Inseguire
il modello padano è stato un errore
I
lettori ruralpini diranno: "uffa, ce l'avete già
detto cento volte in questo sito". Sì ma la notizia
è che questa volta a dirlo non sono quei "mati"
ruralpini dell'Associazione malghesi e pastori del Lagorai,
non sono la "pasionaria" Laura Zanetti, il
Prof. Corti "che pensasse ai cavoli della Lombardia
e non rompesse", il Dr. Cappelletti, il Dr. Pallante,
il Prof. Nervi ecc. ecc. Macché. Questa volta
a dire che "inseguire il modello padano è stato
un errore" è Michele Dallapiccola, capogruppo di
un partito della maggioranza del super-presidente Dellai.
L'uscita è tanto più significativa in quanto Dallapiccola
è esponente, oltre che della maggioranza consigliare
anche della "casta" zootecnica in quanto veterinario
e Presidente del Macello dell'Alta Valsugana.
Il
nostro, in una intervista a l'Adige del 12 marzo, non
ha lesinato le critiche al sistema e ha affermato perentorio
che "Bisogna cambiare modello e strategie".
Quanto all'analisi degli errori essa è altrettanto drastica.
Tra le cause della grave crisi del settore include
infatti: "La politica, le scelte contributive
sbagliate. La logica è stata: più sei grande e più ti
finanzio"; e aggiunge: "Da noi si è puntato
sull'Asiago (prodotto veneto) e sul Grana (prodotto
padano-emiliano)".
Il
caseificio trentino copia alla grande (e dimostra poca
fantasia)
Negli ultimi
anni il panorama delle "tipicità casearie"
trentine è stato vivacizzato da alune operazioni per
le quali ci si è ampiamente affidati al fattore-immagine
rappresentato dai Presidi di Slow Food (con le operazioni
dei formaggi e del burro "di malga" prodotti
in grandi caseifici).
A
parte questi successi (molto legati alle strategie comunicative),
il panorama delle produzioni casearie "tipiche"
trentine resta deprimente. I "cervelloni"
pensavano qualche anno fa che l' Europa avrebbe imposto
ovunque il modello nord-europeo del formaggio di plastica
asettico, che le malghe e i laboratori artigianali
fossero destinati alla museificazione. Non è stato così,
hanno "bucato", ma chi ha sbagliato a dipingere
lo scenario (e ha commesso tanti altri errori) spesso
è ancora lì al suo posto con i suoi lauti stipendi.
Vediamo,
per essere concreti, cosa produce la "Latte
Trento", struttura portante del sistema (specie
dopo la crisi del polo di Fiavè sommerso dai debiti).
Le Dop sono due: il Trentingrana e l'Asiago. Il primo
(anche se si omette di dirlo) è ufficialmente "Trentingrana-Grana
Padano Dop"; è Grana Padano Dop a tutti gli
effetti e marchiato tale. I caseifici trentini
non vanno a dirlo in giro ma sono soci del consorzio
Grana Padano Dop. Quindi un prodotto copiato dalla Lombardia.
Il secondo è un prodotto copiato dal Veneto (anche se
ad Asiago per nobili ragioni di... denaro vorrebbero
farsi annettere dalla ricca provincia autonoma).
Ma
non è finita. Nella gamma di Latte Trento troviamo Fontello,
imitazione della imitazione della Fontina (l'imitazione
sarebbe il Fontal, che comunque è un prodotto con
una sua dignità che richiede un latte più che discreto).
Quindi una vaga copiatura dalla Valle d'Aosta. E poi
Mascarpone trentino (chiamatelo pure trentino ma è lombardo),
la provola affumicata (evidente "prestito"
dal Sud Italia) e lo Stracchino (altro "prestito"
dalla Lombardia). Per il resto gli altri prodotti sono
gli "originalissimi": Tenerello, Tondo, Montagna.
Per questa volta non infieriremo
ulteriormente sulla Mozzarella confezione pizzeria
di Fiavè.
La
geniale politica delle economie di scala, perseguita
dogmaticamente in un epoca in cui era già palese come
la montagna non potesse inseguire i sistemi forti
della zootecnia e del caseificio europeo, ha fatto anche
altri danni. Nella logica delle aggregazioni sono stati
chiusi diversi caseifici "chiave" che,
in una strategia di "ritrovata tipicità",
potevano svolgere un ruolo importante di rilancio
di produzioni veramente tipiche. A parte i tanti
piccoli caseifici e latterie turnarie (chiusi già in
una fase precedente) anche di recente si sono azzerate
strutture come quelle di Lavarone e della Rendena che
avrebbero avuto delle carte da giocare.
Sull'argomento
sono ovviamente intervenuti i ruralpini trentini
della "Libera" di cui riportiamo la lettera
pubblicata su L' Adige
Zootecnia trentina distrutta da una politica assurda Un vecchio adagio ben conosciuto nel mondo della zootecnia ci ricorda come «è inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati». Nell'intervista pubblicata dall'Adige il 12 marzo [leggi sotto], pagina dell'economia, il consigliere Michele Dallapiccola lancia un j'accuse verso la gestione del Polo Bianco (latte Trento - Caseificio di Fiavé) e dell'intero comparto zootecnico del Trentino. Noi della Libera Associazione Pastori e Malghesi del Lagorai che abbiamo sollevato da anni la questione esprimendo più o meno gli stessi concetti, vogliamo sperare che queste considerazioni non siano troppo tardive e che si imbocchi finalmente con decisione la strada giusta. Ci rendiamo conto che di fatto piangere sul latte versato (tanto per restare in tema) è inutile né è pensabile che riaprano le stalle chiuse. Sono passati vent'anni e questo tempo non è stata solo una interminabile e vergognosa agonia di un settore portante della storia e dell'economia del Trentino, ma un percorso lastricato di vittime più o meno illustri: dalle tante diffuse piccole stalle dismesse all'ostracismo di quanti hanno sollevato dubbi e perplessità in merito alle scelte operate. Un «non disturbare il manovratore» che ha azzerato i cori di protesta e soffocato l'aiuto delle tante realtà messe volutamente in ginocchio a inseguire il mito della zootecnia padana (il grana trentino). Non c'era bisogno di grandi menti per comprendere come fosse improponibile simile modello eppure quante consulenze, quanti studi e ricerche sono state spese. Quanti ne hanno beneficiato e fatto carriera. Fu solo scarsa lungimiranza? Oggi non è più accettabile che a giorni alterni politici e amministratori, funzionari e manager diano lezione di Trentino bel suol d'amore dopo averne fatto scempio favorendo la chiusura di caseifici con produzioni specifiche e apprezzate come quello di Folgaria e promettendo guadagni migliori con la produzione di scala. Oggi riflettere sui danni nel settore zootecnico non è fare del facile populismo, ma la triste realtà quotidiana, che l'ennesimo ri-finanziamento - senza un cambio netto di politica - non potrà frenare. Giuseppe Pallante, Roberto Cappelletti
l'Adige – Lettere, 15 marzo 2009 |