Di
chi è questo formaggio?
Pubblicato in Caseus.
Arte e cultura del formaggio, anno XIII (2008), n. 1,
pp.20-21 (Gennaio-Febbraio
2008)
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Riassunto.
A
differenza del vino "vestito" di una bella
bottiglia con tanto di etichetta, controetichetta e
sigilli vari, il formaggio arriva troppo spesso "nudo
alla meta". Dal momento che il formaggio è vittima
di processi di concentrazione industriale e standardizzazione
molto pesanti è una situazione che fa comodo a molti
che spacciano per artigianale ciò che non lo è, per
formaggio di pascolo quello che non lo è. Avanziamo
qualche proposta per risalire la china.
di Michele
Corti
Molto si è detto e molto resta da dire sull'evoluzione
parallela dei mercati del vino e del formaggio. Che
ci siano differenti strutture di mercato legate sia
alle condizioni di produzione che alla evoluzione degli
stili di consumo è ovvio. Il mercato del formaggio è
appendice del mercato del latte e il latte è una commodity
globale, purtroppo. Ben diverso è il rapporto uva -vino.
La forbice tra le produzioni di massa e quelle di fascia
media (non è neppure il caso di far riferimento alle
eccellenza!) è, come sappiamo, nel caso del vino molto
più ampia di quella tra il formaggio industriale e il
formaggio di eccellenza, prodotto da appassionati artigiani
del latte. Lo è in modo così netto che c'è da chiedersi
se non vi siano altre ragioni oltre alle fredde "strutture
dei
mercati".
Il vino: un esempio da imitare
Uno degli elementi che contribuiscono alla gerarchia
dei prezzi del mercato del vino di qualità è senz'altro
l'immediata identificabilità del produttore. La bottiglia,
con le sue brave etichetta e contro-etichetta, nel suo
percorso attraverso distributori, enoteche, vinerie,
osterie e supermercati, arriva sino alla tavola del
consumatore finale. La bottiglia etichettata rappresenta
un vettore difficilmente manipolabile delle informazioni
sull'origine del prodotto. Tali informazioni possono
riguardare, al di là delle indicazioni di legge, il
numero di bottiglie prodotte, la superficie del vigneto,
la sua esposizione, natura del terreno, ecc.. Nei vari
passaggi commerciali nessuno può nascondere l'origine,
casomai i commercianti aggiungono una loro etichetta
(nel formaggio invece ...).Al di là dei produttori di
vino universalmente celebrati (che, spesso, impongono
prezzi assurdi) i titolari di enoteche, gli osti, i
sommelier, i consumatori "evoluti" hanno poi
la possibilità di verificare i propri giudizi soggettivi
sulla qualità del prodotto (e il rapporto prezzo/qualità)
con quelli di una ormai vasta e sempre proliferante
letteratura specializzata (guide, atlanti, rubriche,
pubblicazioni periodiche) dalla quale possono ricavare
informazioni anche su piccoli e piccolissimi produttori.
Tutto questo sistema, al di là delle inevitabili distorsioni,
contribuisce a determinare una corrispondenza prezzo-qualità
che, guardando le cose dal punto di vista del formaggio,
garantisce comunque un'invidiabile differenziazione
di prezzo tra i prodotti di massa e quelli che si attestano
su varie scale di qualità.
Come stanno invece le cose nel mondo del formaggio e
cosa si può fare per migliorarle?
l formaggio venduto confezionato (all'origine o successivamente)
reca le indicazioni del produttore e le diciture di
legge. Ingredienti. latte (il latte è latte!), caglio,
sale, fermenti lattici (allora faranno bene!), conservati
(niente paura sono "a norma di legge"!). Sono
i produttori che desiderano evidenziare alcune caratteristiche
del loro prodotto che, autonomamente, precisano che
trattasi di latte "crudo", che non sono stati
aggiunti fermenti selezionati, ecc. Tutte queste informazioni
aggiuntive peraltro non sono regolamentate da precise
disposizioni di legge e la loro veridicità è affidata
al rispetto delle generali norme sulla lealtà nel commercio.
Per il resto denominazioni ed immagini di presentazione
del prodotto possono essere del tutto fuorvianti ed
ingannevoli (quante mucche al pascolo, ma solo sulle
confezioni!).
Come la mettiamo con i formaggi venduti sfusi?
La maggior parte del prodotto artigianale, però, non
è venduta confezionata, ma a peso, ai banchi delle rivendite
più o meno specializzate e dei reparti "gastronomia"
dei super/ipermercati. Qui, spesso, l'informazione è
limitata ad un cartellino con indicata la tipologia
del prodotto e il prezzo al kg, basta. A casa, il consumatore
si porta un involucro con applicato uno scontrino dove,
oltre al peso e al prezzo, si ritrovano spesso "codifiche"
che indicano la tipologie e, a volte, il produttore,
ma spesso risultano poco decifrabili. Quanto sia difficile
che il formaggio (ancor più quando porzionato e venduto
a peso) "supporti" fisicamente la veicolazione
delle informazioni che lo identificano ce lo dice la
straordinaria variabilità di dimensioni, consistenze,
forme geometriche. Pelure, serigrafie, marchi a fuoco,
fascette presentano limiti evidenti, non sono sempre
applicabili e, comunque, molto spesso la loro efficacia
si limita alla forma integra.
Non vanno meglio le cose al ristorante/trattoria/enoteca/osteria
anche se qui, ammettiamolo, qualche osa si sta muovendo
La carta dei formaggi al ristorante non è più una rarità
(anche se sterta a diffondersi), nella ristorazione
di alta fascia sono indicati nei men„ anche i produttori
dei formaggi utilizzati come ingrediente. Anche fuori
dall"'olimpo" degli "stellati" aumentano
i locali, specie queli legati ad una offerta gastronomica
territoriale, che dichiarano ne menù i produttori delle
materie prime (vedasi la benemerita associazione Slow
Cooking in provincia di Sondrio).
Ma si tratta di progressi molto parziali
La veicolazione delle informazioni sul formaggio che,
alla fine, ci arriva sul piatto (spesso già in porzioni
di determinato peso) è ancora spesso affidata alla disponibilità
del titolare mentre il personale di sala è in grado
di offrire indicazioni solo generiche (a volte contraddittorie
, limitandosi a sciorinare cantilene che infastidiscono
l'avventore "evoluto".Avviene anche in locali
con tanto di sommelier! Non sempre poi gli stessi titolari
o responsabili delle forniture sono in grado di fornire
informazioni sul formaggio o di motivare la scelta ("viene
dalla zona xx", "non so chi lo faccia/da dove
viene, me lo porta il distributore"). È disarmante!
Il punto è capire se ci può essere una evoluzione o
se sono i caratteri intrinseci del mercato del formaggio
e/o le esigenze intrinseche del suo affinamento e conservazione
a determinare queste difficoltà ("come si fa a
fare una carta, i formaggi vanno e vengono"). È
certo che un formaggio fresco perde rapidamente le sue
buone caratteristiche
se la forma è aperta, viene esposta in ambienti inidonei
dal punto di vista della temperatura, dell'umidità,
dell'esposizione a sorgenti di odori estranei. Le condizioni
di una cantina naturale (o di una cella) idonee per
un tipo di formaggio non sono idonee per un'altra. Si
potrebbe continuare... Non si chiede, però, ai ristoratori
di fare gli affinatori (qualcuno peraltro lo fa ed egregiamente)
ma di prendere atto che "lavorare" con i produttori
di formaggi eccellenti e garantirne l'offerta nel corso
dell'anno (tenendo conto della stagionalità di certe
forniture) non è impossibile, anzi. Perché possiamo
trovare i formaggini di capra dello stesso piccolo produttore
in osterie ed enoteche qualificate di mezza Italia?
Va bene che in questo caso gioca favorevolmente il riconosciuto
carattere di nicchia della migliore produzione fermier
a latte crudo, la piccola pezzatura dei caprini stagionati
da coagulazioni lattiche e una componente di "tendenza",
ma ciò dimostra che è tecnicamente possibile anche la
fornitura di altri formaggi di piccoli produttori. Una
volta che un meccanismo di questo tipo è avviato se
non altro che per motivi di concorrenzialità, è interesse
del ristoratore stesso assicurare visibilità al produttore
portando all'attenzione del cliente il suo nome insieme
alle informazioni sulle caratteristiche del prodotto.
Sia da parte dei produttori che degli acquirenti (risporazione,
rivendite specializzate e distributori, di cui non si
vuole disconoscere il ruolo, anzi) è necessario investire
un po’ nelle sperimentazione di nuove formule Non si
tratta solo o principalmente di investimenti economici,
quanto di attenzione e impegno, pazienza (la passione
è un optional a cui son sempre ci si può appellare,
ma se c'è...). Credo che tocchi ai procuttori avanzare
delle proposte se non altro per dimostrare che c'è un
settore dinamico (anche quello più legato alle produzioni
tradizionali) che può rappresentare il partner di chi
- dall'altra parte - vuole proporre una politica di
qualità e differenziazione da circuiti di massa. Qui
cominciamo a parlare di una di queste "proposte":
l'etichetta, che abbiamo visto quale ruolo giochi nel
vino. Posto che è impossibile applicare al formaggio
un supporto di un tipo universale (vedi etichetta del
vino) che rechi le informazioni che lo riguardano, si
deve pensare di applicare indirettamente (sugli involucri
confezionati dai banconieri, su schede che accompagnano
i carrelli
o i piatti, sulle carte dei formaggi) un tipo di "etichetta
dei formaggi" (autoadesivo, cartellino rigido o
altro) con caratteristiche definite, in cui il consumatore
sappia rintracciare tipologia, produttore, tipo di latte
utilizzato, condizioni di conservazione e via via alimentazione
degli animali, tipo di pascolo, ecc. Tali etichette
devono essere fornite dal produttore e "allegate"
al prodotto in tutti i passaggi sino al consumatore
finale. Il tutto, ovviamente, su base volontaria operando
affinché questa prassi si imponga quale fenomeno di
costume gastronomico.
Nessuna aspettativa taumaturgica, però. Questo, come
altri strumenti concreti, non "creano" una
cultura del formaggio, ma possono aiutare a farla crescere
insieme a tante altre iniziative e ad altri strumenti
concreti, superando il peso dei molti interessi industriali
e commerciali che la "cultura del formaggio"
preferiscono non si affermi.
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