Condividi
Tép
de fé. Tempo di fieno (tra rito e lavoro)
In
valle Imagna (Aldemàgna), come
altrove, si fa fieno con la speranza di un raccolto migliore di quello
- decisamente gramo - dell'anno scorso. La fienagione sui prati di Cà
Berizzi (il centro di cultura valligiano), eseguita con rastrelli di
legno (e plastica) ma anche moderne rotopresse, è occasione per qualche spunto sui
tanti riflessi del fatto della fienagione (fà
fé) nelle cultura rurale delle nostre genti
di
Antonio Carminati
La
trionfante fioritura del maggio si è fatta attendere, anche se ora pare
finalmente arrivata, agli sgoccioli della primavera, ma improvvisi e
violenti acquazzoni rimangono un cattivo presagio per i giorni a venire.
In
Valle Taleggio vengono riproposte le antiche Rogazioni Ambrosiane, da
Pizzino fino alla bella chiesetta di Fraggio, ma solo attraverso una
rievocazione storica. Sì, perchè la storia oggi si fa in pochi anni,
perché tutto accade molto velocemente, nulla in confronto alle grandi
soglie evolutive sedimentate nel passato. Perchè sino a pochi decenni fa ol preòst (1),
accompagnato in processione da donne e chierichetti salmodianti,
passava davvero a benedire prati e campi, percorrendo i sentieri e le
mulattiere, accanto alle tribuline infiorate e illuminare con i
candilì. Egli invocava la feracità della campagna, proprio all’aprirsi
della natura. I ciliegi selvatici, a maggio coi bianchi fiori, si
preparano a offrire a tosài e tosà (2)
prima, agli uccelli dopo, i loro succosi frutti; le rame pendule delle
rubinie già ronzano assalite dalle fameliche operose àf (3); fronde
pendule di ìghen(maggiociondolo)
colorano di giallo le siepi delle antiche cavalcatorie e tracciano il
confine del prato con il bosco; i prati, dai colori variopinti dei
mille fiori, si fanno accarezzare da un leggero venticello di
tramontana e assumono l’aspetto di un grande velo dorato in oscillante
movimento, come a richiamare l’imminente intervento deisegadùr (4).
Sull’imbrunire, invece, grilli e lucciole danno il via al grande
concerto del prato, che improvvisamente si anima di nuovi ritmi; nel
frattempo le vacche al primo pascolo, col tintinnio dei loro
inconfondibili campanacci, ripopolano gli ambienti agresti dopo il
lungo inverno.
Söi pòrtech dol fé (5),
già svuotati dall’ultima carestia del fieno della cattiva stagione che
si lascia alle spalle, gli abitanti della montagna hanno già preparato ranze e seghéss,rastèi e furcù, codèr e sdìrne (6), ma
anche moderni trattori, Bcs e spandifieno, per fà ol prim fé (7).
Torna
ad essere, questo, davvero il momento di grazia per töta al Aldemàgna! (8) Ma si
preannuncia anche il periodo di maggior lavoro. Segà, spànd, montonà, ‘ncolmà, oltà,
rastelà de gròss, rastelà de fì, terà ‘nsèma, portà ‘n cà,… (9)
sono solo alcune delle principali azioni che racchiudono le speranze e
le tante fatiche di eroici agricoltori e allevatori di monte. E spesso
succede che mè
s-ciopà per la föria de fàgola al temporàl(10) in avvicinamento.
Basta infatti öna
tronàda o ü somèlg de drì al Sécol (11) per
mettere in allarme tutta la famiglia intenta a fà ‘l fé. Poi si dice ancora oggi: Quande ol Resegù e l’gh’à sö ol capèl, mèt
dó la ranza e tö sö ol rastèl (12)!
L’è ol bèl tép che fà ‘l fé (13),
si diceva una volta, noncuranti delle proprie fatiche (che non si
mettevano in conto a nessuno, perchè erano in un certo senso dovute).
Non c’erano le previsioni di cui disponiamo oggi e, negli anni
Settanta, con l’ingresso dei primi televisori nelle famiglie rurali, si
stentava a credere alle indicazioni dol Bernàca(14). Rimanevano, a
rincuorare o a intimorire l’azione dei contadini, le varie osservazioni
empiriche che si tramandavano da una generazione all’altra: L’aqua de la Còsta l’è töta nòsta – Nìola
rósa, o che l’piöf, o che l’bófa – L’aqua de Berbèn la fà pura dóma ai
fömègn – L’aqua de Seràda la se pèrd per la strada - L’aqua de
Piassacà la ga bàgna gna la cua ai cà, (15) …
La
montagna è lo spazio privilegiato dove si conservano le tradizioni, che
continuano a vivere accanto alle innovazioni introdotte dalle
tecnologie attuali: le previsioni atmosferiche lette sul telefono
portatile si confrontano con i detti popolari ancora in uso, le moderne
falciatrici rotanti convivono con le antiche ranze, i ragni spandifieno
con i vecchi tridenti, raccogli-fieno meccanici si confrontano con i
gloriosi rastrelli di legno,… perché in montagna passato e futuro
convivono nel presente, tradizione e innovazione trovano una sintesi
imposta dalle diverse situazioni. La montagna è costituita da infiniti
paesaggi mutevoli, dove coesistono dimensioni orizzontali e verticali,
i pianori dialogano con i versanti, i pascoli con i prati, i boschi con
i campi. Uno scrigno collettivo e condiviso di abilità, valori e
memorie che conserva frammenti di cultura millenaria in ambienti a
volte angusti, ma dotati di rara bellezza. Qui, nelle sue contrade,
l’uomo ha imparato – una lezione di vita durata secoli - a trovare di
volta in volta soluzioni particolari di fronte alle diverse
esigenze/emergenze, sviluppando abilità concrete e tanta voglia di
fare, sia nelle zone di fondovalle che sui versanti anche più inclinati.
Ma
la montagna è soprattutto lo spazio dove tutto può accadere. Succede
anche che diversi giovani ritornano alla terra per costruire autentiche
forme di micro-economia di territorio. Proprio quando tutto ormai
sembrava irrimediabilmente perduto. Come pure succede che le famiglie,
durante la fienagione, si ricompongano sino a riunire l’intero gruppo
parentale esteso, come quello di una volta. Perchè la montagna è anche
il luogo privilegiato dove si può ancora sognare e ritornare a sé
stessi, liberi da condizionamenti, per ricominciare da capo a generare
una nuova società. È possibile. Di più: ciò sta già avvenendo e il più
delle volte non ce ne accorgiamo.
Note
linguistiche
(1)
Parroco, secondo un uso non solo bergamasco.
(2)
Ragazzi e ragazze.
(3)
Api.
(4)
Falciatori.
(5)
Presso i fienili
(6)
Falci fienaie, falcetti (per falciare l'erba sulle ripe troppo in
pendenza), rastrelli, forconi, porta pietra cote (per affilare la
lama della falce), telai di legno per il trasporto del fieno sulla
persona.
(7) Per
fare il primo fieno (il meggengo)
(8)
Tutta la valle Imagna.
(9)
Falciare, spandere, ammucchiare, mettere in andana, voltare,
rastrellare di grosso e di fino, raccogliere, trasportare e riporre in
fienile.
(10) Mezzo scoppiato per l'ansia di sfuggire al temporale.
(11)
Un tuono o un fulmine dietro al Sécol (località).
(12)
Quando il Resegone (il noto monte, alla testata della valle Imagna) ha
il cappello (le nuvole ne nascondono la cima) lascia giù la falce e
prendi in mano il rastrello.
(13)
È il bel tempo che fa il fieno (a sottolineare l'importanza di un
periodo di qualche giorno senza pioggia per poter essiccare in campo
l'erba tagliata).
(14)
Il colonnello Bernacca ai tempi ormai lontani di Carosello e del
monopolio televisivo Rai, con Internet di là da venire, era il
metereologo per antonomasia.
(15)
L'acqua della Costa (Costa Imagna è località sul versante opposto della
valle, a Ovest) è tutta nostra - Nuvola rossa o che piove o che fa
vento - L'aqua di Berbenno (località a Sud di Corna) incute paura solo
alle donne - L'aqua de Seràda (altro nome per il monte Resegone) si
perde per strada - L'aqua di Spazzacà (località di Corna, verso
Nord-Est)non bagna neppure la coda dei cani.
|