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(01.04.11) Sulla base dei presupposti esposti nelle precedenti 'puntate'  proponiamo una definizione di Sistema agroalimentare localizzato a valenza storico-identitaria

 

AgriCultura: le funzioni culturali dell'agricoltura (3)

Come si concretizza la componente storico-identitaria dei sistemi agroalimentari? Dal nostro punto di vista attraverso l'individuazione di sistemi territoriali fortemente ancorati alle tradizioni locali

 

di Michele Corti

I sistemi di produzione agroalimentare territoriali a valenza storico-identitaria

Il contenuto storico-identitario è inscindibile da un contesto locale ben preciso. Ha una dimensione territoriale  oltre che temporale. La dimensione territoriale è l’elemento cruciale in quanto i vari elementi di un sistema produttivo (tecniche, attrezzi, strutture edilizie, forme del paesaggio, risorse genetiche) possono essersi sedimentati in tempi diversi ed appare del tutto riduttivo individuare 'soglie di storicità' arbitrarie. L’elemento territoriale da forma e unità anche alla dimensione storica. Non vi è quindi sistema agroalimentare a valenza storico-identitaria al di fuori di un sistema di produzione agroalimentare localizzato (SLA). Quest’ultimo è definito (CISAR-SAR, 1996) (tradouzione mia dal francese) come:

 “le organizzazioni di produzione e di servizi (aziende agricole, imprese agroalimentari, commerciali, di servizi, della ristorazione) che per le loro caratteristiche e per il loro funzionamento sono connesse ad un territorio specifico. I mezzi di produzione, i prodotti, gli uomini, le loro istituzioni, i loro sistemi di saperi pratici, le loro abitudini alimentari, le loro risorse relazionali, si combinano in un ambito territoriale per dare vita ad una organizzazione agroalimentare a una data scala spaziale”.

 

Dal momento che questa definizione può applicarsi anche a sistemi che sono, almeno in parte, a caratterizzazione agroindustriale è bene precisare che un sistema di produzione agroalimentare a contenuto storico-identitario non può prescindere da un sistema di produzione agroalimentare localizzato ma che non necessariamente un SLA assume un valore storico identitario. Per farlo il presupposto è che la filiera locale sia costituita da imprese a piccola scala per le quali l’inserimento nella filiera locale piuttosto che in quella globale rappresenti una condizione ‘naturale’ tale da presentare molti più vantaggi che svantaggi rispetto all’opzione ‘globale’. Perciò le imprese di trasformazione saranno a dimensione artigiane (o la trasformazione sarà praticata presso le stesse aziende agricola). I canali di commercializzazione prescinderanno (di regola) dalla GDO (salvo iniziative particolari) valorizzando l’economia di prossimità o filiere lunghe fortemente specifiche (ristorazione di qualità, empori specializzati di alimenti di origine territoriale di qualità).  

La Regione Lombardia ha già in parte corrisposto a questa esigenza di differenziazione tra Sistemi locali di produzione agroalimentare operando la distinzione nell’ambito dei Distretti agricoli di: Distretti agroalimentari di qualità e Distretti rurali. (Individuazione, istituzione e disciplina dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità in Regione Lombardia - determinazione di applicazione della L.R. N. 1/2007).

 

Si definiscono distretti rurali, ai sensi del Decreto Legislativo 228/2001 i sistemi produttivi locali caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.

 

In realtà anche se la definizione di ‘distretto rurale’ parrebbe avvicinarsi maggiormente a quella di un Sistema di produzione agroalimentare localizzato a contenuto storico-identitario nella individuazione delle finalità dei distretti (rurali e agroalimentari di qualità) compaiono esclusivamente finalità di ordine economico-produttivo e, in misura minore, il riferimento alla ‘sostenibilità ambientale, allo sviluppo delle bioenergie’ (business emergente con forti risvolti speculativi), il ‘mantenimento dell’ambiente e del paesaggio’. C’è solo un generico riferimento alla ‘multifunzionalità’. Eco le finalità dei 'Distretti rurali':

 

a) favorire i processi di coesione e correlazione tra i diversi settori produttivi presenti all'interno dei distretti rurali ed agroalimentari di qualità;

b) sostenere la riorganizzazione delle filiere produttive agroalimentari, ai fini di un incremento della competitività;

c) favorire il coordinamento delle politiche urbanistiche, ambientali, della viabilità, delle politiche sociali e di formazione, ecc. a supporto delle attività di sviluppo distrettuali;

d) favorire la sostenibilità ambientale anche attraverso lo sviluppo di risorse energetiche da fonti rinnovabili;

e) contribuire al mantenimento ed alla crescita dei livelli occupazionali del settore, anche attraverso la valorizzazione delle risorse umane disponibili;

f) favorire la creazione e il miglioramento di strutture produttive ed infrastrutture di servizio adeguate per le esigenze funzionali dei distretti,

g) favorire lo sviluppo di relazioni economiche tra i soggetti del distretto in chiave interprofessionale;

h) contribuire al mantenimento dell'ambiente e delle caratteristiche del paesaggio, attraverso la valorizzazione della multifunzionalità dell’agricoltura

 

La definizione dei distretti agricoli dimostra, se ce ne fosse bisogno, che la cultura settoriale agriculturalista  - che tuttore informa gli orientamenti politico-amministrativi - resta sostanzialmente impermeabile al riconoscimento del ruolo chiave degli aspetti socio antropologici dei sistemi agricoli e rurali.  Nonostante la tarda modernità non solo non ne azzeri certo l’importanza ma, per certi versi, la accentui.

La maggiore attenzione agli aspetti ecologici riflette da una parte la maggiore affinità delle scienze agrarie (almeno in una fase storica recente) con le scienze della natura rispetto a quelle sociali e la tendenza – sempre più forte - recenti ad accettare la dimensione ‘ambientale’ dell'agricoltura a fianco delle tradizionali dimensioni produttive in forza delle prospettive di  nuove opportunità economico-produttive (business delle bioenergie e della altre energie ‘rinnovabili’). È evidente poi nei riferimenti  alla ‘sensibilità ambientale’ la tendenza ad una captatio benevolentiae sulla base di un consenso sociale quale tanto ampio quanto generico. Ben diversa la percezione per i fatti socio-culturali percepiti da certa cultura tecnicistica come un terreno scivoloso e pericoloso di soggettivismo e di inevitabile allineamento ideologico, in contrapposizione ad un quadro di rassicurante, per quanto falsa, ‘neutralità ed ‘oggettività’ tecno-scientifica.

 

É necessaria una definizione più specifica

 

Nella definizione di un Sistema locale agroalimentare a valenza storico-identitaria (SLASI) a differenza che nei ‘distretti agricoli’ definiti dalla legislazione italiana e regionale emerge un ruolo centrale del fatto ‘agriculturale’. Si presuppone che tra gli attori oltre a quelli economici e istituzionali (in senso ampio) ci siano anche quelli culturali (associazioni, ecomusei) e che la componente culturale (anche con i risvolti educativi e turistici) rappresenti un elemento organico, in grado di stimolare e rafforzare il SLA  producendo essa stessa (direttamente o no) oltre a beni pubblici anche valori economici. Questo aspetto si concretizza nella presenza nell’ambito del SLASI di una o più filiere agriculturali. In ogni caso un SLASI non può che essere multifunzionale e garantire un buon equilibrio nella produzione di beni pubblici e di valori di mercato. La dimensione territoriale del Slasi in base a questi presupposti di localizzazione ‘stretta’ risulterà di necessità più ridotta rispetto ai SLA che possono avere dimensione anche sopraprovinciale e sovra regionale. Sempre con rif. al quadro amministrativo italiano, la dimensione di un SLASI è comunale, sovra comunale, di valle anche se, sulla base della realtà frazionata dello spazio rurale ad un modello di forte concentrazione geografica può affiancarsi anche quello dell’arcipelago (sempre comunque nell’ambito di un territorio definito). La presenza nell’ambito del SLASI di centri di maggiori dimensioni rispetto a quelli rurali è legata alle funzioni di servizio (ristorazione, rivendite) tenendo presente che è auspicabile il decentramento sulla stessa scala della produzione agroalimentare dei servizi culturali e turistici (privilegiando strutture ‘leggere’ e forme di ospitalità quali B&B, albergo diffuso, agriturismi, rifugi di montagna e favorendo la plurifunzionalità degli spazi al tempo stesso produttivi, culturali, turistici).

Rispetto a un SLA spesso dominato da attori espressione del comparto della trasformazione agroalimentare industriale o semi-industriale nel SLASI gli attori agricoli mantengono un ruolo preminente grazie ad un approccio orientato al servizio e al consumatore finale (e non al prodotto) che fa leva su una fruizione legata alla produzione in termini di prossimità fisica e che privilegia la valorizzazione commerciale attraverso i canali locali del turismo rurale e il coinvolgimento di una pluralità di soggetti locali rispetto ai quali la componente agricola mantiene contatti diretti senza perdere ‘il pallino’, senza che si creino ‘colli di bottiglia’.

 

La dimensione tradizionale non esclude l’innovazione e l’intenzionalità

 

La dimensione tradizionale implica una continuità temporale e il passaggio da generazione a generazione ma il sistema di saperi territorialmente ancorati (territorial anchored know-how (Bouche et al., 2009) sui cui poggia lo SLASI è situato, oltre che territorialmente, anche in un dato tempo (l’oggi) e non è dato una volta per tutte ma, pur essendo un prodotto cumulativo nel tempo (nocciolo della ‘tradizione’) è un complesso sistema di adattamento. 

Nell’ambito del SLASI è fondamentale l’importanza dei ‘saperi impliciti’ (know-how). Essi  si distinguono dai sistemi di conoscenza formali perché non possono essere replicati o trasferiti o venduti. Alla trasmissione dei ‘saperi impliciti’ presiede una ‘comunità di pratica’ (Wenger)  che opera sulla base dello scambio reciproco, del ‘learning by doing’ all’interno d reti socio tecniche (Latour). In un SLASI saperi impliciti e comunità d pratica appaiono modalità prevalenti rispetto ai ‘saperi esperti’ e ai meccanismi di trasmissione formale delle conoscenza ‘up to bottom’. Tutto ciò no significa fissità e mancanza di innovazione (‘comunità di pratica’ sono quelle dei pastori ma anche quelle degli esperti informatici).

Come dei ‘distretti’ gli SLASI sono ambito di diffusione dell’innovazione. Innovazione che non riguarda principalmente l’aspetto tecnologico (anche se certe nuove tecnologie, specie nel campo informatico, possono inserirsi in un contesto tradizionale per salvaguardarne il nocciolo e consentire un adattamento alle condizioni attuali meglio delle soluzioni tecnologiche (e dei sistemi organizzativi)  rigidi della cultura industrialista. Però le innovazioni promosse e diffuse da un SLASI sono legate principalmente a nuovi schemi di relazione tra gli attori, a nuove forme ‘creative’ di comunicazione e di commercializzazione (varie forme di filiera corta) e allo sviluppo di servizi immateriali (educativi, culturali) in connessione con l’attività agroalimentare. Va anche ricordato che la distinzione netta tra tradizioni tecniche che si perpetuano in modo ‘naturalistico’ (sulla base di consuetudini assunte inconsapevolmente) e sistemi ‘moderni’ basati sull’innovazione intenzionale è da rivedere perché anche nella tradizione non è estranea una componente di intenzionalità che si esprime come volontà di differenziazione, di marcatura identitaria.

 

Dimensione simbolica, dimensione ecologica

 

La forte caratterizzazione simbolica delle produzioni agroalimentare a valenza storico-culturale è legata alla prossimità fisica; questa rimanda ad una capacità d’ uso della biodiversità  La dimensione territoriale  quindi raccorda l’elemento di conservazione delle risorse naturali e culturali che, in definitiva, sono anche il frutto di una coevoluzione (non meccanistica).

La fase di produzione di un prodotto agro-alimentare a valenza storico-culturale implica la valorizzazione e quindi la rifunzionalizzazione di risorse bioculturali (varietà di piante, razze di animali, tipi di pascoli), sistemi di conoscenze, forme di uso del suolo e di organizzazione del paesaggio, l’uso di specifici manufatti  (utensili, fabbricati produttivi). Le peculiarità del prodotto a valenza storico-culturale rimandano spesso a specifici luoghi e contesti spazio-temporali non solo per la produzione ma anche per il consumo. La rifunzionalizzazone di questi nessi crea un sistema coerente di elementi di riconoscimento identitario che consente di sfuggire ad alcuni rischi connessi nel ‘recupero’ di elementi isolati di questi complessi di patrimoni (materiali e immateriali). Sono esempi frequenti i costosi interventi di musealizzazione di fabbricati già adibiti alla trasformazione  agroalimentare, la riproposizione di eventi celebrativi del ciclo di produzione agroalimentare in forma di ‘Sagre’ o pseudo tali che – nel migliore dei casi – si riducono ad occasioni di generica socializzazione.

 

Controllo dal basso

 

Un SLASI rappresenta uno strumento con il quale le comunità e gli attori locali possono garantire un uso sostenibile delle risorse territoriali di cui sono i custodi grazie al fatto che  sono esse stesse le beneficiarie del processo di patrimonializzazione e protagoniste di un complesso di azioni marcate da approcci radicalmente differenti rispetto al tecnocraticismo e ai vari ‘monofunzionalismi’ (agricolturalista, culturalista, ambientalista).  La qualificazione storico-identitaria a differenza di altri sistemi di qualificazione della ‘tipicità’ è più difficilmente soggetta ai processi di esproprio perché basata su una dimensione collettiva e un approccio partecipativo. Legati a una comunità di pratica vivente e non a ‘disciplinari’ gli elementi della ‘tipicità’ valorizzati da un SLASI (e comprensive delle filiere agriculturali e dei prodotti originali a valenza storico-identitaria) sono difficilmente espropriabili da parte di soggetti esterni o di soggetti interni alla realtà territoriale ma in connessione con filiere globali. Non è possibile la ‘riproducibilità’ al di fuori del contesto.

Grazie alla forma partecipata il SLASI diventa anche una base di negoziazione (per esempio rispetto ai sistemi di regolazione burocratica), di ricerca di consenso e di progettualità.

 

Implementazione di valori interconnessi

 

La ‘riconessione’ di questi elementi tecnici, cognitivi, culturale, relazionali può essere anche strumento di una ripresa di stewardship dello spazio rurale attraverso il riuso delle risorse locali abbandonate in favore dell’impiego di input delocalizzati e deculturalizzati. Ciò significa in termini economici e occupazionali lo spostamento da interventi costosi ingegneristici (che coinvolgono marginalmente le forze locali) a interventi ‘impliciti’ e ‘capillari’ con costi ridotti e maggiori ricadute in termini di circolazione economica locale.

 

Sul fronte delle connessioni tra valori ambientali e culturali è da tempo matura l’acquisizione dello stretto nesso tra diversità e ricchezza culturale da una parte e biodiversità dall’altra. Oltre al mantenimento delle risorse bioculturali citate (componente stessa dei fattori produttivi) la rivitalizzazione di sistemi di produzione tradizionali a valenza storico-culturale implica una elevata differenziazione dell’habitat con nicchie per le specie selvatiche e la massimizzazione della biodiversità (che invece è minima con i sistemi di agricoltura e allevamento industriali).

 

Il ‘paesaggio culturale’ connesso ai sistemi di produzione agro-alimentari storici  oltre che ‘biodiverso’ presenta anche un più elevato valore di qualità visuale e un grado maggiore di ‘amenità’ anche dal punto di vista delle forme di fruizione ricreativa.

 

All’offerta di alimenti con connotati di autentica ‘località’ legati a insiemi coerenti di fattori la valorizzazione dei contesti produttivi a valenza storico-culturale è legata un’offerta complessa di beni e servizi che si auto rafforza e crea le condizioni per iniziative di piccola recettività turistica, produzione di beni e offerta di servizi da parte di aziende artigiane e del settore turistico (ristorazione di qualità territoriale), opportunità di occasioni di lavoro in campo culturale, educativo, di animazione.

 

La ‘certificazione’ del sistema locale di produzione agro-alimentare a valenza storico-identitaria unitamente alla predisposizione di strumenti di visibilità verso l’esterno (rete dei sistemi locali) e di ‘fruizione’ integrata nell’ambito territoriale integrata (supportata da idonei strument)i rappresenta il presupposto per una valorizzazione turistica del sistema stesso che assume significato grazie alla presenza di un ‘indotto’ che – in termini di valori economici – oltrepassa il valore della produzione agro-alimentare in sé.

 

L’offerta turistica connessa al sistema locale agro-alimentare si qualifica per caratteri di: autenticità, esperienze coinvolgenti e originali, professionalizzazione e consapevolezza degli attori locali (assicurata dal ‘filo conduttore’ tematico e da strumenti di partecipazione e auto-organizzazione)

Elementi a supporto della valorizzazione turistica possono essere rappresentati da: eventi ricorrenti, percorsi tematici, animazioni, centri di documentazione e interpretazione, pacchetti comprendenti eventi gastronomici, visite guidate sui luoghi di produzione e immersione nel ‘paesaggio culturale produttivo. Le proposte turistiche sono caratterizzare da un contenuto educativo (edutainment) che si prestano anche a fornire contenuti e format per attività rivolte alle scuole (locali e non).

 

Ipotesi di definizione

 

Il riconoscimento su basi rigorose e omogenee delle produzioni a valenza storico-culturale (e dei relativi sistemi di relazioni, paesaggi ecc.) rappresenta il presupposto per la loro credibilità e visibilità. Si tratta di un riconoscimento che riguarda non già caratteristiche legate ai prodotti e ‘certificabili’  ma ai sistemi sociotecnici nel loro insieme in cui l’elemento soggettivo di riconoscimento identitario di attribuzione di valori simbolici da parte della popolazione e degli attori più direttamente coinvolti diventa un fattore chiave.

I criteri di ancoraggio territoriale, di riattivazione di sistemi di saperi e relazioni locali rappresentano presupposti fondamentali ma è necessaria anche la volontà, almeno di alcune componenti locali, di costruire un processo di definizione identitaria. In un SLASI il valore culturale, identitario è esplicito.

Anche se in forme diverse consapevolezza e azione collettiva appaiono come requisiti in tutte e tre le situazioni che paiono ‘candidate’ al riconoscimento quale SLASI:

L’impatto dei sistemi di regolazione e di conoscenza formali sulle produzioni agroalimentari anche a piccola scala è stato tale che laddove i sistemi di produzione tradizionale hanno potuto mantenere l’ancoraggio ai sistemi di saperi locali e agli stili tecnici ciò è stato conseguito attraverso un’azione politico-culturale dei produttori stessi (es. Bitto storico).

Oltre a queste realtà gli SLASI possono aspirare a svilupparsi sulla base di una rivitalizzazione laddove si è sviluppata da parte di attori del sistema culturale o  di giovani produttori (o neoproduttori) una specifica e consapevole iniziativa ‘agriculturale’ motivata nel caso dei giovani produttori dall’esigenza di legittimarsi culturalmente collegandosi a rappresentanti riconosciuti della tradizioni. Una terza situazione è legata ad operazioni di carattere più propriamente di ‘recupero stoico’. La possibilità di distinguersi da operazioni che non hanno riferimenti con un sistema di riferimenti culturali e identitari locali (che riguardano pertanto la ripresa dopo secoli di forme di produzione agro-alimentare) è legata ad un patrimonio di memoria lcostituito da testimonianze materiali e immateriali e sul mantenimento in forme ‘vestigali’ delle attività in questione (es. coltivazione del grano saraceno in Valtellina connessa peraltro a un vitale sistema di pratiche alimentari).

 

Esperienze di vario tipo unite dal comune denominatore del ruolo simbolico, identitario e di attivatore di azioni collettive possono dare vita a una rete di sistemi locali agro-alimentari e a un sistema di sistemi, con infinite più possibilità di attirare interesse rispetto a singole iniziative.

 

I requisiti per il riconoscimento degli SLASI dovranno essere pertanto espliciti e verificati da esperti di sistemi agroalimentari e di risorse rurali (quali architettura vernacolare e paesaggio), da antropologi  (per gli aspetti conoscitivi, relazionali, percettivi, di azione collettiva), da esperti di beni culturali e turismo. In ogni caso la valutazione dovrebbe consistere in un’istruttoria e uno studio sul campo e in reale coinvolgimento e non su procedure amministrative gestite dagli uffici regionali a tavolino. Anche se con valore di proposta provvisoria ci pare che tra i requisiti di un SLASI possano essere indiviuduati i seguenti:

 

  • La presenza di almeno alcuni tra i seguenti elementi: razze, varietà coltivate, tipologie di manufatti, attrezzature specifiche, determinate configurazioni del paesaggio, siti ed edifici specifici per la produzione, la prima trasformazione, la maturazione, il consumo, ritualità, espressioni artistiche e letterarie connesse;
  • La rispondenza a requisiti di storicità diversi in termini di ‘profondità’ da quelli delle Dop e PAT (25 anni) (anche se a fronte di una interruzione della produzione in tempi non lontani);
  • La rispondenza a criteri di attribuzione di valore simbolico ed identitario da parte della popolazione locale o quantomeno di alcune sue componenti, la presenza nell’immaginario (letteratura, espressioni di cultura popolare), il radicamento nella memoria di aspetti legati alla produzione, alla trasformazione e al consumo (da verificare mediante documentazione ed indagine etnografica), la presenza di elementi di intenzionalità e consapevolezza intorno al progetto;
  • Rispondenza a requisiti tecnici (o, meglio socio tecnici): si tratta di verificare 1) il nesso tra la materia prima e le tecniche di trasformazione in quanto fasi strettamente connesse; 2)  l’esistenza di stili tecnici (e non semplicemente di ‘disciplinari’) che basati su forme di ‘identità creativa’ (e non ‘ingessati’) che escludano elementi di standardizzazione e di ‘correzione tecnologica’. Questi ultimi consentono di prescindere dai saperi tradizionali territorialmente situati quali fattori di adattamento dinamico alla variabilità imponderabile propri di sistemi fortemente modellati sulle risorse locali e mediati dall’impiego di tecniche di ‘controllo fine’ attraverso la manualità il ‘lavoro con la testa’, lo ‘sguardo della mano’ (Grasseni). Nel caso dei formaggi ciò esclude i trattamenti termici latte, l’uso di fermenti selezionali, le manipolazioni meccaniche automatizzate della cagliata; presuppone l’ alimentazione estiva a base di erba verde e pascolo e invernale a base di fieno, l’uso di cantine e grotte naturali per la stagionatura (no celle a temperatura e umidità controllate) ecc.; analoghi criteri posso essere fatti valere per il vino. L’uso di materiali, attrezzi, tecniche tradizionali deve rispondere non a esigenze di pura rappresentazione del ‘tradizionale’ ma è motivato all’interno di un complesso di saperi e di tecniche. Laddove l’uso di materiali, attrezzature ‘moderne’ non compromette lo ‘stile tecnico’ complessivo può essere previsto.
  • Le forme di trasmissione dei saperi. Il contesto di produzione famigliare, le attività di trasformazione quanto più prossime all’ambito di produzione agricole e internalizzate alla unità di produzione agricola (ovviamente con l’eccezione di quelle che storicamente erano svolte presso strutture specializzate, es. mulini) è condizione della prevalenza di meccanismi di trasmissione dei saperi tradizionali. La prevalenza di personale famigliare (e comunque di estrazione locale) nelle unità di produzione agroalimentare dovrebbe essere la regola.
  • La presenza di un centro di documentazione, interpretazione in grado di introdurre il visitatore e di coinvolgerlo in percorsi di visita (guidati e autoguidati) che comprendano i luoghi della produzione e consentano di apprezzare le specificità del prodotto anche sotto il profilo sensoriale. Il tutto senza presupporre strutture ‘pesanti’ e monofunzionali ma valorizzando al massimo la polifunzionalità (luoghi di trasformazione che so anche punti di informazione, luoghi di riunione, bookshop, osterie ecc.)
  • L’organizzazione di eventi ricorrenti  rispondenti a criteri della ‘sagra di qualità’ (vedi manifesto);
  • Il coinvolgimento di operatori della trasformazione artigianale, della ristorazione (impegno a mantenere in menù preparazioni ispirate alle produzioni), dell’ospitalità turistica, della cultura in un organismo paritetico di gestione del ‘sistema locale’ e di coordinamento delle iniziative.

  

(3) continua


 

                   

 

 

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