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(08.08.12) Bové dichiara che è giusto sparare ai lupi. Un po' perché il lupo è arrivato sin nella sua regione (Lozére), un po' perché da leader sensibile si rende conto che è necessario superare l'ecologismo di matrice urbana

 

Bové smaschera l'ecologismo

 

di Michele Corti

 

 

José Bové fa scoppiare le contraddizioni dell'ecologismo urbano che, attraverso l'alibi della wilderness e la modernizzazione ecologica, agevola la distruzione da parte del sistema tecnoindustriale dei sistemi ecologici e sociali

 

Quando José Bové ha cessato di fare l'allevatore nel 2009 per diventare eurodeputato e quindi politico di professione mi sembrava di aver perso un personaggio di riferimento, che lo strenuo combattente contadino fosse passato "dall'altra parte". Tanto più che era stato eletto nelle file dei Verdi. In questi giorni  possiamo dire con grande soddisfazione che Bové è tornato il contadino militante di sempre. L'equivoco del connubbio tra ecoruralismo ed ecologismo urbano è finito. Alla base di questa svolta le dichiarazioni fatte il 17 luglio ad una piccola radio locale (radio Totem): "Per me, le cose sono chiare: se il lupo rischia di attaccare una gregge, la migliore cosa da fare è prendere il fucile e di tirare", aveva dichiarato Bové sulle onde di radio Totem.

 

 

Va precisato che Radio Totem è emittente del sud-est della Francia e, tra le regioni, dove viene ascoltata, c'è anche quella della Lozére. La Lozére, a sud del Massiccio centrale è la regione del Roquefort, il formaggio ovino celeberrimo di cui Bové era un produttore. A Millau dove il fatidico 12 agosto 2001 venne distrutto il ristorante McDonald dagli "insorti" contadini guidati da Bové e c'è la sede dell'associazione nazionale dei produttori di latte ovino. L'arrivo del lupo nella Lozére, distante oltre 300 km dalle zone di primo insediamento del lupo in Francia, poteva lasciare indifferente Bové? No di certo non solo perché il lupo gli è arrivato in casa ma anche perché la struttura pastorale della Lozére, in relazione all'indirizzo latte è ben diversa da quella delle Basse Alpi. È costituita da greggi piccoli, di 100-200 capi che non possono essere protetti con i metodi utilizzati  grandi greggi da carne (peraltro parzialmente efficaci considerato che nel 2011 sono stati 5.000 gli ovini predati dai lupi in Francia).

 

Reazioni emblematiche

 

Le reazioni dei verdi alle dichiarazioni di José Bové, che ritiene giusta l'autodifesa armata dei pastori contro i lupi, rivelano la natura bigotta di questa corrente politica borghese. Oltre a chiedere la scomunica di Bové, ovvero la radiazione del leader contadino dal gruppo parlamentare europeo EELV (Europe Ecologie Les Verts), le l'associazione per la protezione degli animali selvatici (Aspas) ha depositato un esposto al tribunale di Mende (capoluogo della Lozére) contro l'eurodeputato per  "incitamento alla distruzione di una specie protetta". Colpisce l'ipocrisia di chi si appella alla legalità e ricorre alla repressione quando si tocca il sacro totem del lupo ma plaudeva quando Bové distruggeva il McDonald di Millau o distruggeva le coltivazioni Ogm (finendo più volte in galera). Gli strali degli Toni grotteschi ha europarlamentare ecologo è diventato “Il lupo (!?) nell'ovile dei protettori della natura" secondo  l'associazione di protezione degli orsi appassionati e la lega di protezione degli uccelli (LPO) di Provenza-Alpi-Costa Azzurra.

 

 

Sono gli stessi che nel 2009 lo hanno candidato all'europarlamento sicuri che la presenza di Bové nelle liste ecologiste avrebbe catalizzato consensi anche al di là dell'elettorato verde tradizionale. Eppure Bové è stato il fondatore (nel 1987) della Confédération Paysanne, organizzazione contadina che oltre a promuovere battaglie No global e No Ogm si è dichiarata, sin dalla sua apparizione negli anni '90, No lupo sino ad appoggiare apertamente i pastori sotto processo per abbattimenti o avvelenamenti di lupi proclamando che queste sono azioni di resistenza sociale. La Confédération Paysanne denuncia apertamente - come facciamo anche noi da tempo - che dietro alla maschera della protezione assoluta del lupo c'è la tacita tolleranza del bracconaggio da parte delle stesse organizzazioni ambiental-animaliste che dallo status quo ricavano consenso e vantaggi anche materiali:

 

"In realtà, costretto all'auto difesa dalla sacralizzazione dei lupi, il mondo rurale ne elimina alla meno peggio un certo numero. (...) È in questa autodifes, non nei presunti successi della protezione passiva, che occorre cercare la spiegazione della sopravvivenza provvisoria del pastoralismo, e dell'adeguatezza dei fondi di compensazione. Si sa che i lupi non presentano alcun problema ecologico nel nostro contesto. Sono in espensione vigorosa in tutto l'emisfero settentrionale, e non corrono alcun rischio di scomparsa, contrariamente al 36% delle specie di mammiferi minacciate nella Francia metropolitana, di cui non si parla. Sotto questa luce non stupisce il consenso silenzioso che avvolge le eliminazioni clandestine che appare significativo della collusione dei diversi interessi legati al "business del lupo" e di una volontà di lasciare marcire la situazione, o di mantenerla così com'è. Il pastoralismo ha già pagato un omaggio pesante e non potrà resistere indefinitamente alla pressione di predazione. Leconseguenze sono già (e lo saranno più ancora) evidenti: tessuto sociale degradato, impoverimento della biodiversità, la chiusura del paesaggio, più valanghe ed incendi, il decentramento delle greggi verso l'allevamento industriale, un implulso all'industria agroalimentare e dei trasporti internazionali. (articolo apparso nel 2006 su " Le Crestois " periodico della Drôme)(Elle veut mettre fin à 15 ans d'hypocrisie La confédération paysanne dénonce le dispositif loups)"

 

Se in Francia con 200 lupi il mondo rurale resiste alla meno peggio grazie ad un limitato bracconaggio è chiaro che in Italia, con 2000 lupi, solo un esteso bracconaggio può mantenere la pressione predatoria entro limiti che impediscono la totale scomparsa del pastoralismo nelle aree più esposte. Lo sanno tutti. E lo tollerano, perché il "teatrino" fa comodo a molti (Parchi, associazioni, studiosi ed esperti del lupo). Chi si proclama amico del lupo lo fa per sfruttarlo. Ma torniamo a Bové.

 

Negli anni duemila Bové si è allontanato dalla direzione attiva della Confédération Paysanne. Con grande sollievo dei verdi (che in Francia si chiamano anche écolos). Ma Bové non ha cambiato affatto idea sul lupo. Proprio nel 2009 in un libro-intervista uscito in occasione della campagna elettorale per le europee Bové non faceva mistero (José Bové. Un paysan pour l'Europe entretiens avec Claude-Marie Vadrot, Delacraux et Niestlé , Lonay - Suisse - 2009).

 

Gli ecologisti ti rinfacceranno che sei contro i lupi, che tu un giorno hai detto "se li vedo avvicinarsi al mio gregge, io sparo"

 

"Lo ho detto, ma non vedo perché lascere che un lupo attacchi il mia greggo, i miei mezzi di sostentamento! Bové non è contro i lupi. Ma Bové è inizialmente contadino, allevatore, e effettivamente per me la questione dell'allevamento è essenziale. Non rimprovero a nessuno di volere proteggere i lupi, ma se la gente non mi rimprovera di volere salvare le mie pecore. Siamo oggi in questa situazione di particolare antagonismo, di conflitto rispetto ai lupi perché viviamo una desertificazione che si accentua ovunque ogni anno."

In quella intrvista Bové ha sostenuto molte altre cose interessanti che segnano la distanza dall'ambientalismo urbano.

 

"A mio parere, ostinarsi a credere ad uno spazio naturale mitico o idilliaco, senza presenza umana dipende da un grave errore di valutazione della realtà. Occorre rinunciare a considerare la campagna, pianura o montagna, come un semplice parco giochi; o come una natura piacevole selvaggia nella quale sarebbe semplicemente bene vivere. Una specie di mito più o meno rousseauviano con leoni vegetariani che mangerebbero accanto alle antilopi o ai lupi che leccherebbero gli agnelli smarriti per riportarli in seguito alla loro madre."

 

 

Bové considera riduttiva e unilaterale l'idea della "coesistenza" tra lupi e pastori. Estrapolata dalla questione di una gestione del territorio che tiene conto di tutti gli interessi in gioco la "coesistenza" concepita dai verdi finisce per far pagare solo al pastore il prezzo di una "naturalizzazione" ambigua che, in ogni caso, avvantaggia in modo molto asimmetrico altri attori sociali.

 

"Vuoi dire che la coesistenza è possibile a condizione che lo spazio così detto naturale sia rioccupato dai contadini?"

"Sì, ma non soltanto poiché occorre portare a termine il dibattito sull'utilizzo delle risorse fondiarie, sull'impiego della terra. Non dobbiamo applicare nelle campagne un modello produttivista chesegmenta tutti i territori in sezioni specializzate. Non deve esistere un territorio per l'agricoltura, un territorio per l'allevamento, un territorio per la caccia, un territorio urbano o peri-urbano per dormire, un territorio per lo svago, un territorio per gli animali selvaggi e un altro ancora per il lavoro. Occorre rivedere il modello industriale di segmentazione. Occorre che tutti gli spazi si incrocino, si compenetrino. Occorre [...] discutere globalmente sulla gestione dello spazio, stabilire la legittimità di ogni necessità e aspirazione, perché tutte le legittimità possano essere riunite nello stesso spazio."

 

 

Questo il pensiero di Bové in campagna elettorale. Nessuno può dire che abbia "imbrogliato" l'elettorato verde.

 

 

Bovè ribadisce a Le Monde che bisogna sparare al lupo

 

Nei giorni scorsi, per nulla intimorito dalle prese di posizione scandalizzate dei benpensanti verdi Bové ha pensato di ribadire a Le Monde quando dichiarato alla radio locale del sud-est.

 

“Noi ecologisti dobbiamo smetterla di parlare a vanvera: non si può essere contro la desertificazione delle campagne e l’infinita espansione urbana e, al tempo stesso, a favore della creazione nelle campagne di spazi dove gli agricoltori non possono vivere. Si deve poter sparare al lupo perché la priorità è quella di mantenere i contadini nelle zone di montagna” (dichiarazione a Le Monde del 2 agosto 2012. leggi tutto).

 

Il leader contadino europeo ha colto nel segno. Non si può battersi contro la cementificazione, le autostrade, i capannoni e poi escludere le attività agricole e pastorali dalle ampie aree che si vorrebbe dedicare a "santuari della natura". In un mondo che ha sempre più bocche, sempre più febbre (siccità e calura), sempre meno acqua pura una posizione come quella dei verdi urbani è insostenibile e, alla fine, favorisce solo chi vuole piegare la resistenza contadina, conferire alle multinazionali il monopolio della produzione di cibo. Noi vorremmo anche aggiungere: "Non si può battersi per i formaggi di pascolo, per la resistenza casearia e al tempo stesso sostenere la protezione assoluta del lupo". Anno dopo anno vengono abbandonati degli alpeggi dove si producevano formaggi particolari, pecore e capre da latte vengono sostituite da animali da carne più facilmente difendibili e gestibili in presenza del lupo. Eppure anche Slow Food non si discosta dall'ortodossia pro lupo che caratterizza tutta la cultura progressista, tutta la sinistra borghese e intellettuale. Ciò nonostante che il pensiero di Petrini per molti aspetti forzi questa ortodossia e ci sia in molte iniziative di S.F. una componente di sincero appoggio alla causa contadina. Nonostante che la vice-presidente di S.F internazionale sia Vandana Shiva, una che non lascia che la sua India sia colonizzata dalle ideologie occidentali borghesi sia pure in versione liberal e radical o eco Vandana ha dichiarato che "L'unico ecologismo è quello contadino".

 

 

Post-ecologismo

 

La main stream dell'ecologismo (e dello slowfoodismo) continua a subire l'egemonia delle ideologie che (a partire dall'illuminismo) hanno accompagnato la nascita del sistema industriale e tecnoscientifico.  Sostenendo che non sono l'industria e la tecnologia il male che mette a rischio la vita dell'uomo sul pianeta ma i "rapporti di produzione", un certo stile di capitalismo "cattivo", la cultura progressista e ambientalista dominante (propalata dalle stessi multinazionali), l'ecologismo politicamente corretto cerca di illuderci che il sistema sia riformabile, controllabile, emendabile.

 

 

Solo alcune frange emarginate del movimento ecologista (vedasi Edward Goldsmith) hanno contestato la funzione di stampella al sistema tecnoindustriale del movimento ambientalista. Ora si aggiunge Bové che con le sue uscite antilupo (un discrimine ideologico e sociale acuminato come la lama di un rasoio) pone le condizioni per un post-ecologismo che vada oltre le testimonianze intellettuali e che ha la possibilità di trasformarsi in movimento politico (cosa che Bové ha senz'altro intuito anche sulla base di considerazioni politico-elettorali).

 


 

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