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Capre ad Ardesio: festa e cultura
(18.01.17) La Fiera delle capre di Ardesio si arricchisce di eventi culturali non "di contorno" ma finalizzati a stimolare una ripresa in forme nuove dell'allevamento caprino e di un'economia  che unisca produzioni di qualità e gestione del territorio


 



 



Articoli per argomenti 

Agrimiracoli di Valseriana

testo e foto di Michele Corti



(08.06.17) Cosa succede in Valseriana?  Pare che lo spirito di intraprendenza, che un tempo segnò il successo industriale della valle (punta avanzata della tecnologia siderurgica e laniera), oggi animi iniziative agricole molto innovative. È lo stesso spirito che spinse, nel declino dell'industria mineraria e siderurgica dell'alta valle,  a partire dal XVI secolo, a puntare sulla transumanza bovina.  Una valle che esprimeva poco, sino a pochi anni fa, sul piano agricolo (basti pensare alla loffia esperienza del marchio della formaggella). Ma che oggi "sorpassa" altre realtà della montagna lombarda cui viene (veniva) riconosciuta una maggiore vitalità agricola. Il segreto: progetti che partono da persone non condizionate da equilibri e assetti consolidati, una forte componente di iniziativa culturale e di passione che si inteccia con competenze professionali e imprenditorialità, la capacità di fare reti e di collaborare anche quando non è sempre facile.  



Quasi un anno fa parlavamo di un sogno "visionario" che si stava realizzando (vai all'articolo). Il "sogno" era il ritorno alla coltivazione dei cereali in montagna. Quest'anno, con una progressione fulminante, i campicelli sono diventati campi e, oltre a trasformarsi in pane e prodotti da forno e polente, i cereali dell'asta del Serio (l'orzo distico) dispongono di un agribirrificio tutto per loro, pronto a trasformarli in agri-birra di qualità e a km zero.
Ad un gruppo di studenti dell'Università della montagna di Edolo, venuti a visitare le nuove aziende agricole multifunzionali (sia pure a base zootecnica),  Andrea Messa, il vulcanico presidente  dell'associazione culturale "grani dell'asta del Serio"  racconta un percorso che sembra una favola. "Nel 2012 tutto è cominciato con tre vasi da firi dove ho collocato un po' di semente ottenuta dal CRA cerealicoltura di Sant'Angelo lodigiano... "
Andrea, davanti al campo di frumento tenero (Giorgione) nella Piana di Clusone (sopra), racconta scampoli dell'esperienza dal 2012 a oggi. "Ci vorrebbero giornate intere....". Tiene a sottolineare che non è facile ripartire in montagna con forme di coltivazione tradizionale che risalgono ad un'altra "era agricola". "Qui a Clusone sono almeno settant'anni che non si vedono campi così, mettevano dei campetti da qualche centinaio di metri". Oggi per allestire un cantiere di lavoro per la mietiture e la trebbiatura bisogna rivolgersi all'estremo oriente. "Là coltivano le terrazze e devono disporre di mietitrebbie con barre da poco più di un metro di lunghezza; però noi abbiamo iniziato nel modo più arcaico, con la falce fienaia, poi con la bcs e le mietilega. Alla fine dopo un po' di tentativi abbiamo trovato macchine adatte, progettate in Giappone e fabbricate in Vietnam". Giustamente Andrea è orgoglioso delle sperimentazioni portate avanti con successo. Altrove, dove c'erano i finanziamenti pubblici ma scarsa "grinta" ci si è arrestati di fronte alle non poche difficoltà tecniche.

Si parla di accestimento, di semine primaverili e vernine, di "false semine" e di diserbanti biologici, di rotazioni, ma anche di filiere di commercializzazione. "Abbiamo seminato la varietà Giorgione perché ci è stato suggerito così dal fornaio Balduzzi". Siamo agli antipodi del mercato "cieco" o ai "contratti di coltivazione" che espropriano il coltivatore di ogni autonomia; qui il trasformatore (panificatore, pasticciere) è un partner di filiera, di una rete rurale che partecipa alle scelte colturali.   All'interesse dell'Università per queste esperienze agricole corrisponde l'interesse della realtà locale per questa visita tecnica degli studenti. Di fronte al campo di "Giorgione" la tv locale  (antenna2), localmente molto seguita, intervista gli studenti. Anche questa è un'esperienza didattica, un esercizio utile, considerata l'importanza che nel lavoro di supporto all'agricoltura, specie in montagna, riveste la comunicazione. Non è più il tempo di studiare (solo) sui libri.



La seconda tappa è alla Fiorine, una località di cui sentiremo parlare prossimamente. Perché? Perché da qui viene la terza varietà di mais antico della Valseriana: dopo Gandino (con il celeberrimo "spinato"), dopo Rovetta con il suo "rosso rostrato", arriva (ritorna) il mais delle Fiorine. Ma non siamo qui per il mais (il rosso di rovetta, l'abbiamo visto ancora pianticella, alla Piana). Siamo qui per il "distico", l'orzo più pregiato per la birra. Sulla spiga ogni nodo (rachide) sostiene solo due fiori dai quali si sviluppano due cariossidi (a differenza dei più produttivi orzi tertastici ed esastici che portano quattro e sei fiori). Il perché del pregio dipende dalla maggior regolarità delle cariossidi che crescono sulla piccola spiga del distico (meno "affollata"), il che favorisce una migliore maltazione grazie all'integrità delle cariossidi stesse. Sia questo campo che quello di frumento tenero sono coltivati dall'azienda Prat di büs di Ardesio. L'azienda, su tre ettari, coltiva due varietà di mais antichi, grano tenero, segale e orzo distico.  I coltivi sono ubicati oltre alla Piana e alle Fiorine di Clusone che abbiamo visto anche a Cerete.



Con un brevissimo percorso scolliniamo dall'altopiano di Clusone in alta Valseriana dove, appena dopo il limite comunale di Villa d'Ogna, prendiamo la strada che conduce all'azienda Prat di büs. Grazie al lavoro di sperimentazione sui cereali di Andrea (il signore con il cappello che non finirebbe mai di parlare dei "suoi" grani), oggi Marco Delbono può disporre della materia prima per l'agri-birrificio e produrre agri-birra. Marco è il titolare dell'azienda che gestisce, con l'aiuto del fratello Andrea, un'azienda sempre più "differenziata".



Per agri-birrificio si intende - lo dice la legge - l’azienda impegnata nella produzione e, spesso, anche nella vendita diretta, di agri-birra. La birra agricola può essere considerata tale qualora i malti siano ricavati almeno per il 51% da orzi prodotti da coltivazione propria. Questa definizione è stata introdotta dal Decreto ministeriale 212/2010 che, riconoscendo la birra come prodotto agricolo a tutti gli effetti, ha segnato una svolta importante nel quadro normativo e, di conseguenza, nel mercato di produzione e commercializzazione della bevanda in Italia. Per la tassazione, invece, la facilitazione inizialmente prevista, consistente nel tassare la produzione nell'ambito agricolo è venuta meno e si paga l'accisa. Tanto è vero che il birrificio di Delbono è ancora fermo per motivi fiscali (il contatore che misura ogni litro di birra prodotta - e lo tassa senza pietà - è montato ma manca qualche adempimento burocratico).
Gli agri-birrifici
rappresentano uno strumento intelligente per qualificare la produzione brassiera locale e per migliorare la multifunzionalità delle aziende. La birra di Delbono si chiama "Asta" (da "associazione grani asta del Serio") e, nell'etichetta, l'azienda si fregia di essere una fondatrice dell'associaizone. Andrea sottolinea come il carattere no profit, la finalità di iniziativa culturale e territoriale dlel'associazione abbia rappresentato una condizione importante per l'innesco di queste attività agricole. Il motivo è semplice: dietro c'è tanta passione disinteressata che diventa contagiosa e che produce più facilmente relazioni tra i soggetti agricoli e gli altri partner di filiera. Questa facilitazione (o fluidificazione) di relazioni e promozione di reti è chiaramente dovuta alla fiducia nelle terzietà di un'associazione culturale come "i grani dell'asta" e del suo presidente. Una lezione molto interessante che conferma i risultati della nostra ricerca "Cibo e identità locale". L' "asta" è un lievito (per restare in ambito brassiero e panificatorio), le aziende (quelle che esisto e che nasceranno) la pasta. In tema di birra è interessante osservare che anche l'acqua di pozzo captata a grande profondità è km zero mentre il luppolo, per ora è importato, ma presto sarà coltivato da uno dei tre agri-birrifici della montagna lombarda.
Birra con materie prime made in Lombardy 100%.



Già, ma tutto parte dalle capre. Le disprezzate capre. Da dieci caprette, che i Delbono mantenevano "per hobby" in una vecchia stalletta (che si trova ancora a fianco dell'agri-birrificio e del ristorante in fase di realizzazione). Un hobby che ad Ardesio è sempre stato diffuso e che, di fatto, ha rappresentato la continuità di una tradizione di piccolo allevamento radicatissima (vai a vedere un precedente articolo). Tanto che ad Ardesio gli abitanti sono conosciuti come "le capre". Un soprannome molto più "onorevole" peraltro di quelli assegnati ai paesi vicini ("ladri" di Fiumenero, "patate" di Gandellino, "porci" di Lizzola, "lupi" di Valbondione, "tafani" di Valgoglio"). Recentemente, nell'ambito della ricostruzione della vicenda della "guerra alle capre" condotta dalle autorità nel periodo napoleonico, ho rinvenuto un documento del 1807 con i nominativi di 150 capifamiglia proprietari di capre ad Ardesio e, un'altro, coevo, in cui il sotto-prefetto di Clusone lamentava come, nel distretto di Breno (la Valcamonica era unita a Bergamo), il numero delle capre fosse "fuori controllo" mentre nel distretto di Clusone solo ad Ardesio c'era un "eccesso" di capre. La storia conta si direbbe. Infatti ad Ardesio, da ben diciotto anni, con inossidabile entusiasmo, si organizza la Fiera delle capre, divenuto appuntamento che richiama appassionati anche da oltre i confini regionali. Lo ricorda con soddisfazzione agli studenti Antonio Delbono, cugino di Marco e Andrea, assessore comunale e "anima" della Fiera (organizzata dalla pro-loco). Come altri giovani di Ardesio i Delbono erano caprai per passione. Ma, ad un certo punto, è nata una scintilla e la passione si è trasformata in impresa. Così hanno lascato il settore edile per l'agricoltura (saper costruire gli è però servito molto in quanto hanno eseguito i lavori in economia). L'azienda agricola, ci tengo a sottolinearlo, nasce con le capre. Solo successivamente, nel quadro di una differenziazione, si introducono le bovine da latte e da carne (pezzate rosse). Di solito si passa dalle vacche alle capre. Qui è successo il contrario.



All'oggi i Delbono allevano 109 capi di razza saanen, di cui ottanta in lattazione, ventidue caprette da rimonta, due becchi e cinque capretti. Dalle loro capre ottengono circa 800 q.li di latte che vengono trasformati nel caseificio aziendale in vari latticini (compreso yogurt). C'è anche il gelato, ma fa parte di un prossimo capitolo.




Non condizionati da "appartenenze zootecniche" e sudditanza alle organizzazioni tecnoburocratiche i Delbono hanno puntato sulle razze che ritenevano adatte al loro sistema aziendale. A differenza delle capre che per problemi organizzatici e logistici non accedono ai pascoli i bovini hanno  possibilità di pascolo dalla primavera all'autunno anche se dal punto di vista alimentare l'apporto del pascolo non è certo prevalente. Nonostante il carattere semi-stallino dell'allevamento i Delbono hanno puntato da subito sulle razze a duplice attitudine. Hanno iniziato con la pezzata rossa e ora stanno sostituendola con la grigia alpina. In stalla dispongono di un toro da monta e mantengono dieci vacche e tre vitelle. Vi sono ancora dieci vacche pezzate rosse. La duplice attitudine, anche in un'azienda con trasformazione del latte e commercializzazione diretta è preferita perché anche la carne fresca ("vendiamo delle cassette già preparare ai nostri clienti") e le carni trasformate sono importanti per un'offerta variegata. Per produrre insaccati misti (sia suino e capra che suino e bovino) si ingrassano anche dieci suini (di tipo - almeno in prevalenza - large white, ovvero ad accrescimento lento ma maggiore qualità dei soliti ibridi).
Tra latte di caprino e vaccino si lavorano 1400 q.li . I 600 q.li di latte di vacca sono trasformati in stracchini, formaggelle, formaggio semigrasso (stagionatura sino a ventiquattro mesi), burro, yogurt, erborinato (più piccolo del gorgonzola). Gli 800 q.li di latte caprino sono trasformati in caciotta, stracchino di capra, yogurt di capra, primo sale, erborinato, formaggi stagionati. Prima di lasciare l'azienda la giornalista
ma anche esperta di pastorizia bergamasca e scrittrice) Anna Carissoni del vicino paese di Parre, redattrice del quindicinale Araberara  (che da qualche mese ha un'edizione camuna) intervista alcuni ragazzi. Un altro segno di interesse per l'agricoltura e per chi studia agricoltura (anche a Clusone c'è una scuola professionale che ha avuto, come le altre un boom di iscrizioni). 



In realtà un po' del latte non si trasforma in formaggi, stracchini, burro e yogurt ma in agri-gelato. Dove? Al negozio km zero.  Il negozio è stato realizzato dall'azienda  Prat di büs ed è condotto in società con Alessandra Fornoni, esperta gelataia e pasticciera. Il vecchio spaccio aziendale è stato dismesso (con grande vantaggio perché per quanto breve il percorso dalla provinciale all'azienda è sterrato). Nel negozio, in località Valzella (sulla strada provinciale dell'alta val Seriana, a poche centinaia di metri dall'azienda agricola) si vendono formaggi vaccini e caprini dell'azienda, gelato con latte dell'azienda (anche di capra), salumi, prodotti a base di mela, birra, farine tutte dell'azienda. Ci sono poi prodotti di altre aziende agricole (vino, miele, confetture. I prodotti da forno sono realizzati con farine aziendali.



Qualcuno dirà che i prezzi sono alti. Ma invito ad andare al supermercato (ci dovrebbero andare tutti per avere il polso del consumo alimentare) e vedrete che la farina più pregiata (bio, da varietà antiche, da zone determinate) ha lo stesso prezzo. Ma qui sapete chi l'ha prodotta: il contadino, il mugnaio. Poi invito a provare la differenza in termini di caratteristiche sensoriali dei prodotti (a partire dalla polenta).



Anche nel caso della birra i prezzi delle industriali "speciali" non sono certo inferiori a questi. Ma non è solo il bilancio di un'azienda agricola che è in gioco. Una birra così, km zero, è un fiore all'occhiello per la valle, un piccolo grande tassello di un orgoglio locale di un senso di appartenenza. E non in ultimo un piccolo-grande aiuto al turismo. Una notazione interessante: il mastro birraio viene direttamente dalla Svezia (le competenze di eccellenza non sono sempre a km zero). A qualcuno parrà strano e stravagante fa venire un esperto dalla Svezia per un piccolo birrificio agricolo. Invece la logica non fa una grinza. "Le competenze si vanno a cercare dove ci sono" commenta Delbono. Se pensiamo che, prima del Settecento, la siderurgia bergamasca era in auge tecnologica, e che i bergamaschi erano chiamati in altri paesi europei a fare da mastri fusori, ci accorgiamo che non c'è nulla di strano nel mastro birraio svedese ad Ardesio. 



Tornati a Villa d'Ogna saliamo in Valzurio (comune di Oltressenda alta, in tutto 160 abitanti) e ci dirigiamo alla contrada Bricconi, protagonista di un recupero di cui giustamente si parla parecchio in zona (e non solo). Qui Andrea, che è originario di qui e possiede dei pezzi di terra e un fabbricato nella contrada, ci mostra il campo di produzione di seme. Si tratta di una varietà di montagna che viene dalla provincia di Cuneo, dalla Valgrana e - per la precisione - dalla Coumboscuro (la "valle scura" in provenzale). Ruralpini di Coumboscuro si è occupato a più riprese e ci siamo stati parecchie volte. È curioso ritrovare qui, in Valseriana un po' di Coumboscuro. Però non è strano in realtà perché le Alpi sono grandi, è vero, ma le realtà impegnate a valorizzare la cultura locale (di cui l'agri-biodiversità è parte integrante come la lingua e l'architettura), sono poche, sconsolatamente poche. Ed è inevitabile che si creino dei legami, delle reti. delle connessioni.



È bello vedere il non più giovane ma sempre vulcanico Andrea insieme a Giacomo. La condizione di "vicini di casa" non predisponeva a buone relazioni (anche perché la proprietà di Andrea si è trovata di fatto incapsulata nell'azienda di Giacomo). Aggiungasi la differenza di età e la circostanza che mentre Andrea è un super-autoctono (da bambino faceva la transumanza con la mandria bovina da latte giù fino alla bassa bresciana con la famiglia di bergamì e lo stemma della famiglia è scolpito sulle architravi cinquecentesce) mentre Giacomo (sia pure bergamasco e bergamascofono) proviene da un ambiente diverso (la collina vitivinicola della Valcalepio), e quindi è visto come "foresto". Fortunatamente la fase conflittuale tra i due è stata superata perché ha prevalso un elemento comune, più forte degli altri: la passione per l'agricoltura di montagna, per la terra, per la progettualità. Così si sono aperte prospettive positive di collaborazione, interessanti come quando due caratteri diversi, ma entrambi decisi e battaglieri, si incontrano. Sul pezzo di  prato di Andrea quest'anno Giacomo raccoglierà il fieno e il "copione" (purtroppo comune) delle ripicche tra vicini vira in collaborazione. In nome di progetti e visioni comuni. Un bel segnale.



A qusto punto è Giacomo a condurre la visita della sua creatura mentre. Pur esponendo in forma tecnica e quasi distaccata la vicenda dell'azienda è palese come i Bricconi siano divenuti parte della sua vita, motivo di soddisfazioni ma anche di preoccupazioni che non hanno certo lasciato fuori dalla porta la sfera emotiva. Del resto, pur sulla base di una precisa pianificazione della start-up (oggetto della tesi magistrale), pur nell'attenzione a tener sempre sott'occhio i parametri di economicità,a non fare passi più lunghi della gamba, Giacomo ci tiene a far capire agli studenti che senza una motivazione, una gratificazione extra-economica non si può pensare di affrontare un'impresa che, se va bene, consente un reddito dignitoso, una "sostenibilità", ma risultati di gestione economica ben lontani da quello ci si aspetterebbe quale giusta remunerazione dei capitali (i contributi pubblici aiutano ma implicano anche lievitazioni di costi) e delle energie investite. In forme moderne è la logica dell'azienda contadina, fortemente influenzata da un'economia morale che risponde ad una sua razionalità, ma che le logiche dell'economia neoclassica (e del neoliberismo) non potranno mai inquadrare.  Dall'economia (e alla sociologia) si passa all'architettura rurale. L'artificiosa compartimentalizzazione in discipline accademiche in questi contesti "salta". Ma è un bene, e uno stimolo per gli studenti (almeno quelli che oltre al pezzo di carta sono interessati ad acquisire conoscenze e competenze). La stalla è quella che si vedeva alle spalle del campo di segale della foto di prima. L'immagine sotto chiarisce meglio il carattere dell'intervento sul piano architettonico.



Va subito detto che tutto il progetto è frutto di un lavoro non qualsiasi. La parte agricola ed economia è stata curata dallo stesso Giacomo Perletti mentre il progetto architettonico è frutto di una tesi di laurea del Polimi, redatta da tre studentesse di architettura ed ispirato da esempi di "nuova architettura alpina", in particolare di "scuola ticinese" .
Le nuove strutture non hanno nulla di tradizionale, il rivestimento in assi di larice e la copertura in lamiera (chiara per alleggerire il peso delle strutture, senza sporti di gronda per sottolineare la pura, essenziale, dimensione volumetrica) sottolinea il distacco del nuovo edificato, funzionale all'attività zootecnica e casearia. Alla vecchia stalla (con fienile sovrapposto), conservata intatta con il suo selciato come centro visita del parco delle Orobie bergamasche, si giustappone il nuovo caseificio/locali di stagionatura (sempre su due livelli che sfruttano la pendenza). La nuova stalla con il fienile rappresenta un corpo a sé. Il grande volume (in relazione al numero ridotto di capi) è legato alla soluzione della raccolta e conservazione del fieno sfuso che consente la fienagione in due tempi ( con parziale essiccazione un campo e ventilazione in fienile sfruttando l'aria calda del tetto "solare" con intercapedine). Il fabbricato è forse un po' grande in una valletta così piccola ma la funzione è chiara e lodevole. Per il resto lo stacco netto tra le due parti è esteticamente azzeccato. Tanto più che il legno d larice invecchiando si "naturalizzerà" dialogando con il frigio della pietra carbonatica e cdel manto delle splendide vacche.
La movimentazione del fieno avviene con il carro-ponte (l'oggetto rosso nella foto sotto). Questo spiega la grande luce del fabbricato (peraltro ben coibentato e quindi senza rischi di temperature troppo basse in inverno, condense ecc.). Le manze sono stabulate fisse (fanno molto pascolo, oltre sei mesi), le vacche - che in estate restano in stalla - sono mantenute in stabulazione libera con cuccette. La scelta delle cuccette ha creato un dilemma a Giacomo. Tra l'altro comporta la decornificazione. Meglio presentare animali integri con le loro corna o animali legati? Nessuno puà dare una risposta univoca. 
La scelta della razza, invece, non ha lasciato spazio a dubbi e ripensamenti:  la grigia è  adatta a questa montagna (sono perfettamente d'accordo). Però, c'è anche un altro fattore:  Giacomo ammira profondamente (e a ragione) il Sudtirolo, l'orgoglio dei suoi allevatori, la loro efficace organizzazione che consente di vendere i capi senza passare dai commercianti.
Non si può non notare che la razza, una scelta a cui sono pervenute indipendentemente, unisce le due aziende che abbiamo visitato
.



La qualità de fieno prodotto con la fienagione in due tempi (in termini di colore, fogliosità e flessibilità) è facilmente constatabile. Questa tecnica consente un significativo incremento di produzione in ordine sia alla quantità, che alla qualità. Vengono ridotti i rischi meteorologici, in quanto il foraggio staziona per minor tempo in campo (una circostanza molto importante in montagna, specie nelle piovose Orobie).  Altrettanto importante per la montagna il poter anticipare lo sfalcio primaverile e sfruttare i tagli in prossimità dell’autunno. Dal momento che è richiesto un minor numero di interventi meccanici il fieno subisce meno danni (anche perché rispetto all'imballatura esso viene manipolato ad umidità più elevate).  Il processo di respirazione delle piante è sensibilmente ridotto a causa della maggiore rapidità del processo di essiccazione e le fermentazioni  sono arrestate grazie alla ventilazione continua della massa. A tutto ciò si aggiungono i vantaggi per la salute legati alla drastica riduzione del rischio di formazione di muffe. Il tutto è controllato da sensori (le scatolotte che pendono sulla massa di fieno e altri che misurano temperatura e umidità dell'aria in entrata regolando il funzionamento dell'apparato di ventilazione. Interessante come la tecnologia "semplice" del fieno sfuso si coniughi con l'elettronica. Del resto anche nella stalla vi è un autoalimentatore con riconocimento individuale che somministra (fra
zionandola) la quantità di mangime che ogni bovina "merita" in base alla produzioen di latte.  Fieno di buona qualità e dosaggio "modulato" del mangime consentono di ottenere produzioni elevate (relativamente alla grigia alpna, ovviamente) con una buona efficienza alimentare. Una filosofia coerente con l'insieme del progetto aziendale che punta alla sostenibilità ambientale oltre che a quella economica (non per  "sfizio" o pr appuntarsi una medaglietta di gfacciata ma come valore concreto capace di promuovere il prodotto e i servizi, in prospettiva,  agrituristici).



Per ora non si va oltre il quintale di latte ma si punta ad arrivare a 2-2,5 q.li con 15 vacche. Si producono formaggella, stracchino (la tradizione) e yogurt. Quando si avrà più latte si pensa di affiancare prodotti innovativi. Produzioni modeste, ma l'azienda non è monofunzionale e si punta alla vendita diretta e al massimo di valorizzazione della materia prima.



Qualità e "naturalità" dei prodotti, qualità estetica dell'insieme, rispetto dei valori storici e culturali, rispetto dell'ambiente, sono obiettivi coerenti con la proprietà pubblica di buona parte del compendio (il comune di Oltressenda alta) e con i rapporti contrattuali con essa instaurati (una convenzione a lunghissimo termine) ma anche con la presenza del centro visitatori del parco. Una presenza che porta vantaggio al parco (in termini di presidio e gestione della struttura) ma anche all'azienda (in termini di afflusso di visitatori che potrebbero anche fruire dei servizi dell'agriturismo).
In ultimo passiamo al vecchio nucleo abitativo, che è stato oggetto di restauro conservativo (sotto il controllo della soprintendenza ai beni culturali) ed è destinato ad agriturismo. Il primo step è stato rappresentato dal ristorante da trenta coperti (per le camere e l'ostello ci sarà tempo, in relazione a rietri del piano di finanziamneto). Per completare il ristorante manca solo l'arredamento (che non potrà essere banale dato il grande impegno profuso su tutta la realizzazione). La parte strutturale (tranne i piani di calpestio ancora da posare) è ormai terminata. Questi fabbricati sono, almeno il nucleo più antico del Cinquecento. Sotto un immagine del complesso insediativo dalla balconata del ristorante. Come si vede pioveva parecchio.




Impossibile replicare simili esperienze? No, anche se non facile. Chiudiamo con le parole di Giacomo Perletti che pur non nascondendo nulla delle difficoltà incontrate (ovviamente la burocrazia esiste anche per i Bricconi), put riconoscendo le opportunità, non comuni, che hanno consentito al suo progetto di andare in porto, si è sentito di dire ai ragazzi che : "... in questa piccola valle ci sono buoni terreni che potrebbero essere utilizzati per creare altre tre aziende". E in tutta la Valseriana? Nella montagna lombarda?



 

 

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