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Come si concretizza la componente storico-identitaria dei sistemi agroalimentari? Dal nostro punto di vista attraverso l'individuazione di sistemi territoriali fortemente ancorati alle tradizioni locali
di Michele Corti
I sistemi di produzione agroalimentare
territoriali a valenza storico-identitaria
Il contenuto storico-identitario è inscindibile da un
contesto locale ben preciso. Ha una dimensione territoriale oltre che temporale. La dimensione
territoriale è l’elemento cruciale in quanto i vari elementi di un sistema
produttivo (tecniche, attrezzi, strutture edilizie, forme del paesaggio, risorse
genetiche) possono essersi sedimentati in tempi diversi ed appare del tutto riduttivo individuare 'soglie di storicità' arbitrarie. L’elemento territoriale
da forma e unità anche alla dimensione storica. Non vi è quindi sistema agroalimentare a
valenza storico-identitaria al di fuori di un sistema di produzione
agroalimentare localizzato (SLA). Quest’ultimo è definito (CISAR-SAR, 1996)
(tradouzione mia dal francese) come:
“le organizzazioni di produzione e di servizi
(aziende agricole, imprese agroalimentari, commerciali, di servizi, della
ristorazione) che per le loro caratteristiche e per il loro funzionamento sono
connesse ad un territorio specifico. I mezzi di produzione, i prodotti, gli
uomini, le loro istituzioni, i loro sistemi di saperi pratici, le loro
abitudini alimentari, le loro risorse relazionali, si combinano in un ambito
territoriale per dare vita ad una organizzazione agroalimentare a una data
scala spaziale”.
Dal momento che questa definizione può applicarsi anche a
sistemi che sono, almeno in parte, a caratterizzazione agroindustriale è bene precisare
che un sistema di produzione agroalimentare a contenuto storico-identitario non
può prescindere da un sistema di produzione agroalimentare localizzato ma che
non necessariamente un SLA assume un valore storico identitario. Per farlo il
presupposto è che la filiera locale sia costituita da imprese a piccola scala
per le quali l’inserimento nella filiera locale piuttosto che in quella globale
rappresenti una condizione ‘naturale’ tale da presentare molti più vantaggi che
svantaggi rispetto all’opzione ‘globale’. Perciò le imprese di trasformazione
saranno a dimensione artigiane (o la trasformazione sarà praticata presso le stesse
aziende agricola). I canali di commercializzazione prescinderanno (di regola)
dalla GDO (salvo iniziative particolari) valorizzando l’economia di prossimità o
filiere lunghe fortemente specifiche (ristorazione di qualità, empori specializzati di
alimenti di origine territoriale di qualità).
La Regione Lombardia ha
già in parte corrisposto a questa esigenza di differenziazione tra Sistemi
locali di produzione agroalimentare operando la distinzione nell’ambito dei
Distretti agricoli di: Distretti agroalimentari di qualità e Distretti rurali.
(Individuazione, istituzione e disciplina dei distretti rurali e dei distretti
agroalimentari di qualità in Regione Lombardia - determinazione di applicazione
della L.R. N. 1/2007).
Si definiscono distretti
rurali, ai sensi del Decreto Legislativo 228/2001 i sistemi
produttivi locali caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea
derivante dall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali,
nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti
con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.
In realtà anche se la definizione di ‘distretto rurale’
parrebbe avvicinarsi maggiormente a quella di un Sistema di produzione
agroalimentare localizzato a contenuto
storico-identitario nella individuazione delle finalità dei distretti (rurali e
agroalimentari di qualità) compaiono esclusivamente finalità di ordine
economico-produttivo e, in misura minore, il riferimento alla ‘sostenibilità
ambientale, allo sviluppo delle bioenergie’ (business emergente con forti risvolti speculativi), il ‘mantenimento dell’ambiente e
del paesaggio’. C’è solo un generico riferimento alla ‘multifunzionalità’. Eco le finalità dei 'Distretti rurali':
a) favorire i processi di coesione e
correlazione tra i diversi settori produttivi presenti all'interno dei
distretti rurali ed agroalimentari di qualità;
b) sostenere la riorganizzazione delle
filiere produttive agroalimentari, ai fini di un incremento della
competitività;
c) favorire il coordinamento delle
politiche urbanistiche, ambientali, della viabilità, delle politiche sociali e
di formazione, ecc. a supporto delle attività di sviluppo distrettuali;
d) favorire la sostenibilità ambientale
anche attraverso lo sviluppo di risorse energetiche da fonti rinnovabili;
e) contribuire al mantenimento ed alla
crescita dei livelli occupazionali del settore, anche attraverso la
valorizzazione delle risorse umane disponibili;
f) favorire la creazione e il
miglioramento di strutture produttive ed infrastrutture di servizio adeguate
per le esigenze funzionali dei distretti,
g) favorire lo sviluppo di relazioni
economiche tra i soggetti del distretto in chiave interprofessionale;
h) contribuire al mantenimento
dell'ambiente e delle caratteristiche del paesaggio, attraverso la
valorizzazione della multifunzionalità dell’agricoltura
La definizione dei
distretti agricoli dimostra, se ce ne fosse bisogno, che la cultura settoriale
agriculturalista - che tuttore informa gli
orientamenti politico-amministrativi - resta sostanzialmente impermeabile
al riconoscimento del ruolo chiave degli aspetti socio antropologici dei
sistemi agricoli e rurali. Nonostante la tarda modernità non solo non ne azzeri
certo l’importanza ma, per certi
versi, la accentui.
La maggiore attenzione
agli aspetti ecologici riflette da una parte la maggiore affinità delle scienze
agrarie (almeno in una fase storica recente) con le scienze della natura rispetto a quelle sociali e la tendenza –
sempre più forte - recenti ad
accettare la dimensione ‘ambientale’ dell'agricoltura a fianco delle tradizionali dimensioni
produttive in forza delle prospettive di nuove opportunità economico-produttive
(business delle bioenergie e della altre energie ‘rinnovabili’). È evidente poi
nei riferimenti alla ‘sensibilità
ambientale’ la tendenza ad una captatio benevolentiae sulla base di un
consenso sociale quale tanto ampio quanto generico. Ben diversa la percezione
per i fatti socio-culturali percepiti da certa cultura tecnicistica come un
terreno scivoloso e pericoloso di soggettivismo e di inevitabile allineamento
ideologico, in contrapposizione ad un quadro di rassicurante, per quanto falsa,
‘neutralità ed ‘oggettività’ tecno-scientifica.
Nella definizione di un Sistema locale agroalimentare a valenza
storico-identitaria (SLASI) a differenza che nei ‘distretti agricoli’ definiti
dalla legislazione italiana e regionale emerge un ruolo centrale del fatto
‘agriculturale’. Si presuppone che tra gli attori oltre a quelli economici e
istituzionali (in senso ampio) ci siano anche quelli culturali (associazioni,
ecomusei) e che la componente culturale (anche con i risvolti educativi e
turistici) rappresenti un elemento organico, in grado di stimolare e rafforzare
il SLA producendo essa stessa
(direttamente o no) oltre a beni pubblici anche valori economici. Questo
aspetto si concretizza nella presenza nell’ambito del SLASI di una o più
filiere agriculturali. In ogni caso un SLASI non può che essere multifunzionale
e garantire un buon equilibrio nella produzione di beni pubblici e di valori di
mercato. La dimensione territoriale del Slasi in base a questi presupposti di
localizzazione ‘stretta’ risulterà di necessità più ridotta rispetto ai SLA che
possono avere dimensione anche sopraprovinciale e sovra regionale. Sempre con
rif. al quadro amministrativo italiano, la dimensione di un SLASI è comunale,
sovra comunale, di valle anche se, sulla base della realtà frazionata dello
spazio rurale ad un modello di forte concentrazione geografica può affiancarsi
anche quello dell’arcipelago (sempre comunque nell’ambito di un territorio
definito). La presenza nell’ambito del SLASI di centri di maggiori dimensioni rispetto
a quelli rurali è legata alle funzioni di servizio (ristorazione, rivendite)
tenendo presente che è auspicabile il decentramento sulla stessa scala della
produzione agroalimentare dei servizi culturali e turistici (privilegiando
strutture ‘leggere’ e forme di ospitalità quali B&B, albergo diffuso,
agriturismi, rifugi di montagna e favorendo la plurifunzionalità degli spazi al
tempo stesso produttivi, culturali, turistici).
Rispetto a un SLA spesso dominato da attori espressione del
comparto della trasformazione agroalimentare industriale o semi-industriale nel
SLASI gli attori agricoli mantengono un ruolo preminente grazie ad un approccio
orientato al servizio e al consumatore finale (e non al prodotto) che fa leva
su una fruizione legata alla produzione in termini di prossimità fisica e che
privilegia la valorizzazione commerciale attraverso i canali locali del turismo
rurale e il coinvolgimento di una pluralità di soggetti locali rispetto ai
quali la componente agricola mantiene contatti diretti senza perdere ‘il
pallino’, senza che si creino ‘colli di bottiglia’.
La dimensione tradizionale implica una continuità temporale
e il passaggio da generazione a generazione ma il sistema di saperi territorialmente
ancorati (territorial anchored know-how (Bouche et al., 2009) sui cui poggia lo
SLASI è situato, oltre che territorialmente, anche in un dato tempo (l’oggi) e non
è dato una volta per tutte ma, pur essendo un prodotto cumulativo nel tempo
(nocciolo della ‘tradizione’) è un complesso sistema di adattamento.
Nell’ambito del SLASI è fondamentale l’importanza dei ‘saperi
impliciti’ (know-how). Essi si
distinguono dai sistemi di conoscenza formali perché non possono essere
replicati o trasferiti o venduti. Alla trasmissione dei ‘saperi impliciti’
presiede una ‘comunità di pratica’ (Wenger)
che opera sulla base dello scambio reciproco, del ‘learning by doing’
all’interno d reti socio tecniche (Latour). In un SLASI saperi impliciti e
comunità d pratica appaiono modalità prevalenti rispetto ai ‘saperi esperti’ e
ai meccanismi di trasmissione formale delle conoscenza ‘up to bottom’. Tutto
ciò no significa fissità e mancanza di innovazione (‘comunità di pratica’ sono
quelle dei pastori ma anche quelle degli esperti informatici).
Come dei ‘distretti’ gli SLASI sono ambito di diffusione
dell’innovazione. Innovazione che non riguarda principalmente l’aspetto
tecnologico (anche se certe nuove tecnologie, specie nel campo informatico,
possono inserirsi in un contesto tradizionale per salvaguardarne il nocciolo e
consentire un adattamento alle condizioni attuali meglio delle soluzioni
tecnologiche (e dei sistemi organizzativi)
rigidi della cultura industrialista. Però le innovazioni promosse e
diffuse da un SLASI sono legate principalmente a nuovi schemi di relazione tra
gli attori, a nuove forme ‘creative’ di comunicazione e di commercializzazione
(varie forme di filiera corta) e allo sviluppo di servizi immateriali
(educativi, culturali) in connessione con l’attività agroalimentare. Va anche
ricordato che la distinzione netta tra tradizioni tecniche che si perpetuano in
modo ‘naturalistico’ (sulla base di consuetudini assunte inconsapevolmente) e sistemi ‘moderni’ basati sull’innovazione intenzionale è da rivedere
perché anche nella tradizione non è estranea una componente di intenzionalità
che si esprime come volontà di differenziazione, di marcatura identitaria.
La forte caratterizzazione simbolica delle produzioni
agroalimentare a valenza storico-culturale è legata alla prossimità fisica;
questa rimanda ad una capacità d’ uso della biodiversità La dimensione territoriale quindi raccorda l’elemento di conservazione delle
risorse naturali e culturali che, in definitiva, sono anche il frutto di una
coevoluzione (non meccanistica).
La fase di produzione di un prodotto agro-alimentare a
valenza storico-culturale implica la valorizzazione e quindi la
rifunzionalizzazione di risorse bioculturali (varietà di piante, razze di
animali, tipi di pascoli), sistemi di conoscenze, forme di uso del suolo e di
organizzazione del paesaggio, l’uso di specifici manufatti (utensili, fabbricati produttivi). Le
peculiarità del prodotto a valenza storico-culturale rimandano spesso a
specifici luoghi e contesti spazio-temporali non solo per la produzione ma
anche per il consumo. La rifunzionalizzazone di questi nessi crea un sistema
coerente di elementi di riconoscimento identitario che consente di sfuggire ad
alcuni rischi connessi nel ‘recupero’ di elementi isolati di questi complessi
di patrimoni (materiali e immateriali). Sono esempi frequenti i costosi
interventi di musealizzazione di fabbricati già adibiti alla trasformazione agroalimentare, la riproposizione di eventi
celebrativi del ciclo di produzione agroalimentare in forma di ‘Sagre’ o pseudo
tali che – nel migliore dei casi – si riducono ad occasioni di generica
socializzazione.
Controllo dal basso
Un SLASI rappresenta uno strumento con il quale le comunità
e gli attori locali possono garantire un uso sostenibile delle risorse
territoriali di cui sono i custodi grazie al fatto che sono esse stesse le beneficiarie del processo
di patrimonializzazione e protagoniste di un complesso di azioni marcate da
approcci radicalmente differenti rispetto al tecnocraticismo e ai vari
‘monofunzionalismi’ (agricolturalista, culturalista, ambientalista). La qualificazione storico-identitaria a differenza
di altri sistemi di qualificazione della ‘tipicità’ è più difficilmente
soggetta ai processi di esproprio perché basata su una dimensione collettiva e
un approccio partecipativo. Legati a una comunità di pratica vivente e non a
‘disciplinari’ gli elementi della ‘tipicità’ valorizzati da un SLASI (e
comprensive delle filiere agriculturali e dei prodotti originali a valenza
storico-identitaria) sono difficilmente espropriabili da parte di soggetti
esterni o di soggetti interni alla realtà territoriale ma in connessione con
filiere globali. Non è possibile la ‘riproducibilità’ al di fuori del contesto.
Grazie alla forma partecipata il SLASI diventa anche una base
di negoziazione (per esempio rispetto ai sistemi di regolazione burocratica), di
ricerca di consenso e di progettualità.
Implementazione di valori interconnessi
La ‘riconessione’ di questi elementi tecnici, cognitivi,
culturale, relazionali può essere anche strumento di una ripresa di stewardship
dello spazio rurale attraverso il riuso delle risorse locali abbandonate in
favore dell’impiego di input delocalizzati e deculturalizzati. Ciò significa
in termini economici e occupazionali lo spostamento da interventi costosi
ingegneristici (che coinvolgono marginalmente le forze locali) a interventi
‘impliciti’ e ‘capillari’ con costi ridotti e maggiori ricadute in termini di
circolazione economica locale.
Sul fronte delle connessioni tra valori ambientali e
culturali è da tempo matura l’acquisizione dello stretto nesso tra diversità e
ricchezza culturale da una parte e biodiversità dall’altra. Oltre al
mantenimento delle risorse bioculturali citate (componente stessa dei fattori
produttivi) la rivitalizzazione di sistemi di produzione tradizionali a valenza
storico-culturale implica una elevata differenziazione dell’habitat con nicchie
per le specie selvatiche e la massimizzazione della biodiversità (che invece è
minima con i sistemi di agricoltura e allevamento industriali).
Il ‘paesaggio culturale’ connesso ai sistemi di produzione
agro-alimentari storici oltre che
‘biodiverso’ presenta anche un più elevato valore di qualità visuale e un grado
maggiore di ‘amenità’ anche dal punto di vista delle forme di fruizione
ricreativa.
All’offerta di alimenti con connotati di autentica
‘località’ legati a insiemi coerenti di fattori la valorizzazione dei contesti
produttivi a valenza storico-culturale è legata un’offerta complessa di beni e
servizi che si auto rafforza e crea le condizioni per iniziative di piccola
recettività turistica, produzione di beni e offerta di servizi da parte di
aziende artigiane e del settore turistico (ristorazione di qualità
territoriale), opportunità di occasioni di lavoro in campo culturale,
educativo, di animazione.
La ‘certificazione’ del sistema locale di produzione agro-alimentare
a valenza storico-identitaria unitamente alla predisposizione di strumenti di
visibilità verso l’esterno (rete dei sistemi locali) e di ‘fruizione’ integrata
nell’ambito territoriale integrata (supportata da idonei strument)i rappresenta
il presupposto per una valorizzazione turistica del sistema stesso che assume
significato grazie alla presenza di un ‘indotto’ che – in termini di valori
economici – oltrepassa il valore della produzione agro-alimentare in sé.
L’offerta turistica connessa al sistema locale
agro-alimentare si qualifica per caratteri di: autenticità, esperienze
coinvolgenti e originali, professionalizzazione e consapevolezza degli attori
locali (assicurata dal ‘filo conduttore’ tematico e da strumenti di
partecipazione e auto-organizzazione)
Elementi a supporto della valorizzazione turistica possono
essere rappresentati da: eventi ricorrenti, percorsi tematici, animazioni,
centri di documentazione e interpretazione, pacchetti comprendenti eventi
gastronomici, visite guidate sui luoghi di produzione e immersione nel
‘paesaggio culturale produttivo. Le proposte turistiche sono caratterizzare da
un contenuto educativo (edutainment) che si prestano anche a fornire contenuti
e format per attività rivolte alle scuole (locali e non).
Ipotesi di definizione
Il riconoscimento su basi rigorose e omogenee delle
produzioni a valenza storico-culturale (e dei relativi sistemi di relazioni,
paesaggi ecc.) rappresenta il presupposto per la loro credibilità e visibilità.
Si tratta di un riconoscimento che riguarda non già caratteristiche legate ai
prodotti e ‘certificabili’ ma ai sistemi
sociotecnici nel loro insieme in cui l’elemento soggettivo di riconoscimento
identitario di attribuzione di valori simbolici da parte della popolazione e
degli attori più direttamente coinvolti diventa un fattore chiave.
I criteri di ancoraggio territoriale, di riattivazione di
sistemi di saperi e relazioni locali rappresentano presupposti fondamentali ma
è necessaria anche la volontà, almeno di alcune componenti locali, di costruire
un processo di definizione identitaria. In un SLASI il valore culturale,
identitario è esplicito.
Anche se in forme diverse consapevolezza e azione collettiva
appaiono come requisiti in tutte e tre le situazioni che paiono ‘candidate’ al
riconoscimento quale SLASI:
L’impatto dei sistemi di regolazione e di conoscenza formali
sulle produzioni agroalimentari anche a piccola scala è stato tale che laddove
i sistemi di produzione tradizionale hanno potuto mantenere l’ancoraggio ai
sistemi di saperi locali e agli stili tecnici ciò è stato conseguito attraverso
un’azione politico-culturale dei produttori stessi (es. Bitto storico).
Oltre a queste realtà gli SLASI possono aspirare a
svilupparsi sulla base di una rivitalizzazione laddove si è sviluppata da parte
di attori del sistema culturale o di
giovani produttori (o neoproduttori) una specifica e consapevole iniziativa
‘agriculturale’ motivata nel caso dei giovani produttori dall’esigenza di
legittimarsi culturalmente collegandosi a rappresentanti riconosciuti della
tradizioni. Una terza situazione è legata ad operazioni di carattere più propriamente
di ‘recupero stoico’. La possibilità di distinguersi da operazioni che non hanno riferimenti
con un sistema di riferimenti culturali e identitari locali (che riguardano
pertanto la ripresa dopo secoli di forme di produzione agro-alimentare) è legata ad un patrimonio di
memoria lcostituito da testimonianze materiali e immateriali e sul mantenimento in
forme ‘vestigali’ delle attività in questione (es. coltivazione del grano
saraceno in Valtellina connessa peraltro a un vitale sistema di pratiche
alimentari).
Esperienze di vario tipo unite dal comune denominatore del
ruolo simbolico, identitario e di attivatore di azioni collettive possono dare
vita a una rete di sistemi locali agro-alimentari e a un sistema di sistemi, con
infinite più possibilità di attirare interesse rispetto a singole iniziative.
I requisiti per il riconoscimento degli SLASI dovranno
essere pertanto espliciti e verificati da esperti
di sistemi agroalimentari e di risorse rurali (quali architettura vernacolare e
paesaggio), da antropologi (per gli
aspetti conoscitivi, relazionali, percettivi, di azione collettiva), da esperti
di beni culturali e turismo. In
ogni caso la valutazione dovrebbe consistere in un’istruttoria e uno studio sul
campo e in reale coinvolgimento e non su procedure amministrative gestite dagli
uffici regionali a tavolino. Anche se con valore di proposta provvisoria ci pare che tra i requisiti di un SLASI possano essere indiviuduati i seguenti:
-
La
presenza di almeno alcuni tra i seguenti elementi: razze, varietà
coltivate, tipologie di manufatti, attrezzature specifiche, determinate
configurazioni del paesaggio, siti ed edifici specifici per la produzione,
la prima trasformazione, la maturazione, il consumo, ritualità,
espressioni artistiche e letterarie connesse;
- La rispondenza
a requisiti di storicità diversi in termini di ‘profondità’ da quelli
delle Dop e PAT (25 anni) (anche se a fronte di una interruzione della
produzione in tempi non lontani);
- La
rispondenza a criteri di attribuzione di valore simbolico ed identitario
da parte della popolazione locale o quantomeno di alcune sue componenti,
la presenza nell’immaginario (letteratura, espressioni di cultura
popolare), il radicamento nella memoria di aspetti legati alla produzione,
alla trasformazione e al consumo (da verificare mediante documentazione ed indagine etnografica), la
presenza di elementi di intenzionalità e consapevolezza intorno al
progetto;
- Rispondenza
a requisiti tecnici (o, meglio socio tecnici): si tratta di verificare 1)
il nesso tra la materia prima e le tecniche di trasformazione in quanto
fasi strettamente connesse; 2) l’esistenza di stili tecnici (e non
semplicemente di ‘disciplinari’) che basati su forme di ‘identità
creativa’ (e non ‘ingessati’) che escludano elementi di standardizzazione
e di ‘correzione tecnologica’. Questi ultimi consentono di prescindere dai
saperi tradizionali territorialmente situati quali fattori di adattamento
dinamico alla variabilità imponderabile propri di sistemi fortemente modellati
sulle risorse locali e mediati dall’impiego di tecniche di ‘controllo
fine’ attraverso la manualità il ‘lavoro con la testa’, lo ‘sguardo della
mano’ (Grasseni). Nel caso dei formaggi ciò esclude i trattamenti termici
latte, l’uso di fermenti selezionali, le manipolazioni meccaniche
automatizzate della cagliata; presuppone l’ alimentazione estiva a base di
erba verde e pascolo e invernale a base di fieno, l’uso di cantine e
grotte naturali per la stagionatura (no celle a temperatura e umidità
controllate) ecc.; analoghi criteri posso essere fatti valere per il vino.
L’uso di materiali, attrezzi, tecniche tradizionali deve rispondere non a
esigenze di pura rappresentazione del ‘tradizionale’ ma è motivato
all’interno di un complesso di saperi e di tecniche. Laddove l’uso di
materiali, attrezzature ‘moderne’ non compromette lo ‘stile tecnico’
complessivo può essere previsto.
- Le
forme di trasmissione dei saperi. Il contesto di produzione famigliare, le
attività di trasformazione quanto più prossime all’ambito di produzione
agricole e internalizzate alla unità di produzione agricola (ovviamente
con l’eccezione di quelle che storicamente erano svolte presso strutture
specializzate, es. mulini) è condizione della prevalenza di meccanismi di
trasmissione dei saperi tradizionali. La prevalenza di personale
famigliare (e comunque di estrazione locale) nelle unità di produzione
agroalimentare dovrebbe essere la regola.
- La
presenza di un centro di documentazione, interpretazione in grado di
introdurre il visitatore e di coinvolgerlo in percorsi di visita (guidati
e autoguidati) che comprendano i luoghi della produzione e consentano di
apprezzare le specificità del prodotto anche sotto il profilo sensoriale.
Il tutto senza presupporre strutture ‘pesanti’ e monofunzionali ma
valorizzando al massimo la polifunzionalità (luoghi di trasformazione che
so anche punti di informazione, luoghi di riunione, bookshop, osterie
ecc.)
- L’organizzazione
di eventi ricorrenti rispondenti a
criteri della ‘sagra di qualità’ (vedi manifesto);
- Il coinvolgimento
di operatori della trasformazione artigianale, della ristorazione (impegno
a mantenere in menù preparazioni ispirate alle produzioni),
dell’ospitalità turistica, della cultura in un organismo paritetico di
gestione del ‘sistema locale’ e di coordinamento delle iniziative.
(3) continua
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