(03.05.11) Cresce in tutta la Padania l'opposizione di comuni, residenti e veri agricoltori alle numerose richieste di nuove autorizzazioni per impianti a biogas.
Le centrali a biogas 'agricolo' sono un
terribile imbroglio ecologico
e una speculazione spudorata
di Michele Corti
Veri agricoltori, contribuenti, consumatori, utenti elettrici, residenti nei pressi delle 'centrali' pagano un prezzo molto alto per favorire il bioinganno del biogas che nasconde solo un fenomeno speculativo favorito da normative improvvide e dal sostegno degli apparati burocratici
Prima che ci si venga a trovare in una situazione di non
ritorno è opportuno che venga applicata una moratoria nelle regioni padane dove
la corsa al biogas che - fin qui irresponsabilmente sostenuta dalle regioni -
sta assumendo una dimensione preoccupante. Ma non una moratoria 'alla veneta', che significa bloccare solo gli impianti con potenza superiore a 1MW,
una moratoria per tutti gli impianti che non siano collocati presso
e centri aziendali e le stalle e che superino 50-100kW. Questo l'appello alla politica che, sino ad oggi, ha sottovalutato la valenza del problema mentre le strutture
burocratiche sposavano in modo entusiastico la 'causa' del biogas un po' per
contiguità 'fisiologica' con le lobby, un po' per un imprinting culturale che
le porta a considerare con favore tutte le soluzioni che hanno il flavour dell'high tech, l'avallo di una ricerca scientifica non sempre 'disinteressata'. Così si sentono più
'intelligenti' anche loro, i burocrati.
É difficile opporsi alle centrali a biogas 'agricolo' che gode di 'corsie preferenziali'
L'opposizione agli impianti a biogas è venuta dalle singole amministrazioni comunali coinvolte, dai cittadini, da poche 'grida nel deserto'
che sono riuscite a bloccare singoli progetti qua e là. Un obiettivo non facile
perché l’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili (Direttiva
2001/77/CE del 27 settembre 2001) ha la strada spianata. Innanzitutto gli
impianti sino a 0,2 MW non richiedono alcuna autorizzazione ma è sufficiente
una comunicazione preventiva al comune. I procedimenti
autorizzativi sono stati semplificati, unificati, velocizzati in nome dei
soverchi vantaggi ambientali, sociali, economiche della produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili. Sempre in forza della presunta 'utilità
sociale' (un presupposto facilmente smontabile come vedremo oltre) il primo comma
dell’art. 12 D.Lgs. 387/03 dispone che:
"Le opere per la realizzazione degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonchè le opere connesse e le
infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi
impianti sono opere di pubblica utilità indifferibili ed urgenti"
Una forzatura notevole. Ma non è finita.
Per quanto disposto al comma 7 dell’art. 12 del medesimo DLgs:
" gli impianti alimentati
esclusivamente da fonti rinnovabili, possono essere ubicati anche in zone
classificate agricole dai vigenti piani urbanistici e pertanto non è
necessario adottare varianti di destinazione d’uso. L’A.U. costituisce, dove
occorre, variante allo strumento urbanistico".
Entro 30 giorni è convocata la prima Conferenza dei Servizi alla
quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolta nel
rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite
dalla L. 241/90. Partecipano prioritariamente Comune e Provincia e in
relazione alla particolare ubicazione dell’impianto o all’esistenza di vincoli
specifici: sovrintendenza ai beni architettonici e del paesaggio,
sovrintendenza archeologica, ente gestore aree naturali protette, parchi
regionali e riserve naturali; ente gestore del SIC/ZPS, comunità montana,
autorità d’ambito territoriale ottimale, vigili del fuoco). ASL e ARPA possono
essere invitate alla Conferenza dei Servizi senza diritto di voto. Il
termine massimo per la conclusione del procedimento non può comunque essere
superiore a 180 giorni. Acquisiti i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta e
gli assensi di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento,
l’Autorità Competente (la Provincia) rilascia l’Autorizzazione Unica che
contiene contiene, in forma unitaria, tutta la serie di
provvedimenti che altrimenti i soggetti richiedenti dovrebbero ottenere
dai diversi enti preposti. L’autorizzazione unica costituisce
titolo a costruire ed esercire gli impianti di produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili. Una semplificazione che sarebbe degna
di miglior causa ... Con questi tempi fulminei (per lo standard burocratico italiano)
le possibilità di organizzare una efficace opposizione sono ridotte.
Ora, però monta l'opposizione
Però negli ultimi mesi qualcosa si sta
muovendo. Messe sull'avviso da analoghe vicende dal Veneto all'Emilia alla
Lombardia aumentano le amministrazioni che si stanno opponendo al biogas
selvaggio (anche con ricorsi amministrativi) e i 'comitati spontanei' che
si attivano quando il Comune appare inizialmente favorevole a concedere
l'autorizzazione. In Veneto, nel padovano il Comune di
Conselve, che è riuscito a bloccare un impianto a biogas, ha promosso una
'lega' di dieci comuni che chiedono lo stop per tutti gli impianti a biogas
'agricolo' decentrati rispetto al centro aziendale. Tra gli impianti bloccati
figurano anche quello di Casnigo in Val Gandino (Bg), quello 'antesignano' del
Lomaso-Fiavé in Trentino ed altri le cui vicende non sono rimbalzate sulla
stampa. Nella pianura veronese esiste un "Comitano no centrali a biomasse
agricole". Ancora nel padovano un "Comitato No Biogas" a
Trebaselghe. A Somaglia (Lo) si è opposta all'impianto a biogas la minoranza
consigliare. A Galliera (Bo) è in corso una ferma opposizione ad un progetto di
impianto di biogas 'agricolo' che sta spaccando la maggioranza (PD) e che ha
portato ad una interpellanza in Consiglio regionale di una consigliera dei
Verdi (evidentemente non legata a Legambiente e c. che sostengono a spada
tratta il biogas come tutto il business delle rinnovabili). Comitati contro il
biogas sono sorti anche nel piacentino (Lusurasco) e nel parmense. Un forte opposizione ad un impianto a biogas da realizzare nel comune di Zanica (alle porte di Bergamo) viene sia dagli abitanti della frazione interessata alla localizzazione dell'impianto (lontano dal centro aziendale) che dall'intero Consiglio Comunale ricompattatosi dopo una posizione possibilista dell'attuale maggioranza.
Da Cremona a Brescia monta l'incazzatura degli agricoli
Da qualche, mese, però il movimento No Biogas non è più legato alla opposizione di gruppi di cittadini (qualificati sprezzantemente come 'ignoranti' dagli esperti e dai funzionari) mobilitati in quanto direttamente
penalizzati dalla realizzazione degli impianti e dalle amministrazioni comunali
sensibili alle loro proteste. Nelle campagne cremonesi e della bassa bresciana
quasi il 20% delle superfici agricole 'lavorano' per la produzione
bioenergetica. Siamo già a livelli 'patologici' ma gli impianti in funzione non
sono che la metà rispetto a quelli per i quali sono stati presentati progetti e
le richieste riguardano un po' tutte le provincie (c'è persino in itinere il
progetto di un impianto in Valtellina - dove i pochi terreni pianeggianti
sono stati divorati dai capannoni - che 'funzionerebbe' a granella di mais).
Sono quindi scesi sul piede di guerra i sindacati agricoli prima a
Cremona (la sola Coldiretti) e poi a Brescia in modo semi-unitario. Alla
Regione dopo anni di unanimismo pro biogas di scienziati, burocrati,
rappresentanti agricoli è arrivato un chiaro segnale che equivale alla
richiesta a mettere l' 'avanti adagio' se non 'l'indietro tutta' alla
politica fin qui perseguita con zelo del 'a tutto biogas'. Persino
l'Unione agricoltori di Brescia (Confagricoltura) ha in parte sposato la
protesta, il che è tutto dire.
Anche sul biogas (come sugli Ogm)
Confagricoltura sta dall'altra parte della barricata
Confagricoltura sempre più succursale di Confindustria,
ha sposato da tempo la causa delle agroenergie tanto che, al
proprio interno, ha creato 'Agroenergia' l'associazione di categoria di energia
da biomasse 'agricole', fotovoltaico 'agricolo' ecc. Quando a febbraio Le
Commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera volevano inserire nel
decreto legislativo sull'uso delle cosidette fonti di energia rinnovabile una
indicazione circa le percentuali massime (15%) di superfici aziendali
dedicate ad alimentare gli impianti a biogas "al fine di
evitare squilibri negli approvvigionamenti e nei prezzi delle produzioni
agricole da destinare all’alimentazione umana e zootecnica" la
Confagricoltura è insorta e gli amici della potentissima lobby agroenergetica e
delle 'rinnovabile' (nel governo e nell'opposizione). La vittoria di
Confagricoltura e degli interessi industriali del settore agroenergetico è una
sconfitta dei veri agricoltori, quelli che in Confagricoltura ritengono degli
'sfigati' che non hanno abbastanza terreno, risorse finanziarie, competenze
tecniche e accreditamento politico per lanciarsi nella speculazione. Insomma
gli 'invidiosi'.
Legambiente alla testa dei sostenitori del bioinganno
Peggio degli imprenditori sensibili al richiamo
irresistibile della speculazione ci sono solo i sedicenti
ambientalisti di Legambiente. Vediamo cosa hanno detto in una rovente tavola
rotonda in occasione di una tavola rotonda 'Biogas e biometano' su nuovi
strumenti legislativi al favore delle 'rinnovabili' tenutasi in occasione del
Greenergy Expo 2010 (Fiera Milano - Rho, 6 - 19 novembre 2010) uno dei tanti saloni 'agroenergetici' fioriti come
funghi negli ultimi anni. Andrea Poggio - vice direttore nazionale di
Legambiente proponeva di:
"... dare finalmente concretezza alla valorizzazione
della risorsa biogas per la generazione di elettricità e calore, nonché per
produrre biometano da immettere nella rete gas e da utilizzare come
biocarburante. La nostra proposta è quella di istituire un tavolo di
lavoro per raggiungere obiettivi che in altri paesi europei sono già una realtà
e che non ha più alcun senso ritardare in Italia (...) Già oggi sono circa 500
gli impianti di biogas presso le aziende agricole italiane. In futuro
saranno moltissimi dato che si potrà produrre dagli scarti organici il 10% del
metano che consumiamo. Per non complicare la vita degli agricoltori vorremmo
che potessero ‘vendere’ il biometano direttamente ai consumatori come si fa in
molti paesi europei” (Comunicato
di Legambiente)
A tutto biogas! Ma in che mondo vive Poggi? Non vede gli impatti di 500 impianti? Quando ce ne saranno migliaia, come lui
desidera, che fine farà l'agricoltura italiana? L'idea che servano leggi per spingere ancora di più le
rinnovabili e, nella fattispecie il biogas è sostenuta dal Sen. Francesco
Ferrante del PD che ha proposto un disegno di legge in proposito.
con lo scopo (sono parole dello stesso Ferrante) di:
" ... essere uno stimolo per questo
settore e un contributo alla soluzione dei problemi dell’agricoltura.
Faciliterebbe, inoltre, la realizzazione di un sistema industriale che
collega tanti attori, realtà urbane e realtà agricole e consentirebbe di
ottenere finalmente un' economia legata ai territori che da essi trae risorse e
ad essi le restituisce, in forma di beni, servizi, occupazione". (Comunicato di Legambiente)
Il biogas è un contributo alla soluzione dei
problemi dell'agricoltura e ad una sana economia territoriale che restituisce
al territorio stesso beni servizi e occupazione. Sono veramente degli ignoranti
quelli che non lo capiscono.
Quanto è l'istituzione a 'rifilare' la patacca
Passino i piazzisti che vendono i loro impianti (un po'
meno quando fanno credere luccuiole per lanterne agli agricoltori sprovveduti),
passi la Confagricoltura e i suoi affiliati Agroenergetici, passi
anche Legambiente, del cui conio ecologista conosciamo l'autenticità, il guaio
è che la retorica e la prassi del "biogas = formula miracolosa" è
stata adottata ufficialmente e dogmaticamente dalle Regioni. vediamo cosa
diceva la Regione Piemonte (Giunta Bresso):
La Giunta regionale ha dato impulso alla
costruzione di impianti a biogas, in modo da favorire lo smaltimento dei
reflui zootecnici, preservare le falde acquifere, produrre
energia rinnovabile e dare lavoro alle numerose imprese piemontesi che
costruiscono queste installazioni. “Questo pacchetto di provvedimenti -
hanno affermato la presidente Mercedes Bresso e l’assessore Taricco -
permetterà da un lato di semplificare alcune procedure, dall’altro di
incentivare l’utilizzo di energie rinnovabili in linea con la politica
energetica adottata dall’amministrazione regionale, che intende perseguire
obiettivi di risparmio, uso ottimale delle risorse e sfruttamento delle fonti alternative,
in un complessivo equilibrio ambientale. Il sostegno alla produzione di biogas,
realizzata secondo precisi criteri che permettano l’ottimale utilizzo
agronomico e il rispetto dell’ambiente e dell’ecosistema, è uno degli
interventi in questo campo, e ci auguriamo possa rappresentare un importante
aiuto alle imprese in una congiuntura economica non facile, e favorire
l’occupazione in uno dei settori più nuovi e promettenti dell’agricoltura”.(Dal
sito ufficiale della Regione Piemonte, comunicato del 23 febbraio 2009)
In questo peana al biogas ci sono tutti gli argomenti dei
piazzisti. In realtà la Bresso e Taricco non sono i soli ad essere cascati nel
tranello credendo che gli impianti a biogas favoriscano lo smaltimento dei
reflui zootecnici. Quello che hanno fatto la Bresso e Taricco alla fine del
2009, rivedendo i criteri di finanziamento del 2008 è stato limitare
i contributi in fondo capitale (sino al 50%!) ai sli impianti che
utilizzino almeno il 50% di peso di effluenti zootecnici. Un modo per limitare
la realizzazione di impianti a biomasse vergini e destinare le superfici
agricole all'alimentazione dei digestori. Per par condicio è doveroso ricordare
che anche in Veneto, Lombardia, Emilia i governi regionali, pur nella diversità di colori partitici, hanno finora
sostenuto in modo generosissimo la strada del biogas agricolo. Oggi
i politici cominciano ad avere qualche pulce nell'orecchio e dovrebbero
cominciare a tirare le orecchie ai burocrati che continuano a sostenere in modo
dogmatico e quasi fanatico la scelta dell'incentivazione degli impianti a
digestione anaerobia che, ricordiamolo, passano per 'piccoli' e 'agricoli'
anche se di 1MW di potenza. I politici hanno creduto ai burocrati i quali a
loro volta hanno creduto agli scienziati (che, per suggerire vie di
uscita ai politici e ai burocrati alle prese con la 'grana dei
nitrati' sono stati adeguatamente foraggiati attraverso una nutrita serie
di progetti di ricerca).
Generosi
contributi in conto capitale
I Piani di sviluppo rurale prevedono generosi contributi a fondo
perduto per gli impianti a biogas In Lombardia (Misura 311 - sottomisura B -
Energia rinnovabile) :
L'agevolazione finanzia gli interventi di importo non inferiore
a 50.000 euro, per la realizzazione in azienda di impianti per la produzione di
energia rinnovabile fino a 1 Mw, incluso l'acquisto di attrezzature, servizi e
macchine funzionali alla gestione di impianti per la produzione di energia a
favore di utenze locali, quali: impianti termici e di cogenerazione alimentati
a biomassa vegetale; impianti per la produzione e l'utilizzo di biogas;
acquisto di attrezzature e macchine per la raccolta di prodotti, sottoprodotti
e residui della produzione agricola, zootecnica e forestale per l'alimentazione
degli impianti energetici aziendali e la movimentazione, consegna e
commercializzazione delle biomasse ottenute (pellet, cippato, ecc.). La
biomassa utilizzata per il funzionamento degli impianti deve provenire, in
prevalenza, da aziende agricole; strutture per lo stoccaggio delle biomasse
utilizzate e/o prodotte.
Per tutti queste realizzazioni si prevede un
contributo fino al 40% della spesa ammissibile. C'è abbastanza da 'drogare' un
mercato che, per il resto, per le classiche attrezzature zootecniche è
stagnante. Ai contributi in conto capitale fanno riscontro le allettanti
tariffe omnicomprensive che, nel solo caso dei 'piccoli' (fino a 1 MW impianti
'agricoli') hanno consentito di lucrare la folle tariffa di 0,28€/kWh mettendo
al riparo questi impianti dalla riduzione dei Certificati verdi. Ma non è
finita. Dal 2009 i soli impianti, di proprietà di aziende agricole o
gestiti in connessione con aziende agricole, agro-alimentari, di allevamento e
forestali, possono cumulare la tariffa fissa omnicomprensiva di con altri
incentivi pubblici (nazionali, locali o comunitari) in conto energia, conto
capitale o conto interessi con capitalizzazione anticipata, non eccedenti il
40% dell'investimento. Come non capire che queste disposizioni sono un invito a
nozze per gli speculatori per mettere le mani sull'agricoltura, per mettere in
piedi società agricole fittizie costituite al solo scopo di gestire uno o più
'piccoli impianti' da 1MW che utilizzano biomasse derivanti in prevalenza da
aziende agricole. Un impianto da 1MW, in grado di produrre energia elettrica
per 4.000 persone, è una vera e propria centrale a biogas che 'ingoia' 80-90 t
di insilato di mais al giorno (la produzione di 10.000 m2). E
consente di incassare 500.000 € anni. Le ditte degli speculatori non hanno il
terreno sufficiente e prendono in affitto terreni altrui o comprano da
agricoltori che diventano 'soccidanti' del biogas. In un caso e nell'altro
l'effetto è garantito: aumento del prezzo degli affitti (ma anche
dell'insilato). I Signori del Biogas possono arrivare a pagare 1.500 €/ha il
terreno agricolo grazie ai sovraprofitti di cui godono. Veramente un 'fine
sociale' che giustifica l'assimilazione delle centrali a biogas a 'impianti di
pubblica utilità'. O no? O qualcuno bara?
Utilità sociale o biotruffa a vantaggio di pochi e a danno di molti?
Nel sostegno drogato al 'biogas' dobbiamo mettere anche
i contributi della PAC, quelli che gli imprenditori agricoli (veri o
fasulli) incassano in forza del fatto che coltivano tot ettari di superficie.
Ma la ratio della PAC è garantire la
sicurezza alimentare, sostenere l'economia agricola europea basata
sull'agricoltura famigliare. Incassare centinaia di euro per ettaro per
alimentare dei digestori sottraendo terre e altri fattori produttivi alla
produzione di foraggi o alimenti per l'uomo è in sintonia con le finalità della
PAC? É eticamente sostenibile concedere i contributi della PAC per far produrre
mais ad agricoltori o pseudoagricoltori che lo usano per fare biogas ed
ottenere energia pagata, attraverso gli incentivi, cinque volte più del
costo del kWh ottenuto con i carburanti fossili? Ovviamente gli incentivi
sono pagati dai cittadini direttamente in bolletta, e molti neanche lo sanno.
Forse, però, sanno che in Italia le bollette sono le più care d'Europa e gli
incentivi per le 'rinnovabili' i più alti d'Europa tre volte la Germania.
La furba strategia dei digestati
Una spregiudicata, furba e impropria
'accoppiata' tra la ricerca di 'soluzioni' ai problemi posti dalla Direttiva
nitrati e la spinta alle 'rinnovabili' ha dato il la alla proliferazione di
centrali a biogas 'agricolo'. Oltre a tutte le incentivazioni economiche di cui
sopra è stato decisivo per favorire la spinta al biogas lo smaccato
trattamento di favore nei confronti dell'uso agronomico dei 'digestati'
prodotti dagli impianti a biogas. Il dm 7 aprile 2006 (Criteri e norme tecniche
generali per la disciplina regionale
dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento) non
menziona i 'digestati'. É La DGR (Delibera Giunta Regionale) 8/5868
della Lombardia che, all'art. 14 introduce la nuova categoria dei 'digestati'.
Fin qui era considerato dalle normative vigenti un 'effluente di
allevamento' . La LR n. 37 della Regione Lombardia del 1993 è stata una antesignana
in materia di utilizzo dei reflui zootecnici. Essa, all'art. 4, comma 2
considera i 'digestati' (allora non erano chiamati così) tra i fanghi
costituenti i 'reflui' sottoposti o meno a trattamenti.
"Sono inoltre considerati reflui zootecnici ai fini
della presente legge i fanghi zootecnici derivati da processi di sedimentazione
dei liquami, nonché prodotti biologicamente da processi di trattamento
aerobico o anaerobico degli stessi, tal quali o ispessiti e disidratati"
La DGR (Delibera Giunta Regionale) 8/5868
introduce per la prima volta i 'digestati' prevedendo per quelli
risultanti dalla fermentazione delle sole biomasse vegetali la 'promozione'
dalla categoria ('cattiva') di 'refluo' a quella ('buona') di fertilizzante
azotato. Quest'ultimo essendo 'buono' (si fa per dire) nel rispetto del
bilancio azotato può essere impiegato fino a 340 kg di N (azoto) per ha
(ettaro) anche nelle aree vulnerabili in base alla Direttiva nitrati.
Qualora il digestato sia il risultato della fermentazione anaerobica
di effluenti di allevamento, il limite d’uso agronomico è di 170 kg/N/ha per
anno inteso come quantitativo medio aziendale;
Qualora il digestato sia il risultato della fermentazione
anaerobica di sola componente vegetale, il limite da applicarsi sarà quello dei
340 kg/N/ha per anno inteso come quantitativo medio aziendale.
Il fatto è che, stabilendo che i due digestati sono 'diversi', si
fa a pugni con l'evidenza 'scientifica' della quasi completa equivalenza di
composizione chimica dei due tipi di 'prodotto' dove, in entrambi i casi,
troviamo il 3,5-4% di azoto totale e il 70% di azoto in forma ammoniacale. La
mossa, apparentemente sconclusionata, ha una sua logica. 'Sdoganando'
i soli digestati vegetali non si è voluto dare l'impressione che si stesse
aggirando una normativa consolidata che stabilisce che nelle aree vulnerabili i
'reflui zootecnici' (compresi fanghi e digestati originati dal trattamento del
materiale fecale) non possono essere distribuiti in quantità eccedente i 170 kg
di N per anno. Gli astuti funzionari regionali, però, incoraggiati da scienziati, tecnici, esperti tra cui non pochi direttamente interessati economicamente al
business, sulla base della DGR del 2007 hanno impostato una Procedura nitrati e
un relativo software applicativo che introducono una interpretazione molto
originale dello strumento normativo: la proporzionalità delle biomasse. Tanto
più il digestato 'misto' (categoria per ora comtemplata con strumenti
normativi solo dalla Regione Emilia) è ottenuto da biomasse vegetali tanto
più si può elevare il valore di 170 kh. E così il gioco è fatto. Manca solo un
tassello, che metterebbe al riparo gli zelanti dirigenti pro biogas, una
pronuncia normativa chiara a livello nazionale che stabilisse che il digestato
è sostanzialmente uguale (è vero) e che quindi è tutto 'buono' e può essere
utilizzato nella dose di 340 kg di N/ha anche nelle arre vulnerabili
(vulnerabili, lo ricordiamo sia per il grande carico zootecnico e/o per la
fragilità dei terreni e/o per la presenza di elevati valori di nitrati
disciolti nelle acque). Però non vi è accordo tra gli esperti e la
provvidenziale norma potrebbe ritardare o non essere emanata.
Ma i digestati sono fertilizzanti buoni?
Quando tecnici, scienziati e burocrati si affannano a sostenere
che i 'digestati' sono un concime di elevata qualità e ne confrontano le virtù
con i liquami non 'passati' attraverso i digestori pare che si dimenticano di
quasi vent'anni di storia. Per caldeggiare la costruzione di ampie vasche di
stoccaggio nel rispetto delle normative si è detto e stradetto che i 180 giorni
minimi di stoccaggio dei reflui avevano la funzione di 'stabilizzare
chimicamente' i reflui stessi e di 'eliminare i patogeni'. Ora a sentire
i promotori del biogas e dell'uso agronomico dei digestati pare quasi che
essi si riferiscano a 'liquami freschi' a un liquame ... di merda e no a quel
liquame 'di qualità' per produrre il quale sono stati finanziati i
vasconi, gli agitatori, gli eventuali impianti di separazione solido-liquido
ecc. ecc. Non è che si voglia rifilare la nuova merce? In ogni caso i
digestati sono sì un 'quasi concime chimico' ma questo è un vantaggio in
assoluto?
Si ragiona come se la situazione abnorme di eccesso di apporto
di sostanza organica al terreno - determinato dai carichi zootecnici eccessivi e
dall'apporto extra-aziendale di mangimi e foraggi importati (spesso anche
dall'estero) - santificasse i concimi chimici. Ma se oggi i terreni hanno
un contenuto eccessivo di sostanza organica cosa succederebbe se fossero di qui
in avanti fossero concimati solo con concimi chimici o simil-chimici? Che la sostanza
organica diminuirebbe e che di conseguenza le proprietà del terreno si
deteriorerebbero (a cominciare dalla suscettibilità all'erosione). Ma poi
siamo sicuri che la 'botta' di 340 kg di azoto prevalentemente ammoniacale
verrebbe assorbita integralmente o almeno in larga misura dalle colture? In
terreni sciolti con poca argilla lo ione ammonio NH4+ non viene
sufficientemente trattenuto ed è dilavato. Rischi di lisciviazione si hanno
anche se la nitrificazione è rapida (per es. per temperature insolitamente e
precocemente elevate) tanto che le radici delle piante non riescono ad
assorbire il nitrato (NO3-) abbastanza velocemente e questo per
nulla trattenuto dal terreno viene lisciviato nelle acque di falda. Va
ricordato che le piante assorbono in minipa parte l'azoto sotto forma di N
ammoniacale (N-NH4+) e principalmente sotto forma di nitrato (N-NO3-).
Quindi la nitrificazione è un processo 'rischioso' ma necessario. In certe
condizioni può causare più lisciviazione di nitrati un 'digestato' che un
liquame. Senza contare poi che c'è liquame e liquame e che un ultrachiarificato
è assimilabile alla frazione liquida dei digestati. Ma il liquame chiarificato
o trattato con altri sistemi ha un grave difetto: non viene dal biogas, non
aiuta a far guadagnare gli speculatori trasferendo loro dei gran bei
soldini dalle tasche dei contribuenti, utenti elettrici, consumatori (sì
perché si paga anche l'aumento delle materie prime alimentari).
Impatti ambientali
Ma il 'vantaggio' dei 'digestati' è anche che nello spandimento.
Considerato che si verificano significative perdite in atmosfera di ammoniaca
(causa delle piogge acide) e di protossido di azoto (causa di effetto serra).
Per chi deve risolvere la 'grana dei nitrati nelle acque' e quella di terreni
sempre più eutrofizzati (ricchi di azoto e di sostanza) organica un bene.
per l'ambiente un corno. Ma finché non ci sarà una Direttiva ammoniaca
nell'aria e i relativi business per 'rimediarvi' si va avanti così. Questo
tanto per chiarire la 'sensibilità' ecologica dei fautori del biogas che sanno
anche benissimo quali impatti determini il via vai di autocarri da e per i
digestori e sanno anche benissimo che se qui bruciamo (previa metanizzazione)
quella sostanza organica che per millenni l'agricoltura di tutto il mondo ha
ritenuto una risorsa preziosa altrove ci sarà una depauperazione. Se
trasportiamo alimenti per animali da un continente all'altro per produrre
liquami da biogas, se concentriamo l'agricoltura animale in aree ristrette del
pianeta quelle da dove provengono i feedstuffs,
gli alimenti per il bestiame useranno concimi chimici azotati o 'bruceranno'
quella sostanza organica accumulata nelle terre 'vergini' (foreste e savane)
che vengono messe a coltura per soddisfare la fame dei nostri allevamenti che,
oltretutto, si vedono togliere il mais sotto la bocca dagli impianti a biogas.
Uno scempio ecologico sotto ogni riguardo (oltre che uno scempio economico che
sta in piedi solo perché chi paga non ha il diritto di dire la sua e non si
accorge nemmeno che qualcuno gli sta infilando la mano nel portafoglio. Una
riduzione di emissioni di CO2 ottenuta a carissimo prezzo mentre vi sono tanti
altri modi più economici e socialmente equi per ridurre le emissioni (ma non
creano superprofitti per pochi e quindi chissenefrega).
L'avidità da sola non può spiegare una simile follia
Noi siamo convinti che non sia solo l'avidità degli speculatori
a spingere in questa direzione ma una fredda scelta strategica che punta alla
definitiva e totale industrializzazione dell'agricoltura, al cambiamento
genetico dell'azienda agricola e nel fare agricoltura. Se un certo modo di
intendere la multifunzionalità agricola riporta la produzione agricola a
contatto diretto con i consumatori, la comunità, una recuperata dimensione
sociale sottraendola alle grinfie del sistema dell'agribusiness industriale globale (e della tecnoburocrazia), la
multifunzionalità 'energetica' va in direzione opposta. Guarda caso le lobby
delle agroenergie spesso coincidono con quelle degli OGM.