(08.11.11) Al congresso della International dairy federation "Summilk" di Parma dello scorso ottobre è uscita la ricetta per la sostenibilità dell'industria lattiera: mucche ancora più macchine da latte e stalle ancora più grandi. Una prima risposta ai bari
di Fausto Gusmeroli
In un articolo del Corrierone del 28.10.11 - evidente riarrangiamento acritico dei comunicati stampa - sono state illustrate le indicazioni del convegno industrial-scientifico della federazione lattiera internazionale. Più industrializzazione e più intensificazione produttiva è la parola d'ordine. Non c'era da dubitarne. Solo che ora si utilizzano spregiudicatamente anche le argomentazioni ecologiche.
Sembra proprio di assistere ad un gioco di prestigio: la zootecnia intensiva che per diventare più sostenibile si intensifica ancora di più! Meno bovine in stalla, si propone, ma più produttive, per ridurre le emissione di gas serra.
Il discorso merita qualche precisazione, necessaria a allargare la riflessione e smascherare il trucco.
1. Aumentare la produttività di animali già molto produttivi non è facile. Come giustamente si dice nell’articolo, occorre agire tanto sul fronte del miglioramento genetico, quanto della razione alimentare. La genetica può aiutare ad ottenere soggetti con una migliore efficienza produttiva, ma questi animali necessitano di quote maggiori di alimenti concentrati nobili (cereali e legumi) per innalzare la densità nutritiva e la digeribilità della razione.
2. Più gli animali sono produttivi, più occorre potenziare il controllo e l’efficienza di tutto il sistema di allevamento: dagli ambienti, alle attrezzature, alla professionalità delle maestranze. Inoltre, i soggetti ad alta genealogia sono molto più delicati, si ammalano più facilmente e sostengono pochissime lattazioni, andando così ad aggravare le spese sanitarie e la rimonta. Tutte queste richieste divengono presto improponibili negli allevamenti di piccola o media dimensione.
3. L’impiego di cerali e legumi nell’alimentazione degli animali crea la nota competizione food vs feed, ossia pone l’alternativa nella destinazione delle terre tra uso umano e zootecnico. La trasformazione zootecnica dei vegetali comporta un enorme dispendio di acqua e energia e aumento delle emissioni di gas serra.
4. La produzione di cerali e legumi nelle agricolture intensive di oggi avviene con bassi rendimenti energetici e impiega elevate quantità di materiali di sintesi (concimi e pesticidi), i quali, oltre a incrementare le emissioni di gas serra, lasciano residui più o meno tossici nell’ambiente. Una quota preponderante di essi (soia in particolare), inoltre, è GM (geneticamente modificati), ciò che dilata ulteriormente i rischi di carattere ambientale e sanitario.
Come si vede le cose sono diverse e un po’ più complesse di quanto si vuole far credere. I conti vanno fatti bene e prendendo in considerazioni tutti gli aspetti direttamente o indirettamente coinvolti. Da questo punto di vista Il metodo del ciclo di vita è senz’altro interessante, purché ovviamente sia applicato con correttezza.
Se davvero si vuole rendere il sistema zootecnico sostenibile bisogna tuttavia cominciare a riposizionarlo in coerenza con il ruolo che la natura ha assegnato ai ruminanti, ossia quello di trasformatori di foraggi. Questo è il caposaldo della sostenibilità, che risparmierebbe energia e acqua, ridurrebbe le emissioni di gas serra e altri inquinanti e aumenterebbe la disponibilità di cibo per l’umanità. Esattamente la via opposta all’ulteriore intensificazione degli allevamenti.