(16.08.11) Resoconto
della visita ad un alpeggio 'di frontiera' dove
continuare a utilizzare il pascolo assume i contorni
della resistenza pastorale, per alcuni aspetti eroica,
per altri disperata. Cosa comporterebbe la 'ritirata'
da queste posizioni?
"Questa
montagna mi sta mangiando l'anima"
All'Alpe
Infernet
in val d'Angrogna dove
la nebbia è di casa (e il lupo picchia)
testo
e foto di Michele Corti
All'alpe Infernet
ci si rende conto
come - in alcune situazioni - la diffusione del lupo, in assenza di alcuna
intervento di controllo,
non consenta alcuna 'convivenza' tra il predatore
e la pastorizia
È
in posti come l'alpe Infernet in val d'Angrogna (To)
che ci si convince che o il
lupo viene tenuto a bada, come si è fatto da
millenni, o la pecora e il pastore devono sparire. Se
vengono abbandonate queste posizioni 'marginali' la
frontiera della pastorizia e della montagna umanizzata
si sposterà altrove con la prospettiva di un
abbandono totale della montagna. Andare a verificare
di persona la situazione quindi era molto importante.
L'ho fatto il giorno 8 agosto in una giornata di bel
tempo (almeno nelle previsioni meteo). In realtà,
oltre ad andare ad eseguire un sopraluogo chiave nella
mia indagine sull'impatto del lupo sui sistemi pastorali
delle valli di Cuneo e di Torino all'Infernet sono andato
anche per trovare degli amici: Marzia (Verona) e il
suo fidanzato Claudio (Buffa). Marzia la conosco ormai
da qualche anno, accoumunati dall'interesse per i pastori
che nel suo caso è diventato molto più
coinvolgente perché - sia pure a part-time -
fa la pastora (oltre a scrivere e studiare sull'argomento).
Claudio l'ho conosciuto solo questa primavera nell'ambito
degli incontri organizzati presso le comunità
montane nell'ambito del progetto Propast.
Claudio
ha l'aria del ragazzo tranquillo, piuttosto lontano
dalle immagini dei pastori esuberanti e un po' spacconi.
Gestisce un pascolo dove c'è quasi sempre
la nebbia, dove ci si arriva solo a piedi da un sentierino,
senza neanche un piccolo pianoro, con le baite diroccate.
Eppure facendolo per scelta non si lamenta più
di tanto. La presenza del lupo, però, ha trasformato
quella che era una situazione estremanente disagiata
in una situazione disperata, anche se sei giovane, anche
se hai una gran buona volontà, anche se hai una
passione enorme e un altrettanto enorme attaccamento
alle tue montagne, alle montagne dove ci vai da bambino,
dove hai baite di proprietà. Perché dovresti
abbandonarle solo perché qualcuno ha deciso che
ci deve stare il lupo?
La
camminata per arrivare all'Infernet è lunga.
Bisogna percorre uno sterrato che prende inizio
al Colle Vaccera fino all'Alpe
Cruilira (1596 m). Qui incontro Sergio, un pastore molto giovane.
Le baite di proprietà sono ben sistemate
e confortevoli anche se piuttosto basse (per via delle
neve). La mamma di Sergio ha disposto con cura una serie
di piante in vaso fiorite a fianco della baita. Il tempo
di prendere un caffè e di scambiare quattro chiacchiere
e mi devo congedare dopo esserni fatto spiegare da Sergio
dove pascola prima di rientrare la sera. Vorrei intervistare
anche lui durante il ritorno. Per arrivare all'Infernet
ci vogliono quasi due ore e non voglio arrivare tardi.
Marzia mi ha raccomandato di arrivare prima delle 10.30.
Lungo il percorso (a circa 20 min dall'alpe) ci
si imbatte in alcune ossa (sopra). È una pecora
sbranata dal lupo lo scorso anno e data per dispersa.
Arrivo
all'Infernet puntuale ma le pecore stanno già
lasciando il recinto dove trascorrono la notte relativamente
al sicuro. Marzia mi dice che c'è un po'
di tempo per farmi vedere l'alpe, tanto le pecore al
mattino si muovono lentamente. Siamo a 1989 m.
I
fabbricati sono diversi, alcuni in rovina, altri malandati.
"Non c'è una baita con il tetto che tenga".
Mentre il pascolo è di proprietà comunale
queste baite sono tutte private. Si tratta di una piccola
alpe-villaggio dove salivano numerose famiglie. In passato,
mi racconta Marzia, qui salivano 1000 pecore ma anche
i bovini, piccole vaccherelle robuste di tipo valdostano.
La
baita utilizzata come cucina è buia, bassa e
sopra le teste incombono diversi teloni di plastica
che evitano di bagnare chi trova 'riparo'. Il tetto
è un colabrodo.
Dalla 'cucina' ci spostiamo nella
'casera'. Si tratta di una baita cadente come tutte
le altre dove Marzia riesce a lavorare un po' di latte
di capra e a produrre - per autoconsumo - delle tome (che assaggiate durante la colazione del
mezzogiorno si riveleranno buonissime).
Le
tome sono appoggiate su assi mantenute sospese con delle corde,
un espediente indispensabile per evitare che se le mangino
i topolini. Per loro Marzia sacrifica un pezzetto di
formaggio come esca, intorno il topicida.
Pare
strano ma in questa alpe, dal nome che è tutto
un programma, in passato si produceva formaggio. Lo
testimoniano i pesi, pietre ben sagomate a forma circolare,
che si trovano ancora all'interno delle baite e che
servivano per pressare la cagliata messa in forma (Marzia
me ne mostra uno, foto sotto).
Dopo
la cucina e il caseificio Marzia mi ha vedere la camera
da letto. È la novità di quest'anno. Intorno
a questo container sono già fiorite delle storie:
quella dell'elicottero che non ce la faceva a trasportarlo,
quella del comune che si lamenta che 'deturpa il paesaggio'.
Il container è stato fornito e collocato a cura
del Progetto lupo (alla fine è sempre la Regione
Piemonte e, in definitiva, il contribuente che
pagano). Un modo per far vedere che si viene incontro
alle esigenze dei pastori e che si cerca di compensare
i disagi addizionali che essi devono sopportare a causa
dell'intoccabile (ma fino a quando?) predatore. Non ci fossero i lupi non sarebbe necessario
mantenere le pecore nei recinti durante la notte e pernottare
nei pressi dei recinti. L'Infernet è una situazione
limite che è un po' sotto i riflettori. Bene
che si sia provveduto a mettere a disposizione del povero
pastore un container dove dormire all'asciutto ma quante
altre situazioni di ricoveri del tutto inadeguati dove
i pastori sono costretti a dormire ci sono nelle valli
interessate al ritorno del lupo?
Nel
container, sia pure angusto, si sta all'asciutto e qui
Marzia conserva il 'diario di bordo' dove tiene registrate
le condizioni meteo e le perdite a causa del lupo.
Nella
pagina aperta sono registrate 10 giornate. Sei sono
state nebbiose. Il 3 agosto c'è stato anche un
attacco: due pecore morte e una ferita.
Non
è il primo attacco della stagione. A luglio,
quando il gregge pascolava a quote più basse,
sono state sbranate tre pecore e due agnelloni sono
risultati dispersi (e non più ritrovati). Claudio,
che nel frattempo è sceso alle baite per prepararsi
per trascorrere la giornata col gregge, raccogliendo
il necessario da portare con sè, mi mostra le
condizioni della pecora ferita. Viene mantenuta in un piccolo
recinto adiacente alla baita-cucina, va alimentata con
erba tagliata appositamente e va trattata con antibiotici.
In seguito all'attacco la sfortunata ha abortito. Questo
degli aborti e di tutte le perdite di produzione dirette
e indirette è un capitolo della partita 'danni
e risarcimenti' da lupo ( 'canidi' se il predatore
non viene colto in fragrante), che dovrà
essere meglio messo a fuoco. La veterinaria del Parco
ha portato gli antibiotici ma quanto tempo e fatica
costa curare la pecora? E se fossero numerosi i capi
feriti come farebbe il pastore a fronteggiare la situazione?
Oltre all'aborto l'animale porterà le conseguenze
dello stress, della ridotta alimentazione, dell'effetto
degli antibiotici. Tutti aspetti che comprometteranno
il ritorno a una condizione di normale fertilità,
fecondità, prolificità.
La
pecora è stata ripetutamente 'mirata' al collo.
Oltre ad una ferita sul lato presenta una 'classica'
duplice incisione con i segni dei canini ben visibili.
Quello che è inusuale è che le incisioni
sono sovrapposte. Probabilmente la pecora è stata
morsa al collo quando era a terra. Alla fine, però,
la carotide è stata mancata e il morso non
è stato letale.
Finalmente
si parte. Le pecore non si sono spostate da dove erano
rimaste quando Claudio aveva aperto il recinto; le reggiungiamo
e, senza spingerle, assecondiamo la loro lenta marcia
verso i pascoli. Oltre ai cani da conduzione ci sono
due femmine di razza Maremmana, una giovane, l'altra
già adulta e sterilizzata. Le cagne bianche socializzano
senza problemi con gli altri cani.
Il
gregge è composto da oltre 800
ovini; metà sono di Claudio, metà
sono 'in guardia' affidate a Claudio da 15 proprietari.
Tra questi vi è Flavio un ragazzo del
posto che ha nel gregge un centinaio di pecore di sua
proprietà e che svolge il ruolo di aiuto pastore.
Rispetto allo scorso anno le difese si sono rinforzate:
un pastore in più e un Maremmano in più.
Ma questo non è stato sufficiente a impedire
due attacchi (sinora).
Le
cause di questa difficile difendibilità del gregge
sono legate a due circostanze concomitanti: la frequenza
di giornate nebbiose e la morfologia del terreno. Le
pecore sono più agili e arrampicatrici di quanto
si potrebbe sospettare. Ma queste loro doti finiscono
per metterle nei guai. A volte non riescono a scendere
e deve intervenire il pastore perché in queste
situazioni, con le pecore 'incrodate' l'intervento del
cane sarebbe quanto mai rischioso. Nella foto sopra
Marzia osserva perplessa un gruppo di pecore 'scalatrici'.
Arrampicandosi in mezzo alle rocce le pecore possono
anche provocare la caduta di pietre mettendo a rischio
anche le pecore sottostanti e .. i pastori.
Claudio
confessa di avere rischiato la vita in più di
una circostanza per recuperare le pecore. Le pecore
che rimangono indietro sulle cengie o in qualche
luogo disagevole rischiano di non essere rinchiuse alla
sera nel recinto elettrificato che le protegge dal lupo.
Mentre le pecore rimaste vittime del lupo a luglio stavano
pascolando in pieno giorno, e sono state tradite dalla
nebbia, quelle del 3 agosto erano rimaste fuori dal
recinto la sera. E i lupi non perdonano.
La
lenta marcia in salita prosegue finché le pecore
non raggiungono dei pendii erbosi liberi anche dai cespugli
di ontano alpino e di rododendro.
Lungo
il percorso, un po' più in basso rispetto al
sentiero, è rimasta la carcassa di una vittima
del 3 agosto. Non rimane più molto perché
le volpi e i corvi hanno provveduto a eliminare quello
che i lupi non avevano consumato.
La
giornata è 'bella' ("Una delle migliori
sinora") ma ogni tanto sale la nebbia. Il gregge
si frammenta in una serie di colonne che provedono in
fila indiana, mentre altri gruppi di pecore hanno già
iniziato a pascolare.
Il
paesaggio è segnato da una ragnatela di sentieri
o semplicemente di passaggi tra il cespuglieto. Anche
i sentieri principali, di interesse escursionistico,
sono mantenuti grazie al passaggio del gregge (un servizio
al quale i lupi non provvedono di certo).
Dove
la copertura erbacea è continua e i cespugli
rappresentano solo degli 'isolotti' è facile
constatare che l'azione delle pecore è in grado
di contenere l'ulteriore avanzata dell'arbusteto.
Ora
che la visibilità è buona il compito del
pastore sembra agevole. Ma ci immaginiamo come debba
diventare più difficile in caso di forte nebbia,
pioggia.
Qui
all'Infernet non solo ci si rende conto che le pecore
sono più alpiniste di quanto si possa ritenere,
ma anche che non sono quegli stupidi animali che si
ammassano per pascolare a contatto di vello o quasi.
Un po' per via delle presenza di numerosi gruppi provenienti
da diversi proprietari, un po' per la natura del terreno
la dispersione è fortissima.
Claudio
che videointervisto a lungo mi spiega che nelle condizioni
di questo pascolo le pecore non riuscirebbero ad alimentarsi
se stessero serrate. D'altra parte questa dispersione
è foriera di un sacco di difficoltà. "Come
fanno due cani a controllare centinaia di pecore disperse,
con i valloni, con la nebbia?". Impossibile. Ce
ne vorrebbero una dozzina. E poi chi li sfama? Il Progetto
lupo con lanci di carne dagli elicotteri? Ma poi chi
controllerebbe più una simile muta.
Claudio
racconta dei motivi che lo costringono a rimanere qui.
Non vuole essere un eroe a tutti i costi. Non vuole
lanciare sfide. Qui all'Infernet mi pare molto più
vecchio di quando apparisse questa primavera. Allora
mi sembrava un ragazzo. La fatica e le notti insonni
a cercare animali dispersi lo hanno segnato e poi quest'ansia
della nebbia che all'improvviso può avvolgere
tutto e consentire al lupo di colpire... Il danno del
lupo a Claudio va ben al di là dei capi predati;
è questo logoramento fisico e, soprattutto, psicologico
che va messo in conto al lupo (anzi ai suoi sponsor,
perché il lupo è un animale che fa il
suo mestiere nei limiti di quello che decide l'uomo
pastore, cacciatore, naturalista, lupologo). La questione è tra uomo e uomo, non
tra uomo e lupo e nemmeno tra pecora e lupo. Parla con
lentezza Claudio, parrebbe rassegnazione la sua, ma
non è così. Vorrebbe uscirne da questa
situazione "Questa montagna mi sta mangiando l'anima".
Vi
sono motivi pratici e motivi affettivi che trattengono
qui Claudio. Ci sono gli impegni presi per fruire dei
contributi del Psr. C'è la disponibilità
di baite di proprietà alle quote più basse.
Vi sono i genitori che alpeggiano con le bovine a non
molta distanza da qui e dove Claudio termina a fine
stagione il suo 'piano di pascolamento'. Poi "sono
le mie montagne". Considerazione che potrà
essere irrisa come sentimentalismo dai razionali (mah)
lupofili ma solo perché loro il contadino,
il pastore non lo possono e non lo vogliono capire.
Si
prosegue verso la meta, il crinale - appena sotto il
Gran
Truc (2366) che separa la val Pellice dalla val Germanasca.
Arrivati
in cima le pecore sono dei puntini microscopici dispersi
sul versante della montagna. Mentre noi faremo sosta
e colazione loro continueranno a pascolare e, dopo pranzo,
ce le troveremo davanti a noi a quota di poco interiore.
Il pastore conosce il comportamento al pascolo dei suoi
animali, sa che - con opportuni correttivi e indirizzamenti
- il gregge effettuerà un determinato percorso.
Così può anche tirare il fiato e fermarsi
sapendo che lo 'riaggancera' senza problemi (sempre
che non ci siano imprevisti).
Arrivati
sul crinale i cani e i cagnetti ne approfittano per riposare.
I pastori, invece, si dedicano ad ammirare il panorama.
Sembra strano, a vederli parrebbero escursionisti. Il
motivo c'è e me lo spiegano "È la
prima giornata da quando siamo qui che si può
vedere quello che si vede oggi". Lo sguardo spazia
lontano. Ma dal 'nostro' versante un po' di nebbiolina
continua a tentare di salire.
Sono
parecchie le dorsali che separano le valli torinesi
che si possono ammirare da qui. In lomtananza anche
cime innevate.
Girandosi
verso la val Pellice c'è una gradita sorpresa:
la coltre delle nubi si è squarciata e la maestosa
mole del Monviso allare dietro le dorsali che separano
la val Pellice dalla valle Po.
Ammirando
valli e montagne il tempo scorre. È ora di muoversi.
Invece di tornare all'Infernet mi consigliano di scendere
un pezzo lungo la cresta, poi di abbandonarla per transitare
dall'alpe Collet. Da qui poi scollinando si scende a
Cremlira e il cerchio è chiuso. Gli amici mi
accompagnano per un tratto in discesa lungo il crestone
sino ad arrivare ad
un punto da dove il percorso si vede con
chiarezza. Dall'alto si vedono anche le pecore di Sergio.
Lui è sul sentiero (lo vede Marzia che ha l'occhio
allenato). Faccio come mi dicono. Però quando
arrivo in prossimità dell'alpe (sotto) le pecore
sono nella boscaglia di ontani e Sergio non si vede.
Il Maremmano abbaia e mi tiene d'occhio. Per non metterlo
in allarme restando lì sul sentiero, dove nel
frattempo transitano delle pecore, decido di tagliare
dritto al Colle. Peccato perché Sergio mi aspettava.
L'Alpe
Collet (1754 m) è 'mangiata' da Sergio in aggiunta
al suo pascolo, in parte di proprietà, (che
resta sull'altro versante, quello della val Pellice).
Il pascolo di Collet (foto sopra) lo paga una cifra
modesta ad un ingrassatore di tori che affitta la montagna.
È un subaffitto. Il pastore mangia sul serio
la montagna, l'ingrassatore 'sulla carta', ovviamente. All'ingrassatore
interessa l'ettaraggio, la condizionalità, il
premio unico. Tradotto in soldoni le palanche della
Pac. Sono una maledizione peggiore per i pascoli e il
pastoralismo le speculazioni e le distorsioni della
Pac o il lupo? Una bella gara, anche perché è
la combinazione delle due cose che sta mandando in malora
l'alpe Collet come tante altre. Sergio pascola solo
le zone 'pulite' intorno alle baite, chi osa pascolare
nell'arbusteto? Lo ha fatto oggi perché è
una bella giornata e, in ogni caso, stando vicino
al sentiero. Il circolo vizioso si chiude: nessun margaro
va più ad utilizzare le baite, poi anche se ci
andasse guai a lui se usa la legna per il fuoco, ci
vuole la bombola (eccola l'ecologia)! Così boscaglia e lupi avanzano.
Il contribuente paga fior di soldoni per la Pac;
finiscono nelle tasche degli allevatori di tori della
pianura i quali
a loro volta sono strozzati dai commercianti che
pagano prezzi irrisori la carne anche pregiata,
anche piemontese. Ma i commercianti sono strozzati dalla
grande distribuzione e quest'ultima dalla concorrenza
e dalla 'globalizzazione'. Così, dopo aver imputato
il tutto a una entità astratta non sappiamo più
con chi prendercela... Forse, però, applicando
un po' di buon senso, le cose si raddrizzerebbero.