(02.09.15) La stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto negativo in termini di quantità prodotta, causa della pesante siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni l'accordo siglato in pompa magna nel novembre 2014 si sta rivelando un bluff. Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza l'originalità delle loro esperienza facendo leva sui suoi punti di forza
Bitto storico: nuova fase
da Cheese in poi sarà un autunno di grandi novità.
Il 10 novembre si tireranno le fila di un accordo con le istituzioni sin qui a dir poco deludente. Intanto si cercano cultori della mungitura a mano per la prossima stagione d'alpeggio
di Michele Corti
Sarà un autunno decisivo per il Bitto storico. L'accordo "storico" dello scorso anno, con tanto di presenza di assessore regionale a sancire la fine della ventennale "guerra del bitto", è rimasto in larghissima misura un pezzo di carta. Già questa primavera (28.04.15. Ciapparelli: va rispettato l'accordo sul bitto) era apparso chiaro che le istituzioni non avevano intenzione di onorare lettera e spirito di quanto faticosamente concordato. Non ci sarà comunque una ripresa della "guerra del bitto", che è ormai archiviata. La collaborazione con il Consorzio (Ctcb) si è rivelata possibile e non è in discussione la volontà di collaborare con tutti i produttori di bitto.
La sinergia tra bitto storico e bitto dop è possibile in un unico "sistema bitto", così come sarebbe possibile la sinergia con il sistema agroalimentare valtellinese (con le debite distinzioni tra ciò che è artigianale ed industriale). Il punto è un altro: ci sono interessi politici-imprenditoriali che non "digeriscono" ciò che il bitto storico significa: un modello di gestione economica indipendente, al di fuori di logiche clientelari e di sottomissione ai "poteri forti", un modello che non transige su principi di trasparenza e onestà.
Dietro le istituzioni ci sono interessi organizzati che decidono quello che le istituzioni devono fare. La Camera di Commercio ha siglato solennemente un accordo, con tanto di benedizione della Regione, ma se qualche Don Rodrigo stabilisce che "quel matrimonio non sa da fare" i Don Abbondio delle istituzioni (peraltro legati da comunanza di interessi con i potentes) si adeguano e moltiplicano gli "impedimenti".
Di certo non induce i "ribelli del bitto" a piegarsi a condizioni poco onorevoli la constatazione che per rispettare l'accordo sul bitto i soldi "non ci sono" mentre, per la deludente esperienza Expo, si è assistito ai soliti sprechi di denaro pubblico. C'è tempo sino al 10 novembre per chiarire se un anno prima (foto sopra) si era su "Scherzi a parte" o no.
La lezione della siccità
Paolo Ciapparelli, presidente del Consorzio bitto storico aveva stigmatizzato l'indifferenza delle istituzioni (mentre in Svizzera intervenivano gli elicotteri e i Canadair) rispetto alla disastrosa siccità che a luglio ha colpito gli alpeggi (23.08.15 Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili). Unica reazione quella della Coldiretti (Andrea Repossini si è recato al Centro del bitto storico a Gerola). Il calo di produzione ha colpito gli alpeggi in modo disomogeneo ma in alcuni la produzione è dimezzata (vacche che di solito davano 7-8 kg al giorno di latte scese a 3-4). In generale dove si produce bitto storico si è perso un 30%. Una "calamità", però molto circoscritta, che quindi non muoverà a iniziative di aiuto anche perché chi in alpeggio usa i mangimi ha risentito molto meno del calo produttivo. Chi non ama il "bitto ribelle", perché non si piega alla logica delle mucche-macchine-da-latte, dei mangimi industriali, dei fermenti industriali nel latte, si sarà fregato le mani. In realtà l'alleanza tra anticiclone africano e agroindustria è un fatto oggettivo: la zootecnia intensiva, con l'uso di mangimi, concimi chimici, carburanti contribuisce pesantemente alla produzione dei gas serra mentre i sistemi di pascolo estensivi sulla base di ricerche sperimentali eseguite in Trentino, sono caratterizzati da un assorbimento netto di gas serra (Berretti F, Baronti S, Lanini M, Maracchi G, Raschi A, Stefani P, 2007. Bilancio dei flussi di tre gas serra (CO2, CH4, N2O) in un prato-pascolo alpino: confronto tra 2003 e 2004. Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR.)
I virtuosi, come i produttori del bitto storico, che seguono la filosofia dell'adattamento all'ambiente, del riciclo di materia, del minor consumo possibile di energia fossile, subiscono le conseguenze del cambiamento climatico, chi ne è responsabile ne sfugge largamente. Il perché è facile a dirsi: il meccanismo del mercato mondiale, la spinta alla risparmio di manodopera, all'uso di energia vanno in direzione contraria alle esigenze di salvaguardia ambientale. Il microcosmo del bitto riflette un dramma mondiale. Il punto è proprio questo: finché vigono la logica del mercato globalizzato, del cibo ridotto a oggetto di speculazione, la prevalenza politica degli interessi industriali e speculativi le politiche sull'ambiente e il clima sono solo green washing, foglie di fico, anzi spesso pretesti per operazioni green (vedi biocombustibili) che determinano più acuto sfruttamento dell'uomo e delle risorse ambientali.
Di fronte a questi problemi planetari cosa può fare il bitto storico? Essendo diventato un simbolo concreto di un'economia morale che si rifà a logiche che con i criteri del mercato hanno poco a che fare, men che meno con il profitto, che fa appello ai valori (oltre a una qualità indiscutibile) e che continua miracolosamente a... vivere contro ogni aspettativa, esso può fare molto.
Può contagiare altre realtà con la sua utopia concreta e positiva (folleè invece il "realismo" di chi pensa che i meccanismi del mercato e del profitto possano "aggiustare" un pianeta malato). Ma per farlo deve giocare fino in fondo il proprio ruolo. E come? Tanto per cominciare comunicando al consumatore, al coproduttore (parliamo sia di consumatori attivi che di chi ha sottoscritto quote della società che supporta commercialmente l'avventura del bitto storico) cosa costa restare fedeli a un programma di rispetto del latte, dell'erba. Cosa significa subire i contraccolpi di condizioni naturali incontrollabili, di una natura che diventa matrigna con chi la rispetta (forse perché si ribella a chi non la rispetta).
Al consumatore si mostrerà come "sorge" il prezzo a partire da quanto conferito al primo produttore (l'alpeggiatore che consegna al Centro il bitto ancora fresco a settembre). Un prezzo che potrebbe premiare in modo differenziato non solo la qualità intrinseca ma anche il grado di fedeltà ai principi che fanno del bitto storico un prodotto che è un modello di qualità da secoli (c'è un nuovo bellissimo documento del 1550 che lo conferma di cui parleremo in un prossimo articolo).
Produrre bitto storico e mungere a mano è rivoluzionario... ma non esattamente in questo senso
Una nuova "leva" di ribelli
Il bitto storico è un grande movimento di opinione, forse anche qualcosa di più. Il fatto che intersechi i confini rigidi ma convenzionali di economia, società, morale, politica lo rende pur nel suo microcosmo capace di innescare processi imprevedibili. Sinora la capacità di scompaginare le carte, di non accettare le "regole del gioco" imposte da chi è più forte gli hanno consentito di sopravvivere (il che è già una vittoria strepitosa contro ogni previsione). Oltre a coinvolgere maggiormente i coproduttori (acquirenti, soci della società "Valli del bitto") il bitto storico intende anche coagulare e capitalizzare quel più ampio movimento di persone (gli "amici del bitto storico") che lo appoggia perché ne ammira la coerenza con valori che altri proclamano ma si incaricano di smentire ad ogni occasione.
E poi c'è un'iniziativa che si sta già mettendo in modo quando la stagione d'alpeggio non è ancora finita: la ricerca (e la selezione) di cultori della mungitura a mano in grado di sopperire alla crescente "fame" di pastori capaci di mungere un numero adeguato di vacche (e di farlo bene). Ci vuole molta più manodopera negli alpeggi che praticano la mungitura a mano e manodopera non qualsiasi.
L'idea è di allargare la "chiamata" a tutti coloro che in Italia, in Europa e anche più in là sono esperti e appassionati di mungitura a mano e desiderosi di fare un'esperienza in una realtà di rilievo internazionale come quelle del bitto storico. Giovani e meno giovani, ragazzi e ragazze. Forse chi viene da realtà di montagna e da una cultura pastorale è senz'altro un miglior candidato "naturale" ma tra chi oggi pratica la mungitura a mano in piccole aziende attentissime al benessere animale e alla qualità del latte ci sono anche giovani che si sono sottratti ad un'esperienza metropolitana e che possono supplire con la motivazione ad una mancata iniziazione precoce alla dura vita della montagna. Ci sarà chi tornerà a casa con un bagaglio di conoscenze ed esperienze da mettere a frutto, chi resterà sulle Orobie.
Per chi riuscirà a inserirsi nella realtà del bitto storico c'è la possibilità di assimilare una grande esperienza, magari con la prospettiva di lavorare tutto l'anno, di acquistare dei propri animali (partendo dalle meravigliose capre Orobiche). Il bitto storico vuole essere incubatore di iniziative di giovani coraggiosi e non conformisti.
Intanto c'è l'appuntamento di Lenna
L'interesse al di là di ogni previsione del "campionato mondiale di mungitura" che si terrà anche quest'anno a Lenna presso buoni amici del bitto storico (22.08.15. Dalle Puglie con la sua mucca per la gara di mungitura a mano) è significativo (come nel caso delle gare di falciatura a mano) di un interesse per mantenere "arti" che la modernizzazione ha largamente messso in soffitta ma che hanno accompagnato la storia dell'umanità e che è sbagliato abbandonare.
Andrà chiarito che non basta amare "platonicamente" la montagna e gli animali (come tanti ragazzi di città) ma che bisogna avere esperienza o essere psicologicamente e fisicamente attrezzati per lavorare tre mesi in montagna in condizioni che per alcuni aspetti sono "quelle di una volta". Certo con le gratificazioni - per chi le sa apprezzare e ricercare - del contatto con gli animali, con persone schiette, con i cieli stellati e le fredde albe della montagna. Qualcuno che pensa di essere già in grado di fare il pastore e di mungere quindici vacche dovrà magari accontentarsi di fare il cascin il "pastorello" (comunque pagato) e di "farsi le ossa".
L'importante è non piantare in asso chi conta su di te dopo una settimana o un mese, quando diventa un problema rimpiazzare che lascia. Per questo la "selezione" sarà severa. Del resto da tempo il bitto storico ha in programma di allestire una "stalla didattica" e una "scuola di alpeggio" e questo tipo di iniziativa (la leva del bitto, ovvero dei nuovi pastori) è nelle sue corde. Non è mai stata una realtà economica punto e chiuso, tanto meno commerciale quella del bitto. Dall'inizio c'era il programma di rilancio della montagna, di rivitalizzazione a partire dalla valorizzazione e dalla gestione di quelle che sono preziose risorse, in modo autonomo e senza dipendere da aiuti e direttive dall'alto. Al programma di vent'anni fa il bitto storico sta tenendo fede. E andrà avanti anche se le istituzioni continueranno a boicottarlo. Devono sapere, però, che qualora - come è inevitabile - ci saranno dei rivolgimenti, chi oggi combatte il bitto storico per l'egoismo di interessi consolidati, sarà chiamato a renderne conto davanti alla comunità.