(10.01.12) Non sono pochissimi i ragazzi (anche con una laurea in tasca) che vorrebbero tornare alla terra e alla montagna. La schizofrenica società urbana da una parte li incoraggia, dall'altra ... preferisce i lupi
testo e foto di Michele Corti
La storia di Andrea e Silvia è una storia esemplare che ne riassume anche altre. Ne parliamo in pieno inverno perché l'alpeggio - al di là della dimensione turistica - è un aspetto importante della vita in montagna, di cui ci si deve preoccupare tutto l'anno. Ci sono giovani con una passione enorme, ma pare che la società urbana pronta a commuoversi per le loro storie e per la bontà dei loro prodotti poi non riesca a fare a meno di mettere sempre nuovi bastoni tra le ruote
La visita all'alpe Pravareno in comune di Venaus (a un passo dal Moncenisio in alta val di Susa) risale ai primi di settembre. Ne è derivato un bel pò di materiale (foto, interviste videoregistrate e non) anche perché, contrariamente a quanto accade di solito, invece di un blitz si è trattato di una visita vera e propria con tanto di pernottamento. Tanto da pensare di utilizzarlo per più articoli sviluppando diversi temi: "giovani laureati in alpeggio", "formaggi di tre latti (mucca, capra e pecora)", "i costi materiali e morali della convivenza forzata col lupo".
Andrea e Silvia, i giovani caricatori (marito e moglie con due bambini) li ho poi rivisti a Sondrio due mesi dopo quando, su mio invito, hanno partecipato con entusiasmo a "Formaggi i Piazza" la mostra-mercato sui formaggi d'alpeggio e di montagna organizzata in occasione del ponte dei morti dal comune. Aspettavo quella occasione per poter verificare come era venuta la "Toma dei tre latti" prodotta il giorno della mia visita. L'idea era quella di compilare con l'amico Marco Imperiali una scheda di degustazione e presentare alla grande il formaggio dei due amici. Come avevo rilevato durante la mia visita, però, la cantina di stagionatura, a causa dei problemi che frequentemente si riscontrano dove sono stati realizzati locali con criteri e tecniche "moderne", necessita di alcuni interventi per migliorare il microclima. In queste condizioni valutare il formaggio avrebbe penalizzato la cura e la passione di Andrea e Slivia. Se ne parlerà il prossimo anno. Nel frattempo, però, ho trascritto le interviste e ordinate e corrette le foto che mi sono sembrate fatte apposta per un fotoracconto.
Prima di tornare ad Andrea e Silvia e ai loro problemi vale la pena raccontare qualcosa sull'alpeggio perché ha una storia singolare. Già a prima vista le strutture edilizie (abitazione e caseificio - sopra- e lo stallone - sotto) denunciano una condizione alquanto insolita per le Alpi occidentali. Lo stallone si direbbe di tipo "trentino".
Di certo una struttura sovradimensionata ma non solo, non adatta alle condizioni locali. Qui i pascoli presentano un grande gradiente altimetrico, nettamente superiore a quello delle malghe trentine; sono anche molto acclivi (adatti alle vecchie vaccherelle di tipo valdostano di una volta e agli ovicaprini). E allora perché realizzare queste strutture largamente inutili? La spiegazione è facile. Negli anni '70 il sistema tradizionale di alpeggio stava entrando in crisi. Qui non esisteva un alpeggio unitario ma il pascolo era sfruttato in modo "dissociato" da decine di piccoli proprietari di bestiame che disponevano di piccole cascine alle quote inferiori e "spingevano" le loro bestie nel pascolo comune. Uno schema una volta molto diffuso sull'Arco Alpino. La montagna allora era tutta "mangiata" da Venaus sino a qui secondo uno schema di migrazione stagionale verticale (ora si sale con innumerevoli tornanti in mezzo al bosco di neoformazione). Negli anni '70 l'industria idroelettrica e altre opportunità di lavoro (non va dimenticato che la distanza tra qui e la Fiat è molto inferiore a quella tra la Valtellina e le fabbriche milanesi) hanno "svuotato" l'agricoltura di montagna e i pascoli con il vecchio sistema ereditato dall'agricoltura di sussistenza rischiavano di rimanere del tutto deserti. Così il Consorzio erede della vecchia proprietà collettiva decise di creare un alpeggio ex-novo e di farlo gestire da un margaro "di fuori" in forma unitaria e imprenditoriale. Complice la generosa disponibilità di fondi pubblici dell'epoca (spesa "di consenso", poco vincolata alla congruità degli investimenti) il Consorzio investì dei bei soldini affidando il progetto a progettisti che trapiantarono qui un modello di alpeggio "idealtipico" che non aveva possibilità di funzionare. Lo stallone non venne mai riempito e negli anni il "carico" è diminuito e il bosco è cresciuto (come dimostra il denso lariceto che cresce a ridosso dello stallone). Per rilanciare l'alpe si sono eseguiti dei lavori di adeguamento del caseificio e lo si è concessa in affitto a una giovane coppia piena di entusiasmo e voglia di produrre e trasformare il latte di mucche, capre e pecore anche senza esperienza di alpeggio alle spalle.
Andrea e Silvia (sotto) provengono da un'esperienza universitaria. Lei ha conseguito la laurea in scienze forestali lui si è fermato a pochi esami dalla laurea in ingegneria ambientale al poli di Torino. Lui torinese lei di Reano, a breve distanza da Avigliana e dalla bassa val Susa ma anche dalle propaggini della conurbazione torinese. Di famiglia rurale ma con difficoltà a mantenere un minimo di attività a causa dello sviluppo edilizio che ha interessato anche i piccoli centri entro l'orbita di gravitazione della grande città. L'alpeggio, inseguito per anni (le difficoltà di accesso agli alpeggi per giovani bene intenzionati sono enormi in questianni di bieche spoeculazioni) è stata un'occasione insperata, colta al volo. E poi che alpeggio! Allacciato alla rete Terna, raggiungibile con normali autoveicoli, con un caseificio enorme e diverse stanze con servizi al primo piano. "Come una villetta" scherzano Andrea e Silvia consapevoli di tanta fortuna. A loro spese questi giovani hanno capito che "i libri è meglio metterli da parte". Significa che tipologie di strutture, tipi di razze, tecniche di pascolo non possono essere trasposte meccanicamente. Il corral per la mungitura manuale è un capolavoro di ingegneria pastorale che rappresenta gli antipodi del cementizio greve stallone. La leggerezza, la flessibilità è la cifra tecnologica di questa struttura che riassume soluzioni abbastanza universali ed altre peculiare ad una cultura pastorale dello spessore di quella transilvana.
L'artefice è Janko, un giovane pastore rumeno fiero della sua cultura (nella foto sotto a sinistra mentre munge . Janko si è fatto portare dalla Romania il mantello-casa dei pastori transilvani (sono sei pelli di pecora cucite insieme) e quando custodisce le pecore sui pascoli alti quella è la sua 'casa'. Al più ci sono i vecchi ripari pastorali sottoroccia e qualche volta può dormire al rifugio. Grazia a Janko il gregge delle pecore asciutte che utilizza pascoli molto ripidi a quote alte può essere relativamente al sicuro (nebbia a parte) dagli attacchi dei lupi.
Il gregge delle pecore e delle capre da latte, invece, viene mantenuto presso i fabbricati. Andrea mi racconta che vive nella paura di restare senza il pastore. "Cosa faccio il giorno che un pastore così esperto e orgoglioso decide di andaresene?". C'è anche un altro elemento di preoccupazione. "La paura è legata al lupo, non è legata alla predazione del singolo capo, è alla strage che ti fa che che te le spinge tutte in un precipizio e quindi non s'è mai tranquillo".
Parlando con Andrea è evidente come per lui il lupo rappresenti un grosso problema. per lui il più serio. Sembrava di aver raggiunto il paradiso, di avere un alpeggio con tutte le "comodità" e invece... A parte il costo del pastore assunto per sorvegliare le pecore Andrea si deve anche sobbarcare il mantenimento di un cavallo che gli serve per trasportare le reti sugli alti pascoli nonché il cibo per il pastore e per i cani. In più, dal momento che il cavallo non riesce a raggiungere i pascoli più scoscesi il nostro amico è costretto a caricarsi in spalla il tutto. Spese, fatiche e ansia. C'è poi il problema dei cani da difesa. Che oltre a pappare parecchio (sono cagnoni) creano anche altri problemi. Andrea aveva provato ad utilizzare un cane maremmano (fornito dal Progetto lupo) ma ha dovuto renderlo perché seguiva i turisti e gli telefonavano dal paese sotto di andare a prenderlo. Così è andato in Abruzzo e ha comprato di tasca sua due cucciolotti, un maschio e una femmina. Una situazione non troppo simpatica perché i veterinari del Progetto lupo ovviamente non l'hanno presa bene. Ma sono poi loro che vengono a fare gli accertamenti, ovvero a redigere i verbali sui quali sono poi sono riconosciuti i rimborsi e sono loro a valutare i "punteggi" per l'assegnazione del premio per il "pascolo gestito". In tutto ciò c'è evidentemente qualcosa che non va. Del resto quando Andrea si è rivolto alla Forestale non ha trovato molta più comprensione. Sarà perché ci sono margari e pastori che fanno i furbi nel denunciare le perdite subite a causa dei lupi - riconosce Andrea - ma non è bello quell'atteggiamento che tende a mettere sistematicamente in discussione la "responsabilità del lupo", a imputare al pastore negligenze nella gestione dei propri animali.
Al di là di queste amarezze Andrea e Slvia hanno anche tante soddisfazioni e riconoscimenti. Il negozio dell'alpeggio (foto sopra) è sempre frequentato da estimatori dei loro formaggi che vengono sin quassù apposta per fare "rifornimento". Con tanta applicazione e pazienza i due giovani hanno perfezionato diverse tecniche di caseificazione cimentandosi nell'arte della miscelazione dei diversi latti. A fine stagione (come quando mi sono recato a Pravaren) il latte è poco e si mescola tutto insieme. Come da millenni. In vendita vi sono formaggi di pura capra, di vacca, di pecora. Considerato il prezzo a cui sono rivenduti certe prelibatezze vale sicuramente venire apposta da Torino. Qui un erborinato di pecora costa solo 22€ e una toma stagionata di mucca 10€.
Non è stato facile raggiungere questi risultati. "I vecchi margari sono gelosi dei loro segreti". Andrea ha imparato a sue spese che nel mondo contadino si impara facendo e guardando. Nessuno "ti insegna". Per chi viene dagli studi universitari non è un impatto facile. Anche a proposito delle tecniche di allevamento e della scelta delle razze Andrea ha scontato forti delusioni. "Avevamo preso la pecora delle Langhe, ma non è come la raccontano i libri; è troppo delicata. Ora ci stiamo orientando ad un incrocio con la Frabosana, razza più rustica, quanto alle vacche ci stiamo orientando alla Barà".
La "filosofia" dell'azienda è confermata dalla composizione del gregge delle capre da latte composto da capre variopinte con prevalente influsso del tipo Du Rove della Provenza.
In caseificio ritroviamo un mix di modernità e tradizione. L'aspetto è un pò freddo, lontano dall'immagine dei caseifici d'alpeggio. Non è bello vivere immersi in una coltre di fumo (come avviene ancora in molte baite-caseificio) ma lascia molto perplessi vedere il fornello alimentato a gas (sotto) quando fuori il bosco sta riconquistando velocemente quelli che da millenni sono pascoli.
Alla mia osservazione Andrea risponde che "Da noi le Asl proibiscono l'uso della legna". Deve essere vero perché me lo hanno già detto in tanti. Da noi in Lombardia c'è maggior tolleranza anche perché per i prodotti tipici (Dop ma anche Pat) è prevista la deroga. In ogni caso il fumo può essere allontanato e ci sono sistemi molto efficienti di uso della legna che consentono una agevole e precisa regolazione del riscaldamento, un facile caricamento della legna e il completo allontanamento dei fumi con tanto di recupero di calore (vai a vedere a proposito la Malga Valmezzana del Consorzio Forestale Presolana).
Le immagini sopra e sotto simboleggiano un po' il contrasto tra una certa interpretazione della "modernità" e la tradizione. Da una parte piastrelle, plastica e strumenti "laboratoristici", dall'altra un inconfondibile stampino per il burro di modello alpino. Qui i due aspetti paiono convivere e dialogare. Anche perché Andrea e Silvia hanno una cultura "ibrida" che consente loro di guardare le cose con spirito critico e di arrivare a una rielaborazione personale.
Andrea si è comunque calato alla perfezione in una dimensione che esclude la fretta. A differenza di tanti "agricoli" contaminati dalla frenesia urbana che devono fare tutto in fretta lui, "neorurale" lavora con serenità e pazienza. E precisione, come dimostra il taglio delle cagliata nelle foto sotto.
Il tempo scorre. Senza enfatizzare le cose Andrea mi racconta i suoi problemi con il lupo, i veterinari, le false certezze dei libri che si studiano all'Università. La cagliata intanto "lavora" e affiora il siero.
La prima rottura è operazione che richiede delicatezza e pazienza quanto poche. Con lo spino Andrea inizia a rompere con gesti misurati la cagliata.
Poi i movimenti si fanno più energici e veloci con una progressione che va "calibrata" bene tenendo conto delle caratteristiche della cagliata che si sta lavorando (condizionate dai latti utilizzati per la coagulazione).
Alla fine il movimento dello spino è vorticoso.
L'occhio della mano rimane indispensabile per valutare il grado di elasticità e asciuttezza raggiunto dalla cagliata. Come un vecchi casaro.
Dopo la fase di riposo la cagliata raccolta sul fondo della cagliata viene estratta e messa in forma utilizzando cestelli di plastica traforati di varia forma.
Il lavoro del caso prosegue in cantina con le salature, le puliture. I prodotti di Andrea e Silvia sono prodotti tradizionali e non possono prescindere da una maturazione nelle migliori condizioni. Come dicevamo all'inizio le cantine moderne come questa che è in cemento armato in sintonia con lo "stile" dei fabbricati. Mentre, però, lo stallone è ipertrofico, la cantina è angusta. Con un po' di interventi come dicevo all'inizio potrà migliorare e non c'è dubbio che i prodotti di Andrea e Silvia che hanno tanta stada da percorrere davanti a loro, raggiungeranno i vertici della qualità.