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Fotoracconto/Antiche strutture d'alpeggio

 

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Roccaforte Mondovì, alpe Ciappa (dallo studio dell'ASL di Mondovì del 1999)

Caseificare in alpeggio si può? Una tradizione tra passato, presente e futuro. Studio sulla realtà degli alpeggi e sulla tradizione tipica lattiero-casearia, condotto, a cura del Servizio Veterinario dell'ASL n.16, Mondovì, Ceva, sul territorio di propria competenza, nell'estate 1999. Stampa Diffusioni Grafiche spa, Villanova Monferrato (Al), novembre 1999, pp.

 

Storia degli alpeggi, architetture, sistemi pastorali per saperne di più vai a vedere

 

Il Bitto. Per saperne di più vai a vedere

 

(08.09.11) Sugli alpeggi possiamo trovare strutture, a volte ancora utilizzate più spesso ruderali, che potrebbero essere molto simili a quelle medioevali o preistoriche

 

Dalle Orobie del Bitto alle Marittime della Raschera. Antiche strutture d'alpeggio

testo e foto di Michele Corti

Le antiche strutture pastorali presentano forme che si ripetono in aree diverse e in tempi diversi. Le nostre conoscenze sono ancora frammentarie ma è già possile stabilire interessanti analogie. Come nel caso dei calécc delle Orobie occidentali e nelle capanne casearie degli alpeggi del monregalese sulle Alpi Marittime.

 

Questa estate ho imparato ad apprezzare il valore delle antiche strutture d'alpeggio sotto un nuovo profilo. Le ritenevo preziose quale valore testimoniale ma non nel senso di 'chiave di lettura' nell'ambito di indagini scientifiche sulla ricostruzione di un passato anche remoto. Quando si parla di alpeggi e di formaggi d'alpeggio è facile cadere nella retorica di un lontano e indistinto passato. Una retorica che, tra l'altro, esime dal cercare di ricostruire - cosa non facile - la storia concreta dei sistemi di alpeggio e di caseificazione.

 

Magliano Alpi (Cn), alpe Brigola inf. (dallo studio dell'ASL di Mondovì del 1999)

 

Così, però, si rischia di lasciare posto al folklore e di perpetuare l'immagine di un'economia in sé arcaia e primitiva. Niente di più sbagliato perché i formaggi d'alpeggio erano oggetto di rapporti economici importanti nell'antichità, per non parlare del medioevo. Erano il centro (insieme ai pascoli e all'allevamento, ovviamente) di sistemi economici che coinvolgevano sia le comunità locali che i potenti dell'epoca (dai latifondisti romani, ai signori longobardi, ai vescovi e agli abati, ai potenti feudatari). La documentazione scritta (contratti), però, è estremamente scarsa prima del mille e se si vogliono indagare l'alto medioevo e l'età antica l'unico strumento di conoscenza è l'archeologia. Essa, però, è indispensabile anche per il medioevo dal momento che le descrizioni dei fabbricati si limitano solo ad accennare a delle "casine". Solo con la fine del medioevo e l'età moderna abbiamo riferimenti più precisi che rimandano a materiali e particolari di edificazione per arrivare nel XVIII-XIX secolo ad una moltiplicazione degli atti e ai primi catasti.

 

Alpe Bomino (valle del Bitto) catasto inizio XIX secolo con le due casere e (in alto a sinistra) la caurera per rinchiudere la capre di notte a protezione da orsi e lupi.

 

Una migliore conoscenza di un aspetto così importante della storia sociale ed economica delle aree alpine, quale quello del sistema d'alpeggio, richiede l'integrazione dello studio storico sui documenti, di quello archeologico sul campo (rilievi, sondaggi e scavi) e di quello etno-antropologico, facendo tesoro delle osservazioni pubblicate nel secolo scorso (specie in ambito antropogeografico). Queste ultime non sempre si interessano ai dettagli relative alle strutture e risulta pertanto prezioso ogni apporto di indagini sul campo eseguite dove le strutture tradizionali hanno mantenuto la loro funzionalità e dove è possibile un confronto tra esse e le testimonianze allo stato ruderale della stessa e di altre aree.

 

Mosè Manni (a sinistra) con figli e una nipote in un calécc dell'alpe Trona soliva

 

Capire l'evoluzione dei sistemi d'alpeggio, la loro varietà, le loro costanti è quindi il compito di uno studio sincronico (in diverse aree) e diacronico (riferito a diverse epoche) necessariamente di tipo interdisciplinare. Di tutto ciò discutevo il 31 luglio sui pascoli dell'alpe Trona nella valle del Bitto di Gerola con Diego Angelucci e Francesco Carrer, due archeologi dell'università di Trento che erano venuti sulle Orobie per studiare i calécc. Più quelli ancora utilizzati che i ruderi per il semplice motivo che solo conoscendo le modalità di utilizzo di strutture 'viventi' è possibile interpretare ciò che  oggi è solo un cumuli di conci di cui spesso si può solo affermare che la loro disposizione non può essere frutto di casualità ma riflette l'esistenza di allineamenti preesistenti, strutture in muro a secco.

I pascoli di Trona rappresentano un 'laboratorio' a cielo aperto perché troviamo numerosissime strutture, alcune utilizzate, altre abbandonate ma perfettamente leggibili, altre consistenti solo in cerchi di pietre. Nella foto sopra la presenza di un abete rosso all'interno del perimetro di un vecchio calécc serve a datare l'epoca di abbandono. Non a caso l'albero è cresciuto in corrispondenza del focolare e per la crescita ha sfruttato l'abbondante presenza di ceneri. La variabilità osservabile nelle strutture attualmente utilizzate rappresenta un altro elemento utile per la comprensione di strutture allo stato ruderale riscontrabili altrove. Sotto un calécc dell'alpe Valvedrano da dove si transita per salire a Trona. Si osserva come le dimensioni siano maggiori rispetto a quelle riscontrate a Trona sia con riguardo ai ruderi che ai calécc in funzione. A Trona la misura è quasi invariabilmente 5 x 5 o, al massimo 5 x 6 e bastano due pertiche per sorreggere la tenda:  (se ne usano tre se, il calécc è realizzato su terreno pianeggiante, dove, caso più frequente il calécc è realizzato sul pendio il muro a monte deve essere necessariamente più elevato per fungere anche da contenimento e da paraslavine e la pertica orizzontale appoggia direttamente sulla muratura).

Nei calécc abbandonati si trovano ancora particolari lignei quali pioli, resti di mensole. La loro disposizione corrisponde a quelal risconrabile in quelli ancora in uso. Un particolare interessante è rappresntato dalla forcella di cui alla foto sotto. Affogata nella muratura alla testata del calécc (a monte) serviva a consentire la rotazione dell'asse verticale della masna, l'argano ligneo al cui braccio orizzontale veniva appesa la caldaia per il riscaldamento del latte. In molti ruderi più recenti questa forcella è stata sostituita da un profilato metallico adeguatamente piegato e munito di un anello.

L'alpe Trona, come altre della valle del Bitto presenta il grande vantaggio della elevata frequenza delle strutture tradizionali. Il sistema dei calécc prevedeva l'utilizzo di decine di essi. Non rappresentavano delle "stazioni d'alpeggio" in quanto non venivano utilizzati che per pochi giorni e non sequenzialmente durante la stagione. Per evitare  l'eccessivo accumulo di fertilità legato allo stazionamento della mandria per la mungitura il calécc non era utulizzato che ogni 2-3 anni. Un sistema altamente perfezionato. All'alpe Trona soliva sono ancora oggi (caso unico) utilizzati una trentina di calécc. Nonostante questo nei pascoli delle quote inferiori vi sono numerosi ruderi. Nella vicina alpe Trova vaga, invece, i calécc non sono quasi più utilizzati e i ruderi sono numerosissimi.

Un sistema di colonizzazione pastorale dello spazio prevede sempre più tipologie di strutture (tranne nei casi più primitivi dove comunque qualche anfratto o riparo sotto roccia assolve funzioni che integrano i manufatti in muratura a secco). Nel caso del sistema-Bitto oltre al calécc, capanna di caseificazione è fondamentale la casera di stagionatura. Qui si sviluppa su due livelli, quallo superiore è adibito alla stagionatura della maschérpa (ricotta grassa) e presenta caratteristiche feritoie verticali strombate per favorire la circolazione dell'aria. In passato le strutture per la prima lavorazione erano molto più mobili. Costruite in pietra a secco e senza coperture permanenti potevano essere anche ricostruite in altri siti. La casera di stagionatura, invece, è situata in posizioni scelte con criteri accurati, di baricentricità, di protezione dai movimenti delle masse nevose ecc. La casera di stagionatura è anche il manufatto che presenta maggiore variabilità tipologica i quanto le caratteristiche sono influenzate dalla natura delle croduzioni casearie (e dal clima). Oltre alle casere di stagionatura nel sistema-Bitto sono importanti anche i barech, i grandi recinti in pietra a secco di pianta rettangolare (per lo più) destinati a racchiudere gli animali per il pascolo serale e per evitare che, di notte, si disperdano e si precipitino pericolosamante a valle spaventati dai temporali. Vi sono anche strutture come quella della foto sopra (che chiameremo 'trune' in attesa di reperire una denominazione originaria). Non può confondersi con un calécc perché i lati lunghi sono perpendicolari alla linea di massima pendenza e l'apertura non è a valle. Era verosimilmente coperta con tavole di legno (come i calécc del resto) con un altezza molto modesta perché il pastore doveva riposare straiato riparandosi durante la sorveglianza notturna della mandria. Per il ricovero dei pastori durante la norre esistevano anche dei cassoni chiusi in legno trasportabili da due persone (detti bait).

Il Prof. Angelucci mi ha inviato la foto sotto di altri bait che rappresentano antiche strutture da molto tempo abbandonate in alta val di Sole (Tn)(al centro il Dr. Correr che attualmente sta studiando strutture di epoca medievale in Francia) . I resti dei manufatti sono in gran parte al di sotto del piano di campagna e per ricostruirne la struttura è indispensabile predisporre degli scavi. Al momento non è possibile inferire alcunché su pianta, alzato e funzioni. I colleghi trentini comunque mi riferivano, durante la visita all'alpe Trona che sono numerose.

Se le strutture della val di Sole appaiono abbandonate da un lungo periodo in valel Camonica abbiamo delle tipologie di antiche strutture abbandonate in tempi molto recenti. Una circostanza che ci consente di interpretare le numerose strutture in stato ruderale. Una fortuna perché nei testi di geografia antropica e di architettura rurale si trovano solo vaghi accenni a queste strutture.

Nella foto sotto si vedono con chiarezza due cose: il fabbricato era diviso in due con una parte (con muro più alto) per la lavorazione del latte (con tanto di resti di focolare e argano girevole in legno) e un'altra, raffigurata nella foto, per l'affioramento della panna. Si vedono ancora i tronchi sui quali venivano appoggiate le mastelle di legno con il latte. L'orditura lignea poteva reggere solo il peso della lamiera zincata e, prima della lamiera, erano usati gli scandoloni di larice.

Rispetto ai calécc queste strutture sono molto più grandi e meno numerose. Dove si lavoera latte intero (come nel caso del Bitto) non c'è bisogno di strutture per la sosta del latte ma è bene evitare al latte trasporti e soste, il che spiega perché nel sistama Bitto vi sono tantissime piccole capanne di caseificazione. In ogni caso anche qui nella media valle Camonica (siamo in val Gabbia, una valletta del comprensorio della val Grigna) le 'stazioni' erano numerose. Oggi esistono solo tre stazioni, un tempo potevano essere sei-sette.

Dalle Orobie, dopo la disgressione esemplificativa in territorio camuno e solandro, passiamo ad una zona molto lontana delle Alpi: nelle Alpi Monregalesi (di Mondovì), parte delle Alpi Marittime, in provincia di Cuneo. Quelle della foto sopra sono le stesse identiche 'capanne' (in attesa anche in questo caso di reperire una denominazione specifica in lingua locale) della prima foto di questo articolo. Dopo dodici anni nulla è cambiato. Le 'capanne' sono tre: na per la caseificazione, una per l'affioramento della panna, una per il ricovero dei pastori. Il modulo-base è identico. In tutta l'area queste strutture, costituite da due-tre moduli (le 'capanne' rappresentano la struttura d'alpeggio tradizionale. Larghe come i calécc sono decisamente più lunghe. Le analogie sono numerose, però, e viene da dire che certe soluzioni sono 'obbligate', rispondono a criteri ergonomici e non ci deve sorprendere trovarle in aree molto distanti. La parte muraria è molto simile (la disposizione dell'apertura, l'utilizzo di una grossa pietra con la faccia superiore inclinata per evitare che i conci possano 'franare' ostruire l'ingresso (lo si vede bene nella foto nella colonna a sinistra in altro).

La lamiera ha sostituito le tavole di legno mobli di un tempo (anche questa zona è rcca di larici) e per non rifare ogni anno la copertura (come in tempo) si è provveduto a sostituire le pertiche con robusti pali creando anche una orditura e collocando dei puntelli al centro della capanna (foto sotto). Nella foto sotto il piano di appoggio listellato per appoggiare le bacinelle del latte (questo è il locale affioramento).

Sotto, invece, il locale lavorazione con il tavolino dove appoggiare lo spersoio (il piano inclinato per lo sgrondo del siero) e le mensole per l'appoggio dei vari utensili (cestelli per la messa i forma delal cagliata ecc.). La posizione di questi manufatti è identica a quella dei calécc. Sulla destra si intravede il focolare anche se non si vede alcun sistema di sospensione della caldaia.

Come nel caso del Bitto qui si produce un formaggio pregiato e rinomato: la Raschera. Alla primitività (apparente) delle capanne di caseificazione fa riscontro la solidità delle casere di stagionatura.

La casera dell'alpe Brigola la vediamo nella foto sotto, un lungo fabbricato con muratura con legante di calce che ha delle piccole aperture solo sulla facciata e sulla testata. E' quasi tutto interrato.

La casera si trova alla stazione intermedia (come logico). Strano che in un alpeggio dove si arriva comodamente con i mezzi meccanuici (sotto la jeep del margaro ) il proprietario (il comune di Magliano Alpi non si sia preoccupato di creare una struttura 'a norma'. In un certo senso questa è una fortuna (per lo studioso, non certo per il margaro) perché ci consente di osservare strutture 'viventi'. nel caso del Bito storico il calécc è divenuto un simbolo e un mito perché qui non sarebbe possibile continuare ad utilizzare queste strutture disponendo però anche di un caseificio 'a norma' e di locali per il ricovero del personale? Il valore storico-etnografico di queste strutture è enorme perché, insieme ai calécc e alle altre strutture che stiamo studiando rappresentano un tasello importante della grabnde storia degli alpeggi e dei formaggi d'alpeggio.

Alla vicina alpe Seirasso le 'capanne' non sono più utilizzate da parecchi anni. C'è un caseificio a norma iperpiastrellato. Però esistono ancora i ruderi e Bruno Bottero che da sessanta anni carica l'alpe Seirasso (è venuto su per la prima volta a quattro mesi di età) ricorda bene l'uso delle vecchie strutture. Alcune furono anche modernizzate (consolidando la muratura con il cemento). nella foto sotto vediamo tre capanne affiancate (una soluzione che faceva risparmiare la realizzazione di alcuni muri).

La vecchia casera di stagionatura, però, non è stata toccata (per fortuna). Rispetto a quella dell'alpe Brigola questa è ancora più interrata e. come si vede, è quasi nascosta coperta da un tappeto. La natura calcarea del suolo ha certo a che fare con questa soluzione di 'affogare' la struttura nel pendio.

L'interno ricorda una grotta naturale (il pavimento è in terra battuta). Le condizioni di temperatura e umidità sono regolate da una esperienza secolare che ha suggerito l'adozione delle soluzioni strutturali, del tipo di aperture ecc.

Se pensiamo che questo è solo un piccolo capitolo dell'affascinante viaggio tra le strutture pastorali e i formaggi alpini ci si rende ben conto di che miniere di cultura, storia, tradizioni, tecniche casearie, gusti essi rappresentino.

 

           

 

pagine visitate dal 21.11.08

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