(01.07.11) Apriamo un dibattito sulle conseguenze del biogas: agronomiche, ambientali, economiche, sociali. In Lombardia senza uno stop si arriverà presto a centinaia di centrali realizzate persino in area montagna
Biogas in montagna: che aberrazione
di Fausto Gusmeroli
La realizzazione di impianti a biogas nelle valli alpine allontana invece che avvicinare le soluzioni ai gravi problemi della sostenibilità ambientale ed economica della zootecnia montana
Nonostante ormai da decenni si parli di sviluppo
sostenibile, in realtà la gran parte delle scelte d’investimento che vengono
ancora attuare sono dettate da ragioni puramente economiche, relegando nella
categoria delle esternalità eventuali ripercussioni di carattere ambientale e
sociale. Alla regola non sembrano sfuggire neppure le realizzazioni di impianti
per la produzione di biogas dai reflui di stalla, impianti proposti in
apparenza per ragioni ambientali (riduzioni degli impatti dei reflui e
produzione di energia rinnovabile), ma che in realtà nascondono interessi
economici non trascurabili, grazie anche agli incentivi di cui fruiscono. Si
capisce allora come tali impianti si stiano diffondendo a macchia d’olio, non
risparmiando neppure i territori montani, dove la pratica presenta, se
possibile, ancora maggiori controindicazioni che in pianura, come più avanti
specificato.
Meno disponibilità di cibo per l'umanità, più dissipazioni energetiche
Il processo di trasformazione dei reflui in biogas necessita, per essere efficiente e
conveniente, dell’addizione di materiali organici ricchi di amido. La soluzione
più comoda è quella di impiegare il mais, pratica questa assolutamente
irragionevole, soprattutto perché sottrae terreni alla produzione di alimenti
in un contesto mondiale caratterizzato da perdita di terre e incremento della
popolazione. Alla competizione food vs feed che vede contrapporsi il
consumo umano diretto con quella agli animali d’allevamento, si viene così ad
aggiungere un ulteriore fattore, generando una sorta di triangolo della
competizione nell’uso delle terre:
Su questo punto occorre essere molto chiari. Uno dei
cardini fondamentali della sostenibilità è che le terre coltivabili siano
riservate all’alimentazione diretta dell’uomo, perché in tal modo si massimizza
la disponibilità di cibo, si mantengono elevati i rendimenti energetici dei
processi, si minimizzano le emissioni inquinanti e si risparmiano materie
prime, acqua in particolare. Le altre destinazioni sono assai meno efficienti e
comportano sempre ingenti sprechi ed emissioni. Si possono giustificare solo
per le terre non arabili, come quelle ricoperte dalle praterie permanenti
(prati e pascoli), dove la mediazione degli animali costituisce la sola
possibilità di trasformare l’energia fotosintetica in alimento per l’uomo.
È la situazione classica dei territori montani, le cui condizioni topografiche limitano molto la diffusione delle colture agrarie
vere e proprie. Qui la produzione di biogas si scontra con altre criticità.
Biogas in montagna: ulteriori criticità
Sono parecchie le criticità della produzione di biogas in montagna che si aggiungono a quelle che valgono per i sistemi agricoli di pianura:
-
La scarsa disponibilità di mais, che costringe ad
importazioni dall’esterno (per alimentare gli impianti o gli animali), con
aumento dell’azoto da smaltire e lunghi spostamenti che vanno a ridurre i
rendimenti energetici del processo;
-
Un sistema zootecnico già fortemente dipendente
dall’esterno dal punto di vista alimentare: non solo sono importati tutti
i concentrati, ma anche parte del foraggio. Destinare anche le poche
superfici a mais alla produzione di biogas non fa altro che accentuare la
dipendenza;
-
Gli eventuali trattamenti di denitrificazione
consentono di eludere i problemi di smaltimento dell’azoto (Direttiva
nitrati), ma, oltre ai tanti problemi ricordati in un precedente
intervento su Ruralpini (vai all'articolo) , potrebbero spingere gli allevatori ad aumentare i carichi
animali, sbilanciando ulteriormente il sistema;
-
Aziende di piccole dimensioni, che impongono
impianti comprensoriali e quindi il trasporto dei reflui e del digestato,
con ulteriori abbassamento dei rendimenti energetici e incremento
delle emissioni di inquinanti.
La vera sostenibilità dell’allevamento in montagna si fonda su un rigido
equilibrio tra carichi animali e superfici foraggere, essenziale per mantenere
alta l’efficienza energetica del sistema, chiudere i cicli dei nutrienti,
preservare l’integrità e la fertilità dei suoli e consentire ai reflui di
stalla di conservare la loro naturale e ottimale funzione di fertilizzante. Le
deiezioni diventano scarti quando non vi sono terreni in grado di riceverli,
ossia quando i carichi animali sono eccessivi, situazione che
l’intensificazione produttiva verificatasi negli ultimi decenni ha reso comune,
tanto da spingere le autorità pubbliche ad emanare normative di contenimento
dei carichi azotati a protezione delle acque. L’aver ridotto i reflui a scarto
è un’aberrazione sotto il profilo agronomico ed ecologico. Più che investire su
impianti di produzione di biogas occorrerebbe, quindi, aiutare le aziende a
recuperare un equilibrio tra animali allevati e superfici e, nei comprensori
vocati, a rinsaldare il legame con l’agricoltura. Gli arativi, infatti, hanno
necessità di apporti organici e sono i migliori valorizzatori di quella
funzione ammendante che rappresenta il principale e insostituibile pregio dei
reflui di stalla.
Inaccettabili soluzioni a rendimenti energetici netti negativi
La destinazione energetica dei reflui può essere ammissibile unicamente
in condizioni particolari, dove non vi sono alternative e si dispone di scarti
organici da smaltire. Occorre comunque una valutazione rigorosa dei rendimenti
energetici, considerando attentamente tutti i consumi energetici, diretti ed
indiretti, lungo l’intera filiera. Si tratta da un lato dei consumi per la
costruzione, manutenzione e smantellamento degli impianti, dall’altro di quelli
per la gestione a partire dalla presa in carico dei reflui e degli altri
materiali organici fino all’eventuale trattamento del digestato e sua
distribuzione in campo o altro impiego. Naturalmente, la produzione di biogas
ha senso solo se i rendimenti risultano soddisfacenti (sono tali se sono
positivi o, entro certi limiti, anche negativi se permettono di assorbire degli
scarti organici il cui smaltimento comporterebbe spese energetiche elevate),
non soltanto se il sistema regge da un punto di vista economico.