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L'esodo
culturale uccide la montagna
Con questo
intervento il dibattito tra montanari sul futuro della montagna entra
nel vivo. Rispondendo ad Andrea Aimar (val Maira, CN) , Carminati dalla
valle Imagna bergamasca, mette l'accento sui processi
culturali oltre che su quelli socio-economici. Vero che la montagna è
colonizzata , che le normative la penalizzano, che è priva di
rappresentanza politica, ma il problema è anche l'autocolonizzazione,
l'esodo culturale che - altrettanto negativo dello spopolamento
demografico - rende i montanari estranei alla montagna pur continuando
a risiedervi, ma senza più legami concreti e simbolici con il
territorio, con la memoria della comunità
SPOPOLAMENTO
E SPAESAMENTO. RIQUALIFICAZIONE E RICOMPOSIZIONE DEI FONDI PRODUTTIVI
IN MONTAGNA
di Antonio Carminati
(21.12.19)
Ho letto recentemente due articoli pubblicati sul blog Ruralpini Resistenza rurale di
notevole interesse per coloro che della montagna non ne hanno fatto
solo un caso di studio, bensì rappresenta il campo quotidiano di
espressione della vita e del lavoro.
In Alta Val Maira un giovane, Andrea Aimar (vai a vedere qui
l'intervento), si interroga sul futuro della montagna e denuncia lo
stato di abbandono, da parte del mondo della politica e delle
principali istituzioni sociali, in cui versano le vallate alpine e
prealpine, con i rispettivi insediamenti umani che nei secoli hanno
agito da presidio e centri di umanizzazione dell’ambiente. La montagna
soccombe perché vengono meno i suoi abitanti, i montanari. Questo
Andrea lo ha compreso bene. Il grande esodo verso le aree urbanizzate
di recente formazione, distribuite nelle fasce pedemontane, le stesse
periferie urbane e i principali centri industriali, è cessato nei
recenti anni Ottanta del secolo scorso, quando intere famiglie hanno
abbandonato le antiche contrade di monte per trasferirsi in città,
soprattutto in forza della spinta propulsiva introdotta dai fenomeni di
industrializzazione, urbanizzazione e scolarizzazione di massa. Quel
vistoso fenomeno di spopolamento, registrato anche sul piano
demografico, aveva sì saccheggiato alla montagna un’incredibile
quantità di forza lavoro, ma soprattutto aveva sottratto alle terre
alte quella centralità che avevano saputo costruire e mantenere nei
secoli precedenti.
Emigranti
dalla valle Imagna
Attualmente
il processo in corso di rivisitazione della montagna non è più solo
quello demografico - diverse aree montane registrano, infatti, un
situazione di stasi - vistoso, concreto e drammatico, ma attiene più
propriamente ai livelli di pensiero e soprattutto alla percezione da
parte dei montanari del difficile rapporto con il loro ambiente di
vita. Una relazione di appartenenza critica, con ferite che fanno
ancora male, per certi versi invisibile, non per questo meno grave e
pericolosa. Abbiamo ribadito più volte il concetto secondo il quale non
basta vivere in montagna per considerarsi montanari. Anzi, accade a
volte che i cittadini i me bàgna ol
nas [ci bagnano il naso, ci superano], ossia risultano più
attenti ai bisogni della montagna di quanto non lo siamo noi.
Distratti. Assistiamo al giorno d’oggi non più a esodi fisici di
persone, ma soprattutto di pensieri e progettualità: la montagna
soffre, oltre che che per la malattia dello spopolamento, anche per
quella dello spaesamento. Molti montanari hanno smarrito la strada,
vivono una relazione di estraneità con il territorio, come se
improvvisamente – dopo la spinta in avanti impressa dal boom economico
del secondo dopoguerra e poi della crisi del modello di sviluppo
industriale - si riscoprissero in un ambiente “altro” e quasi
sconosciuto, difficile da governare senza applicare, anche quassù, i
modelli di sviluppo e di governo propri della città. Viviamo in
montagna, ma pensiamo e operiamo da cittadini.
Un
centro commerciale in alta Valtellina
Le
difficoltà rilevate dall’amico Andrea Aimar - che mi pare di aver
sempre conosciuto – sono le stesse che viviamo tutti quanti,
soprattutto coloro che dal lavoro in montagna devono ricavare
un’entrata economica sufficiente, perché quassù non si può vivere solo
di aria buona, per poi commuoversi di fronte a ineguagliabili paesaggi.
Tali difficoltà riflettono l’atteggiamento di tipo coloniale messo in
atto da realtà e forze esterne che non comprendono i bisogni reali
dell’ambiente montano e delle popolazioni che lo abitano, tantomeno
percepiscono il carico di umanità e di libertà delle espressioni
culturali dei piccoli gruppi organizzati, resilienti sulle pendici
delle loro montagne. Una politica coloniale che, negli ultimi
settant’anni, ha interpretato la montagna come una terra di conquista,
un serbatoio cui attingere robusta e generosa forza lavoro da
trasferire altrove. Andrea, nella sua lettera accorata, ha elencato
diverse criticità, soprattutto per il mancato riconoscimento, a tutti i
livelli, della specificità della montagna, tanto sul piano produttivo,
quanto su quello commerciale, amministrativo e dei servizi. Differenze
e criticità dimenticate dalla politica. D’altra parte è pur vero anche
che gli abitanti della montagna, oggi più che mai, appaiono
disorientati, frazionati, si sentono soli e rinunciatari, in modo
particolare quanti cercano di mantenere una relazione vitale e
produttiva con il territorio. Privi di una loro specifica
rappresentanza.
Processione
nei prati a Fuipiano in alta valle Imagna
Quella
che abbiamo oggi sotto gli occhi è una montagna già ampiamente
saccheggiata e ancora assestata su posizioni difensive, che cerca
disperatamente di sopravvivere, mantenendo quel poco che le è rimasto,
aggrappata alle proprie rappresentanze municipali e alle organizzazioni
sociali di base nei vari villaggi, la cui economia principale gravita
ormai su centri occupazionali esterni. La sua posizione di retroguardia
mette la montagna ancora nelle mani dei colonizzatori esterni, i quali
la utilizzano per sperimentare i propri modelli di sviluppo, che il più
delle volte con le terre alte hanno poco da spartire. Evidentemente
l’abbandono delle attività agro-silvo-pastorali nel loro complesso,
l’esodo fisico e culturale dei montanari, la perdita di memoria storica
e il venir meno del bagaglio di conoscenze trasmesse dall’esperienza…
costituiscono una grossa falla nei sistemi territoriali anche alle
medie quote, impedendo o rallentando la generazione di nuove
opportunità.
Sosta
della transumanza verso la pianura a Locatello in valle Imagna
Ritengo
che la montagna tornerà a vivere non tanto se le attività economiche e
produttive sconteranno una diversa aliquota Iva, se ci saranno
agevolazioni sull’acquisto e ricomposizione delle terre, oppure se il
costo del lavoro dovesse essere abbattuto a favore dei piccoli
allevatori o agricoltori,… - tutte questioni assai importanti e
delicate, per l’ottenimento delle quali bisognerà ancora lottare - ma
in primo luogo se i montanari riusciranno a recuperare la
consapevolezza della loro esistenza, dei valori di cui sono portatori,
nella continuità con una storia sociale ricchissima di situazioni,
esperienze, conoscenze. Abbiamo di fronte a noi una montagna da
ripensare e ricostruire pezzo per pezzo, dopo il terremoto sociale
avvenuto nella seconda metà del secolo scorso, che ha letteralmente
demolito il suo impianto costitutivo tradizionale, incominciando ad
esempio, per quanto ci riguarda, dalle piccole pratiche zoo-casearie e
agricole che, seppure sostenute in condizioni di svantaggio economico,
hanno il pregio di segnare la strada e di dimostrare che non tutto è
perduto. Dovranno essere innanzitutto i montanari a rigenerare la
montagna e la politica dovrà rappresentare un accompagnamento graduale
alle singole azioni di superamento delle condizioni generali di
svantaggio. Per cui, carissimo Andrea, un’altra volta tocca ancora a
noi rimboccarci le maniche - ma non è questo che ci preoccupa – per
tenere aperti quegli spazi di autonomia, di libertà e di servizi che i
nostri predecessori hanno saputo costruire da queste parti. Ostacolando
quanti sostengono becere tendenze alla rinaturalizzazione di ampi
territori, per i quali la presenza dell’uomo costituisce un problema:
essi dimenticano che l’ambiente alpino e prealpino è un contesto
fortemente antropizzato, dove i manufatti e la presenza dell’uomo, che
ha modificato il volto dei versanti, costituiscono componenti
essenziali e irrinunciabili del paesaggio. Facendo barriera contro
coloro che riconducono l’esistenza solo ad una visione economicistica.
Tutto ciò innesca processi pericolosi di marginalizzazione sociale, di
degrado e dissesto ambientale, quando la montagna è interpretata come
una grande periferia della città, una sorta di parco pubblico dove
trascorrere il fine settimana o le vacanze. Nell’immediato tocca a noi
sfruttare al meglio innanzitutto tutte le agevolazioni e le opportunità
che ci si presentano dinnanzi. Se sapremo essere determinati e
riusciremo a generare numerose micro azioni di economia in montagna,
dal modesto allevamento zoo-ovi-caprino alle piccole colture estensive
e alle numerose attività artigianali, sono certo che potremo
coinvolgere tutta la popolazione alle nuove prospettive della
centralità della montagna, dove dare vita a nuovi impulsi residenziali
e produttivi richiamando pure l’attenzione di politici e istituzioni.
C’è ancora molto da fare.
Mappa
di comunità di Montenars, nel Gemonese
Un
esempio di rigenerazione rurale è dato dalle Associazioni fondiarie,
istituite e introdotte di recente per la ricomposizione dei fondi.
Prendo spunto dal pensiero di Claudio Biei pubblicato di recente su
Ruralpini (vai a vederlo qui).
Non so se questo sia lo strumento migliore in montagna, sulla scorta,
ad esempio, non proprio positiva, dei Consorzi forestali. Se non altro
la questione solleva un problema non indifferente. Con la fine
dell’antico mondo contadino e la consequenziale perdita della
centralità della terra e del villaggio, a favore della fabbrica e della
città, nella seconda metà del secolo scorso milioni di ettari di terra
sono stati letteralmente abbandonati e ciò ha prodotto, in pochi
decenni, due gravi guasto ambientali e sociali: la continua
dequalificazione delle particelle catastali e la loro polverizzazione.
In poco tempo i campi coltivati a vanga sono diventati prati, i prati
stabili si sono trasformati in pascoli, i pascoli in boschi, i boschi
un tempo oggetto di pratiche costanti di taglio colturale oggi sono
diventate foreste impenetrabili e selvagge. Soprattutto il bosco oggi
la fa da padrone sui versanti e arriva ormai a circondare e minacciare
da vicino le contrade abitate. Insediamenti rurali robusti e ben
compatti, come piccoli fortilizi contro il dilagare di evidenti
situazioni di abbandono, molte volte essi stessi vengono attaccati dal
medesimo triste fenomeno. La perdita di interesse verso la terra a
scopo agricolo ha intensificato il processo di frammentazione degli
antichi poderi, un tempo veri e propri centri di produzione familiare,
in tante particelle catastali quanti sono stati gli eredi beneficiari,
ciascuno dei quali divenuto proprietario di piccole porzioni di terra
non più utilizzabili per la loro esigua dimensione. Ciò è avvenuto con
la fine della famiglia contadina, quando cioè nessuno dei figli ha dato
continuità al lavoro prevalente del padre nella stalla, nel prato o nel
campo, preferendo l’occupazione in fabbrica, sui cantieri edili o nei
servizi cittadini. Benvenuta sia, dunque, l’iniziativa delle
Associazioni fondiarie, ma probabilmente da sola non basta, se non si
introducono prima possibile azioni parallele di sensibilizzazione e
interventi strutturali di sostegno ai singoli imprenditori agricoli,
finalizzati alla riqualificazione fondiaria e a favorire la sua
ricomposizione, per rimettere insieme i vari pezzi di un puzzle
disfatto e ricostruire così il volto unitario di ambienti prossimi alla
medesima proprietà.
Fienagione
in valle Imagna
La
montagna, si sa, è un ambiente fragile, ricco di ecosistemi locali
generati pazientemente dall’uomo, quando nei secoli scorsi si è posto
in relazione coerente con la natura, molti dei quali purtroppo oggi
sono a rischio di scomparsa. È un ambiente da non sciupare, ma da
conservare e difendere, per contenere gli effetti disastrosi prodotti
tanto dallo spopolamento, quanto dallo spaesamento. La montagna
continua a vivere in coloro che, nonostante le molte difficoltà,
costruiscono col loro lavoro una relazione concreta e quotidiana con la
terra e gli spazi della contrada dove essi abitano. Vive ogni qualvolta
un montanaro, come ha fatto Andrea, s’interroga con onestà circa la
propria collocazione nella storia e nella società rurale e riflette
sulle condizioni più generali di resistenza. Vive quando il prato viene
sfalciato, il bosco assorbe il rumore rabbioso della motosega e sui
versanti l’estate pascolano le vacche. Continua a vivere quando genera
relazioni solidali tra montanari, come il blog Ruralpini e altri canali
di comunicazione, cui va la nostra gratitudine, si prefiggono tutti i
giorni di promuovere e sostenere.
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anche Ronza (Confronti), Mariano Allocco (Patto per le Alpi
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Allocco, che figurava tra gli organizzatori dell'evento, pubblichiamo
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montagna alpina nella crisi": quelli di Annibale Salsa, Werner Bëtzing
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intensificherà la pubblicazione di contributi sul tema che possono
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(01.10.11)
Montanari dissodatori di ieri, montanari di oggi, montanari futuribili
Giancarlo Maculotti è l'animatore degli Incontri Tra/Montani che la
scorsa settimana a Carcoforo (alta Valsesia) sono giunti alla
ventiduesima edizione. Le riflessioni che ci consegna a commento del
convegno si inseriscono nel dibattito sulla 'chiusura della montagna'
innescato dalla serpeggiante proposta di abolizione dei piccoli comuni.
Vanno però al di là delle vicende istituzionali vissute in prima
persona da Giancarlo in quanto sindaco di Cerveno, un paese di 700
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mai sopite tradizioni di gestione comunitaria. Lo stato, la
burocratizzazione e istituzionalizzazione di ogni aspetto della vita
economica e sociale, devono fare un passo indietro. E le terre alte
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