Ruralpini  resistenza rurale

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Botulino colpisce ancora
(biogas?)





 


Mentre gli speculatori, e i loro supporter accademici e confindustriali, esultano per il "primato italiano" nel biogas, dalla bassa bresciana arriva la notizia di una strage da botulino tra le vacche da latte di un'azienda agricola. Ancora una volta (è già successo) nelle "terre del biogas". La notizia positiva è che gli allevatori delle provincie lombarde limitrofe, fedeli ai principi di solidarietà  di un tempo, hanno regalato una cinquantina di capi agli allevatori vittime della moria (gli Zani di Pralboino).
 


La strage alla cascina Rezzato di Pralboino


di Michele Corti


(05/12/2020) Non più tardi del 9 novembre scorso il giornale di Confindustria esaltava il successo italiano nel biogas.



A parte che non si capisce come si faccia a vantare una leadership quando la Germania ha 9 mila impianti, si tratta di un successo solo per l'agrispeculazione, per i venditori di impianti e le società opache proprietarie di numerose centrali (con spesso l'agricolo a fare da socio di minoranza, prestanome o poco più per costituire la srl). Un business che ha sfruttato l'equiparazione delle centrali a "opere di pubblica utilità, di relizzazione urgente e indifferibile" (autorizzate quasi a scatola chiusa) e i  vergognosi incentivi (peraltro tra quelli che sono stati attirati nella speculazione, attirati dalle sirene, parecchi sono saltati). Non tutte le centrali sono state autorizzate. Dove i comitati potevano pagare fior di esperti e di avvocati, i blitz autorizzativi sono stati fermati. In molti casi, complici le amministrazioni locali, la comunità locale veniva a sapere della realizzazione dell'impianto a - veloce - iter autorizzativo espletato. Solo in questi casi la burocrazia è velocissima e solerte (sarebbe interessante indagare sugli investimenti finanziari e immobiliari di certi dirigenti, qualcuno dei corrotti - pochissimi - è stato scoperto).

Però molti cittadini si ricordano bene, anche in Lombardia, anche in Veneto  ei n altre regioni con quanta foga certi dirigenti regionali sostenevano la causa delle centrali nei contradditori con i no biogas.




Certa imprenditoria, quella che si riconosce in confindustria, non la piccola e media impresa "classica", al giorno d'oggi non ama andare per il sottile e una rendita parassitaria legata a sovvenzioni pubbliche viene equiparata al profitto. Del resto è la vera logica del capitalismo, quella della circolazione allargata (senza limiti) del denaro come capitale che crea maggiore denaro. Cosa "muova" (nel mezzo) il denaro ha poca importanza. Che le merci rappresentino pane che sfama gli affamati, armi  che uccidono, cose inutili e dannose, inquinanti non ha importanza. "Ci sono le leggi a stabilire cosa è lecito, noi facciamo il nostro interesse". Ma le leggi le scrive chi ha il potere economico. Politici, media, esperti, ambientalisti, in vari modi "influenzati" dalla pioggia di denaro; sono pronti a giurare, parandosi le terga reciprocamente con paroloni, studi astrusi, algoritmi, sofismi, che "tutto è legittimo, tutto è sicuro, tutto è equo, tutto va bene, tutto è sostenibile".



Morte da biogas, un inchiesta del 2011 su un periodico venatorio tedesco sollevava il problema del ruolo della fauna selvatica quale vittima e vettore del botulismo legato alla proliferazione degli impianti di biogas


La recente "moria" di vacche da latte nell'azienda Zani, cascina Rezzato di Pralboino (in provincia di Brescia ma al confine con la provincia più biogassista d'Italia, Cremona) ci induce a tornare a occuparsi di biogas. Notiamo che questi episodi di botulismo non sono nuovi e avvengono in località zeppe di centrali a biogas. Nel 2015 a Grumello cremonese morirono 70 capi su 120 di un allevamento con annessa centrale.

Diamo un'occhiata a come si collocano l'azienda di Pralboino e quella di Grumello cremonese rispetto alla mappa del biogas (le vacche gialle indicano le aziende).


L'azienda di Pralboino ha centrali vicine, quella di Groppello ha essa stessa una centrale più altre tre vicine.  E qui si apre una valutazione del rischio. C'è solo se nell'azienda si spargono digestati sui terreni foraggeri? No. Il botulino lo può veicolare un animale che si è contaminato su terreni nella zona dove qualcuno ha smaltito il digestato (con la concessione del proprietario del terreno). Quello che è sicuro è che far viaggiare il digestato costa e che quindi non viene smaltito  se non nelle immediate vicinanza degli impianti di digestione anaerobica.



Prendiamo il caso di Trebaseleghe, nel padovano (non sono solo Cremona e la Lombardia appestate dal biogas). Nel 2013 vi fu un'epidemia di botulismo in un'azienda circondata dalle centrali (nel raggio di 3-4 km vi erano ben 4 impianti). Nessuno, tranne i no biogas, ha osato avanzare il sospetto di un nesso con il botulismo. Però l'Asl aveva suggerito il meccanismo: una carcassa infetta di un animale selvatico "imballata" in una rotoballa. Basterebbe anche meno: un animale infetto che sparge le sue deiezioni nel fienile.



Perche puntare il dito contro il biogas

Ruralpini ha ampiamente trattato ai tempi della proliferazione delle centrali, il tema del biogas e dei suoi rischi biologici. Riferì del prof. Helge Böhnel di Göttingen, un'autorità in materia di botulismo che pèer primo mise in relazione il biogas con il botulismo nel bestiame (qui il link alla presentazione dell'esperto tedesco al convegno di Capalbio del 13 ottobre 2012.

Qui, invece, (apri il link) l'articolo di Ruralpini (2011) in cui si esponevano in dettaglio le preoccupazioni dello studioso germanico (riportando anche la traduzione di un suo articolo). A Capalbio la centrale non si fece. La società che voleva realizzarla (pur forte nella sua compagine di esponenti della finanza e dell'aristocrazia milanese) si trovò di fronte i vip di sinistra (magistrati, politici) che, come noto, hanno una predilezione per il centro della Maremma grossetana. Purtroppo nella maggior parte degli altri casi l'hanno vinta i biogassisti anche di fronti a palesi elementi che avrebbero dovuto motivare dinieghi all'autorizzazione da parte delle istituzioni. Böhnel, un serio ricercatore, è stato trattato da ciarlatano dal biogassismo prenditoriale e accademico italico ma i suoi timori sono stati confermati da ricerche scientifiche successive.

In Italia non tutti gli esperti si sono allineati con la "verità ufficiale" che proclamava "il biogas è sicuro".  Gianluca Scolari, docente di microbiologia alimentare  dell'Università cattolica di Piacenza, scriveva nel 2013 (vai al link) : Ci sentiamo di affermare che la sicurezza microbiologica della digestione anaerobica è da considerarsi tutt'altro che dimostrata. Restò una vox clamans in deserto.
 

Nel 2014 venne pubblicato un lavoro di un gruppo di microbiologi della facoltà di medicina veterinaria dell'Università di Lipsia che metteva in evidenza, confermando Böhnel, come  il rischio di diffusione di Clostridi patogeni da parte delle sempre più numerose centrali a biogas fosse più grave di quanto sinora indicato. Nei campioni di digestato erano stati rinvenuti, mediante una nuova tecnica di coltura, ben 11 specie di clostridi patogeni. I Clostridi "pizzicati" nei digestati dai ricercatori tedeschi furono: C. perfringens, C. bifermentans, C. tertium, C. butyricum, C. glycolicum, C. sordellii, C. cadaveris, C. paraputrificum, C. baratii, C. subterminale e C. sporogenes (che si sovrappone a botulinum). Tre di questi Clostridium spp. producono pericolosissime neurotossine (C. botulinum, C. butyricum e C. baratii). Gli autori concludevano: The detection of pathogenic Clostridiums pp. in BPW samples indicates that biogas plant wastes could present a biohazard risk. Clostridia can pose a significant health problem when digested residues are spread on arable land as fertilizer (il rinvenimento di clostridi patogeni nei digestati evidenzia come gli impianti a biogas possano rappresentare un pericolo di rischio. I Clostridi pongono un serio problema per la salute quando i digestati sono applicati al terreno aratorio quali fertilizzanti).

Neuhaus, J., Shehata, A. A., & Krüger, M. (2015). Detection of pathogenic clostridia in biogas plant wastes. Folia microbiologica, 60 (1), 15-19.

Un altro lavoro, del 2015, correlato al precedente, arrivava alle seguenti conclusioni dopo aver analizzato i digestati di 84 centrali a biogas con presenza di vacche da latte affette da botulismo cronico

In conclusion, the occurrence of BoNT [botulinic toxins]and C. botulinum spores in biogas waste of diseased animals indicates an increased and underestimated hygienic risk. Application of digestates from biogas fermentations as fertilizers could lead to an accumulation of long life span spores in the environment and could be a possible health hazard (in conclusione, la presenza di BoNT [tossine botuliniche] e spore di C. botulinum nei rifiuti biogas di animali malati indica un rischio igienico aumentato e sottostimato L'applicazione di digestati da fermentazioni di biogas come fertilizzanti potrebbe portare ad un accumulo di spore di lunga durata nell'ambiente e potrebbe essere un possibile pericolo per la salute).

Neuhaus, J., Schrödl, W., Shehata, A. A., & Krüger, M. (2015). Detection of Clostridium botulinum in liquid manure and biogas plant wastes. Folia microbiologica, 60(5), 451-456.

In un lavoro, questa volta di un gruppo francese, del 2019, su 5 impianti a biogas analizzati, 4 presentavano C. botulinum nei digestati. Le conclusioni rafforzavano la considerazione che il biogas non attenua la presenza di patogeni: The level of pathogenic bacteria in both manure and digestate suggested that some bacteria can persist throughout AD [anaerobic digestion] (Il grado di presenza di batteri patogeni nei reflui zootecnici e nei digestati indica che alcune specie batteriche sopravvivono alla digestione anaerobica) 

Le Maréchal, C., Druilhe, C., Repérant, E., Boscher, E., Rouxel, S., Le Roux, S., ... & Barbut, F. (2019). Evaluation of the occurrence of sporulating and nonsporulating pathogenic bacteria in manure and in digestate of five agricultural biogas plants. MicrobiologyOpen, 8(10), e872.


Chi non è addetro al problema potrebbe concludere: beh ma se anche nei liquami zootecnici possono esserci batteri patogeni perché preoccuparsi tanto del biogas?  Il motivo è semplice: in una centrale a biogas possono affluire reflui di più allevamenti (ve ne sono anche di consortili). Se una delle aziende è colpita da una malattia provocata da batteri patogeni rischia di infettare le altre. Le aziende che conferiscono i liquami devono anche, di regola, riprendersi lo "scarto" (il digestato"). Ma ci sono altri rischi ancora peggiori: i sostenitori del biogas hanno sempre spinto per ampliare l'uso dei digestati rispetto ai reflui zootecnici; essi vantano che il digestato è un ottimo ammendante, un ottimo concime e lo spingono anche per le produzioni vegetali in genere, non solo per concimare le colture foraggere per l'alimentazione del bestiame. Così si allarga la possibilità di contaminare gli animali e il consumatore (di prodotti vegetali direttamente o, indirettamente, animali).

 

I rischi microbiologici del biogas non si limitano al botulismo.  Chi desidera approfontire il tema può leggersi questo articolo di Ruralpini del 2012 (" Codigestione è un bio-azzardo) (con ampia bibliografia scientifica) sul tema In Italia le indagini condotte dagli enti regionali di sperimentazione e ricerca in agricoltura hanno sempre dato esito negativo ("niente clostridi patogeni nel biogas, la digestione anaerobica è sicura").

Solo in un caso la musica è cambiata. A dimostrazione che, quando la ricerca è  finanziata da chi desidera ottenere certi risultati, il risultato... è noto in partenza. Mel 2009, in vista dell'incipiente boom del biogas, il Consorzio del Parmigiano Reggiano,  Clostridium tyrobutyricum la pubblicazione si riferiva alle prove sperimentali condotte nel 2009 dal Crpa, con il finanziamento dalla regione e con il contributo del Consorzio del Parmigiano-Reggiano, tese a verificare gli effetti del processo di digestione anaerobica sulla presenza di spore di Clostriidi introdotte negli impianti di biogas tramite liquami bovini tal quali o addizionati di altre frazioni fermentescibili. Le conclusioni erano univoche:

Alla domanda se le spore di clostridi aumentano oppure no nei digestati in uscita dagli impianti di biogas rispetto a quelle presenti nei materiali in ingresso, la sperimentazione condotta consente di rispondere che le spore aumentano nei digestati provenienti da digestori alimentati con insilati e liquame, mentre non aumentano nei digestori alimentati con solo liquame. I risultati ottenuti danno conto dell’attenzione che deve essere posta nello sviluppo di una pratica innovativa che può portare ad unarricchimento in spore del materiale organico destinato ad essere utilizzato come concime.
Ciò avvalora le ragioni alla base dell’adozione da parte della Regione Emilia-Romagna volto a evitare un accumulo di spore nel ciclo produttivo del Parmigiano- Reggiano.

Nel 2017 il Crpa si rimangiava in parte quanto sostenuto in precedenza (il biogas è un business troppo forte e legambiente lo sostiene a spada tratta, quindi a contestarlo si va contro a un blocco di interessi impenetrabile). In un nuovo rapporto di ricerca arrivava a concludere che, sì i clostridi nei digestati aumentano ma poco ma che, tutto sommato sono come i liquami (vai a vedere). Ricordiamoci, però, che al CRPA erano sempre preoccupati di quelli che provocano le "malattie" del formaggio.

Ricapitoliamo per far comprendere la faccenda, che altrimenti può apparire contorta: nel formaggio le spore dei clostridi arrivano perché sono presenti nel latte. Sono presenti nel latte perché può essere contaminato con le feci degli animali o con il foraggio o con il terriccio (imbrattati dagli animali in stalla o in campo con la distribuzione dei liquami e dei digestati, che sono la "cacca" del biogas in quanto grande apparato digerente dove far confluire ogni "scarto" e amche i rifiuti).

Nel formaggio le spore, che hanno il brutto vizio di resistere "in sonno" per anni (protette da una capsula "corazzata") riprendono l'attività in condizioni ambientali favorevoli e, dopo mesi dalla produzione delle forme di grana, iniziano la loro attività fermentativa nel cuore della forma, sempre in assenza di ossigeno perché sono organismi anaerobi. La fermentazione produce CO2, gas, che fa gonfiare il formaggio come un pallone, compromettendone comunque il valore anche quando si recupera qualcosa (finisce in alimenti per animali o formaggi fusi). Per evitare questo grave inconveniente, il Consorzio del parmigiano-reggiano vieta, per l'alimentazione delle vacche da latte addette alla produzione del noto formaggio dop, i foraggi insilati (foraggi conservati, "fasciati" compresi,  in assenza di ossigeno, ovvero in ambiente favorevole - come il terreno asfittico, come l'intestino, come un digestore per biogas - ai famigerati e pericolosi clostridi). Il grana padano che, invece, consente l'uso degli insilati, non può rinunciare a utilizzare un conservante, un antifermentativo, sotto la specie del lisozima, una proteina dell'albume dell'uovo. Altrimenti i clostridi farebbero strage di forme.


In Emilia, dove sono state realizzate le centrali a biogas si è spinta la produzione di mais insilato (con le sue brave spore di Clostridi), utilizzando in abbondanza l'acqua di irrigazione (nonostante sia più scarsa che in Lombardia).  Per timore di vedere i digestati da biogas sparsi sui terreni delle aziende che producono latte per il parmigiano-reggiano resta  in vigore la delibera del consiglio regionale dell'Emilia- Romagna (n. 51 del 26 luglio 2011) che valutava l'area del formaggio dop "non idonea" all'installazione di impianti di biogas. Non solo ma nelle linee-guida nazionali per la localizzazione delle centrali la produzione di prodotti dop e doc veniva fatta valere come uno dei pochi motivi di "non idoneità" dei siti. Un Brunello prodotto con accanto una biogas non lo paga più nessuno quei prezzi.
Ma anche in Emilia, anche nella zona del parmigiano-reggiano, alla fine le centrali le hanno fatte. Con la clausola che i digestati se li portassero "fuori area".  Ma che i digestati vengano smaltiti a chilometri di distanza non ci crede nessuno. I tantissimi casi di gravi inquinamenti di terreni e corsi d'acqua trasformati in discariche di digestati stanno lì a dimostrarlo. Ciò che conta è che il principio di precauzione, rispetto ai clostridi, è valso solo quando di mezzo c'è stato l'interesse economico dei produttori di parmigiano-reggiano. Ma i meccanismi con i quali i clostridi possono contaminare i formaggi sono analoghi a quelli con i quali cossono arrivare all'uomo.