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Con il sostegno diretto la qualità del formaggio ci guadagna. Spunti dalla Svizzera

Pubblicato in Caseus. Arte e cultura del formaggio, anno XIII (2008), n. 4,. luglio-agosto pp.19-20 (Luglio-Agosto)

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Riassunto - In Svizzera la politica di sovvenzione al prezzo del latte e alle esportazioni in dumping è finita. Qualcuno poteva pensare che la "competitività" portasse ad una maggiore standardizzazione e industrializzazione dell'industria casearia elvetica, invece sta accadendo il contrario. La competitività non si gioca in modo suicida sul prezzo e sulla quantità ma sulla differenziazione, con il bio che aumanta in modo consistente e persino con la rinascita di un comparto di produzioni artigianali sin qui compresso dalla monocoltura dell'Emmenthal. Insegnamenti interessanti ,specie se si considera che il sostegno al reddito zootecnico è sempre più finalizzato al mantenimento del territorio e a buone pratiche. Il caso di Poschiavo, la valle che sta diventando bio e ha saputo dire di no all'insilato di mais.

 

di Michele Corti

In Svizzera, per certi versi, la politica agraria sta andando in una direzione opposta a quella della Eu. Va premesso che, con il 60% di reddito agricolo da sostegno pubblico, la Svizzera è tra i paesi OCSE in testa alla classifica delle agricolture sovvenzionate. Molte cose, però, stanno cambiando. E’ un processo di “convergenza” imposto dall’avvicinamento alla Eu ma anche dagli accordi internazionali (Wto). Quello che più ci tocca da vicino è cosa sta cambiando nel campo del latte e dei formaggi. Fino a pochi anni fa il prezzo del latte era mantenuto artificialmente alto attraverso un costoso meccanismo di sostegno del mercato. Il divario tra il prezzo del latte svizzero e quello della UE si è ridotto velocemente (e drasticamente) e i sostegni governativi si sono trasferiti dal mercato ai pagamenti diretti.  Dal 2007 l’export-import caseario con la Ue è del tutto liberalizzato e le quote latte sono in fase di smantellamento (nel 2009 ci sarà una completa liberalizzazione).

Si potrebbe pensare ad un tracollo delle aziende zootecniche, specie le più piccole. Con conseguenze negative per la montagna e le produzioni artigianali.

In effetti la politica agricola svizzera dichiara di perseguire obiettivi di competitività, punta a un contenimento di costi e ad una maggiore efficienza delle strutture ma … le cose non sono così scontate e non fermandoci alla stalla, ma allargando lo sguardo alla filiera, potremmo ricavare considerazioni interessanti.

La politica di sostegno del mercato aveva fatto adagiare il settore lattiero su sé stesso. Non c’era bisogno di fantasia e di grandi sforzi alla ricerca dell’efficienza e della qualità. Bastava produrre Emmenthal e praticare l’esportazione in dumping. Un po’ come da noi dove – sia pure sulla base di meccanismi diversi – si fa Grana anche in Trentino.

Il nuovo scenario ha costretto la filiera a cercare nuove prospettive. Non le poteva cercare in un prodotto di massa ma nella differenziazione e nella valorizzazione di nuovi segmenti del mercato interno. In attesa di capire come si evolveranno le strutture zootecniche, dal fronte della trasformazione vengono segnali interessanti: non solo vi è un aumento significativo della produzione bio, ma si parla sempre di più di latte crudo e i piccoli caseifici legati a produzioni tradizionali locali, che erano stati spazzati via dai grossi caseifici da Emmenthal, hanno in qualche caso riaperto. Gianluca Giuliani, giovane economista agrario originario della Val Poschiavo (che da ragazzo lavorava in stalla e in caseificio e parla di queste cose con competenza ma anche grande partecipazione) mi ha raccontato che nella regione di Zurigo sono una ventina i piccoli caseifici tornati in vita che cercano di differenziare le rispettive produzioni e puntano su canali commerciali in grado di riconoscere un prezzo superiore rispetto ai formaggi standardizzati. Anche a Zurigo vi sono rivendite specializzate, negozi che si rivolgono ai gourmet , magari con un titolare di origine italiana.

Nelle regioni di montagna la produzione bio si sta espandendo e il mercato è vivace. Il caseificio di Poschiavo (San Carlo) su 17 conferenti ne ha già 15 che hanno completato la conversione a bio. E le vendite vanno benone. Ciò sta succedendo anche in altre zone di montagna.

La conversione a bio non è stata traumatica perché l’ecocondizionalità in Svizzera è una cosa seria. I produttori della latteria di Poschiavo hanno sì dovuto abbandonare l’insilato di mais (sì anche qui a oltre 1.000 m!) ma per poter usufruire dei pagamenti diretti è necessario osservare un rapporto Uba/ha che non supera l’unità! Quindi devono avere tante superfici a prato e tanto, tanto fieno.

Il presidente della Latteria, Sig. Cornelio Beti con 15 vacche in lattazione sfalcia 22 ha di prati, compresi quelli di “mezza montagna” (i nostri “maggenghi”). Riceve forti contributi ma sono legati al fatto che viene riconosciuto un forte differenziale tra lo sfalcio meccanizzato in piano e quello con motofalciatrice o a mano su terreni via via più ripidi.

Da noi anche in montagna si considera “virtuosa” l’azienda zootecnica che sta sotto le 2,5 Uba/ha, in Svizzera, invece, si tiene conto dell’ambiente, della reale produttività foraggera.

Nella limitrofa Valtellina buona parte delle aziende importano la maggior parte del fieno. Con i prezzi dei trasporti in salita sarà ancora conveniente importare dalla Francia e dalla Spagna? C’è da dubitarne. Già ora per contenere i costi si acquista nella pianura padana fieno mediocre. Poi si fanno “prodotti tipici”. Ma la qualità del latte (e del formaggio) bio di Poschiavo, fatto quasi esclusivamente con fieno locale, si sente! In definitiva i pagamenti diretti garantiscono la cura della montagna e valorizzano l’alimentazione tradizionale del bestiame a tutto vantaggio della qualità del latte e del formaggio.

Se confrontiamo tutto questo con la Valtellina, le altre realtà lombarde e, via via, italiane non ci si può sottrarre ad alcune considerazioni:

1) da noi non si è sostenuto direttamente il prezzo del latte, ma molti soldi sono andati a ripianare i debiti delle cooperative e per i sussidi al trasporto del latte che hanno concentrato la trasformazione in poche grandi “centrali” portando latte di montagna a 100 km di distanza in pianura;

2) una componente troppo elevata del sostegno all’azienda agricola è stata condizionata alla “meccanizzazione innovativa” alle “strutture a norma” ecc., con il risultato che il produttore è stato costretto a ingrandirsi oltre misura a sovrameccanizzarsi, a caricarsi di costi fissi e facendo guadagnare l’industria;

3) mentre in Svizzera chi sfalcia un prato in montagna a forte pendenza riceve un compenso adeguato per il servizio ambientale reso,da noi chi lo fa è solo un fesso, un “troglodita” perchè il peso di una politica che rimane sostanzialmente clientelare e  premia le grosse aziende imprenditoriali politicamente accreditate che, ovviamente, bloccano la differenziazione dei contributi in base agli svantaggi reali.

Se tutto il volume di sostegno finanziario che va alle strutture e alle agenzie che si interpongono tra l’azienda agricola e gli erogatori pubblici venisse dirottato” in pagamenti diretti avremmo nelle aree montane e collinari della penisola tante aziende piccole ma vitali, in grado di sfruttare prati e pascoli, di produrre un buon latte e trasformarlo in un buon formaggio nella propria azienda o in un caseificio artigianale locale. Ovviamente ci guadagnerebbe l’ambiente oltre che il gusto del prodotto e la salute dei consumatori. Si tratta di un grosso tema politico e si capisce bene perché tanti preferiscono far credere che si tratti di “questioni tecniche”.