(03.07.2010) In
Usa a fronte dello strapotere delle lobby agroindustriali
esiste un movimento avanzato di critica e di 'democrazia
del cibo'. Per contrastarlo sono state introdotte in
13 stati delle 'leggi speciali'
La dittatura del cibo esiste già
di Michele Corti
La dittatura del cibo l'avevano inventata i bolscevichi
nel 1918. Il cibo come arma 'rivoluzionaria'. Negli
anni '30 Stalin perfezionò il metodo elevando la dittatura
alimentare a carestia terroristica e ne fecero le spese
10 milioni di contadini ucraini che opponevano resistenza
alla collettivizzazione forzata. Ma il capitalismo radicale
è molto diverso dal comunismo? Assolutamente no, sono
due facce della stessa medaglia. Ed ecco che la 'dittatura
del cibo' ricompare nella società contemporanea, quella
dove una singola corporation privata controlla oltre
il 50% del mercato dei cereali e dove un'altra corporation
di pesticidi e biotech tra conquistando il monopolio
dei semi (GM). Siccome di argomenti critici ce ne sono
tanti meglio correre ai ripari e prevenire le critiche
(almeno quelle più pericolose).
Dittatura
può sembrare parola grossa, ma quando si introducono
'leggi speciali' per mettere il bavaglio alla critica
cos'è? In barba ai sacri principi liberali (molto
invocati quando si tratta di perorare la causa del profitto
delle corporation e di Wall Street) in Usa 13 stati
hanno nella loro legislazione delle 'leggi speciali'
che tutelano il sistema agroindustriale (dai CAFO al
MacDonald). Sono leggi che fanno a pugni con la costituzione
(quel famoso primo emendamento che tutela la libertà
di espressione) e che contrastano apertamente con i principi
che, in un qualsiasi passabile 'stato di diritto', informano
la legislazione
sulla diffamazione. Queste leggi sono conosciute
confidenzialmente come 'veggie libel laws'
(libel = diffamazione).
Vediamo
che definizione fornisce della 'denigrazione alimentare'
la legislazione del South Dakota (Tite 20, Chapter 20-10A):
' Denigrazione = diffusione con qualsiasi mezzo presso
il pubblico di quasiasi genere di informazione che
lasci intendere che un prodotto agricolo non sia sicuro
per il consumatore o che le pratiche agricole e di trasformazione,
generalmente accettate, derminino il consumo di prodotti
alimentari non sicuri'.
Ma
chi decide quali siano le pratiche agricole e di trasformazione
'generalmente accettate'? Gli esperti? Quegli stessi
'esperti' che rassicurano che il tal pesticida è sicuro
fintanto che non viene messo fuori legge perché si sono
finalmente accumulate le 'prove scientifiche' che è
cancerogeno (intanto ne è pronto uno di rimpiazzo di
'nuova generazione' in tempo per non far calare i profitti).
Che spazio rimane per la critica? Nel caso delle normali
leggi sulla diffamazione è necessario provare che l'accusato
abbia deliberatamente inteso provocare un danno
al querelante. Nel caso delle 'veggie libel laws' le
cosa vanno diversamente. Basta denunciare pubblicamente
che un cibo industriale non fa bene alla salute.
Nel
1996 in una trasmissione televisiva sulla 'vacca
pazza' un attivista vegetariano (Howard Lyman) era stato
invitato dalla famosa conduttrice Oprah Winfrey a parlare
del tema e degli allevamenti da carne intensivi. Era
emerso il sospetto (poi confermato) che la malattia
potesse essere trasmessa agli umani e la conduttrice
disse che: 'Non avrebbe più mangiato un hamburger'.
L'industria della carne texana fece causa sulla base
della 'legge speciale'. Nel 1998 Winfrey e Lyman vinsero
la causa ma Oprah non toccò più l'argomento e le interviste
già pronte rimasero nel cassetto.
Capito?
L'importante non è ottenere condanne ma intimidire,
provocare l'auto-censura. Singoli, associazioni, riviste
temono di dover pagare forti spese per la difesa legale.
Un fatto che di per sè 'ammorbidisce' la critica. Le
corporation, le associazioni dei produttori agroindustriali hanno
stuoli di studi legali alle spalle .... Una lotta impari.
Se
credete che in Italia le cose siano differenti vi sbagliate.
Il Consorzio del Grana Padano ha querelato la rivista
'Alimenta', nella persona del suo direttore, Dr. Antonio
Neri, per alcuni spunti critici contenuti in alcuni
articoli che, secondo il Consorzio, avrebbero danneggiato
l'immagine del primario formaggio Dop italiano e provocato
grave danno alla 'filiera'. Tanto grave da chiedere
un risarcimento di 80 (avete letto bene) milioni di
euro. Indipendentemente da come andranno le cose almeno
per un bel po' le critiche al potente consorzio saranno
congelate. Chi si arrischia ad esporsi al rischio di
essere accusato davanti ai magistrati che si occupano
del caso di avere il 'dente avvelenato' contro
il querelante e di perseguire una campagna continuativa
e malevola per chissà quale subdolo scopo?
Così
vanno le cose, anche senza le 'leggi speciali'. Resta
il fatto che le 'viggie label laws' con la relativa
'sospensione' di alcuni principi giuridici 'in caso
di cibo' attestano bene il grado di politicizzazione
della produzione, trasformazione, distribuzione
degli alimenti nella società contemporanea. Restano
pochi alibi per chi si ostina a ritenere che il cibo
non rappresenti il vero campo dove si gioca il futuro
della democrazia.
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