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strachì biologico (storia, tradizione ed ecologia vanno in comune accordo). Caseificio e centro agricoltura sono realizzati recuperando fabbricati storici del comune grazie al lavoro degli allevatori-muratori. 

 
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Cultura  - Cibo territoriale - Turismo consapevole


Con le sue attività

Cà Berizzi stimola

il turismo rurale

nelle Orobie 


L'antica dimora, dopo un lungo abbandono, riprende vita nel modo migliore. Non all'insegna non di programmi turistici o culturali prefabbricati, ma attingendo da  un'esperienza ventennale di lavoro culturale proposte originali

di Michele Corti


(03.09.16) Ancora un evento sul tema bergamì e stracchini  ieri sera a Cà Berizzi. I bergamini sono, chi legge Ruralpini lo sa già, un leit-motiv che caratterizza una parte importante del lavoro del Centro studi valle Imagna fatto di editoria, video, ricerche ma anche iniziative turistiche. Il sodalizio da vent'anni opera con inusuale continuità e intensità macinando progetti che a differenza di molti altri - pensati per far girare un po' di soldi - lasciano qualcosadi duraturo, fanno sedimentazione, crescita lungo una traiettoria ben definita.

Vent'anni di lavoro coerente e caparbio

L'amore per la propria terra ha mosso Giorgio Locatelli e Antonio Carminati, il primo presidente, il secondo direttore, del Centro, ha intraprendere come sindaci di Corna e come rappresentanti del Centro studi una serie di progetti che hanno lasciato il segno. Oggi a Corna si guarda come un centro di cultura e turismo ma, sino a pochi anni fa, era un paese senza un posto letto turistico, dove gli ex contadini, gli ex bergamì partivano con la mattina presto con i furgonici per andare a lavorare nei cantieri a Milano e anche più lontano.Oggi c'è L' Antica locanda Roncaglia,  una realtà che ormai "gira" con l'osteria (che esisteva anticamente), le camere (mobili d'epoca) e frequanti eventi legati alla cultura locale (gastronomica, ma non solo),  il campeggio attrezzato per scout San Luigi, l'ostello "Il sentiero" a Brancilione e, ultimo arrivato, il fiore all'occhiello, la BibliOsteria che occupa una parte di Cà Berizzi, centro agricolo e residenza signorile del XVIII secolo.


Nell'estate 2015 vi è stata l'inaugurazione della Biblioteca Costantino Locatelli, quest'estate, invece, quella della struttura di "ospitalità rurale" (cucina, quattro camere, due sale riunioni). L'insieme costituisce la BibliOsteria. Ho avuto già modo di parlarne in occasione del "Cammino dei bergamini", un evento - con due pernottamenti lungo il percorso - che si è concluso proprio a Cà Berizzi (i partecipanti hanno avuto l'onore di "collaudare" le camere con grande soddisfazione, specie dopo la tappa di Morterone, caratterizzata da un'ospitalità simpatica ma un po' troppo "spartana" che  appare limitativa per estendere queste proposte di turismo culturale ad un target internazionale ( ma anche al pubblico lombardo e italiano interessato a questo tipo di attività turistiche). Quest'ultimo, sia per considerazioni anagrafiche che per gusti ed esperienza, si aspetta (legittimamente) anche in montagna alcuni comfort. Non si tratta di viziare il turista ma di pensare che, per ricompensare la fatica di una camminata è necessario offrire minimo di servizi mirati al benessere e al relax dell'ospite.Non si pretende una Spa in ogni struttura ma almeno un bagno ogni due camere con dei sanitari non troppo usurati dal tempo e una cabina doccia ugualmente in buono stato. 


A Cà Berizzi, però, c'è ben di più della fredda "qualità del servizio", quella burocratica che attribuisce le qualificazioni delle strutture alberghiere, c'è l'altro elemento (oltre a un minimo di wellness) che il turista desidera: un atmosfera che racconta qualcosa, uno stile del luogo. Luogo inteso come territorio ma anche proprio locus particolare, come può essere una dimora storica come Cà Berizzi.  Cà Berizzi, in contrada Regorda, era la dimora di una famiglia che aveva estese proprietà terriere (ovviamente relativamente all'estensione delle superfici coltivate in montagna) e quindi fungeva da magazzino di derrate, con tanto di torchio e di botti per la conservazione del vino. Disponeva di una cappella (dove il parroco celebrava una messa)e di numerose camere per l'alloggio della famiglia e della servitù). Per rappresentando un complesso signorile Cà Berizzi venne edificata utilizzando il linguaggio architettonico locale elevandolo dalla dimensione dello stretto funzionalismo delle stalle-fienile a quella della dimora complessa . Di qui il suo valore simbolico di Cà berizzi che ha contribuito in modo importante alla definizione di un'identità architettonica ben riconoscibile, in quanto capace di esprimersianche fuori dalla dimensione "rustica".  Un bellissimo, quasi commovente, "filo rosso" con il passato è rappresentato dai libri. Ieri sera Antonio Carminati spiegava ai commensali come parecchi dei libri che una volta erano nella biblioteca della Cà sono "tornati a casa" con la loro donazione al Centro studi da parte degli eredi Berizzi. Un tempo c'erano anche quadri di pregio poi, nel dopoguerra, la famiglia che si era già trasferita da tempo a Bergamo (i Berizzi erano notai e avvocati)tornava solo per pochi giorni e iniziò il declino. Parlando della storia di questa dimora i decenni scorrono veloci. Con il crollo della civiltà rurale la funzione del centro agricolo venne meno e la proprietà venne ceduta al comune e la dimora divenne un rudere. Nel 1977 il comune, privo di risorse la cedette alla provincia. Furono eseguiti importanti (ma non sempre accurati) restauri usufruendo di fondi europei poi lo stop. Nel 2011 la proprietà tornò (tranne una quota di minoranza) al comune che ha concesso in parte il bene in comodato al Cnetro studi. Con la consueta

Un luogo che trasmette un senso

Una dimora storica, se restaurata con intelligenza e amore, trasmette (a chi sa drizzare le antenne) quel senso di immersione nel flusso del tempo e di immedesimazione nello spirito del luogo che crea una sorta di empatia con le vicende di chi vi ha vissuto e di una sensazione di continuità che va oltre noi stessi (prigionieri del processo di individuazione esasperata della modernità e poco propensi a concepirci come parte di qualche cosa che c'era prima e ci sarà dopo di noi). All'opposto i non luoghi - come certi alberghi di certe catene alberghiere interazionali - che replicano lo stesso ambiente ovunque producono l'effetto opposto: tutto è ripetitivo, non c'è storia, non c'è differenza. L'unica realtà "particolare" in questi non luoghi siamo noi stessi, ma ciò ci rinchiude ancor più nella prigione dell'ego (e non vedendo altro che noi stessi siamo angosciati dalla malattia e dalla morte). È fuori luogo associare ad una cosa "leggera" come il turismo queste considerazioni? Affatto, perché il "turismo" (ma forse sarebbe meglio utilizzare altre parole) non è, quantomeno non è più, un tempo "di svago", una forma di consumo (del reddito e del tempo) ma ha assunto un ruolo fondamentale nelle strategie personali e collettive di recupero di senso.
Valorizzare i luoghi per quello che sono in grado di raccontare della loro storia e trasmettere al turista esperienze ed emozioni implica rispetto, attenzione ai particolari, "ascolto". A Cà Berizzi i vecchi libri conferiscono, insieme ad alcuni elementi originali (travature della copertura, architravi, montanti, camini) una "patina" che rende credibile la
narrazione. Poi è necessario anche uno "stile", qualche elemento di originalità. Originalità: le camere

In ogni stanza si trovano dei fondi librari con temi differenti: una ospita un fondo dedicato alla a volumi sulla Montagna donati dal giornalista Pino Capellini; un’altra contiene le pubblicazioni (più di 100) del fotografo Pepi Merisio, per la prima volta raccolte tutte in un solo luogo, un ultimo ambiente è destinato ai volumi della casa editrice Jaca Book. Tutti i volumi sono in consultazione per gli ospiti. Un paradiso per i bibliofili. Quanto allo stile un programma come Cà berizzi richiede attenzione alla coerenza con il contesto signorile. Non è possibile scadere nella qualità del servizio. Una tovaglia bianca (scende poco, però) da questo punto di vista, insieme a calici da vino borgogna, sono elementi indispensabili per mantenere uno stile"coordinato". Da apprezzare quanto più i prezzi sono da osteria e non da ristorante con qualche pretesa.

Oltre l'alibi (per inerzie e offerta scadente) del "turismo di prossimità"

Certo c'è il turismo dei "parchi tematici", dell'emozione prefabbricata ma c'è un turismo che ha "fame" di esperienze relazionali, di chiavi di lettura della realtà. La differenza rispetto ad altre esperienze sociali consiste forse nel fatto che, in quella turistica, è importante la dimensione dell'emozione (che può anche non essere quella "facile" e prefabbricata) e della novità. Da quando all'opposto del globo si rischia di trovare lo stesso cibo, gli stessi alberghi, lo stesso tutto di quello che si trova a casa (inframmezzate da qualche paesaggio cartolina o esperienza "per turisti") un turismo intelligente si può fare anche a pochi chilometri da casa. Così le nostre valli (sia consentito il nostre da parte di un milanese che ama le Orobie con la famigliaritàdi chi  da bambino ha conosciuto e frequentato - sia pure da "villeggiante" o "baby sciatore" le valli orobiche) sono, in questi ultimi anni, complice anche la crisi, in via di affrancamento da quel "turismo di prossimità" che giocava come alibi per giustificare scarsa qualità, scarsa professionalizzazione. Le Orobie sono bellissime ma si è fatto di tutto per far scappare il turista verso altre montagne. E siccome quello delle "famiglie" non c'è più e persino chi ha acquistato la villetta a schiera non si fa più vedere bisogna provvedere a darsi da fare.

Le grandi risorse delle Orobie e le intuizioni del Centro studi

Non sto a ripetere quello che ho già avuto in diverse occasioni di ribadire circa il "brand Orobie", le "vie dei formaggi principi delle Orobie" ecc. Se non per osservare che le Orobie, accessibili da Milano e da Orio al Serio, in connessione con il sistema turistico "lago di Como" e "Valtellina-Livigno-Val Poschiavo" sono ancora in uno stadio primordiale di sviluppo del potenziale turistico solo per la scarsa lungimiranza degli attori locali e inguaribili campanilismi. Il Centro studi valle Imagna, insieme a qualche operatore turistico e agrituristico (che hanno saputo - con i propri mezzi e la propria capacità imprenditoriale - crearsi una propria reputazione e visibilità) e, alla stella solitaria dell'ex bitto storico in campo agroalimentare, rappresentano le risorse, le "emergenze" (da un panorama purtroppo mediocre) sulle quali costruire reti in grado di spronare anche i meno lungimiranti a mettersi in cammino. Torna inevitabile riferirsi ancora al Centro studiche ha saputo uscire da una visione della cultura quale elemento da conservare, lustrare, mettere in mostra (tutto sommato sconnessa dalle dinamiche sociali e dalla ricerca di soluzioni atte a creare opportunità per il futuro). Che ha saputo "sporcarsi le mani" con i progetti nel recupero edilizio e persino in progetti turistici. Una cultura che è solo "consumo", che chiede risorse senza produrre sviluppo si condanna da sola. E dal momento che personaggi come Carminati e Locatelli alla cultura della loro valle, della loro comunità, ci tenevano immensamente e non volevano accettare che svanisse, si sono dati da fare per fare della cultura rurale una risorsa. Un percorso obbligato nella crisi del modello economico basato sulla monocoltura dell'edilizia (i famosi furgoncini carichi di artigiani e operai specializzati). Non credendo nella sostenibilità di un'oasi felice ma nella necessità di sviluppare il progetto locale all'interno di reti locali, il Centro studi da tempo si pone come soggetto di stimolo rispetto alla realtà dei comuni dell'alta valle Imagna ma anche della val Taleggio e della val Brembilla (guardando attraverso quel territorio particolare che è Morterone) anche alla Valsassina. Il Centro studi è stato tra più convinti sostenitori del progetto "Principi delle Orobie" (il 27 marzo 2015 è stata organizzata alla Locanda Roncaglia una bella serata bitto storico - stracchino all'antica per sottolineare l'importanza di create un collegamento attraverso la dorsale orobica occidentale tra questi due punti di forza: il Centro studi e il Centro dell' (ex) bitto storico. Se Expo invece di lanciare il progetto "principi delle Orobie" l'ha dirottato su un binario morto (almeno per ora), a smuovere le acque ci ha pensato il Centro studi  che il 18 agosto, ha organizzato un secondo (più breve, ma in notturna) "cammino dei bergamini" tra Fuipiano e l'alpe Valmana alla Costa del Pallio (sul crinale tra valle Imagna e val Taleggio ma in comune di Morterone, quindi in Valsassina e in provincia di Lecco). Una specie di "terra di tutti e di nessuno" che è ideale per un incontro tra le valli (Imagna, Taleggio, sassina e anche Brembilla). Nonostante implicasse la camminata notturna dopo cena il convegno ha visto una buona parteciupazione (50 convitati ) La giornata prevedeva anche un convegno (sotto) per discutere dell'avvio di una "via degli stracchni e della pietra", che - nel progetto "principi delle Orobie" costituisce un primo segmento, seguito da quella "del bitto e del ferro"(vedi il recentissimo articolo di Ruralpini sulla "via del bitto").

Un'estate intensa

Oltre alle due "camminate dei bergamini" questa estate è stata organizzata dal Centro studi il 6 agosto è stata organizzata anche una traversata a piedi da Fuipiano a Morterone e ritorno oltre a diverse proiezioni (la corte della Cà si presta molto bene a "cinema d'estate". L'ultimo evento ha unito diversi elementi che rappresentano il cuore della proposta culturale del Centro. La strada dello stracchino è un'opportunità per immergersi nel paesaggio punteggiato di prati e cascine-fienile dalla caratteristica copertura con piöde locali di pietra carbonatica a forte inclinazione e con la caratteristica apertura a T (che è ripresa nel logo del centro studi). Molta dell'attività del Centro ruota sulla "civiltà degli stracchini e dei bergamini" come  testimonia il ricco catalogo ed è stato quindi naturale dedicare l'evento che chiude un ciclo estivo a loro: gli stracchini e i loro artefici: i bergamini.

La serata si è articolata in tra momenti: la degustazione guidata di tre stracchini locali (due di Corna: quello della coop il Tesoro della bruna e quello di Osvaldo Locatelli) e uno "fatto in stalla come una volta" da Carlì, un anziano contadino con una vita da bergamì (scendeva alla Bassa in ransumanza) alle spalle. Guidata da Grazia Mercalli, maestro assaggiatore e responsabile Onaf di Bergamo la degustazione, pur nello spazio limitato prima della cena, ha consentito ai presenti di conoscere aspetti della produzione artigianale e delle caratteristiche dello "stracchino all'antica" poco conosciute dal consumatore ordinario abituato ai taleggi dop prodotti dai grandi caseifici della pianura bergamasca e bresciana. All'interessante degustazione (che merita un ulteriore incontro con tempi più dilatati per consentire un maggiore coinvolgimentodei partecipanti) è seguita una cena per presentare un piatto della tradizione: la pult. Il Centro studi ha pubblicato diversi titoli sulla cucina locale e bergamasca, anche riprendendo antichi ricettari. La Locanda Roncaglia e Cà Berizzi sono diventati i "bracci secolari" che consentono di tradurre il lavoro di ricerca in ... preparazioni da gustare non solo con la lettura ma anche con il palato.

Con il chiaro scopo di rendere più diversificato e vivace il panorama della ristorazione "tipica" (esclusi i locali che fanno ricerca) che spesso è un po' ripetitiva.  Ne derivano anche occasioni di serate come questa in cui  i piatti sono mangiati ma anche "parlati", commentati. Alcuni commensali  ricordavano di aver consulato la pult da bambini con lo zucchero. Così sui tavoli sono apparse sia formaggiere che zuccheriere e ciò è stato argomemto di conversazione. Ma cos'è la pult? Una polentina morbida cotta nel latte dove alla farina gialla e un po' di farina bianca. Prima delle grandi carestie del XVII secolo e della rapida propagazione della coltura del mais, si preparavano pult con farina di segale, farro, fraina, miglio, sorgo, orzo, riso e, naturalmente, frumento, per quanto questo cereale potesse essere disponibile. Dalla metà del Settecento, il mais sostituì quasi completamente (soprattutto nei territori di montagna) le altre colture cerealicole e la polenta gialla sostituì sia il pane sia buona parte del companatico. Il risultato fu un dramma sociale: la pellagra. Oggi quel dramma è stato archiviato (con sollievo dei sensi di colpa delle "classi dirigenti") e la polenta (se ben fatta con la farina adatta, non quella di mais dentato buono per il bestiame, usato perché più produttivo). Ma la pult è molto più antica e qualla che abbiamo consumata ieri sera è il diretto antenato di preparazioni preistoriche (vedi la figura sopra).


Figura tratta da: M.Riva, R. Nistri, M. Paolazzi, Per un codice della cucina lombarda, Regione Lombardia, Milano, 2001


 La serata si è conclusa con la proiezione del film "Il tesoro della bruna" di Michele Melesi che ha consentito di apprezzare la testimonianza, resa in tutta naturalezza, di Carlì il bergamì  la cui presenza in carne e ossa era prevista anche per la cena. Con il suo stracchino "all'antica" e con le sue immagini e la sua voce rassicurante nel raccontare senza fronzoli la vita dei bergamì è stato comunque ben presente.








 

 

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