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coltivare un orto, scambiare tra contadini
e autoproduttori le sementi sono atti di un "antagonismo" che il
sistema non sopporta (ma anche embrioni di resistenza sociale)
Il mondo come "casa di
ispezione" (imposto con il virus)
Dal
divieto di orto, che lascia trasparire la volontà di "reprimere" ogni
velleità di autosufficienza (alimentare e, alla fine, mentale, vitale,
spirituale), alla più generale messa in ginocchio delle attività meno
connesse alle grandi reti di distribuzione, dal controllo dei movimenti
con i cellulari e i droni (prefigurazione del "capitalismo della
sorveglianza"), al Mes (per piegare una società come quella italiana
con ancora margini di "indisciplina"). Che pacchia questo virus per
l'elite!
di
Michele Corti
(10.04.20)
Da un capo all'altro d'Italia, con il pretesto del virus, emerge la
volontà del potere di annientare l'autosufficienza alimentare, una
volontà che si incrive in una più ampio programma di controllo
integrale della vita delle persone e delle comunità. Non solo divieto
di orto ma anche divieto di coltivare piccoli fondi che, specie in
montagna sono distanti dall'abitazione. Un divieto che colpisce molto
spesso anche chi ha il fascicolo aziendale, i codici Ateco, nella
grande confusione e discrezionalità dei controlli. Così fioccano le
multe che creano esasperazione, scoraggiamento, rabbia, tutto quello
che serve per creare un clima di "concordia sociale".
In un frangente già
molto difficile per le produzioni agricole (difficoltà per la
manodopera stagionale, per le esportazioni, per la stessa vendita di
prodotti deperibili a causa dell'interruzione di alcune filiere del
piccolo commercio) sono bloccate tante operazioni colturali di routine,
semine, potature, ma anche impianti che non possono essere rimandati ad
altre stagioni.
Non solo gli orti ma anche i piccoli frutteti sono colpiti da queste
disposizioni e dalla loro applicazione senza buon senso. In montagna,
in aperta campagna il piccolo frutteto può essere lontano chilometri ma
per raggiungerlo si percorrono stradine, mulattiere, piste forestali
deserte. Nelle nostre montagne e aree interne, spopolate dalla catticva
politica e dal cattivo ambientalismo, non ci sono rischi di
"assembramenti". Lontano o vicino, l'orto, il frutteto per
l'autoproduzione è terapeutico, è ginnastica fisica e mentale, è lo
yoga dei rurali. Per molti anziani è vita. Toglierla in primavera è
ancora più crudele. La salute è un fatto integrale; la medicina
occidentale non la vede così ma poi riconosce che l'attività fisica,
uno scopo nella vita, la rottura della monotonia, il contatto con gli
esseri viventi, rafforza il morale e sistema immunitario. Queste
restrizioni sono vissute come un sopruso, un'angheria da chi decide le
cose a un computer in città e non riflette sulle situazioni concrete. I
cani in città possono essere accompagnati a fare i loro bisogni tutte
le volte che il proprietario lo desideri. Non importa se fanno
capannelli, se tirano in lungo lasciando che il pet si trastulli e
"socializzi"; la passeggiata igienica del cane è una scusa per evadere
(come vorrebbero tutti). Ma l'animalismo "tira" e non si osa
contraddirlo.
E che dire di certi ipermercati dove si entra ancora in numero non
propriamente contingentato? Il sospetto che non si vogliano calpestare
interessi forti è lecito. Lecito è anche pensare che dietro i bastoni
tra le ruote, ingiustificati, imposti ai rurali ci sia non solo
un'ottica urbanocentrica (che li ignora) ma anche il fastidio per un
mondo che continua a mantenere una sua autonomia. Specie in questi
frangenti in cui anche i più distratti e inconsapevoli si rendono conto
che, forse, il cibo non cresce nei supermercati e che
l'autosufficienza, a livello di famiglie, comunità, nazioni, è
importante più che mai a dispetti del villaggio globale e delle utopie
globaliste che, in modo del tutto non disinteressato, hanno voluto
convincerci ad abbracciare.
Un colpo all'agricoltura su piccola scala, all'agricoltura di
montagna e delle zone rurali interne, quella che non ha alcun ombrello
politico, quella così lontana dai modelli che gli apparati privati e
pubblici vorrebbero fosse la sola ad esistere: perfettamente
integrata nelle filiere, obbediente a sistemi di controllo e
regolazione dall'alto.
Controllare è potere
Il virus è qualcosa che, anche se non prodotto
intenzionalmente, dal punto del potere globale: se non c'era bisognava inventarlo.
Troppo smaccato l'uso strumentale dell'emergenza, molto al di là di
ogni ragionevole misura sanitaria, per non pensare comunque a una
"gestione" accuratamente programmata. D'altra parte le "profezie", le
"esercitazioni", le "simulazioni", protagonisti personaggi come Gates,
anche nei mesi precedenti a Wuhan, trattavano di un coronavirus
trasmesso dai pipistrelli ecc. ecc. prefiguravano troppo da vicino
quello che è successo. A dir poco sapevano e hanno lasciato scoppiare.
E' complottismo ritenere che il virus, come anche altri fenomeni
(vedi il favoreggiamento di fenomeni di microcriminalità che
determinano allarme sociale), siano cavalcati e manipolati per imporre
una società della sorveglianza?
L'incoraggiamento dell'immigrazione clandestina (con la nuova,
organizzatissima tratta degli schiavi gestita dalle ricche Ong),
l'immunità per i rom, la tolleranza delle occupazioni abusive, creano
un clima di insicurezza e disagio sociale che distoglie gli strati
popolari dalle fondamentali questioni dello smantellamento delle
protezioni sociali, del un travaso di reddito dai ceti popolari e medi
verso l'elite, del genocidio del piccolo commercio, della cancellazione
di attività autonome per lasciare come unica possibilità occupazionale
il precariato dei corrieri. nel mentre l'elite fa proclamare alle sue
agenzie propagandistiche che non bisogna fomentare guerre tra poveri,
essa fa di tutto per acuirle.
Non solo. L'elite ottiene, abilmente, che
siano gli stessi strati popolari e i ceti medi - sempre più impoveriti
e impauriti per il futuro - a invocare misure "securitarie" e da
società della sorveglianza (vedi le telecamere ovunque). Per meglio
confondere le acque l'elite, che controlla il potere reale, quello
economico e il deep state
(che si cela dietro la facciata di cartapesta a brandelli della
"democrazia liberale"), attraverso, la sinistra radical-chic va
all'attacco delle misure di sicurezza "illiberali" e "razziste"
nascondendo così il fatto che sono le politiche del potere a indurre
una domanda popolare di "law and order".
Una
"destra", che non ha il coraggio, le risorse morali e intellettuali,
la forza per una politica coerentemente sociale e anticapitalista, si
accontenta di farsene interprete, subendo ill gioco. Giusto difendere
gli strati deboli, che più pagano le conseguenze della tolleranza
dell'illegalità e dell'immigrazionismo, ma chiarendo che le misure di
controllo, alla lunga, vanno anche a indebolire ogni forma di
contestazione del potere, di ribellione, di rivendicazione sociale.
Cosi la lotta di classe la fa solo l'elite. E come ci da dentro!
Oggi siamo tutti nella
prigione nel Panopticon
Una vecchia prigione ispirata al Panopticon: dalla torre centrale si
osservano tutte le celle. Oggi tutto il mondo è un Panopticon. Carte di
credito. gps, smart-phone. Sono le prigioni immateriali entro le quali
siamo spiati e sorvegliati
Attraverso
sistemi sofisticati, fatti di tecnologie e di regole imposte, il potere
di pochi può essere esercitato sui molti. Un tempo per far valere la
volontà dei potenti erano necessari apparati costosi e spesso brutali.
Sia per prevenire la ribellione sociale che per reprimerla. Basta
pensare agli apparati degli informatori usati dalle polizie al costo di
mantenere eserciti da far intervenire quando ogni altro mezzo risultava
vano. Basta pensare ai cannoni di Bava Beccaris a Milano contro gli
operai.
L'ideale, per il potere, è che i sudditi collaborino al proprio
controllo, che il potere riesca a controllare tutto quello che fanno
tutti, tutti i movimenti di tutti, tutto quello che acquistano e
vendono (tracciabilità della moneta elettronica resa obbligatoria).
Siamo già tracciati, schedati, spiati. La privacy è una tragica
farsa che agevola ancor di più l'asimmetria del potere di controllo dei
grandi monopoli informatici. Sanno cosa diciamo ed esprimiamo. Di
questo passo
(è una vecchia utopia) il potere sarà in grando di prevenire i nostri
pensieri, non sarà più necessario intervenire durante un atto di
disobbedianza o ex post ma si potrà prevenirlo (sono le "speranze"
dell'intelligenza artificiale. La
tecnologia con il suo sviluppo esponenziale attraverso, per l'appunto,
l'intelligenza artificiale, il big data (capacità di processare enormi
quantità di dati in tempi rapidissimi), i satelliti, il gps, i droni, i
chip sottocutanei, le potenzialità del 5G e, non dimetichiamolo, il
nostro amato smartphone che "sa tutto di noi", sono pronti per
rinchiudere l'umanità
in un
grande
Panopticon (la fabbrica-prigione dove tutto è controllato) ideata dal
filosofo utilitarista (liberale) Jeremy Bentham ( J.
Bentham, Panopticon
ovvero la casa d'ispezione, a cura di Michel Foucault e Michelle
Pierrot, Venezia, Marsilio, 1983 [Ed. originale: Panopticon or the
inspection-house, London, T. Payne, 1791])..
La vita rurale, l'agricoltura di filiera
corta e autoproduzione come terreno di resistenza
Presa nelle trappole ideologiche tese dal sistema, l' "opposizione"
politica di "destra" si tiene alla larga da tematiche ecologiche e
sociali, lasciandole in gestione a una "sinistra" e da un ambientalismo
urbano che agitano strumentalmente, che le tengono in ostaggio ai
fini della loro neutralizzazione, sterilizzazione, in linea con gli
interessi dell'ipercapitalismo. Non ci vuole molto a capire la natura
di classe di un ambientalismo che criminalizza la specie umana in
quanto tale, mettendo sullo stesso piano il contadino dei paesi poveri
con Zuckerberg, Bezos, Gates, Soros e compagnia brutta. Pronto a
fornire "bollini blu" pseudoecologici a copertura dei crimini ecologici
delle multinazionali. Eppure
quanto ritardo, anche da parte di chi proclama di porsi contro il
sistema, nel comprendere che il vero ecologismo ha una dimensione
sociale, rurale, contadina. La "destra" mainstream è invischiata nello
sviluppismo (anche al di là delle miserie affaristiche e tangentiste),
nell'idolatria della tecnologia (anche applicata all'agricoltura e
all'agroalimentare), della "modernizzazione", dell'individualismo
economico. Così si lascia che, spudoratamente, a sventolare,
strumentalmente, le bandiere dei beni comuni, dell'agricoltura su
piccola scala, dello slow food, siano sempre forze della "sinistra
culturale" (borghese sino al midollo) o ad esse subalterne, che
restano sul terreno "progressista", sostanzialmente omogenee dal punto
di vista ideologico alle forze del capitalismo globalista. Eppure
sarebbe facile smascherare queste posizioni e affermare una nuova
egemonia ideologica e culturale su temi e ambiti sociali (l'ecologia
sociale, la rinascita rurale) che, oggettivamente, si pongono in
opposizione al capitalismo della finanza e della globalizzazione.
Alla resa dei conti la "sinistra" no global, campesina, terzomondista
ecc. ha abbandonato il tema della sovranità alimentare appena c'era il
pericolo di confondersi con l' "obbrobrioso sovranismo" (come abbiamo
evidenziato in un recente intervento vedi qui),
non parliamo dell'autosmascheramento dell'ambientalismo
istituzionalizzato (le grandi Ong) che ha sposato la green economy e le
speculazioni sulle aree protette e la finanziarizzazione della natura.
I temi della sovranità alimentare, dell'agricoltura contadina, delle
produzioni alimentari tradizionali, delle filiere corte, di un
ecologismo dalla parte dell'uomo, delle comunità rurali, del
consumattore, si saldano in modo impressionante con quelli della
democrazia sostanziale, del rifiuto del mondo come "casa di ispezione",
del capitalismo della sorveglianza.
Sia consentita a questo punto una lunga, ma pertinente,
autocitazione da Ma che fastidio
danno i produttori rurali? articolo pubblicato in Agricoltura è disegnare il cielo. Volume
primo: Dall’era del petrolio a quella dei campi. L’Ecologist
italiano, n. 7, dicembre 2007, pp. 219-223.
[...] c’è l’esigenza
degli apparati del potere: economico-industiale, tecno-burocratici, di
controllare ogni minuto aspetto della vita sociale. L’imposizione
di procedure standardizzate, di sistemi di controllo informatizzati, di
sistemi anagrafici mette in capo, a chi controlla questi “sistemi
esperti”, un grande potere. Ogni cambiamento voluto dalla “stanza
dei bottoni” può trasformarsi facilmente, attraverso una catena di
trasmissione piuttosto docile e verificabile, negli effetti desiderati.
Il controllo è facilitato dalle tecnologie: satelliti, microchips, reti
telematiche, GPS ecc. Lo spazio per sottrarsi alle prescrizioni del
sistema diventa sempre più ridotto.
Fatta questa premessa passavamo a spiegare perché il ruralismo, la
nuova politica contadina sono rivoluzionari, eversivi, sono i perni di
una nuova dimensione della politica:
La produzione rurale è
riottosa a questo controllo; lascia spazio alla manualità, a decisioni
che dipendono dall’intuizione e non dall’applicazione di protocolli o
dall’uso di applicazioni informatiche.
La produzione rurale,
oltre che non facilmente controllabile, è anche in larga misura
autosufficiente rispetto alla dipendenza dagli input biotecnologici che
la life science industry vorrebbe
imporre ai sistemi agricoli planetari. Il successo delle
biotecnologie è legato alla loro penetrazione compulsiva.
L’accettazione da parte di produttori e consumatori degli OGM,
come di altre biotecnologie, è fortemente legata al venir meno di
alternative. Lo scambio di semi tra contadini, la riproduzione di
animali al di fuori di schemi di selezione, manipolazione genetica e
riproduttiva sappaiono eversivi rispetto a questo progetto. Esso può
tanto più facilmente trionfare quanto meno produttori rurali
sopravvivono e quanto più la produzione agroalimentare si concentra in
poche imprese e in pochi distretti specializzati. L’affermazione di
schemi in cui i produttori rurali e i consumatori costituiscono
reti tra di loro, al di fuori dei circuiti agroindustriali e
biotecnologici, mette a repentaglio il profitto del business e le sue
prospettive future.
Ma è tutto il patrimonio
bioculturale dell’agricoltura dei “popoli indigeni” (compresi a pieno
titolo i nostri pastori, contadini, malgari) a rappresentare un
ostacolo sul cammino della dittatura alimentare e biotecnologia.
La distruzione di ogni
saper fare pratico in campo alimentare (agricolo, ambientale, animale
ecc.) trasforma il consumatore in un recettore sempre più passivo, alla
mercè del sistema: campagne e montagne svuotate e megalopoli di milioni
e decine di milioni di consumatori senza accesso a mezzi di produzione
alimentare e anche a fonti autonome di rifornimento alimentare.
Fantascienza? No è già la triste realtà di buona parte del pianeta.
Non ci vuole molto a
capire che prima o poi il consumatore stesso sarà geneticamente
modificato per adattarsi alle
nuove fonti di “cibo” che la razionalità tecnoindustrialscientifica
riterrà di mettere a disposizione.
Oggi siamo andati molto più avanti nella direzione del controllo e
degli strumenti tecnologici. Diventa eversivo tutto quello che sfugge
al controllo sociale integrale. Se in una fase precedente la produzione
rurale, artigianale, poteva dare fastidio perché costituiva un
fastidioso, imbarazzante termine di paragone con la produzione
agroindustriale, oggi la sola idea che si possa produrre cibo in modo
autonomo, sfuggendo al controllo delle sementi, alimentando economie
circolari che sfuggono alla tracciabilità dei movimenti economici e
fisici di mercie persone, rappresenta il sassolino nel mega
ingranaggio. Va rimosso.
Carne artificiale, colture idroponiche, fabbriche di insetti e di alghe
rappesentano il tristissimo futuro che il capitalismo vuole imporre
all'umanità. Agricoltura e allevamento come forme di gestione dei
territori da parte di comunità che sfuggono ai sistemi di
approvvigionamento monopolistici industriali vanno aboliti.
Una scienza, sempre
più organizzata essa stessa come processo industriale, conferma sempre
più spesso il suo ruolo sociale di oppressione capitalistica
La voglia di "abolire l'agricoltura" non è nuova. In Urss la distopia
delle fabbriche agrarie era prematura ed è fallita producendo dolori
inenarrabili e compromissioni dell'ambiente e della fertilità dei
terreni. Oggi ha molti più strumenti per essere imposta. Si inizia con
l'orto, poi si passa al piccolo imprenditore agricolo, poi si cancella
tout court agricoltura, allevamento, industria agroalimentare in
connessione con il primario. La distopia prossima ventura, avallata da
ambientalisti e animalisti, prevede aree urbane supercontrollate,
con i nuovi schiavi a mangiare alghe e insetti (fino a che sarà
necessario alimentare gli umani - o gli umanoidi che li sostituiranno -
con alimenti organici) e, fuori, la wilderness. Ecco perché fare
l'orto, coltivare un frutteto, allevare animali, è un atto
rivoluzionario, un atto di liberazione.
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