(28.02.11) Proseguimo nella trattazione di un tema cruciale per l'agricoltura e la ruralità alpina: il valore delle risorse culturali ad esse associate. Sono graditi interventi
AgriCultura: le funzioni culturali dell'agricoltura (2)
Il contenuto storico-identitario dei sistemi agroalimentari può essere riconosciuto, tutelatio e valorizzato
di Michele Corti
Prima dell’affermazione in sede scientifica e politica del
paradigma della multifunzionalità agricola il riconoscimento delle valenze
storiche, identitarie, simboliche delle pratiche legate alla produzione
agroalimentare era limitato al lavoro degli etnografi e degli antropologi. La
scissione tra fatto produttivo agricolo e contenuti culturali (attinenti
all’agricoltura del passato) o di livello residuale etnografico ha motivato
azioni di conservazione ‘statica’, a fini documentari e di conservazione dellamemoria, dei beni culturali connessi alla ‘civiltà contadina’.
C'erano una volta i 'musei della civiltà contadina'
Da qui la fioritura di Musei e collezioni mentre in altri paesi si erano sviluppate anche
forme più dinamiche di ‘agricoltura storica’ con contenuto dimostrativo e
didattico. Tali iniziative hanno rappresentato in ogni caso un ‘investimento
collettivo’ nella memoria del passato contadino e hanno contribuito a
preservare elementi di un patrimonio che le trasformazioni produttive e
tecnologiche ‘moderne’ rischiavano di disperdere facendone perdere ogni traccia.
A partire dagli anni ’70-’80 con un crescendo che arriva agli ultimi anni a fianco delle iniziative museali si sono sviluppate attività di
rifunzionalizzazione delle antiche feste e cerimonie contadine con la chiara
finalità di riattivare motivi di identificazione simbolica, di stimolare il
‘senso del luogo’ e l’azione comunitaria sul tema delle risorse ambientali e
culturali locali a partire dalla produzione agroalimentare. In anni recenti la
moltiplicazione degli eventi di ‘celebrazione rurale’ ha portato a confondere
queste esigenze con quelle di un marketing turistico spesso clonate su casi disuccesso con un forte rischio di perdita di autenticità.
Disneyland rurale o occasioni di sviluppo?
Sempre per rispondere ad una domanda di ‘rural amenities’ si sono sviluppate zoo farm, musei agricoli alla “Disneyland”, ‘fattorie didattiche’ in cui l’aspetto
culturale è spesso del tutto slegato dalle attività agricole ‘operative’ delle aziende, spesso
di tipo industriale. Ma il nascere di sempre nuove iniziative ‘dal basso’
testimonia come le esigenze alla base di questo revival siano profondamente
sentite.
L’esigenza di valorizzare le risorse viventi del patrimonio di cultura locale anche ai fini di strategie di sviluppo locale auto
sostenibile ha determinato la nascita negli anni ’80 in Francia degli ecomusei
che in anni recenti hanno avuto un grande sviluppo anche in Italia. L’attenzione al patrimonio culturale legato alla pratiche
agroalimentari è molto forte nell’ambito dell’attività di diversi ecomusei.
Con lo sviluppo degli ecomusei e la diffusione (spesso incollegamento con gli stessi ecomusei) di iniziative quali l’istituzione di
Presidi Slow Food e Comunità del cibo i rapporto tra pratiche agroalimentari a
valenza storico-identitaria è entrato decisamente nella terza fase: dopo la
prima fase della conservazione statica (Musei contadini) e una seconda fase, caratterizzata della moltiplicazione
delle attività e iniziative rievocative e dimostrative, si è entrati nella terza
e attuale fase che riconduce le pratiche tradizionali agroalimentari alla loro dimensione di
risorse anche economiche per lo sviluppo delle comunità locali.
Tutto ciò può concretizzarsi perché non sono più gli attori
e le istituzioni ‘culturali’ o gli intellettuali locali a preoccuparsi della
dimensione culturale delle pratiche agroalimentari ma la stessa componente
‘agricola’ nelle sue dimensioni scientifiche e politiche. Un portato del
‘multifunzionalismo’ che ha costretto il settore agricolo a riflettere sul
fatto che la sola considerazione dell’aspetto economico-produttivo portal’agricoltura a crisi irreversibili.
Il riconoscimento della componentesocioculturale della produzione agricola è peraltro venuto dopo quella
ecologica avvenuta sotto la spinta delle emergenze ambientali e la drammatica
‘scoperta’ che l’agricoltura (e la zootecnia) industriali rappresentano la più
grave fonte di emissioni a effetto serra (mente a livello locale sono
responsabili di gravi fenomeni di eutrofizzazione e inquinamento (vedi elevate
concentrazioni di nitrati e diserbanti nelle acque di falda e nei corpi idrici
della Lombardia e non solo).
Rispetto alla consapevolezza dell’importanza della valenza ecologica dei sistemi agricoli quella delle valenze socio antropologiche
procede con più difficoltà. In Italia peraltro, dopo una breve stagione (i
‘metalmezzadri’), la sociologia rurale se si esclude la tematica dei ‘prodotti
tipici’ è di fatto inesistente mentre i ‘rural studies’ fioriscono anche in
paesi come la Gran Bretagna dove il contributo dell’agricoltura al PIL è ai
minimi termini. Da questo punto di vista lo stimolo del dibattito europeo è
stato essenziale.
Di qui anche a consapevolezza:
-
che la separazione artificiosa diproduzione economica, tutela ecologica, funzioni culturali è perniciosa per la
conservazione di un complesso di beni pubblici;
-
che gli aspetti culturali sono parte integrante del
ruolo multifunzionale dell’agricoltura
e la possibilità concreta di una ri-funzionalizzazione di un patrimonio
di beni materiali e immateriali che pareva destinato ad una dimensione
nostalgica.
Oltre l’icona del rurale e l’economia del gourmet
La prospettiva del riconoscimento della valenza
storico-identitaria dei sistemi localizzati di produzione agro-alimentare va
quindi oltre l’aspetto educativo, dimostrativo e, in senso stretto, culturale per assumere un ruolo
chiave nello sviluppo di azioni locali. Ma va anche oltre l’economia dei
prodotti ‘tipici’, del turismo rurale. Si riprende quindi il concetto della
‘risorsa strategica’ che – preservata nell’ambito di nicchie – rappresenta una
retrovia per sistemi di produzione agroalimentare (e di cura del territorio)
più ampi.
I beni e le ‘permanenze’ culturali, in una prospettivatardo-moderna e nell’era dell’iperglogalizzazone, diventano fattori produttivi
da mobilitare in funzione di processi di differenziazione e ri-localizzazione
che non fanno leva solo sul 'marketing della nostalgia' o del ritrovato senso di
appartenenza (producendo anche nuovo legame e capitale sociale) ma anche su un fondamentale aspetto
ecologico. Tecniche e saperi tradizionali sono espressione di un adattamento
ecologico che consente un minor spreco di risorse ed energia non rinnovabili in
un quadro di profonda modificazione dei costi dei fattori produttivi e dei
vantaggi comparativi.
Opportunamente valorizzati questi aspetti possono tradursi
anche in una ritrovata sostenibilità economica per sistemi territoriali,
produzioni messi fuori mercato dai processi di delocalizzazione. Nei sistemi
standardizzati, che hanno allentato gli ancoraggi locali, indifesi rispetto ai
processi di delocalizzazione, il recupero in chiave innovativa di pratiche
‘situate’ può rappresentare una ciance per una migliore sostenibilità non solo
ambientale e sociale ma anche economica.
Da tutto ciò si conferma che le funzioni riassunte nella
‘casa’ dell’agricoltura funzionale sono strettamente legate e che la ritrovata
dimensione territoriale è la condizione di un nuovo equilibrio.
Valore storico-culturale come elemento specifico ma
anche strettamente connesso all’insieme delle ‘nuove domande’ in materia agro-alimentare
Nell’ambito delle nuove domande poste dalla società e dal
consumatore ai sistemi di produzione agroalimentare la funzione culturale
diventa sempre più oggetto di autoriflessività. Il valore dei processi di
produzione del cibo per la costruzione dell’identità e il mantenimento del
patrimonio culturale e la memoria sono divenuti oggetto frequente del dibattito
pubblico anche sulla spinta delle diverse forme di ‘angoscia’ e anomia
alimentare che caratterizzano la società tardo moderna.
Pertanto nella società globale le funzioni culturali,
simboliche, identitarie che hanno sempre rivestito un’importanza pari a quella
nutrizionale e che erano state apparentemente oscurate dall’unidimensionalità
‘nutrizionale’ della società industriale tornano ad assumere un ruolo prioritario.
Anche con riferimento all’arena politica. Ciò che era latente ed implicito oggi
diventa palese. Di qui il fiorire della letteratura su ‘cibo e cultura’ e ‘cibo
e società’ e la crescente politicizzazione di questi aspetti (vedi il dibattito
sulle rivendite di ‘cibi etnici’ nei centri storici, sui cibi etnici e km 0
nelle mense scolastiche).
Le valenze storico-culturali contribuiscono a definire la
‘qualità specifica’ del cibo in modo strettamente connesso con il valore
‘locale’ ma anche con altri elementi che qualificano il cibo e che oggi si
esprimono attraverso i sistemi di certificazione che attestano il rispetto di
valori etici, ecologici ecc.
Nuove domande della società e del consumatore
-
Beni privati no food
(servizi turismo, energia, servizi educativi ecc.;
-
Beni pubblici (biodiversità, paesaggio, gestione
risorse idriche, elementi ricreativi dell’ambiente rurale, salute ecc.);
-
Alimenti con
specifiche caratteristiche (provenienza locale, cristallizzazione saperi
storici
-
Funzioni culturali
(identità, patrimonio);
-
Funzioni sociali
(sicurezza alimentare, coesione sociale, occupazione in aree con scarse
opportunità occupazionali, insediamento disperso, cura anziani e portatori
handicap);
-
Funzioni etiche
(commercio equo e solidale, benessere animale ecc.)
Il
patrimonio culturale che si esprime con le pratiche alimentari (cucina e
consumo ma anche le coltivazioni alla base dei prodotti) è tutelato (come abbiamo visto nella prima parte di questo contributo) a livello
internazionale (UNESCO) ed è ampiamente riconosciuta la valenza di bene pubblico del
patrimonio culturale legato alle forme di utilizzazione agricola (OECD, 1999.
Cultivating rural amenities. An economic development perspective).
Al pari dell’esigenza di rispetto di standard di sicurezza
alimentare, della prevenzione dei danni ambientali e dello sfruttamento del
lavoro il riconoscimento e la tutela di un valore storico-culturale associato alle produzioni agroalimentari possono entrare quale elemento di regolazione del commercio internazionale
rappresentando un elemento di negoziazione dei flussi globali.
Le produzioni tradizionali devono essere tutelate per le loro valenze specifiche non 'coperte' dai sistemi di garanzia delle Dop ecc.
Così come altre attribuzioni di specificità (in ambito
europeo Dop, Bio, IGP, SGT) il connotato
‘storico-culturale’ di prodotti agroalimentari e dei loro metodi di produzione
potrebbe consentire l’applicazione di deroghe alle regole generali della
produzione e del commercio agroalimentare tutelando ambiti svantaggiati. In
positivo un sistema di riconoscimento e valorizzazione delle produzioni
agroalimentari a valenza storico-identitaria potrebbe consentire di
internalizzare i beni pubblici che i sistemi ‘tradizionali’ producono come
‘rural amenities’.
Il meccanismo di ‘esproprio della tipicità’ ad opera dei sistemi di produzione agro-alimentare industriali
(es. il formaggio industriale con l’etichetta che raffigura un pastore al
pascolo con i suoi animali in un contesto bucolico) consiste nell’appropriazione
di beni pubblici prodotti dai sistemi produttivi tradizionali a
vantaggio di chi li imita operando attraverso un meccanismo di concorrenza senza scampo – sulla base di costi di
produzione incomparabilmente più bassi. Può essere considerato un furto? certamente.
Questo meccanismo se non corretto agisce nel senso della distruzione dei sistemi localizzati che producono i beni pubblici in questione (identità,
manutenzione del territorio, valori scenici, biodiversità). La società quindi ha il diritto/dovere di evitare questi espropri.
Una iniziativa a favore del riconoscimento delle produzioni
agroalimentari a forte ancoraggio territoriale e valore storico-identitario opererebbe
quindi un correttivo che consentirebbe di ‘chiudere’ una filiera economica che vede la
produzione di beni pubblici da parte dei sistemi ‘tradizionali’ non compensata
dal mercato ed anzi tradotta in fattori di penalizzione e marginalizzazione.
In ambito comunitario
è evidente il vantaggio comparativo per un paese come l’Italia con una varietà
incomparabile di culture e paesaggi agricoli di una forma di attribuzione di
specificità alla propria produzione agroalimentare ‘tradizionale’ (ancora
rappresentativa da una quota non marginale a differenza di altri paesi dove il
sistema agroindustriale ha assunto una dimensione pressoché totalizzante; una
quota che è destinata a consolidarsi di fronte alla pressione della
delocalizzazione produttiva alla quale è possibile sfuggire solo a prezzo di
una marcata differenziazione e ancoramento a riferimenti locali).
Riassumendo e il
valore storico-culturale delle produzioni agroalimentari si estrinseca nei
prodotti ottenuti nell’ambito di sistemi localizzati presuppone l’esistenza di
metodi di produzione che inglobano saperi impliciti, relazioni, frutto della
interazione dinamica – storicamente sedimentata - tra contesto ecologico e
cultura, ma rappresenta al tempo stesso – una volta che tale ‘valore’ viene
riconosciuto – anche la condizione per la rivitalizzazione dei sistemi stessi.
Tali sistemi per quanto meno efficienti alla luce di una criterio
monofunzionale agriproduttivista sono in grado di massimizzare, insieme alla
funzione culturale, anche funzioni ecologiche e sociali (educative, turistiche).
(2) continua
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