sociale e alienazione. Tutt'altro, come bene insegna Bauman.
L'individuo assume così radicalmente la natura di una tabula rasa, senza legami, senza determinazioni, appartenenze, orgini (senza un padre o una madre o con troppi padri e madri o piuttosto agenzie di riproduzione a scopo di profitto quali banche del seme e scuderie di donne-fattrici con uteri in affitto). L'essere umano diventa una merce, una cosa, un oggetto di un processo di produzione dove - come in tutta la produzione di merci a mezzo di merci - il capitale e la tecnoscienza a sostituire quella occupano uno degli ultimi ambiti non ancora controllati dal sistema di produzione capitalistico: la riproduzione umana.
E qui cadono definitivamente le pietose illusioni (coltivate anche in campo cattolico) sulla neutralità della tecnoscienza. Qui diventa arduo conciliare come la chiesa ha cercato di fare dal XIX secolo in poi, scienza ed etica cristiana. Per non perdere pesa in una società ormai dominata (a partire dai lumi) dal paradisma razionalistico e scientista la chiesa si è data un gran da fare per non apparire "retrograda". Con il risultato che la denuncia del ruolo della tecnoscienza quale strumento di oppressione, alienazione umana, affermazione di una tecnocrazia che calpesta dignità dei popoli, dei poveri, della democrazia è avvunuta per di più al di fuori dell'ambito ecclesiale e che le stesse ferme prese di posizione di San papa Giovanni Paolo II e di papa Benedetto XVI continuano a rappresentare denuncie abbastanza isolate con larga parte del corpo ecclesiale (sia "progressista" che "tradizionalista") ostinatamente subalterno all'ideologia scientista e di idolatria della tecnologia di matrice borghese (anche perché gli scienziati cattolici si guardano bene dal mettere in discussione i fondamenti ideologici della corporazione dei "sacerdoti della scienza" e la "vecchia chiesa" si garda bene dal contrapporsi con la nuova).
La foglia di fico che nasconde questa vergogna è rappresentata da interpretazioni deboli del mandato biblico a "usare" e "migliorare" la creazione a piacimento dell'uomo (con il che gli scienziati cattolici ma anche ebrei, benedicono anche gli ogm. Il prometeismo, l'hybris pagana dell'homo faber che ricrea un progetto migliore di quello di Dio allignano anche in campo cattolico . Alla gerarchia ecclesiastica fa comodo apparire moderna e non pregiudizialmente contraria alla scienza .
Però l'Uomo non è nel giardino dell'Eden o a zappare nella polvere per procurarsi una manciata di cibo condannato dalla cacciata dal medesimo. Gli uomini vivomo in una società complessa caratterizzata da forti disparità nella distribuzione delle ricchezze e del potere, dove la tecnoscienza (specie nel capitalismo della conoscenza) è elaborata, organizzata, pensata, rappresentata, utilizzata sulla base della finalità di riprodurre ed allargare la formazione sociale che risponde al nome di capitalismo trionfante e che non ha come scopo l'amore, la fratellanza, la condivisione, ma l'accumulazione e il profitto. Non ha neppure per scopo la sopravvivenza del genere umano, considerato che il ciclo è mosso dalla tecnologia e dal capitale finanziario e che l'uomo sta diventando sempre meno necessario (e forse anche fastidioso).
E allora la benedizione cristiana (e cattolica) per la tecnoscienza e il suo uso "sostenibile"( e per quell'impostura che è lo "sviluppo sostenibile") non sono altro che un surrogato che la benedizione della chiesa (ma, del resto, anche della "sinistra" e dell'ambientalismo istituzionale) al potere del capitale, potere che si manifesta in forme sempre nuove ma allargandosi sempre e ovunque a discapito di forme precapitalistiche e comprimendo le forme embrionali di una società conviviale, quella sì corrispondente ai principi cristiani.
Biocapitalismo allo stato puro trionfante
L'individuo tabula rasa , senza origini e appartenenze, può essere modificato a piacere per il puro gioco di una soggettività apparentemente assoluta ("oggi sono maschio, domani femmina" recita il gender). Non è difficile intuire come ciò apra la porta ad ogni forma di manipolazione ed eterodirezione. E non c'è più nulla (famiglia, comunità, gruppo professionale, chiesa, partito) a fare da mediazione tra l'individuo e il sistema. L'uomo nudo e indifeso. Un sogno (un incubo) che il potere coltiva da tanto, e che oggi sembra avverarsi.
Così come Marx salutava come un progresso verso la libertà il passaggio alla società salariale del "nudo rapporto di interessi", che recideva legami personali e forme di solidarietà organica e spogliava l'artigiano e il contadino del controllo di saperi emezzi di produzione, oggi le prospettive di un controllo da parte del totalitarismo biocapitalista dell'essere umano sono salutate, da chi non riesce a risvegliarsi dall'ipnosi permanente indotta dagli apparati di persuasione del sistema, come l’affermazione di diritti (della natura, degli animali, all'amore, alla paternità/maternità), come un traguardo di libertà e di progresso. Ma è il grande fratello.
La distruzione della famiglia comporta perdita di stabilità sociale e psicologica e la condizione omosessuale (nonostante il martellante lavaggio del cervello dei media per convincere la gente del contrario) non è associata a maggiore felicità. Tutto questo è una pacchia per chi continua a perseguire l'aumento dei consumi mentre una condizione felice (che non è certo assicurata dall'eterosessualità) è nemica dello spreco e del consumo indotto. La distruzione della famiglia comporta la cancellazione di tante attività artigianali, di servizio, agricole, commerciali che (specie nei paesi sfruttati dall'Impero) si reggono su una base famigliare, l'accentuazione dei processi di urbanizzazione, industrializzazione, dipendenza dal mercato globale. Considerazioni analoghe valgono per le varie forme di comunità e di appartenenza al luogo.
Reificazione dell'uomo non personalizzazione dell'animale
L'animale è stato ridotto a cosa dalla modernità. Tutt'oggi chi alleva animali in un contesto tradizionale rifiuta instintivamente la riduzione dell'animale a numero, anche quando i capi allevati sono numerosi. Nella società contadina gli animali erano parte della famiglia, parte della comunità, avevano uno statuto personale (fatto possibile anche perché l'unicità della vita umana era tanto autoevidente da non dover temere di essere troppo inclusivi con i fratelli animali). Da qui si capisce bene come l'animalismo nasce solo quando, per processi paralleli la vita e l'identità umana e animale vengono messe entrambe in discussione dalla modernità e dal capitalismo. Non a caso gli animalisti (che per ovvie ragioni trovano più conveniente attaccare i pastori e i contadini-allevatori) devono fingere di rimproverare loro quelle che sono le infamie proprie dell'allevamento industriale. Vale però la pena riflettere sul fatto che è stato il pensiero della modernità affermatosi con Cartesio a degradare concettualmente, filosoficamente, l'animale a una cosa nel mentre assolutizzava la soggettività del pensiero quale proprietà dell'essere. Cartesio svalutava pericolosamente il realismo e l'apprezzamento intrinseco e spontaneo per la realtà creata che aveva permeato parte del pensiero antico e della filosofia cristiana medioevale ed introduceva la perniciosa scissione artificiale all'interno stesso della realtà umana tra dimensione del pensiero e dimensione biologico-animale (una scissione che solo recentemente e con fatica la scienza sta ricomponendo). Erano tutti passaggi" indispensabili per il tronfo dell'inferno della modernità. Ma sarebbe il caso di tornarci su oggi che la modernità rischia di portarci all'autodistruzione del genere umano.
Lo stesso pensiero che esalta la soggettività del pensiero, il processo di individualizzazione portato alle sue estreme conseguenze (come nel gender e nella "famiglia" omosessuale che deve dipendere dal mercato e dalla tecnologia per la riproduzione) degrada l'identità biologica dell'uomo equiparandolo al prodotto di un processo tecnologico, facendo dell'essere umano una merce prodotta a mezzo di merci, ovvero attraverso l'applicazione del capitale e della tecnologia e del loro controllo. Bisogna essere del tutto ingenui per credere che questo biopotere, che ha sfondato le colonne d'Ercole etiche della riproduzione umana (affidata a ogni tecnica possibile compresa la clonazione e la manipolazione genetica), non esiti a sottomettere alla propria macchina infernale la realtà animale (come sta già facendo mentre gli animalisti si distraggono - provvidenzialmente per il sistema biocapitalista - su questioni marginali).
Ma l'animalismo dimostra di essere molto disinvolto a proposito "selezionando" le sue cause in base a motivi di valenza simbolica ed emotiva. Se il pensiero animalista, come dimostra il caso dell'orso, si focalizza arbitrariamente su una determinata specie e palesa di disinteressarsi del tutto per la sofferenza che la predazione in un contesto di impar condicio e di gratuite mattanze (a titolo di olocausto e di riparazione simbolica per la natura selvaggia violata) allora possiamo concludere che non di animalismo di tratta ma del perseguimento di una governance autoritaria dello spazio già territorializzato (ora sottratto alla disponibilità delle popolazioni per trasformarlo in grande Parco) e che la convergenza con altre forme di ecototalitarismo è non solo oggettiva ma organica, coerente, autorinforzantesi.
Di fronte all’incubo degli totalitarismi biocentrici o tecnocentrici che disvelano la loro comune matrice ideologica e lìappartenenza ad un disegno di biopotere capitalistico diventa più urgente che mai difendere il valore della vita, della persona, dell’identità, dei valori umani dall'insieme di queste minacce. Ma per farlo è indispensabile afferrare l'unicità della minaccia. C'è chi è sensibile all'attacco portato dal biocapitalismo all'agricoltura e allo stesso controllo delle fonti di sussistenza e delle capacità autoriproduttive (animali, vegetali, uomo) attraverso le biotecnologie, le life sciences ma non si rende conto
Sono cupe le prospettive del genere umano (ma anche per gli altri esseri viventi nostri fratelli). C’è chi auspica e persegue l’azzeramento dell’umanità, rea di aver tolto spazio alla wilderness, chi persegue un’austerità feroce, condita di un darwinismo sociale che consentirebbe a pochi privilegiati di continuare nel consumismo, chi non esiterebbe a scatenare una catastrofe nucleare. Ci sono poi le minacce di carestie e pandemie, della sostituzione dell’uomo con i cyborg, di un’estinzione della specie umana per perdita di vitalità e fertilità (indotta sia dalla pervasività dei composti chimici riprotossici che dalle culture nichiliste e antifamiliari).
Un’altro futuro è però possibile
In alternativa alle distopie legate al caparbio perseguimento della crescita, alle «soluzioni» ecologiche e sociali (l'ecoriformismo di tanta parte di ambientalismo istituzionalizzato e inglobato nei meccanismi economici del biocapitalismo) che aggraverebbero anziché migliorare la condizione dell’umanità accentuando disuguaglianze e miserie, c’è la prospettiva di quella frugalità conviviale individuata, oltre quaranta anni or sono, da quella grande figura profetica rappresentata da Ivan Illich , che non a caso Latouche ma tanti altri decrescenti e renitenti all'ossequio alle ideologie ambientaliste "politicamente corrette".
La convivialità (ben diversa dalle utopie collettivistiche e comunistiche) consentirebbe un uso non esclusivistico degli strumenti tecnologici, dei beni, di tutto quello che Illich considera strumento ragionato della mente umana (quindi anche i codici, le istituzioni). Nella società conviviale gli strumenti tornano alla loro natura di mezzi atti a soddisfare bisogni umani non artificiali e invertendo la tendenza a trasformarli in fini che si contrappongono all’uomo considerano un maestro.
[...] lo strumento conviviale e quello che mi lascia il più ampio spazio e il maggior potere di modificare il mondo secondo le mie intenzioni. Lo strumento industriale indica questo potere; di più: attraverso di esso, è un altro diverso da me che determina la mia domanda, restringe il mio margine di controllo e governa il mio senso della vita. La maggior parte degli strumenti che mi circondano oggi non può essere utilizzata in modo conviviale: sono strumenti ragionati nelle mani di altri, e ancora più spesso strumenti ragionati sfuggiti dalle mani di tutti e che esercitano selvaggiamente le funzioni intrinseche alla propria struttura. Ivan Illich La convivialità Una proposta libertaria per una politica dei limiti dello sviluppo, Red, Como, 1993 p. 43 (ed. or., Parigi, 1973)
Riducendo gli sprechi, sfuggendo all’obsolescenza programmata, si ridurrebbe drasticamente il consumo di energia e di materia non rinnovabile. Lo stesso risultato si otterrebbe promuovendo il ben-essere, lo stare insieme, la coltivazione del bello e del buono, della cultura, la trasmissione non istituzionalizzata del sapere, riducendo il ben-avere (o troppo avere), la moltiplicazione dei bisogni indotti e degli oggetti, dei viaggi a grandi distanze e a grandi velocità, il consumo di servizi sanitari.
La riaffermazione dei valori umani (più che gli appelli moralistici «correttivi» nel contesto di una cultura dell’avere, dell’egoismo, dell’individualismo, dell’utilitarismo edonista) rappresenta il presupposto convincente per una redistribuzione delle risorse contrastando quella concentrazione di consumi che è alla base della fortissima impronta ecologica dei paesi ricchi (e di quelli che li stanno inseguendo in una sciagurata corsa sviluppistica).
Coltivare i valori umani uscendo dall’era dell’economia, dell’industria, dello sviluppo, rappresenta quindi il presupposto di una riconciliazione non solo dell’uomo con l’uomo ma anche dell’uomo con gli altri esseri viventi. Distruggere i valori umani in nome delle ideologie animaliste, biocentriche rappresenta invece una delle varie manifestazioni di un unico programma nichilista e totalitario.