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Coltivazioni rurali - Cibo territoriale

La  conservazione del furmentun
di Teglio: una sfida difficile ma importante


testo e foto (se non indicato) di Michele Corti

Teglio è la capitale italiana del grano saraceno, un ruolo conquistato in forza della mai cessata coltivazione, rafforzato dal legame con un piatto famoso, citato tra le varie modalità utilizzate nel mondo per consumarne la farina.  A dare valore al ruolo di Teglio è anche dalla presenza di una varietà autoctona, selezionata nei secoli per le sue proprietà sensoriali. Però ci sono dei problemi. Scopriamo quali e come uscirne.

(28.06.17) Parlare di Teglio significa parlare di pizzoccheri, ma definire Teglio "capitale dei pizzoccheri" è molto riduttivo. Teglio è stata il principale centro politico e demografico della Valtellina per secoli ed è comunque la capitale gastronomica. Teglio è, piuttosto, la capitale italiana del grano saraceno. Un fatto importante, anche dal punto di vista economico e che ha avuto una consacrazione a livello internazionale con il convegno: "Il grano saraceno un alimento mondiale da riscoprire",  tenutosi tra Sondrio e Teglio  dal 26 al 27 settembre 2000. Un fatto importante perché il grano saraceno è una risorsa per il futuro. Da circa vent'anni, infatti,  è in atto una sorprendente rivalutazione del grano saraceno (Fagopyrum esculentum) che rappresenta la materia prima dei veri pizzoccheri (in quelli industriali ne entra solo per il 20-25%, in quanto fatti di semolati di grano duro).

Se Teglio è conosciuta per i pizzoccheri è perché non c'è luogo in Lombardia (ma anche in Italia e sulle Alpi) dove la coltivazione del grano saraceno fosse più radicata. I pizzoccheri erano preparati nelle famiglie con grande cura, a partire dalla qualità della farina che proveniva dalle coltivazioni famigliari (e che serviva principalmente per la polenta).  Con la marginalizzazione della coltura, verificatosi non solo in Italia e non solo in Europa a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, a Teglio i coltivatori locali non hanno mai ammainato la bandiera del grano saraceno. Erano coltivatori "residuali" ma, proprio in forza della loro estraneità ai circuiti e delle logiche dell'agricoltura moderna, hanno conservato una risorsa preziosa: l'unica varietà autoctona di grano saraceno coltivata in Italia.

In realtà anche Tirano (sempre nella media Valtellina) rivendica la presenza, nella contrada Baruffini, di un ecotipo di grano saraceno: si tratta del tipo definito curunin, noto anche a Teglio (dove è definito anche "francese").  Che la coltura del saraceno fosse diffusa anche in molte valli alpine e prealpine della Lombardia e di altre regioni non è mistero. Qualche anno fa abbiamo riferito che nella varesotta val Veddasca il saraceno era largamente coltivato e consumato (come gnocchi e come polenta vai all'articolo) . Senza andare lontano, nella già citata Tirano, esiste la Confraternita del chiscöl, una preparazione a base di grano saraceno (tipo quiche lorraine), un piatto vero e antico, non come gli sciatt,  almeno nel tipo che conosciamo oggi, che sono una geniale variazione del chiscöl proposta di un locale (il ristorante Cerere, di Ponte, anni Sessanta).


Teglio rivendica non tanto l'esclusiva della coltura gastronomica del grano saraceno quanto una persistenza culturale (e colturale) senza uguali che, in tempi recenti, si è tradotta anche nella presenza di una filiera di rilevante interesse economico (con due mulini specializzati che rappresentano il principale polo di produzione di derivati del grano saraceno in Italia). A nessuno sfugge che legare la filiera del grano saraceno di Teglio a una specifica varietà possa creare un valore aggiunto importante. Importante perché, come vedremo, la varietà autoctona (alla quale peraltro nessuno si sogna di ascrivere una mitica purezza e omogeneità) si è selezionata in base alle sue qualità sensoriali. Non è vero che "serviva solo a sfamare"; si è ricercato qualcosa con un gusto gradevole, che sfamasse ma anche piacesse.

Lodovico Balardini, imperial-regio medico provinciale, notava nella Statistica-medica della provincia Di Sondrio (Valtellina)(1) come Le conferme vengono da fonti (mediche) ottocentesche che, sottileando come i "Sondriesi" fossero "ghiotti" di pizzoccheri: 

Vi si fa grand'uso di farinacei e di certe paste grossolane che si cospergono con butirro e formaggio a guisa di tagliatelli, dette Pizzoccheri, delle quali vanno assai ghiotti i Sondriesi

Più in dettaglio, verso la fine dell'Ottocento, il medico condotto Bartolommeo Besta, tegliese, quindi bene informato, ci informa che i piatti a base di grano saraceno erano "i più graditi" ai devoti benestanti quando dovevano osservare il precetto del magro:

[...] i piatti forniti dalla farina di fagopiro riescono il cibo di magro preferito dal devoto benestante, e la pietanza di pranzo d'invito del contadino. Queste vivande grossolane consistono in tagliatelli, detti pizzoccheri, bolliti nell'acqua e poi conditi asciutti con buona dose di cacio e di burro; od in polenta [...] (2)

Nella Credaro Porta ha però osservato, che i pizzoccheri "a tagliatella" dovevano essere preparati solo da contadini benestanti, in grado di disporre di un tavolo su cui stendere la pasta(3). Quelli poveri dovevano limitarsi a realizzare dei gnocchetti "al cucchiaio" (che è poi il modo di realizzare i pizzoccheri, qui peraltro di farina di frumento tenero a Chiavenna e altrove e verosimilmente la modalità originale e più antica). 



Fagopirum tataricum, alias grano siberiano, anzibaria, bitter buckwheat

Oggi il grano saraceno è considerato un alimento dietetico, non uno staple food, ovvero qualcosa che si mangia tutti i giorni, ovvero una base energetica della razione alimentare. Ma polenta gialla (e scura) erano, eccome, uno staple food. La riscoperta recente delle antiche varietà di mais ci consente di apprezzare come esse avessero buone caratteristiche sensoriali (e di cottura).

La polenta era largamente consumata, senza nauseare, perché buona. Giancarla Maestroni, insegnante, consulente culturale, ma anche esponente di prima linea dell' associazione di coltivatori del grando saraceno di Teglio, racconta: "guai se mia mamma trovava una nota amara nella polenta, significava che il grano [saraceno] non era stato mondato bene dall'anzibaria". Viene chiamata anzibaria (1) il Fagopyrum tataricum, detto anche grano siberiano. In inglese è noto come bitter buckwheat (amaro) per differenziarlo dal comune buckwheat (Fagopirum esculentum, il nostro grano saraceno). Il gusto amaro rappresenta un deterrente nei confronti del consumo umano dei prodotti di grano siberiano, non solo a Teglio ma un po' in tutto il mondo.  In Europa occidentale il consumo è massimo in Lussemburgo (non particolarmente famoso per il gusto gastronomico). Altro grave difetto del grano siberiano è rappresentato dall'impossibilità di separare il tegumento. Se a Teglio, dove si è sempre usata la farina integrale, questo  poteva rappresentare un male minore, in oriente, dove si consumano molto gli acheni decorticati (ma adesso li consumiamo anche noi, in insalata, e si trovano in tutti i supermercati), ciò rappresenta un problema serio che limita le utilizzazioni della fagopiracea.

Per "liberare" il grano saraceno (il furmentun) dall'odiata infestante (l'anzibaria) i bambini erano assogettati a ripetute corvée di diserbo manuale e di monda, sempre manuale, della semente. Solo in periodi di carestia, e/o in annate freddissime, l'infestante era tollerata (ci di adattava alla bocca amara) perché più resistente al gelo, più vigorosa, dalla produttività più costante e sicura. Nel grano siberiano i fiori sono omostili, ovvero sono compresenti organi maschili e femminili, mentre il grano saraceno ha, invece, fiori eterostili, il che implica il ruolo (più aleatorio) degli insetti per l'impollinazione. Il siberiano si avvantaggia anche dalla potenzialità germinativa dei semi caduti a terra ancora immaturi (a differenza del saraceno).

L'anzibaria (grano siberiano) era stata introdotta in alta Valtellina dall'abate Ignazio Bardea (1736-1815). La finalità di quell'introduzione settecentesca  (quella del saraceno risale invece alla fine del Cinquecento) era rappresentata dal desiderio di disporre di una specie più resistente al freddo. Fatto sta che il grano siberiano si è poi diffuso anche a Teglio, probabilmente per coltivarlo a quote più alte o per non rischiare l'insuccesso in annate fredde. Dopo i periodi di carestia, in cui - come visto - veniva tollerato, il siberiano riprendeva spazio, ma poi era ancora combattuto con lo stesso accanimento di prima. Fino ad oggi. 



Fagopyrum esclulentum, grano saraceno, furmentun. Si distingue per i fiori bianchi e più vistosi rispetto (quelli del siberiano sono poco appariscenti perché non ha bisogno di attirare gli insetti pronubi in quanto autoimpollinante)

Cosa è successo perché qualcuno sperimentasse la coltivazione del grano siberiano a Teglio, dove è tutt'ora visto come il fumo negli occhi? Semplice: negli ultimissimi anni si sono moltiplicate le ricerche scientifiche che evidenziano le sue proprietà nutraceutiche (2), e lo candidano a materia prima privilegiata per la preparazione di alimenti funzionali, con specifiche proprietà preventive e terapeutiche. Tale entusiasmo, che appare fin troppo "modaiolo", lascia qualche sospetto su qualche finalità di business (c'è di mezzo la Cina che, in quanto a vocazione al commercio, non  scherza). In realtà, come vedremo, non mancano le contro-indicazioni.

Chi ha lanciato la sperimentazione del siberiano a Teglio è Patrizio Mazzucchelli di cui non si può certo mettere in discussione l'impegno a favore della biodiversità. Sabato scorso (24 giugno) ci siamo recati sui campi
coltivati da Patrizio,  per effettuare una prova di "estirpazione" del siberiano. Patrizio, a dimostrazione che esiste comunque una collaborazione tra i coltivatori (anche al di là delle divergenze), aveva predisposto delle "strisce" dove saraceno e siberiano (da semente non mondata) sono cresciuti insieme. Raetia biodiversità alpine (questo il nome dell'azienda di Patrizio e della compagna Greta Roganti) oltre alla segale e al grano saraceno e siberiano coltiva in ogni caso molte varietà interessantissime di piante orticole e anche i "cereali tradizionali" quali il miglio (foto sotto) e il panico.


Particolarmente interessante l'attività svolta da Raetia biodiversità alpine nell'ambito del recupero e diffusione di antiche varietà di patate  (nella foto sotto ad ogni cartellino giallo corrisponde una varietà di patate diversa).



Che le attività di Patrizio siano in linea con la valorizzazione delle risorse agricole tradizionali non c'è dubbio. Fatto sta, però, che la coltivazione di quella che a Teglio è reputata una maledetta infestante non ha aiutato a recuperare un clima di coesione tra i coltivatori. Esso era già compromesso da altri dilemmi (estendere o no la coltura anche con semente non autoctona, come identificare il tipo autoctono). Non dimentichiamo che tali dilemmi, capaci di trasformarsi in conflittualità, si innestano sul  "normale" sfondo di rivalità e invidie tra gruppi famigliari. In ogni caso tutto ciò ha po' minato la forza del movimento contadino locale.  Si aggiunga che una comunicazione un po' discutibile (di taglio un po' troppo "giornalistico") ha presentato Mazzucchelli come il "reinventore dell'agricoltura Valtellinese", l'innovatore  "aperto" in (involontaria) contrapposizione ai "retrogradi" e, allora, si capisce come la vicenda dell' anzibaria alias siberiano abbia contribuito non poco a peggiorare il clima. Il segnale lanciato sabato scorso, però, va in senso contrario: esso mira a lanciare questo messaggio: "vediamo come si possa insieme risolvere il problema dell'anzibaria ma anche quello dell'ibridazione del grano saraceno, il nustran, minacciato dalle varietà estere". 


La semente "autoctona" che presenta una forte eterogeieità (i semi scuri sono effetto dell'ibridazione con varietà estere)

In base a quanto detto prima (l'autoimpollinazione del siberiano, l'impollinazione entomofila per il saraceno) appare in effetti evidente che la minaccia dell'ibridazione tra varietà di grano saraceno è più insidiosa di quella dell'infestazione con il siberiano. Quest'ultima, prima che Mazzucchelli lo seminasse di proposito e preparasse (fatto letto quasi come una provocazione) polenta e pizzoccheri con la sua farina, aveva già assunto una dimensione preoccupante. Non essendo più  i tempi diei bambini che strappano  una ad una le pianticelle o tolgono i semini, l'infestazione era cresciuta in modo sensibile. Aggiungasi la voglia di ripartire con la cultura che ha indotto alcuni ad usare semente "sporca" senza guardare troppo per il sottile.
Se si concorda un piano per  "pulire" i campi e le sementi (e non si semina più il siberiano) il problema può essere però tenuto sotto controllo. L'infestazione con il siberiano, infatti, è controllabile e non vi è alcun rischio di ibridazione tra saraceno e siberiano (non è facile neppure con tecniche specifiche, anche se ci sono riusciti). Certo che se semino siberiano e uso la stessa trebbia per raccogliere il saraceno da semina sono certo che essa sarà alquanto contaminata con il siberiano. E non se ne esce.



La semente del siberiano. Più piccola è di forma irregolare, nettamente distinguibile (purtroppo non dalle attuali attrezzature di pulitura con sensori ottici utilizzate dai mulini, servirebbero nuovi costosi software)

Se, d'altra parte, in assenza di adeguate quantità di sementi di saraceno autoctono "pulite", alcuni coltivatori ricorrono alla semente fornita dai mulini (che è delle varietà internazionali) l' ibridazione tra varietà di saraceno procederà pericolosamente. Le api, cui è affidata l'impollinazione, hanno un raggio d'azione di diversi chilometri. Fortuna vuole che alcuni campi (località San Rocco) siano abbastanza isolati e che coloro che coltivano qui il saraceno mantenga anche le proprie arnie (oltre ad essere scrupolosi contadini "all'antica"). 

A questo punto, però, è bene riassumere le acquisizioni sulle proprietà nutrizionali e nutraceutiche
del saraceno e del siberiano.

Il saraceno: quasi una farmacia

Gli alimenti nutraceutici sono considerati tali quando il loro consumo agisce positivamente sulle funzioni fisiologiche dell’organismo, favorendone il benessere e contrastando i processi degenerativi. Si tratta di effetti legati alla presenza di composti biologicamente attivi con azione preventiva nei confronti delle patologie (quindi con proprietà antiossidanti, immunostimolanti, protettive, ecc.). Come dice il nome si tratta di qualcosa che è al tempo stesso cibo, ma anche farmaco. Il grano saraceno è molto ricco di componenti bioattivi e gli si attribuiscono preziose proprietà salutistiche (3). Tra le componenti bioattive vi sono i flavonoidi (polifenoli), composti fenolici, triterpenoidi, fagopiritoli, fitosteroli, proteine leganti la vitamina B1, ecc.. Alcuni di questi composti sono caratteristici del grano saraceno. Le proprietà farmacologiche del grano saraceno e del grano siberiano sono numerose e importanti: anti-tumorali, anti-ossidanti, anti-genotossiche, epatoprotettive, anti-infiammatorie, anti-iperglicemiche, anti-ipertensive, anti-ipercolesterolemiche, anti-allergiche, anti-costipative dell'intestino,  anti-fatica (e si potrebbe continuare). La medicina cinese da lungo tempo conosce le proprietà di queste piante utilizzandone varie parti: non solo i semi ma anche i fiori, le foglie, i germogli. Oggi queste preparazioni vengono proposte sul mercato modiale.

E il siberiano?

Il grano siberiano possiede un tenore nettamente più elevato di flavonoidi (rutina e quercitina) di cui sono molto ricchi i fiori ma che si trovano anche nel seme e quindi nella farina. Le proprietà antiossidanti di questi composti riguardano la protezione della vitamina C dall'ossidazione, la protezione dei capillari e la prevenzione dei trombi (ma sono citate anche proprietà anti-tumorali). Va precisato che la rutina si trova in abbondanza nella polpa bianca degli agrumi (che, però, scartiamo in gran parte). La quercitina è contenuta nelle cipolle, nelle mele e negli agrumi. Anche il vino rosso è una buona fonte alimentare di bioflavonoidi. L'attività anti-diabetica del grano siberiano è legata alla presenza del D-chiro-inositolo.

L'entusiasmo per il grano siberiano sta conoscendo un acme sostenuto anche dalla pubblicazione di numerosi studi scientifici. È bene però applicare una certa cautela. Stiamo infatti parlando si componenti bio-attive dai molti effetti collaterali. Chi si occupa anche superifialmente di principi tossici e di farmacologia sa che molti composti ad azione anti-tumorale (ma vala anche per altri effetti protettivi) sono in genere composti tossici. È la dose che fa il veleno come insegna il noto aforisma di Paracelso (4). La fagopirina, per esempio, rappresenta un principio tossico capace di provocare disturbi dermatologici ad uomini e animali. È una sostanza fitotossica che causa grave irritazione alla pelle quando esposta al sole. Nel siberiano è più abbondante che nel saraceno (5). Poco sappiamo poi degli allergeni del siberiano. Potrebbero essere presenti in modo simile al saraceno, ma va accertato.

La naturale avversione dell'uomo e degli animali al gusto amaro non è causale ma è un fattore coevolutivo con finalità protettive. Amari sono molti alcalodi con forte tossività acuta. L'amaro del siberiano è però legato, almeno in parte, ai già citati flavonoidi. Dalle proprietà benefiche.



Sì, ma non si può dimenticare che essi dispiegano anche un'azione inibitoria degli enzimi digestivi (utile per dimagrire, ma dal chiaro significato antinutrizionale) . Inoltre, approfondendo un po' l'aspetto del gusto amaro del siberiano, troviamo che esso è legato anche a un composto aromatico : il naftalene (6) . Un tempo le tarme si combattevano con palline di naftalene/naftalina (cancerogeno di classe 3, quindi non provato sull'uomo ma alquanto sospetto) che, per via della tossicità, è stato rimpiazzato ampiamente da altri prodotti. Nel siberiano in compenso manca un altro composto aromatico legato questa volta alle caratteristiche sensoriali favorevoli del saraceno:
l'aldeide salicilica (parente dell'acido acetilsalicilico, il principio attivo dell'aspirina) (7).
Così abbiamo iniziato a capire (gli studi sono in rapido progresso) qualche motivo per cui il saraceno è superiore dal punto di vista sensoriale al siberiano e perché l'entusiasmo per il siberiano deve essere bilanciato da un po' di prudenza..
Non è difficile arrivare a una conclusione provvisoria: se il saraceno di Teglio ha proprietà sensoriali superiori, specie nella trasformazione in piatti tradizionali, sarebbe una sciagura perdere la varietà. Teglio (e la Valtellina) hanno interesse a valorizzare le varietà autoctone o a produrre un grano siberiano che i cinesi possono produrre in massa? Se poi in alta Valtellina 8e in altre aree alpine) c'è qualche azienda che - nel quadro di produzioni biologiche e biodinamiche - sviluppa la produzione in condizioni di alta montagna di piante medicinali e nutraceutiche,  va benissimo che coltivi anche il siberiano. Un'opportunità in più. Ma a Teglio no.


Una coltivazione di grano siberiano, a 3000 m, in Cina, nel suo ambiente ecologico di origine (dal web)


In ogni caso non vorrei essere frainteso: non sto dicendo che il saraceno di Teglio va valorizzato solo in chiave gastronomica. Le sue proprietà nurizionali e nutraceutiche vanno esaltate all'insegna di una cucina legata al territorio che è buona per la salute e per la gola, per l'ecologia e per lo sviluppo socioeconomico locale. Oggi si chiama one-health approach che riconosce - alleluja - che è necessario un approccio olistico e multidiscilinare alla salute dell'uomo e dell'ambiente. Un approccio in cui il cibo, al tempo stesso prodotto e consumato, rappresenta una chiave di volta.  La penetrazione di questo concept nel mondo della scienza riduzionistica è una lieta novella. Il saraceno è molto interessante anche sotto il profilo nutrizionale. Tutto questo per dire che: 1) il saraceno è interessante dal punto di vista gastronomico, nutrizionale nutraceutico; 2)  è importante anche da un punto di vista agroecologico. Vediamo subito perchè:

Proprietà nutrizionali

Il saraceno ha un elevato contenuto proteico; non solo le sue proteine sono nobili in quanto presentano elevato tenore dell'aminoacido essenziale lisina e degli aminoacidi a catena ramificata (BCAA). Il valore biologico delle proteine del grano saraceno, in conseguenza del buon tenore di aminoacidi essenziali, è altissimo, tanto da superare le stesse proteine del latte. È inoltre ricco di minerali e vitamine del gruppo B. Ottima fonte di fibra dietetica. Il suo amido, che possiede sia le caratteristiche dei cereali che quelle della patata, è molto resistente alla digestione enzinatica. Viene utilizzato nell'intestino crasso con effetti benefici (protezione dai fattori che possono determinare l' insorgenza del carcinoma). Non contiene glutine.


Fonte Valore biologico proteine
Frumento 62
Orzo 76
Mais 64
Grano saraceno 93
Uovo 100
Carne bovina 80
Latte 91
Soia 74

Fonte % proteine farina
Grano saraceno 19
Frumento 10
Orzo 10
Mais 7
Avena 15
Segale 14
Riso 6
Miglio
11



Il mulino Menaglio di San Rocco (una frazione di Teglio), un monumento alla continuità dlela coltura del grano saraceno. Sta finzionando.

Aspetti agronomici

Solo Fagopyrum esculentum (grano saraceno) e Fagopyrum tataricum (grano siberiano) sono coltivati per il consumo umano. Il grano saraceno è stato considerato una coltura marginale. Ovvero è stato considerato buono per l'agricoltura contadina di sussistenza residuale e arretrata, da spazzare via. Non era appetibile per l'agroindustria. La mancanza (o la scarsità) di ricerca, sperimentazione, produzione di nuove varietà, ha provocato, come per altre colture compresa la ben più importante segale, una continua regressione perché aumentava la forbice (di produttività ma non solo) con le  colture su cui poggia il global food system: mais, soia, riso, frumento. Al sistema agroindustriale interessa sviluppare tecnologie sofisticate nell'ambito delle principali commodidies agricole. Interessa ricavare quanti più possibili prodotti secondari dalle stesse commodities a basso costo per ottenere dei derivati da ricombinare variamente negli alimenti "di sintesi"  apparentemente "nuovi", apparentemente "salutari", da far pagare a caro prezzo.  Vi è poi il mercato del no food e della chimica verde. In tutto questi processi la tecnologia e i sistemi regolativi (orientati a favorire l'industria rispetto alla piccola produzione) diventano preponderanti e operano per "far fuori" le imprese medie e piccole, che non riescono ad accedere alle costose tecnologie e sono penalizzate dai sistemi normativi.

L'impoverimento dei cibi, legato a una selezione varietale che da troppo tempo premia uniformità e produttività a scapito di altre caratteristiche dei prodotti agricoli, ha consentito all'industria alimentare di giocare da una parte sul basso prezzo delle materie prime agricole, dall'altra di fare profitti con gli integratori, gli aromi artificiali, gli additivi, i coloranti.
Una manipolazione del cibo profonda che non punta alla salute dell'uomo e dell'ecosistema ma solo al profitto. Quanto più il cibo è impoverito quanto più, chi se ne nutre, necessità non solo di integratori ma anche di farmaci di sintesi e di cure mediche (con il corredo di diagnosi ecc. che gonfia l'industria medica). Quanto più le persone si ammalano per via di un cibo squilibrato, impoverito, contaminato con gli agrochimici, quanto più l'industria chimico-farmaceutica e medicale incrementano i profitti.
Che interesse aveva il sistema agro-industriale-finanziario (e quello scientifico ad esso integrato) a migliorare la produzione del grano saraceno? Nessuno. Era contro i propri interessi. I consumatori avrebbero fatto meno ricorso a costosi alimenti funzionali, integratori vitaminici, minerali, amino-acidi, anti-ossidenti. Avrebbero consumato meno carne da allevamenti industriali.

Da venti-trent'anni a questa parte le cose sono (in parte) cambiate. C'è stato un fiorire di studi agronomici sulle caratteristiche varietali e le tecniche di produzione e, soprattutto, sulla composizione chimica. Esiste una rivista scientifica internazionale (Fagopyrum, domiciliata all'Università di Lubiana) e diversi laboratori di ricerca nel mondo si stanno occupando di grano saraceno. Dalla Cina, fortemente interessata alla coltivazione e alla trasformazione del saraceno, arrivano parecchi degli studi più recenti. La coltura del saraceno è stata rivalutata non solo nell'ambito della produzione di alimenti nutraceutici ma anche dell'agricoltura biologica (dove è usata anche per il sovescio perché se la biomassa prodotta è modesta essa è compensata dalla velocità del ciclo). Se è vero che le rese non sono elevate (15-20 q.li di granella) è anche vero che si tratta di una coltura da secondo raccolto (a Teglio segue la segale vernina), con un ciclo colturale rapido (100 giorni). In virtù della velocità di germinazione e di sviluppo iniziale la coltura non richiede normalmente interventi diserbanti.
Grazie all'azione delle radici il grano saraceno lascia il terreno in buone condizioni di sofficità. Fatto molto importante  non richiede apporto di concimi chimici (la fertilizzazione può anche risultare negativa inducendo l'allettamento). Il grano saraceno è importante per la nutrizone delle api dalle quali dipende molto per l'impollinazione. I fiori non sono autoimpollinati (a differenza del grano siberiano che, quindi, garantisce produzioni più stabili non dipendendo da agenti esterni per la fertilizzazione). Fatto non trascurabile non solo il saraceno fa bene alle api ma il miele prodotto è ricco di flavonoidi e componenti antiossidanti. Quindi fa bene anche a chi lo consuma.

Una coltura del passato... e del futuro

Il successo del grano saraceno dipende dal fatto che unisce la possibilità di riscoperta di piatti tradizionali (quali polenta, pizzoccheri) a nuovi utilizzi nell'ambito della pasticceria  e dei prodotti da forno confezionati, nonché della cucina 'etnica' con piatti quali le crepes bretoni, gli spaghetti di grano saraceno (la soba giapponese), la zuppa fredda di "tagliatelle" alla coreana (Naengmyeon), la kasha (zuppa russa e polacca). Vi sono poi  i nuovi usi di una cucina vegetariana o semplicemente salutistica (es. insalata di grano saraceno decorticato, zuppe, polpette, sformati) .  Il mercato propone poi tisane e infusi di semi e foglie di grano saraceno già utilizzate tradizionalmente in Cina, Corea e Giappone. La birra di grano saraceno (oviamente proposta per la celiachia) si produce anche a Chiavenna in provincia di Sondrio (dove c'è una tradizione brassicola che risale ai primi dell'Ottocento, ma dove non esisteva la coltura del grano saraceno). In ultimo sono arrivate le barrette e le gallette di grano saraceno. Un'esplosione di grano saraceno che si traduce nel gran lavoro dei mulini di teglio (Tudori e Filippini) che in questi anni hanno continuato ad ingrandirsi (la lavorazione del grano saraceno è molto  specializzata e le competenze non si inventano). Inutile ripetere che con questo boom Teglio può cogliere grossi vantaggi dal suo ruolo riconosciuto di "capitale italiana" del grano saraceno
.

I problemi della filiera del grano saraceno autoctono di Teglio

Dop queste divagazioni sui problemi mondiali torniamo un attimo al microcosmo di Teglio. A riprova di quando siamo venuti dicendo eco come si presentava la striscia sulla quale abbiamo operato l'estirpazione manuale del saraceno. Le infiorescenze verdine, bruttine, sono quelle del siberiano, i bei fiori bianchi, quelli del saraceno. Cambia anche la morfologia, la nervatura, il colore della pagina fogliare e altri dettagli che nella foto non si possono cogliere.



La pianta estirpata di siberiano si presenta come sotto. Non è stato facile ma una fila è stata "liberata". Ma è stata una vittoria di Pirro.



Alla fine dell'operazione restava infatti uno sparuto allineamento di piante di saraceno (che il vento dei temporali degli ultimi giorni avrà certamente allettato). La foto sotto, con lo sfondo delle patate, non è molto chiara ma fornisce un'idea del ... poco rimasto. Abbiamo così capito perché i bimbi  (e gli anziani) ripetevano diversi "passaggi" di estirpazione. Le piante sviluppate se estirpate provocano lo scalzamento anche delle piante vicine di saraceno. Non abbiamo quindi neppure tentato di estirpare la seconda file (seminata prima) perché le piante erano già troppo sviluppate. Va detto che non è neppure facile operare sulle piante troppo piccole perché si distinguono più a fatica. Con tutto ciò la tecnica del diserbo manuale su piccole estensioni, dove si vuole produrre semente, può essere applicata. Va infine chiarito che il saraceno si semina a luglio e a Teglio è impossibile vedere normalmente il saraceno fiorito come in queste foto. Noi abbiamo voluto realizzare una prova. Sul versante orobico, però, dove il sole batte poco e lo sviluppo è lento, le cose andavano (e vanno diversamente) ed è giusto che a giugno le piante siano già sviluppate e inizino la fioritura. A proposito di versante orobico va segnalato che lì opera il gruppo Orto tellinum. Costituito da giovani neocoltivatori per convinzione. Tra loro vi è Jonni Fendoni che ha partecipato alla piccola dimostrazione di estirpazione. In realtà essa si è tradotta in una discussione informale, ma interessante e aperta, tra coltivatori (cosa importante perché, come già accennato, si sono purtroppo incrostate delle divisioni).



Dopo il lavoro (e le discussioni) sul campo ci siamo spostati al Mulino Menaglio, quartier generale dell' "associazione per la coltura del grano saraceno di teglio e dei cereali alpini tradizionali" (forse meglio accorciare un nome che, pronunciato, lascia senza fiato) . Nel piccolo edificio a destra del mulino (a destra anche nella foto sotto) l'associazione organizza dei laboratori didattici. C'è anche un forno antico. Gazebo e tavoli erano stati allestiti per la prova di degustazione: sono state fatte assaggiare tre diverse polente preparate con tre diverse farine, quella prodotta dal mulino Tudori con saraceno di varietà internazionali (polacco-tedesche), quella prodotta con il solo siberiano e quella prodotta con il solo saraceno della varietà autoctona. Il gruppo selezionato (c'erano oltre al sottoscritto il prof. Garbellini presidente del Centro tellino di cultura, Della Marianna, tecnico della Fondazione Fojanini di Sondrio con la moglie, alcuni signori di teglio e Mario un coltivatore di quelli che non hanno mai smesso di seminare e raccogliere il saraceno). Giancarla Maestroni con l'aiuto di alcuni giovani coltivatori della giovane generazione (uno nipote del mitico Lino Saini, l'altro figlio della scomparsa presidente dell'associazione, Marisa Moschetti). Il gruppo selezionato non ha avuto difficoltà a riconoscere le tre farine tra loro. A onor del vero nessuno ha detto che quella di siberiano fosse "cattiva" (in realtà non era buona nessuna perché erano state preparate con poco sale per aiutare a concentrare i degustatori sulle caratteristiche sensoriali delle farine di partenza).  Di certo però qualla di siberiano è molto meno gradevole, mentre il massimo del profumo, aroma, gusto coincide con la preparazione a base di "autoctono".



Alla prova di assaggio (andrà ripetuta con un numero maggiore di partecipanti e facendo in modo che non possano influenzarsi reciprocamente) è seguito un "laboratorio" sul riconoscimento dei semi. A volte la differenza morfologica è netta, come nella foto sotto dove l'autoctono (grigio) si distingue immediatamente dal "polacco" (scuro).




Anche il "nostrano" presenta, però, delle differenze: vi sono i semi "striati" (grigi con fini striature più scure) e quelli più scuri che fanno sospettare l'ibridazione. Del resto le api volano e non si può impedirla (se si continuano a seminare i campi di Teglio con la semente "polacca").



Un po' scorcertante la presenza di semi piccoli e gialli. Cosa sono: "Lo chiamano russo", precisa Giancarla. Allora chiedo chi è che ha avuto la brillante idea di intricare una situazione già abbastanza problematica. Il peccatore non salta fuori, quanto al peccato chi lo ha commesso lo giustificherebbe con una disarmante: "volontà di sperimentazione". Le discussioni in merito sono sospese per l'arrivo della taragna. È scurissima come derivato del tipo di grano, del tipo di molitura e di setacciatura. Il sapore è intenso. Un piatto tradizionale nel senso vero e pieno del termine. È arricchita dalla feta il formaggio magro tradizionale di Teglio e questo le rende assolutamente "storico" e km 0. La feta non ha nulla a che fare con la "casera", invenzione "sintetica" dei caseifici industriali e frutto perverso della Dop che ha cancellato, in nome della "globalizzazione locale": scimüda, matüsc, latteria, feta e quant'altro. Al gusto la feta appare simile alla semüda artigianale dell'area alto Lario (non, ovviamente, quella della Latteria alto Lario, succursale della Latteria sociale Valtellina). Guarda caso ne ho parlato (anche se non sono riuscito ad assaggiarla nell'ultimo post sugli alpeggi della comasca Cavargna (vai all'articolo).

Dopo la taragna la discussione procede al chiuso (sotto i gazebo fa troppo caldo). Emergono alcune linee da seguire se si vuole conservare il furmentun, il grano saraceno della varietà autoctona di Teglio. Va definita una "zona di rispetto" che tenga conto del raggio di azione delle api entro la quale non va seminato altro saraceno (e nemmeno il siberiano). Si tratta di rendere attuabile una misura che è stata ripetutamente auspicata ed invocata anche in passato (come mi conferma telefonicamente Piero Roccatagliata, il "padre" del presidio  Slow Food - attualmente in stand-by - del grano saraceno di Teglio).  Come? Mario, il coltivatore "da sempre" di grano saraceno, memore di antiche pratiche agrarie del passato, propone di creare una sorta di "ammasso", dove sia possibile a tutti quelli che vogliono utilizzarla accede alla semente "giusta".  All'ammasso dovrebbero contribuire, a loro volta, tutti i produttori di semente "pulita" rimettendo in auge quelle forme un po' laboriose di selezione (e diserbo) che si attuavano. L'idea è di convolgere oltre ai contadini stessi e alle loro famiglie le scuole e dei volontari. Di operare in modo partecipato e cooperativo, di innescare fattori di coesione e inclusione capaci di neutralizzare i fattori di disgregazione.

Su una cosa sono tutti d'accordo: si deve fare in modo che anche chi semina ampie estensioni (c'è chi arriva a 5 ha come Andrea Fanci) possa avere del seme "giusto", altrimenti non se ne va a capo di nulla perché le api, che bottinano sui campi di "polacco" , opereranno (inconsapevoli e incolpevoli), l'ibridazione strisciante del
nustran. Se il seme deve essere ammassato in quantità adeguate va anche concordato con il comune la graduale abolizione del premio a favore di chi semina saraceno "generico". Quando vi sarà semente per seminare tutti i campi di Teglio il premio dovrà essere riservato a chi semina  l'autoctono. È una road-map chiara ma non facilissima. Una condizione per il suo successo è che tutti i contadini (neo, vetero, professionali, hobbysti, semihobbysti) siano d'accordo e si superi la situazione di scollamento e di tensioni mettendo intorno a un tavolo tutti i soci dell'associazione (attualmente presieduta da Riccardo Finotti) ma anche quelli che non ne fanno parte. 
In questo percorso i Territori del cibo (la rete delle nove comunità locali lombarde che hanno fatto di un prodotto agroalimentare una bandiera di rigenerazione comunitaria) ma  anche il Centro tellino di cultura possono dare una mano. C'è in giuoco un patrimonio prezioso (per Teglio ma anche per la Valtellina e la Lombardia). A nostro avviso. una volta che i coltivatori riescono a marciare uniti, sarà anche più facile coinvolgere gli altri attori locali della filiere (mulini, ristorazione) in un progetto comune.




Prima di ripartire Giancarla mi fa osservare e fotografare questa bella immagine di campi dorati di segale. Che presto saranno seminati con il saraceno.


Note


(1) L. Balardini, Statistica-medica della provincia Di Sondrio (Valtellina) , Milano Società degli editori degli annali universali di statistica ecc., 1834,  p.43


(2) B. Besta, Le classi agricole della provincia di Sondio , in Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola , Atti, Vol. VI, f. II.  Roma, Forzani, 1883. p. 233

(3) N. Credaro Porta, Cucina di valle e di montagna, in (O. Lurati, R. Meazza, A.Stella, a cura di) Sondrio e il suo territorio, Mondo popolare in Lombardia, 15, Silvana editoriale d'arte, Milano, 1995, pp. 521-570 - p. 523


(4) La voce locale anzibaria, deriva evidentemente da ziberia. Cfr. E. Branchi, L. Berti, Dizionario tellino, Grosio, Idevv, 2003, p 89: "anzibària  s.f. qualità di grano saraceno, più rustica e resistente, che cresce nei terreni molto aridi e anche ad altitudini elevate. Originaria della Siberia"

(5)  Ne citiamo solo alune:
Jing, R., Li, H.-Q., Hu, C.-L., Jiang, Y.-P., Qin, L.-P., & Zheng, C.-J. (2016). Phytochemical and Pharmacological Profiles of Three Fagopyrum Buckwheats.  International Journal of Molecular Sciences,  17(4), 589.
 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4849043/;
Zhu, F. (2016). Chemical composition and health effects of Tartary buckwheat. Food chemistry, 203, 231-245


(6)  Christa K., Soral-Śmietana (2008) M. Buckwheat Grains and Buckwheat Products – Nutritional and Prophylactic Value of their Components – a Review.  Czech J. Food Sci. 26 (3), 153–162 http://agriculturejournals.cz/publicFiles/01448.pdf;
Przybylski, R., E. Gruczyńska. (2009) A review of nutritional and nutraceutical components of buckwheat. Eur. J. Plant Sci. Biotechnol , 3 (1), 10-22.
http://www.globalsciencebooks.info/Online/GSBOnline/images/
0906/EJPSB_3(SI1)/EJPSB_3(SI1)10-22o.pd;
Ahmed, A., Khalid, N., Ahmad, A., Abbasi, N., Latif, M.,  Randhawa, M. (2014). Phytochemicals and biofunctional properties of buckwheat: A review. The Journal of Agricultural Science, 152(3), 349-369. doi:10.1017/S0021859613000166; 
Prakash, S., Yadav K. (2016) Buckwheat (Fagopyrum esculentum) as a Functional Food: A Nutraceutical Pseudocereal.  Int. J. Curr. Trend. Pharmacobiol. Med. Sci., 1(3): 1-15

(7) Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit [Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto] Responsio ad quasdam accusationes & calumnias suorum aemulorum et obtrectatorum. Defensio III. Descriptionis & designationis nouorum Receptorum

 (8) Eguchi, K., Anase, T., & Osuga, H. (2009). Development of a high-performance liquid
chromatography method to determine the fagopyrin content of Tartary
buckwheat (Fagopyrum tataricum Gaertn.) and common buckwheat (F.
esculentum Moench). Plant Production Science, 12, 475–480.

(9)  Janeš, D., Prosen, H., & Kreft, S. (2012). Identification and quantification of aroma compounds of tartary buckwheat (Fagopyrum tataricum Gaertn.) and some of its milling fractions. Journal of food science, 77(7).  C746–C751. doi:10.1111/j.1750-3841.2012.02778.x

(10) Ivi




 

 

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