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Glossario
Cippato. utilizza il termine comune
'cippato' per definire il “legno sminuzzato”, o “chips di legno”, il legname in scaglie ottenuto da
apposite macchine. Per produrre chips viene utilizzato legno di qualità inferiore,
come i residui delle potature boschive , agricole o urbane, le ramaglie e i
cimali, oppure ancora i sottoprodotti delle segherie e il legno proveniente da
impianti a breve rotazione (Short Rotation Forestry)
Pellet.
I pellet di legno sono ricavati da segatura essicata
e compressi in forma di cilindretti di 6 mm di diametro
(lunghi 30 mm). A parità di volume il potere
calorico è doppio a quello dela legna da ardere.
Oltre ai pellet di 'legno vergine' derivanti dalla segatura
sono oggi in commercio pellet derivati dal guscio della
noce di cocco di provenienza asiatica. Possono essere
anche prodotti - in caso di convenienza economica -
da paglia, cortecce, scarti della lavorazione del riso,
juta, scarti di cacao, scarti di caffè, carta, cartone, bancali.
Brichetti.
I brichetti sono ottenuti utilizzando scarti di legno (segatura, cippato e biomasse) ad elevate pressioni. Sono generalmente cilindrici (con diametro che varia tra i 50 e i 100mm
e la lunghezza da 200 a 300 mm)
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(22.08.11) La
realizzazione delle centrali a cippato procede indipendentemente
dall'attivazione di filiere corte locali e in presenza
di prezzi crescenti della materia crima. Che costringono
a rifornirsi sempre più da lontano
La
corsa alle biomasse
combustibili appare sempre meno sostenibile
testo
e foto di Michele Corti
Il
boom delle centrali a cippato, associate a teleriscaldamento,
è iniziato quando il cippato costava la
metà di adesso. Le promesse del rilancio
di una "green economy" che avrebbe
dovuto rilanciare l'utilizzo produttivo dei
boschi non si sono avverate. E mentre le
imprese del legno riciclano in modo più
conveniente gli scarti il materiale arriva da
... oltremare
"Per anni gli impianti di riscaldamento a cippato e a pellet sono stati sinonimo di fonti energetiche sostenibili ed ecologiche; oggi invece è ormai chiaro: cippato e pellet sono anche la fonte di energia economicamente più
conveniente".
Questo quanto reclamizzano i produttori. Tecnici e politici
hanno spinto alla realizzazione di centrali a cippato
prospettando un rilancio delle filiere-legno, un ritorno
alla cura dei boschi, la creazione di posti di lavoro.
Il
commercio di materiale
combustibile legnoso è però diventato un
grosso business internazionale ma siamo sicuri che l'utilizzo
di queste materie prime sia così sostenibile
ed ecologico? E siamo sicuri che sia economico? Una
cosa è certa: gli impianti 'medi' che non riescono
ad approvvigionarsi localmente saranno messi in grosse
difficoltà dallo sviluppo di impianti sempre
più grandi in grado di assorbire enormi quantità
di materia prima. In un articolo del Sole 24 Ore
del 6 agosto si sosteneva che:
Il modello oggi prevalente nelle biomasse vede impianti di dimensioni ridotte (tra i 0,5 e 5 MW), approvvigionamenti in loco (filiera corta) è pensato per l'autoproduzione o per una domanda locale
di piccole dimensioni. Ciò, per i limiti di approvvigionamento di combustibile a livello locale, per il mismatching tra luoghi di produzione e consumo, e per limitare i costi di trasporto. Negli ultimi anni è emerso un nuovo modello su larga scala che consente di aumentare l'efficienza e di ridurre i costi di approvvigionamento e di trasporto delle biomasse. Ne sono esempi i progetti di Drax-Siemens in Gran Bretagna (tre impianti da oltre 300 MW), di Poeyry Empreendimentos in Brasile (162 MW),
da Enso Gutzeit (91 MW) in Finlandia e da Wuhan Kaidi el Pr Engineering (180 MW e 510 MW) in Cina e vari impianti di Vattenfal.
In
Giappone diverse città sono dotate di centrali
a biomasse che utilizzano decine di migliaia di t di
materia prima locale. Quello che è da segnalare,
però, è che anche in Giappone si punta
a impianti di grandi dimensioni. A Hekinan-City
nella prefettura di Aichi è stata progettata
la realizzazione di un impianto che utilizzerà
200.000 t di materiale di importazione. Se le biomasse
diventeranno un'alternativa diffusa alla produzione
mondiale di energia i costi lieviteranno e la produzione
di materiale combustibile sarà sempre più
concentrata in grandi impianti che metteranno fuori
mercato le aziende che si sono gettate nel business
anche in Italia. Anche
nel caso delle biomasse legnose l'alternativa secca
sarà tra una una dimensione realmente locale,
e un recupero non a parole delle filiere-bosco-legno, e
quella globale non ci saranno alternative.
In realtà le difficoltà di autoapprovvigionamento
stanno già aumentando. Gli "scarti"
delle lavorazioni legnose stanno diventando sempre più
preziosi. Dove vi è abbondanza di materia prima
(con determinate caratteristiche) e certezza di approvvigionamento
le industrie del legno - se i costi risultano concorrenziali
rispetto al prodotto importato - tendono a produrre
pellet o brichetti e a commercializzarli. Quest'anno
è entrata in funzione una centrale a biomasse
per il teleriscaldamento nel Primiero (Trentino). Due
anni fa (l'articolo de L'Adige che riportiamo di seguito
è del 9 aprile 2009) contro il progetto si schieravano
il presidente della Bio Energia Fiemme che gestisce
la centrale di Cavalese (valle molto più attiva
nella filiera legno) e i gestori delle segherie che,
nel progetto, avrebbero dovuto fornire la materia prima.
L'articolo è interessante perché mette
in evidenza come, in assenza di un auto-approvigionamento
realmente locale, si scateni una 'guerra tra poveri'
tra territori limitrofi con la corsa ad accaparrarsi
le biomasse e la lievitazione di prezzi e costi. Mette
anche in evidenza come le segherie di 'scarto' proprio
non ne anno utilizzando la segatura per alimentare le
proprie caldaie e per produrre brichetti.
TRANSACQUA
– Ecotermica Primiero spa sta portando avanti un progetto
insostenibile sia dal punto di vista economico che ambientale.
Ad affermarlo, in due analisi molto simili, sono Mario
Giacomuzzi, presidente di Bio Energia Fiemme che gestisce
la centrale di teleriscaldamento di Cavalese, e le segherie
di Imer B&B Legno, Bettega Giovanni e Figli e Bettega
Bruno. I due documenti, indirizzati agli assessori competenti
della Provincia di Trento e all’Agenzia provinciale
per l’ambiente che sta esaminando il progetto, partono
da una considerazione di fondo: solo una filiera corta
«bosco - lavorazione del legno - energia»
garantisce il successo di un’iniziativa nel campo del
teleriscaldamento a biomassa legnosa. Ma il Primiero
non ha biomassa. Sono le segherie primierotte a dirlo,
citando più volte lo studio d’impatto ambientale
redatto a sostegno del progetto di Transacqua. Uno studio
in cui si diceva che 75 mila metri cubi steri verrebbero
reperiti dalla segheria Bettega Bruno, 68 mila dalla
CR3 di Cimego (170 km di distanza), 20 mila metri cubi
steri presso la Magnifica Comunità di Fiemme
(riserva di Bio Energia). Uno studio corretto due volte
fino al marzo 2009, quando tutte le previsioni dettagliate
sono state sostituite da una stima dell’Enaip di Primiero,
che suppone una quantità di cippato in valle
di 71.055 mcs. Fantasie, dicono i titolari delle tre
segherie, dato che «lo scarto prodotto dalle nostre
aziende (ormai le uniche rilevanti in valle) è
di 6- 7.000 mcs l’anno e che le altre falegnamerie presenti
e da noi interpellate bruciano i loro scarti in caldaie
a legna o producono bricchetti. Nessuno di noi rivende
a Ecotermica S. Martino un metro cubo di cippato e quindi
anche i 75 mila metri cubi che Bettega Bruno dovrebbe
reperire in zona sono inesistenti». Non solo.
Se la centrale di Transacqua venisse costruita, servirebbero
126.500 mcs per soddisfare le esigenze del Primiero
e di S. Martino. Presi dove? E a quale costo, anche
ambientale, visto che per i trasporti bisogna consumare
combustibile fossile? Insomma, un progetto insostenibile.
Di più, dice Giacomuzzi: «Dissennato, che
rischia di compromettere la sostenibilità del
sistema energetico dei territori limitrofi, come Fiemme».
Se
ci spostiamo dal Trentino alla Valtellina e alla Vallecamonica
le cose non cambiano. La proliferazione di centrali
a cippato e a teleriscaldamento non si è ancora
arrestata ma è sotto gli occhi di tutti che solo
l'esperienza di Tirano possa definirsi sostenibile.
I motivi sono evidenti: lì si concentra una notevole
attività di lavorazione del legname che proviene
dalla Svizzera (a Tirano c'è la dogana e il capolinea
della Ferrovia Retica). Altrove le cose stanno diversamente.
A Esine in Vallecamonica le difficoltà di approvigionamento
sono sotto gli occhi di tutti e il raggio di provenienza
del materiale ha dovuto essere notevolmente allargato
rispetto ai rosei progetti. Le favolette circa
"non si produce C02 in più" (come se
navi e autocarri non viaggiassero utilizzando petrolio...)
e circa "i boschi rappresentano una risorsa inesauribile"
hanno di fatto improntato scelte improvvide. Intanto
il movimento degli autocarri carichi di materiale importato
si intensificano e contribuiscono al sovraccarico della
nostra rete stradale. Il business internazionale delle
biomasse si estende a dal sudamerica all'indonesia si
intensifica lo sfruttamento (sostenibile?) delle foreste.
Sul quale qualche dubbio si può avere considerato
che sulle remote isole degli arcipelaghi dell'estremo
oriente - acquistate in blocco da società internazionali
- non è facile sapere cosa su. Mentre i nostri
boschi continuano a versare in una situazione pietosa.
L'Italia già definita "un paese ricco di
boschi di poveri" (era un Direttore generale delle
Foreste) si conferma sempre più tale con i boschi
che dilagano a sommergere pascoli, prati, abitati campi.
Per la gioia dei verdi.
Le
immagini dell'articolo si riferiscono alla centrale
di teleriscaldamento a cippato di Madesimo (So). Ha
sostituito molte piccole caldaie condominiali che bruciavano
gasolio ma, d'altra parte, dipende dall'approvvigionamento
estero con gli autocarri che percorrono la superstrada
SS 36 e si inerpicano per la Valle Spluga (i tornanti
impediscono l'impiego di autoarticolati e tanto meno
di rimorchi). Fintanto che la materia prima ha prezzi
accettabili non si pensa a utilizzare biomasse locali.
In loco esiste solo un laboratorio di falegname e i
boschi o sono gestiti in modo 'naturale' o sono 'formazioni
di origine artificiale' come quella della foto sopra.
Tutto il versante destro della valle del torrente Scalcoggia
è interessato a questi rimboschimenti su terreni
privati effettuati 60-80 anni fa e poi non sottoposti
a nessuna cura selviculturale. Sono 'boschi di cartapesta'
(in realtà in assenza della pur minima rinnovazione
naturale non sono neppure boschi) con il 'tetto' e le
'pareti' verdi e l'interno della scatola 'morto'. Viste
da lontano sono abetaie che fanno da fondale turistico
ma dal punto di vista ecologico sono deserti. Una
politica un po' più convincente sulle biomasse
legnose dovrebbe mettere mano a queste situazioni (molto
diffuse a causa dell'idiozia forestalista del passato).
La qualità del legname che si ricava dal taglio
è infima e quindi è buono giusto per farne
cippato. Poi tolta di mezzo questa porcheria si puà
piantumare con essenze a rapido accrescimento. Anche
qui a 1.500 m crescono rigogliosi spontaneamente Acero
di monte e salicone. Legno 'dolce' ma la biomassa che
si ottiene è notevole. Una Short Rotation Forestry
attuabile anche in ambito alpino. Creando qualche posto
di lavoro qui e non in Asia. Un bilancio economico oggi
forse consiglia di andare avanti con la poco sostenibile
importazione della materia prima. Ma perché non
anticipare un domani che sarà diverso? A cosa
servonno le incentivazioni governative allora se non
a promuovere soluzioni realmente ecologiche e sociali.
In definitiva a anticipare la convenienza di scelte
che in futuro saranno ineludibili.
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