Fanno
meno di 10 litri di latte al giorno!
Pubblicato in Caseus.
Arte e cultura del formaggio, anno XII (2007), n. 6,
pp.22 (Novembre-Dicembre
2007)
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Riassunto.
Scherza coi fanti ma lascia stare I santi. Anche il Carlin
nazionale se va un po' oltre il suo ruolo si becca delle
bacchettate dal mondo della zootecnia industriale. Loro
devono pensare a 2 milioni di macchine da latte, mica
alle fantasie nostalgiche delle mucche felici al pascolo le
quali, che orrore, fanno "meno di 10 litri di latte".
Loro producono per tutti non per quegli snob privilegiati
che vogliono prodotti buoni e puliti. Figuratevi un
po' "buoni" ma in che mondo credere di vivere?
"puliti", ma cosa pretendete? Il popolo si deve
accontentare. Al consumatore spetta la quantità: 60 litri di latte alimentare pro capite + 160
altri litri di latte con latticini e derivati. Poi lo
ingozzano di uova e bistecche. Siete proprio dei benefattori.
Noi che chiediamo la qualità siamo degli egoisti inguaribili,
antipopolari, aristocratici. Per foruna c'è l'agroindustria
che pensa alla salute, al benessere e alla felicità
(no, quella era Prodi) delle masse popolari.
di Michele
Corti
In un articolo su la Repubblica del 3 agosto scorso Carlin
Petrini “osava” esternare contro il sistema allevatoriale
e l'industria casearia.
Ha messo in discussione un sistema che uccide il gusto
nel latte e nei formaggi, un “miglioramento genetico”
che spinge sempre più in su le produzioni per vacca
e persino il tabù dell" “alta qualità” (“esiste
una definizione commerciale di alta qualità, basata
sulla
conta delle cellule somatiche, dei grassi, delle proteine
e della carica batterica, ma è un trucco: la qualità
non si conta”).
Che eresie! Ma si sa, finché le denunce di certe cose
provengono dalle colonne di Caseus non fanno molto effetto;
quando si muove un personaggio conosciuto nel mondo
per il suo impegno politico sul tema del cibo, e lo
fa attraverso le colonne de la Repubblica, le cose cambiano.
Ed ecco che Assolatte e Associazione Italiana Allevatori
reagiscono. Un inviato del quotidiano fondato da Eugenio
Scalfari su sollecitazione della stessa AIA si reca
nell'azienda di Nino Andena, presidente dell'organizzazione
allevatoriale. Andena (come riferito da l'Allevatore
Magazine del 12 settembre) si affida al fair-play e
la butta sulla nostalgia. Ma si, Petrini ha voluto “picconare”
ma in fondo è un nostalgico: “Ecco io sono convinto
che una vacca di montagna, che pascola libera in malga,
faccia quel latte profumato che Petrini ed io ricordiamo
con nostalgia”. Il nostro, però, vuole dimostrare che
la realtà da accettare è un'altra e che chi non lo fa
è un sognatore: "Ma poi le vacche al pascolo sono
pochissime e fanno meno di 10 litri al giorno. È giusto
e bello che ci siano ancora. Il nostro impegno di allevatori
è però assicurare che sia buono e garantito tutto il
latte prodotto dai 2 milioni di vacche italiane, quello
che arriva sulle case di tutti".
Il punto è proprio questo: macchine da latte
La forte incidenza di “malattie professionali”, il super-lavoro
del fegato, lo stress da ambienti non sempre confortevoli
e da concentrazioni
di centinaia di capi, l'alimentazione con insilati di
mais non propriamente perfettamente conservati, con
sottoprodotti delle più disparate origini sono proprio
condizioni propizie all'ottenimento di un “buon latte”?
Ma è su quel “.. fanno meno di 10 litri di latte al
giorno” che vorremmo soffermarci un attimo. Detto così
sembra che produrre poco sia una sorta di ignominia,
qualcosa che condanna i sistemi estensivi a un ruolo
da “presepe”. Si da per scontato che, alla fin fine,
il latte sia tutto uguale (un liquido bianco che si
paga tot a tonellata). Provate a dire ai vignaioli che
il vino è un liquido rosso litri di Tavernello valgono
di più di 10 litri di Brunello di Montalcino o Barolo?
Chi vendemmia a mano, chi profonde attenzioni al vigneto
è considerato con rispetto e non solo perché una di
vino ottenuta così potrà essere venduta a decine (a
volte c di euro. II pastore invece è considerato un
retrogrado. Il prestigio deve andare agli allevatori
high-tech. Siamo sicuri che deve essere per forza così?
Se la struttura del mercato caseario si evolvesse secondo
linee che premiassero gi di pascolo “cru” (e non è detto
che non ci si arrivi) i 10 litri varrebbero ben più
dei 50. Non vogliamo renderci conto che l'high-tech
- sostenuto da regole e finanziamenti che premiano i
sistemi intensivi con mega stalle da 1000 vacche e penalizza
li estensivi - rischia di trasformarsi in un industriale
che produce latte comesottoprodotto ma che, in prospettiva,
guadagnerà di più dalla vendita (sussidiata) di energia
elettrica e di concimi (digestati)?
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