Le
'politiche della natura' sono gestite sulla base di
scelte al di fuori del controllo democratico
La
politica della reintroduzione dei grandi carnivori sulle
Alpi e su altri massicci europei è un esempio di esproprio
della democrazia
di
Michele Corti
(10.06.09)
Lo scorso aprile si è svolta una riunione del 'Gruppo di lavoro
orso' della Lombardia. Avevo sollecitato un'audizione per
rappresentare al ‘Gruppo ’ le preoccupazioni di pastori e
allevatori. Alle mie obiezioni circa la fonte della
legittimità di discutibili criteri di gestione della presenza dell'orso
nelle valli bergamasche e circa la mancata cosultazione delle categorie
interessate il Dr. Bressan, già referente del 'Progetto orso' (ora
trasferito dalla Direzione Generale Qualità dell'ambiente al
Turismo), rispondeva che:
1) la gestione della presenza
dell'orso in Lombardia è regolata dal "Pacobace"
(Piano d'azione interregionale per la conservazione
dell'Orso bruno sulle Alpi Centro-Orientali";
2)
dal punto di vista dell'accettazione sociale erano stati
a suo tempo eseguiti dei sondaggi demoscopici che dimostravano
che la 'popolazione' era largamente favorevole all'orso
e quindi questione chiusa.
Veniamo
alla seconda questione. Nel 1998 il
Parco naturale Adamello - Brenta (PNAB) e la Provincia autonoma di
Trento (PAT) incaricavano la societa' Doxa di effettuare un'indagine
demoscopica nei paesi che saranno teatro della reintroduzione. I
ricercatori hanno interrogato telefonicamente 1.512 abitanti su 212
Comuni interessati in provincia di Trento, Bolzano, Brescia, Sondrio e
Verona per capire quale fosse il loro atteggiamento nei confronti del
ritorno nei loro territori del piu' grande carnivoro europeo. Tre
cittadini su quattro si dissero favorevoli all'esperimento. Punto (per
loro, ovviamente).
Punto
e basta un corno. Nel 2003 in provincia di Trento l’indagine è stata
ripetuta. La presenza dell’orso era ancora (46%) abbastanza gradita o (23,5%) molto
gradita. Ma, con 12 orsi presenti in tutto il Trentino solo il 21% (Trentino
occidentale) e il 26% (resto della provincia) ha espresso il desiderio di un
‘aumento moderato’. Un aumento consistente era auspicato solo dal 7% degli
intervistati. Nel confronto tra 1997 e 2003 nell’area del PNAB la percentuale
degli intervistati favorevoli all’aumento della popolazione di orsi è crollato
dal 68,2% al 27,7%. Nel 2003 la maggioranza (53,3%) era favorevole al mantenimento di un
numero costante e il 17,3% ad una diminuzione. Conclusione. Non bisogna
essere sociopsicologi per capire che un conto è chiedere
se è gradita una generica presenza del plantigrado quando
di orsi non ci sono o ce ne sono pochi, altro è chiedere
concretamente se si desidera evere più orsi quando gli
orsi aumentano. Nel 2003 gli orsi erano 12, oggi sono
più di 30. La Provincia autonoma di Trento (PAT) rifarà
l'indagine? Intanto sappiamo che la richiesta di referendum
avanzata dalla Lega Nord è stata respinta.
Abbiamo
poi riscontrato che il PNAB e la PAT non hanno
incaricato la Doxa per magnanimità e spirito democratico
ma per obbligo di legge. La "consultazione del pubblico
interessato" è prevista espressamente - in caso di reintroduzioni - dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE del Consiglio, del 21
maggio 1992 e dal
D.P.R. 357/97che la recepisce nella legislazione italiana (L' Art. 12 indica
che ad attuare le reintroduzioni sono "Le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, nonché gli enti di gestione
delle aree protette,
sentiti gli enti locali interessati e dopo un'adeguata consultazione del
pubblico interessato").
"A noi non hanno mai chiesto
niente" sostiene Tino Ziliani, presidente dell'Associazione
pastori lombardi (40 greggi transumanti su 60 lombardi
per un totale di 40.000 pecore). E ha ragione. Ma non
hanno mai chiesto niente anche alle organizzazioni agricole
e allevatoriali che, a fatto compiuto, hanno dovuto
dichiarare di essere contrarie e di non ritenere possibile
la "convivenza coatta" con
l'orso. E' questa la democrazia?
Urs
Breintenmoser - esperto conservazionista dell'Università
di Berna - in uno studio scientifico del 1998 scriveva:
« "Ho sentito regolarmente affermazioni di
questo tipo: Stiamo ancora vivendo in una democrazia?
Questa domanda imbarazzante esprime la profonda preoccupazione
della popolazione rurale relativamente alla perdita
di controllo sul proprio modo di vivere".
Veniamo all'altro punto. Cos'è il
Pacobace? Lo si dice a pag. 3 del Pacobace stesso:
"Il
Presente piano di azione rappresenterà pertanto il documento di riferimento
dello Stato italiano e delle regioni e Province autonome in materia di gestione
e conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi". E' pertanto un atto fondamentale
per la regolazione della politica dei grandi predatori.
Detto così si supporrebbe che, alla base, vi sia un
processo decisionale 'politico'. Macché. Il Pacobace
si richiama agli "obblighi" derivanti dalle
norme nazionali e internazionali (Convenzione per la conservazione della vita
selvatica e dei suoi biotopi in Europa Conchiusa a Berna il 19 settembre 1979).
In realtà tali norme obbigano
a conservare le popolazioni esistenti non a "ricostituire
una popolazione vitale di questo carnivoro sulle Alpi
italiane, come parte integrante degli ecosistemi e del
paesaggio di questa regione". La necessità della
reintroduzione e il fatto che l'orso sia parte integrante
del paesaggio alpino rappresentano scelte squisitamente
politiche. Ma chi le ha fatte? Presto a dirsi. Il Pacobace
- oltre che l'esperienza del progetto Life Ursus, voluto
e gestito dal PNAB (con le altre regioni a rimorchio)
- riflette gli indirizzi del 'Piano d'azione europeo
per la conservazione dell'Orso bruno'. E chi ha redatto
questo Piano dove si auspica la 'rentroduzione dell'orso
in Trentino'? Ancora una volta la risposta è semplice:
il Piano è stato redatto dalla LCIE (Large carnivore
initiative for Europe) una organizzazione privata costituita
da esperti conservazionisti e rappresentanti del WWF,
messa in piedi dal WWF e sostenuta dal WWF. Che poi
questi 'Piani' siano stati redatti sotto gli auspici
del Consiglio d'Europa in ossequio alla raccomandazione n. 74 del 1999
dello Standing Commitee (Comitato
permanente) della Convenzione di Berna del Consiglio d'Europa non fa che confermare
come gli organismi sovranazionali siano un tassello
del meccanismo d'esproprio della democrazia.
Già
gli elettori europei non sono entusiasti di votare un
Parlamento europeo che fa solo raccomandazioni, mentre
le norme le sfornano organismi burocratici intergovernativi
largamente permeabili alle lobby e impermeabili agli
orientamenti del "popolo sovrano".
Ma
almeno nel caso del PE c'è un barlume di dialettica
democratica.
Il
Consiglio d'Europa, di per sè un ectoplasma, si sostanzia
in organismi come le commissioni permanenti
che assumono vita propria, abbastanza fuori controllo
da ministri e parlamenti e anni luce dall'elettore
europeo. Un baraccone di 47 paesi dove (basta guardare
il portale), interessi, campagne, iniziative, sono improntate
al più puro "politically correct", all'ideologia
di ispirazione illuminista (o massonica?) dei "padri
fondatori dell'Europa" dell'universalismo buonista
dei "diritti umani". Gli orientamenti
politici del Consiglio d'Europa sono lontani anni luce
da quelli degli elettori europei che hanno votato il
7-8 giugno. Eppure è dal Consiglio d'Europa che viene
quel poco di legittimazione 'politica' del Pacobace.
Intendiamoci,
regioni e provincie autonome poi "ratificano".
Tutto è formalmente legittimo. Formalmente, ma non sostanzialmente.
Come ha osservato l'autorevole sociologo tedesco
Ulric Beck: "Si dice che la politica è emigrata dalle arene
ufficiali – Parlamento, governo, amministrazione politica – nella zona grigia
del corporativismo e che il potere organizzato dei gruppi di interesse produce
decisioni politiche prefabbricate che poi altri devono difendere come fossero
proprie creazioni".
L'orso,
dicono gli esperti, è una necessità biologica.
I villici, i sudditi, devono accettare questa
necessità sancita dagli "esperti". Ci vuole
poco a capire che in gioco ci sono valori e non pseudo
necessità pseudo biologiche. E sui valori si discute,
democraticamente, non imponendo l'autoritarismo del
fatto compiuto e tacciando gli "ignoranti"
di "idee pregiudiziali". Evidentemente qualcuno
pensa nei termini in cui i signori feudali trattavano
i loro servi della gleba. Alla faccia dell'"ecologicamente
corretto" (variante del solito "politicamente
corretto") tutto ciò non ci va bene per nulla.
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