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(26.05.12) Il lato buono della
Valtellina: Mulino Menaglio a Teglio (So)
L'Antico
Mulino Menaglio in frazione San Rocco a Teglio è la chiave di volta del
progetto di rilancio della coltura del grano saraceno e dei cerali
alpini. Un progetto che ha consentito di recuperare la varietà locale
della fagopiracea. Completato il recupero del mulino e del complesso di
edifici accessori (pila) - e in fase di ultimamento l'allestimento
museale - il mulino sarà inaugurato ufficilmente il 14 giugno.
(15.05.12) Teglio (So) Toh! Un
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È quasi
commuovente trovare un agriturismo dove tutto quello che si mangia e si
bene è prodotto in azienda. Se poi i pizzoccheri e gli sciatt sono
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azienda... L'agriturismo La Piana di Teglio (So) della famiglia
Fanchi incarna l'ideale agrituristico più autentico. Pretendere che
tutti i prodotti siano aziendali come qui è impossibile, ma perché
non distinguere tra queste realtà e i tanti finti agriturismi?
(21.01.12) La farsa del pizzocchero
valtellinese IGP
Il pizzocchero
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farina macinata in Brianza di origine cinese
(12.07.10)
'Festa della semina' (del grano saraceno) al Pian du Lares (VA)
anche
per sciogliere le tensioni e trovare una soluzione al problema delle
cavalle
Tempo
(atmosferico) permettendo si terrà domenica 18 luglio la 'Festa
della semina' (del
Grano saraceno) in Val Veddasca presso 'Azienda Pian du Lares' di
Armio. Qui, oltre alle capre Verzasche e alle mucche Rendene vi è la
famosa cavalla Luna (e
le sue compagne). Luna è ora in un grande recinto ed è al sicuro, ma le
sue compagne non sono ancora state ancora catturate e la tensione con
il comune resta alta. Presi dall'emotività i fan di Luna hanno
ingiustamente coperto di improperi il sindaco di Armio. Nel
frattempo
mobilitata l'ASL, la Forestale, i Carabinieri, l'ENPA ecc. Ora serve
solidarietà per una coraggiosa azienda di montagna, ma in un clima di
collaborazione. (tel. azienda per info 0332558178).
|
La conservazione del furmentun
di Teglio: una sfida difficile ma importante
testo e foto (se non
indicato) di Michele Corti
Teglio
è la capitale italiana del
grano saraceno, un ruolo conquistato in forza della mai cessata
coltivazione, rafforzato dal legame con un piatto famoso, citato tra le
varie modalità utilizzate nel mondo per
consumarne la farina. A dare valore al ruolo di Teglio è anche
dalla presenza di una varietà autoctona,
selezionata nei secoli per le sue proprietà sensoriali. Però ci sono
dei problemi. Scopriamo quali e come uscirne.
(28.06.17)
Parlare di Teglio significa
parlare di pizzoccheri, ma definire Teglio "capitale dei pizzoccheri" è
molto riduttivo. Teglio è stata il principale
centro politico e demografico della Valtellina per secoli ed è comunque
la capitale gastronomica. Teglio è, piuttosto, la capitale italiana del
grano saraceno. Un fatto importante,
anche dal punto di vista economico e che ha avuto una consacrazione a
livello internazionale con il convegno: "Il
grano saraceno un alimento mondiale
da riscoprire", tenutosi tra Sondrio e Teglio dal 26 al
27 settembre 2000. Un fatto importante perché il grano saraceno è una risorsa per il futuro. Da circa vent'anni,
infatti, è in atto una sorprendente rivalutazione del grano
saraceno (Fagopyrum
esculentum) che rappresenta la materia prima
dei veri pizzoccheri (in quelli industriali ne entra
solo per il 20-25%, in quanto fatti di semolati di grano duro).
Se Teglio è conosciuta per i pizzoccheri
è perché non c'è luogo in Lombardia (ma anche in Italia e sulle Alpi)
dove la coltivazione del grano saraceno fosse più radicata. I
pizzoccheri erano preparati nelle famiglie con grande cura, a partire
dalla qualità della farina che proveniva dalle coltivazioni
famigliari (e che serviva principalmente per la polenta). Con la marginalizzazione della coltura, verificatosi
non solo in Italia e non solo in Europa a partire dagli anni Cinquanta
del secolo scorso, a Teglio i coltivatori locali non hanno mai
ammainato la bandiera del grano saraceno. Erano coltivatori "residuali"
ma, proprio in forza della loro estraneità ai circuiti e delle logiche dell'agricoltura
moderna, hanno conservato una risorsa preziosa: l'unica varietà
autoctona di grano saraceno coltivata in Italia.
In realtà anche Tirano (sempre nella
media Valtellina) rivendica la presenza, nella contrada Baruffini, di
un ecotipo di grano saraceno: si tratta del tipo definito curunin, noto anche a Teglio (dove è definito
anche "francese"). Che la coltura del saraceno
fosse diffusa anche in molte valli alpine e prealpine della Lombardia e di
altre regioni non è mistero. Qualche anno fa abbiamo riferito che nella
varesotta val
Veddasca il saraceno era largamente coltivato e consumato (come gnocchi
e come polenta vai all'articolo)
.
Senza andare lontano, nella già citata Tirano, esiste la Confraternita
del chiscöl, una preparazione
a base di grano saraceno (tipo quiche lorraine), un piatto vero e
antico, non come gli sciatt, almeno nel tipo che conosciamo oggi, che sono una geniale variazione del chiscöl proposta di un locale (il ristorante Cerere, di Ponte,
anni Sessanta).
Teglio rivendica non tanto l'esclusiva
della coltura gastronomica del grano saraceno quanto una persistenza
culturale (e colturale) senza uguali che, in tempi recenti, si è
tradotta anche nella presenza di una filiera di rilevante interesse
economico (con due mulini specializzati che rappresentano il principale
polo di produzione di derivati del grano saraceno in Italia). A nessuno
sfugge che legare la filiera del grano saraceno di Teglio a una
specifica varietà possa creare un valore aggiunto importante.
Importante perché, come vedremo, la varietà autoctona (alla quale
peraltro nessuno si sogna di ascrivere una mitica purezza e omogeneità)
si è selezionata in base alle sue qualità sensoriali. Non è vero che
"serviva solo a sfamare"; si è ricercato qualcosa con un gusto
gradevole, che sfamasse ma anche piacesse.
Lodovico Balardini, imperial-regio medico provinciale, notava nella Statistica-medica della provincia Di Sondrio (Valtellina)(1) come Le conferme vengono da fonti
(mediche) ottocentesche che, sottileando come i "Sondriesi" fossero
"ghiotti" di pizzoccheri:
Vi
si fa grand'uso di farinacei e di certe paste grossolane che si
cospergono con butirro e formaggio a guisa di tagliatelli, dette Pizzoccheri, delle quali vanno assai ghiotti i Sondriesi
Più in dettaglio, verso la fine dell'Ottocento, il medico condotto Bartolommeo Besta, tegliese, quindi bene informato, ci
informa che i piatti a base di grano saraceno erano "i più graditi" ai
devoti benestanti quando dovevano osservare il precetto del magro:
[...] i piatti forniti dalla farina di fagopiro
riescono il cibo di magro preferito dal devoto benestante, e la
pietanza di pranzo d'invito del contadino. Queste vivande grossolane
consistono in tagliatelli, detti pizzoccheri, bolliti nell'acqua e poi conditi asciutti con buona dose di cacio e di burro; od in polenta [...] (2)
Nella Credaro Porta ha però osservato, che i pizzoccheri "a
tagliatella" dovevano essere preparati solo da contadini benestanti, in
grado di disporre di un tavolo su cui stendere la pasta(3). Quelli poveri
dovevano limitarsi a realizzare dei gnocchetti "al cucchiaio" (che è poi
il modo di realizzare i pizzoccheri, qui peraltro di farina di frumento
tenero a Chiavenna e altrove e verosimilmente la modalità originale e
più antica).
Fagopirum tataricum, alias grano
siberiano, anzibaria, bitter
buckwheat
Oggi il grano saraceno è
considerato un alimento dietetico, non uno staple food, ovvero qualcosa che si
mangia tutti i giorni, ovvero una base energetica della razione
alimentare. Ma polenta gialla (e scura) erano, eccome, uno staple food. La
riscoperta recente delle antiche varietà di mais ci consente di apprezzare come
esse avessero buone caratteristiche sensoriali (e di cottura).
La polenta era largamente consumata,
senza nauseare, perché buona. Giancarla Maestroni, insegnante,
consulente culturale, ma anche esponente di prima linea dell'
associazione di coltivatori del grando saraceno di Teglio, racconta:
"guai se mia mamma trovava una nota amara nella polenta, significava
che il grano [saraceno] non era stato mondato bene
dall'anzibaria". Viene chiamata anzibaria (1) il Fagopyrum tataricum, detto anche
grano siberiano. In inglese è noto come bitter buckwheat (amaro) per
differenziarlo dal comune buckwheat
(Fagopirum esculentum, il
nostro grano saraceno). Il gusto amaro rappresenta un deterrente nei confronti del
consumo umano dei prodotti di grano siberiano, non solo a Teglio ma un
po' in tutto il mondo. In Europa occidentale il consumo è massimo
in Lussemburgo (non particolarmente famoso per il gusto gastronomico). Altro grave difetto del grano
siberiano è rappresentato dall'impossibilità di separare il tegumento.
Se a Teglio, dove si è sempre usata la farina integrale, questo
poteva
rappresentare un male minore, in oriente, dove si consumano molto gli
acheni decorticati (ma adesso li consumiamo anche noi, in insalata, e
si
trovano in tutti i supermercati), ciò rappresenta un problema serio che limita le utilizzazioni della fagopiracea.
Per "liberare" il grano saraceno (il furmentun) dall'odiata infestante (l'anzibaria) i
bambini erano assogettati a ripetute corvée
di diserbo manuale e di monda, sempre manuale, della semente. Solo in
periodi di carestia, e/o in annate freddissime, l'infestante era tollerata
(ci di adattava alla bocca amara) perché più resistente al gelo, più
vigorosa, dalla produttività più costante e sicura. Nel grano siberiano
i fiori sono omostili, ovvero sono compresenti organi maschili e
femminili, mentre il grano saraceno ha, invece, fiori eterostili, il
che implica il ruolo (più aleatorio) degli insetti per
l'impollinazione. Il siberiano si avvantaggia anche dalla potenzialità
germinativa dei semi caduti a terra ancora immaturi (a differenza del
saraceno).
L'anzibaria (grano siberiano) era stata
introdotta in
alta Valtellina dall'abate Ignazio Bardea (1736-1815). La finalità di
quell'introduzione settecentesca (quella del saraceno risale
invece alla fine del Cinquecento) era rappresentata dal desiderio di
disporre di una specie più resistente al freddo. Fatto sta che il grano
siberiano si è poi diffuso anche a Teglio, probabilmente per coltivarlo
a quote più alte o per non rischiare l'insuccesso in annate fredde. Dopo i periodi di carestia, in cui - come
visto - veniva tollerato, il siberiano riprendeva spazio, ma poi era
ancora combattuto con lo stesso accanimento di prima. Fino ad
oggi.
Fagopyrum esclulentum, grano saraceno, furmentun. Si distingue per i fiori bianchi e più
vistosi rispetto (quelli del siberiano sono poco appariscenti perché
non ha bisogno di attirare gli insetti pronubi in quanto
autoimpollinante)
Cosa è successo
perché qualcuno sperimentasse la coltivazione del grano siberiano a
Teglio, dove è tutt'ora visto come il fumo negli occhi? Semplice: negli ultimissimi anni si sono
moltiplicate le ricerche scientifiche che evidenziano le sue proprietà
nutraceutiche (2), e lo candidano a materia prima
privilegiata per la preparazione di alimenti funzionali, con specifiche proprietà preventive e
terapeutiche. Tale entusiasmo, che appare fin troppo "modaiolo", lascia
qualche sospetto su qualche finalità di business (c'è di mezzo la Cina che, in
quanto a vocazione al commercio, non scherza). In realtà, come
vedremo, non mancano le contro-indicazioni.
Chi ha lanciato la
sperimentazione del siberiano a Teglio è Patrizio Mazzucchelli di cui
non si può certo mettere in discussione l'impegno a favore della
biodiversità. Sabato scorso (24 giugno) ci siamo recati sui campi coltivati da Patrizio, per effettuare una prova di "estirpazione" del
siberiano. Patrizio, a dimostrazione che esiste comunque una
collaborazione tra i coltivatori (anche al di là delle divergenze), aveva predisposto delle "strisce" dove
saraceno e siberiano (da semente non mondata) sono cresciuti insieme. Raetia biodiversità alpine
(questo il nome dell'azienda di Patrizio e della compagna Greta
Roganti) oltre alla segale e al grano saraceno e siberiano coltiva
in ogni caso molte varietà interessantissime di piante orticole e anche i "cereali
tradizionali" quali il miglio (foto sotto) e il panico.
Particolarmente interessante l'attività
svolta da Raetia biodiversità alpine nell'ambito del recupero e
diffusione di antiche varietà di patate (nella foto sotto ad ogni
cartellino giallo corrisponde una varietà di patate diversa).
Che le attività di
Patrizio siano in linea con la valorizzazione delle risorse agricole
tradizionali non c'è dubbio. Fatto sta, però, che la coltivazione di
quella che a Teglio è reputata una maledetta infestante non ha aiutato
a recuperare un clima di coesione tra i coltivatori. Esso era già
compromesso da altri dilemmi (estendere o no la coltura anche con
semente non autoctona, come identificare il tipo autoctono). Non
dimentichiamo che tali dilemmi, capaci di trasformarsi in
conflittualità, si innestano sul "normale" sfondo di rivalità e
invidie tra gruppi famigliari. In ogni caso tutto ciò ha po' minato la
forza del movimento contadino locale. Si aggiunga che una
comunicazione un po' discutibile (di taglio un po' troppo
"giornalistico") ha presentato Mazzucchelli come il "reinventore
dell'agricoltura Valtellinese", l'innovatore "aperto" in
(involontaria) contrapposizione ai "retrogradi" e, allora, si capisce
come la vicenda dell' anzibaria alias siberiano abbia contribuito non
poco a peggiorare il clima. Il segnale lanciato sabato scorso, però, va
in senso contrario: esso mira a lanciare questo messaggio: "vediamo
come si possa insieme risolvere il problema dell'anzibaria ma anche
quello dell'ibridazione del grano saraceno, il nustran, minacciato dalle varietà
estere".
La semente "autoctona"
che presenta una forte eterogeieità (i semi scuri sono effetto
dell'ibridazione con varietà estere)
In base a quanto detto
prima (l'autoimpollinazione del siberiano, l'impollinazione entomofila
per il saraceno) appare in effetti evidente che la minaccia
dell'ibridazione tra varietà di grano saraceno è più insidiosa di
quella dell'infestazione con il siberiano. Quest'ultima, prima che
Mazzucchelli lo seminasse di proposito e preparasse (fatto
letto quasi come una provocazione) polenta e pizzoccheri con la sua
farina, aveva già assunto una dimensione preoccupante. Non essendo
più i tempi diei bambini che strappano una ad una le
pianticelle o tolgono i semini, l'infestazione era cresciuta in modo
sensibile. Aggiungasi la voglia di ripartire con la cultura che ha
indotto alcuni ad usare semente "sporca" senza guardare troppo per il sottile.
Se si concorda un piano per "pulire" i campi e le sementi (e non
si semina più il siberiano) il problema può essere però
tenuto sotto controllo. L'infestazione con il siberiano, infatti, è
controllabile e non vi è alcun rischio di ibridazione tra saraceno e
siberiano (non è facile neppure con tecniche specifiche, anche se ci
sono riusciti). Certo che se semino siberiano e uso la stessa trebbia
per raccogliere il saraceno da semina sono certo che essa sarà alquanto
contaminata con il siberiano. E non se ne esce.
La semente del
siberiano. Più piccola è di forma irregolare, nettamente distinguibile
(purtroppo non dalle attuali attrezzature di pulitura con sensori
ottici utilizzate dai mulini, servirebbero nuovi costosi software)
Se, d'altra parte, in
assenza di adeguate quantità di sementi di saraceno autoctono "pulite",
alcuni coltivatori ricorrono alla semente fornita dai mulini (che è
delle varietà internazionali) l' ibridazione tra varietà di
saraceno procederà pericolosamente. Le api, cui è affidata l'impollinazione,
hanno un raggio d'azione di diversi chilometri. Fortuna vuole che
alcuni campi (località San Rocco) siano abbastanza isolati e che coloro che
coltivano qui il saraceno mantenga anche le proprie arnie (oltre ad
essere scrupolosi contadini "all'antica").
A questo punto, però, è bene riassumere le acquisizioni sulle proprietà
nutrizionali e nutraceutiche del saraceno e del siberiano.
Il saraceno: quasi una farmacia
Gli alimenti
nutraceutici sono considerati tali quando
il loro consumo agisce positivamente sulle funzioni fisiologiche
dell’organismo, favorendone il benessere e contrastando i processi
degenerativi. Si tratta di effetti legati alla presenza di composti
biologicamente
attivi con azione preventiva nei confronti delle patologie
(quindi con proprietà antiossidanti, immunostimolanti, protettive,
ecc.). Come
dice il nome si tratta di qualcosa che è al tempo stesso cibo, ma anche
farmaco. Il
grano saraceno è molto ricco di componenti bioattivi e gli si attribuiscono
preziose proprietà salutistiche (3). Tra le componenti bioattive vi
sono i flavonoidi
(polifenoli), composti fenolici, triterpenoidi, fagopiritoli,
fitosteroli, proteine leganti la vitamina B1, ecc.. Alcuni di questi
composti
sono caratteristici del grano saraceno. Le proprietà farmacologiche del
grano
saraceno e del grano siberiano sono numerose e importanti:
anti-tumorali, anti-ossidanti, anti-genotossiche, epatoprotettive,
anti-infiammatorie,
anti-iperglicemiche, anti-ipertensive, anti-ipercolesterolemiche,
anti-allergiche, anti-costipative dell'intestino, anti-fatica (e
si potrebbe continuare). La medicina
cinese da lungo tempo conosce le proprietà di queste piante
utilizzandone varie parti: non solo i semi ma anche i fiori, le foglie,
i germogli. Oggi queste preparazioni vengono proposte sul mercato
modiale.
E il siberiano?
Il grano siberiano
possiede un tenore nettamente più elevato di flavonoidi (rutina e
quercitina) di cui sono molto ricchi i fiori ma che si trovano anche
nel seme e quindi nella farina. Le proprietà antiossidanti di questi
composti riguardano la protezione della vitamina C dall'ossidazione, la
protezione dei capillari e la prevenzione dei trombi (ma sono citate
anche proprietà anti-tumorali). Va precisato che la rutina si trova in
abbondanza
nella polpa bianca degli agrumi (che, però, scartiamo in gran parte).
La quercitina è contenuta nelle
cipolle, nelle mele e negli agrumi.
Anche il vino rosso è una buona
fonte alimentare di bioflavonoidi. L'attività anti-diabetica del grano
siberiano è legata alla presenza del D-chiro-inositolo.
L'entusiasmo
per il grano siberiano sta conoscendo un acme sostenuto anche dalla
pubblicazione di numerosi studi scientifici. È bene però applicare una
certa cautela. Stiamo infatti parlando si componenti bio-attive dai
molti effetti collaterali. Chi si occupa anche superifialmente di
principi tossici e di farmacologia sa che molti composti ad azione
anti-tumorale (ma vala anche per altri effetti protettivi) sono in
genere composti tossici. È la dose che fa il veleno come insegna il noto aforisma di
Paracelso (4). La fagopirina, per esempio,
rappresenta un principio tossico capace di provocare disturbi
dermatologici ad uomini e animali. È una sostanza fitotossica che causa grave irritazione alla pelle quando esposta al sole. Nel
siberiano è più abbondante che nel saraceno (5). Poco sappiamo poi
degli allergeni del siberiano. Potrebbero essere presenti in modo simile
al saraceno, ma va accertato.
La naturale avversione
dell'uomo e degli animali al gusto amaro non è causale ma è un fattore coevolutivo con finalità protettive. Amari sono
molti alcalodi con forte tossività acuta. L'amaro del siberiano è però
legato, almeno in parte, ai già citati flavonoidi. Dalle proprietà
benefiche.
Sì, ma non si può
dimenticare che essi dispiegano anche un'azione
inibitoria degli enzimi digestivi (utile per dimagrire, ma dal chiaro
significato antinutrizionale) . Inoltre, approfondendo un po' l'aspetto del
gusto amaro del siberiano, troviamo che esso è legato anche a un composto
aromatico : il naftalene (6) . Un tempo le tarme si combattevano con
palline di naftalene/naftalina (cancerogeno di classe 3, quindi non provato sull'uomo ma alquanto sospetto) che, per via della
tossicità, è stato rimpiazzato ampiamente da altri prodotti. Nel siberiano in compenso manca un altro composto
aromatico legato questa volta alle caratteristiche sensoriali favorevoli del
saraceno:
l'aldeide
salicilica (parente dell'acido acetilsalicilico, il principio attivo
dell'aspirina) (7).
Così
abbiamo iniziato a
capire (gli studi sono in rapido progresso) qualche motivo per cui il
saraceno è superiore dal punto di vista sensoriale al siberiano e
perché l'entusiasmo per il siberiano deve essere bilanciato da un po'
di prudenza..
Non è difficile arrivare
a una conclusione provvisoria: se il saraceno di Teglio ha proprietà
sensoriali superiori, specie nella trasformazione in piatti
tradizionali, sarebbe una sciagura perdere la varietà. Teglio (e la
Valtellina) hanno interesse a valorizzare le varietà autoctone o a
produrre un grano siberiano che i cinesi possono produrre in massa? Se
poi in alta Valtellina 8e in altre aree alpine) c'è qualche azienda che - nel quadro di produzioni
biologiche e biodinamiche - sviluppa la produzione in condizioni di alta
montagna di piante medicinali e nutraceutiche, va benissimo che coltivi
anche il siberiano. Un'opportunità in più. Ma a Teglio no.
Una coltivazione di
grano siberiano, a 3000 m, in Cina, nel suo ambiente ecologico di origine (dal web)
In ogni caso
non vorrei essere frainteso: non sto dicendo che il saraceno di Teglio
va valorizzato solo in chiave gastronomica. Le sue proprietà
nurizionali e nutraceutiche vanno esaltate all'insegna di una cucina
legata al territorio che è buona per la salute e per la gola, per
l'ecologia e per lo sviluppo socioeconomico locale. Oggi si chiama
one-health approach che riconosce - alleluja - che è necessario un
approccio olistico e multidiscilinare alla salute dell'uomo e
dell'ambiente. Un approccio in cui il cibo, al tempo stesso prodotto e consumato, rappresenta una
chiave di volta. La penetrazione di questo concept nel mondo
della scienza riduzionistica è una lieta novella. Il saraceno è molto
interessante anche sotto il profilo
nutrizionale. Tutto questo per dire che: 1) il saraceno è
interessante dal punto di vista gastronomico, nutrizionale nutraceutico; 2) è
importante anche da un punto di vista agroecologico.
Vediamo subito perchè:
Proprietà nutrizionali
Il saraceno
ha un elevato
contenuto proteico; non solo le sue proteine sono nobili in quanto presentano elevato tenore dell'aminoacido essenziale
lisina e degli aminoacidi a catena ramificata (BCAA). Il valore biologico
delle proteine del grano saraceno, in conseguenza del buon tenore di
aminoacidi essenziali, è altissimo, tanto da superare le stesse
proteine del latte. È inoltre ricco di minerali e vitamine del gruppo B.
Ottima fonte di fibra dietetica. Il suo amido, che possiede sia le
caratteristiche dei cereali che quelle della patata, è molto resistente alla
digestione enzinatica. Viene utilizzato nell'intestino crasso con
effetti benefici (protezione dai fattori che possono determinare l' insorgenza del carcinoma). Non contiene
glutine.
Fonte |
Valore biologico proteine
|
Frumento |
62 |
Orzo |
76 |
Mais |
64 |
Grano saraceno |
93 |
Uovo |
100 |
Carne bovina |
80 |
Latte |
91 |
Soia |
74 |
Fonte |
% proteine farina
|
Grano saraceno |
19 |
Frumento |
10 |
Orzo |
10 |
Mais |
7 |
Avena |
15 |
Segale |
14 |
Riso |
6 |
Miglio
|
11
|
Il mulino
Menaglio di San Rocco (una frazione di Teglio), un monumento alla
continuità dlela coltura del grano saraceno. Sta finzionando.
Aspetti agronomici
Solo Fagopyrum esculentum (grano
saraceno) e Fagopyrum tataricum
(grano siberiano) sono coltivati per il consumo umano. Il grano
saraceno è stato considerato
una coltura marginale. Ovvero è stato considerato buono per
l'agricoltura contadina di sussistenza residuale e arretrata, da
spazzare via. Non era appetibile per l'agroindustria. La mancanza (o la
scarsità) di ricerca,
sperimentazione, produzione di nuove varietà, ha provocato, come per
altre colture compresa la ben più importante segale, una continua
regressione perché aumentava la forbice (di
produttività ma non solo) con le colture su cui poggia il global
food system: mais, soia, riso, frumento. Al sistema agroindustriale
interessa sviluppare tecnologie sofisticate nell'ambito delle
principali commodidies agricole. Interessa ricavare quanti più
possibili prodotti secondari dalle stesse commodities
a basso costo per
ottenere dei derivati da ricombinare variamente negli alimenti "di
sintesi" apparentemente "nuovi", apparentemente "salutari", da
far pagare a caro prezzo. Vi è poi il mercato del no food e della
chimica verde. In tutto questi processi la tecnologia e i sistemi
regolativi (orientati a favorire l'industria rispetto alla piccola
produzione) diventano preponderanti e operano per "far fuori" le
imprese medie e piccole, che
non riescono ad accedere alle costose tecnologie e sono penalizzate dai
sistemi normativi.
L'impoverimento dei cibi, legato a una selezione varietale che da
troppo tempo premia uniformità e produttività a scapito di altre
caratteristiche dei prodotti agricoli, ha consentito all'industria alimentare di giocare da
una parte sul basso prezzo delle materie prime agricole, dall'altra di
fare profitti con gli integratori, gli aromi artificiali, gli additivi,
i coloranti.
Una manipolazione del cibo profonda che non punta alla
salute dell'uomo e dell'ecosistema ma solo al profitto. Quanto più il
cibo è impoverito quanto più, chi se ne nutre, necessità non solo di
integratori ma anche di farmaci di sintesi e di cure mediche (con il
corredo di diagnosi ecc. che gonfia l'industria medica). Quanto più le
persone si
ammalano per via di un cibo squilibrato, impoverito, contaminato con
gli agrochimici, quanto più l'industria chimico-farmaceutica e medicale
incrementano i profitti.
Che interesse aveva il sistema agro-industriale-finanziario (e quello
scientifico ad esso integrato) a migliorare la produzione del grano
saraceno? Nessuno. Era contro i propri interessi. I consumatori
avrebbero fatto meno ricorso a costosi alimenti funzionali, integratori
vitaminici, minerali, amino-acidi, anti-ossidenti. Avrebbero consumato meno carne da allevamenti
industriali.
Da venti-trent'anni a questa parte le cose sono (in parte) cambiate.
C'è stato un fiorire di studi agronomici sulle caratteristiche
varietali e le tecniche di produzione e, soprattutto, sulla
composizione
chimica. Esiste una
rivista scientifica internazionale (Fagopyrum,
domiciliata all'Università di Lubiana) e diversi laboratori di ricerca
nel mondo si stanno occupando di grano saraceno. Dalla Cina, fortemente
interessata alla coltivazione e alla trasformazione del saraceno,
arrivano parecchi degli studi più recenti. La coltura del saraceno è stata rivalutata non solo
nell'ambito della produzione di alimenti nutraceutici ma anche
dell'agricoltura biologica (dove è usata anche per il sovescio perché
se la biomassa prodotta è modesta essa è compensata dalla velocità del
ciclo). Se è vero che le rese non sono elevate
(15-20 q.li di granella) è anche vero che si tratta di una coltura da
secondo raccolto (a Teglio segue la segale vernina), con un ciclo
colturale rapido (100 giorni). In virtù della velocità di germinazione
e di sviluppo
iniziale la coltura non richiede normalmente interventi diserbanti.
Grazie all'azione delle radici il grano saraceno lascia il terreno in
buone condizioni di sofficità. Fatto molto importante non
richiede
apporto di concimi chimici (la fertilizzazione può anche risultare
negativa inducendo l'allettamento). Il grano saraceno è importante per
la nutrizone delle api dalle quali dipende molto per l'impollinazione.
I fiori non sono autoimpollinati (a differenza del grano siberiano che,
quindi, garantisce produzioni più stabili non dipendendo da agenti
esterni per la fertilizzazione). Fatto non trascurabile non solo il
saraceno fa bene alle api ma il miele prodotto è ricco di flavonoidi
e componenti antiossidanti. Quindi fa bene anche a chi lo consuma.
Una coltura del passato...
e del futuro
Il successo del grano saraceno dipende dal fatto che unisce la possibilità di riscoperta di
piatti tradizionali (quali polenta, pizzoccheri) a nuovi utilizzi
nell'ambito della pasticceria e dei prodotti da forno
confezionati,
nonché della cucina 'etnica' con piatti quali le crepes bretoni,
gli spaghetti di grano saraceno (la soba giapponese), la zuppa fredda di
"tagliatelle" alla coreana (Naengmyeon),
la kasha (zuppa russa e polacca). Vi sono poi i nuovi usi di una
cucina vegetariana o semplicemente salutistica (es. insalata di grano
saraceno decorticato, zuppe, polpette, sformati) . Il mercato
propone
poi tisane e infusi di semi e foglie di grano saraceno già utilizzate
tradizionalmente in Cina, Corea e Giappone. La birra di grano saraceno
(oviamente proposta per la celiachia) si produce anche a Chiavenna in
provincia di Sondrio (dove c'è una
tradizione brassicola che risale ai primi dell'Ottocento, ma dove non
esisteva la coltura del grano saraceno). In ultimo sono arrivate le
barrette e le gallette di grano saraceno. Un'esplosione di grano
saraceno che si traduce nel gran lavoro dei mulini di teglio (Tudori e
Filippini) che in questi anni hanno continuato ad ingrandirsi (la
lavorazione del grano saraceno è molto specializzata e le
competenze
non si inventano).
Inutile ripetere che con questo boom Teglio può cogliere grossi vantaggi dal suo ruolo riconosciuto di "capitale
italiana" del grano saraceno.
I problemi della filiera del grano saraceno autoctono
di Teglio
Dop queste divagazioni
sui problemi mondiali torniamo un attimo al microcosmo
di Teglio. A riprova di quando siamo venuti dicendo eco come si
presentava la striscia sulla quale abbiamo operato l'estirpazione
manuale del saraceno. Le infiorescenze verdine, bruttine, sono quelle
del siberiano, i bei fiori bianchi, quelli del saraceno. Cambia anche
la morfologia, la nervatura, il colore della pagina fogliare e altri
dettagli che nella foto non si possono cogliere.
La pianta estirpata di
siberiano si presenta come sotto. Non è stato facile ma una fila è
stata "liberata". Ma è stata una vittoria di Pirro.
Alla fine
dell'operazione restava infatti uno sparuto allineamento di piante di saraceno
(che il vento dei temporali degli ultimi giorni avrà certamente allettato). La foto sotto, con lo sfondo
delle patate, non è molto chiara ma fornisce un'idea del ... poco rimasto. Abbiamo così capito perché i
bimbi (e gli anziani) ripetevano diversi "passaggi" di
estirpazione. Le piante sviluppate se estirpate provocano lo
scalzamento anche delle piante vicine di saraceno. Non abbiamo
quindi neppure tentato di estirpare la seconda file (seminata prima) perché le
piante erano già troppo sviluppate. Va detto che non è neppure facile
operare sulle piante troppo piccole perché si distinguono più a fatica.
Con tutto ciò la tecnica del diserbo manuale su piccole estensioni, dove
si vuole produrre semente, può essere applicata. Va infine chiarito che
il saraceno si semina a luglio e a Teglio è impossibile vedere
normalmente il saraceno fiorito come in queste foto. Noi abbiamo voluto
realizzare una prova. Sul versante orobico, però, dove il sole batte
poco e lo sviluppo è lento, le cose andavano (e vanno diversamente) ed è
giusto che a giugno le piante siano già sviluppate e inizino la
fioritura. A proposito di versante orobico va segnalato che lì opera il
gruppo Orto tellinum. Costituito da giovani neocoltivatori per convinzione. Tra loro vi è Jonni
Fendoni che ha partecipato alla piccola dimostrazione di estirpazione.
In realtà essa si è tradotta in una discussione informale, ma
interessante e aperta, tra coltivatori (cosa importante perché, come già
accennato, si sono purtroppo incrostate delle divisioni).
Dopo
il lavoro (e le
discussioni) sul campo ci siamo spostati al Mulino Menaglio, quartier
generale dell' "associazione per la coltura del grano saraceno di
teglio e dei cereali alpini tradizionali" (forse meglio accorciare un
nome che, pronunciato, lascia senza fiato) . Nel piccolo edificio a
destra del mulino (a destra anche nella foto sotto) l'associazione
organizza
dei laboratori didattici. C'è anche un forno antico. Gazebo e tavoli
erano stati allestiti per la prova di degustazione: sono state fatte
assaggiare tre diverse polente preparate con tre diverse farine, quella
prodotta dal mulino Tudori con saraceno di varietà internazionali
(polacco-tedesche), quella prodotta con il solo siberiano e quella
prodotta con il solo saraceno della varietà autoctona. Il gruppo
selezionato (c'erano oltre al sottoscritto il prof. Garbellini
presidente del Centro tellino di cultura, Della Marianna, tecnico della
Fondazione Fojanini di Sondrio con la moglie, alcuni signori di teglio
e Mario un coltivatore di quelli che non hanno mai smesso di seminare e
raccogliere il saraceno). Giancarla Maestroni con l'aiuto di alcuni
giovani coltivatori della giovane generazione (uno nipote del mitico
Lino Saini, l'altro figlio della scomparsa presidente
dell'associazione, Marisa Moschetti). Il gruppo selezionato non ha
avuto difficoltà a riconoscere le tre farine tra loro. A onor del vero
nessuno
ha detto che quella di siberiano fosse "cattiva" (in realtà non era
buona nessuna perché erano state preparate con poco sale per aiutare a
concentrare i degustatori sulle caratteristiche sensoriali delle farine
di partenza). Di certo però qualla di siberiano è molto meno
gradevole, mentre il massimo del profumo, aroma, gusto coincide con la preparazione a base di "autoctono".
Alla prova di assaggio (andrà ripetuta con un numero maggiore di
partecipanti e facendo in modo che non possano influenzarsi
reciprocamente) è seguito un "laboratorio" sul riconoscimento dei semi.
A volte la differenza morfologica è netta, come nella foto sotto dove
l'autoctono (grigio) si distingue immediatamente dal "polacco" (scuro).
Anche il
"nostrano" presenta, però, delle differenze: vi sono i semi "striati"
(grigi con fini striature più scure) e quelli più scuri che fanno sospettare l'ibridazione. Del resto
le api volano e non si può impedirla (se si continuano a seminare i
campi di Teglio con la semente "polacca").
Un po' scorcertante
la presenza di semi piccoli e gialli. Cosa sono: "Lo chiamano russo",
precisa Giancarla. Allora chiedo chi è che ha avuto la brillante idea
di intricare una situazione già abbastanza problematica. Il peccatore
non salta fuori, quanto al peccato chi lo ha commesso lo
giustificherebbe con una disarmante: "volontà di sperimentazione". Le
discussioni in merito sono sospese per l'arrivo della taragna. È
scurissima come derivato del tipo di grano, del tipo di molitura e di
setacciatura. Il sapore è intenso. Un piatto tradizionale nel senso vero e pieno del termine. È arricchita dalla feta il formaggio
magro tradizionale di Teglio e questo le rende assolutamente "storico" e km 0. La feta non ha nulla a che fare con la "casera",
invenzione "sintetica" dei caseifici industriali e frutto perverso
della Dop che ha cancellato, in nome della "globalizzazione locale": scimüda, matüsc, latteria, feta e quant'altro. Al gusto la feta appare simile alla semüda artigianale dell'area alto Lario (non, ovviamente, quella della Latteria
alto Lario, succursale della Latteria sociale Valtellina). Guarda caso
ne ho parlato (anche se non sono riuscito ad assaggiarla nell'ultimo
post sugli alpeggi della comasca Cavargna (vai
all'articolo).
Dopo la taragna
la discussione procede al chiuso (sotto i gazebo fa troppo caldo).
Emergono alcune linee da seguire se si vuole conservare il furmentun,
il grano saraceno della varietà autoctona di Teglio. Va definita una
"zona di rispetto" che tenga conto del raggio di azione delle api entro
la quale non va seminato altro saraceno (e nemmeno il siberiano). Si
tratta di rendere attuabile una misura che è stata ripetutamente
auspicata ed invocata anche in passato (come mi conferma
telefonicamente Piero Roccatagliata, il "padre" del presidio Slow
Food - attualmente in stand-by - del grano saraceno di Teglio).
Come?
Mario, il coltivatore "da sempre" di grano saraceno, memore di antiche
pratiche agrarie del passato, propone di creare una sorta di "ammasso",
dove sia possibile a tutti quelli che vogliono utilizzarla accede alla
semente "giusta". All'ammasso dovrebbero contribuire, a loro
volta, tutti i produttori di semente "pulita" rimettendo in auge quelle
forme un po' laboriose di selezione (e diserbo) che si attuavano.
L'idea è di convolgere oltre ai contadini stessi e alle loro famiglie
le scuole e dei volontari. Di operare in modo partecipato e
cooperativo, di innescare fattori di coesione e inclusione capaci di
neutralizzare i fattori di disgregazione.
Su una cosa sono tutti d'accordo: si deve fare in modo che anche chi
semina ampie estensioni (c'è chi arriva a 5 ha come Andrea Fanci) possa avere del seme
"giusto", altrimenti non se ne va a capo di nulla perché le api, che
bottinano sui campi di "polacco" , opereranno (inconsapevoli e
incolpevoli), l'ibridazione strisciante del nustran.
Se il seme deve essere ammassato in
quantità adeguate va anche concordato con il comune la graduale
abolizione del premio a favore di chi semina saraceno "generico".
Quando vi sarà semente per seminare tutti i campi di Teglio il premio
dovrà essere riservato a chi semina l'autoctono. È una
road-map chiara ma non facilissima. Una condizione per il suo successo
è che tutti i contadini (neo, vetero, professionali, hobbysti,
semihobbysti) siano d'accordo e si superi la situazione di scollamento
e di tensioni mettendo intorno a un tavolo tutti i soci
dell'associazione (attualmente presieduta da Riccardo Finotti) ma anche
quelli che non ne fanno parte.
In questo percorso i
Territori del cibo (la rete delle nove comunità locali lombarde che
hanno fatto di un prodotto agroalimentare una bandiera di rigenerazione
comunitaria) ma anche il Centro tellino di cultura possono dare
una mano. C'è in giuoco un patrimonio prezioso (per Teglio ma anche per
la Valtellina e la Lombardia).
A nostro avviso. una volta che i coltivatori riescono a marciare uniti,
sarà anche più facile coinvolgere gli altri attori locali della filiere
(mulini, ristorazione) in un progetto comune.
Prima di ripartire
Giancarla mi fa osservare e fotografare questa bella immagine di campi
dorati di segale. Che presto saranno seminati con il saraceno.
Note
(1) L. Balardini, Statistica-medica della provincia Di Sondrio (Valtellina) , Milano Società degli editori degli annali universali di statistica ecc., 1834, p.43
(2) B. Besta, Le classi agricole della provincia di Sondio , in Giunta per l’inchiesta
agraria e sulle condizioni della classe agricola
, Atti,
Vol. VI, f. II. Roma, Forzani,
1883. p. 233
(3) N. Credaro Porta, Cucina di valle e di montagna, in (O. Lurati, R. Meazza, A.Stella, a cura di) Sondrio e il suo territorio, Mondo popolare in Lombardia, 15, Silvana editoriale d'arte, Milano, 1995, pp. 521-570 - p. 523
(4) La voce locale anzibaria, deriva evidentemente da ziberia. Cfr. E. Branchi, L. Berti, Dizionario tellino, Grosio, Idevv, 2003, p 89: "anzibària
s.f. qualità di grano saraceno, più rustica e resistente, che cresce
nei terreni molto aridi e anche ad altitudini elevate. Originaria della
Siberia"
(5) Ne citiamo solo alune:
Jing, R., Li,
H.-Q., Hu, C.-L.,
Jiang, Y.-P., Qin, L.-P., & Zheng, C.-J. (2016). Phytochemical and
Pharmacological Profiles of Three Fagopyrum Buckwheats. International Journal of Molecular Sciences,
17(4), 589.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4849043/;
Zhu, F. (2016). Chemical composition and health effects of Tartary
buckwheat. Food chemistry, 203,
231-245
(6) Christa K.,
Soral-Śmietana (2008) M. Buckwheat Grains and Buckwheat Products –
Nutritional
and Prophylactic Value of their Components – a Review. Czech J. Food Sci. 26 (3), 153–162 http://agriculturejournals.cz/publicFiles/01448.pdf;
Przybylski, R., E. Gruczyńska. (2009) A review of nutritional and
nutraceutical components of buckwheat. Eur. J. Plant Sci. Biotechnol , 3
(1), 10-22.
http://www.globalsciencebooks.info/Online/GSBOnline/images/
0906/EJPSB_3(SI1)/EJPSB_3(SI1)10-22o.pd;
Ahmed, A., Khalid, N., Ahmad, A.,
Abbasi, N., Latif, M., Randhawa, M. (2014). Phytochemicals and
biofunctional properties of buckwheat: A review. The Journal of Agricultural Science, 152(3),
349-369. doi:10.1017/S0021859613000166;
Prakash, S.,
Yadav K. (2016) Buckwheat (Fagopyrum esculentum) as a Functional Food:
A Nutraceutical
Pseudocereal. Int. J. Curr.
Trend. Pharmacobiol. Med. Sci., 1(3): 1-15
(7) Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis
sola facit, ut venenum non fit [Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto]
Responsio ad quasdam accusationes & calumnias suorum aemulorum et
obtrectatorum. Defensio III. Descriptionis & designationis nouorum
Receptorum
(8)
Eguchi, K., Anase, T., & Osuga, H.
(2009). Development of a high-performance liquid
chromatography method to
determine the fagopyrin content of Tartary
buckwheat (Fagopyrum tataricum Gaertn.) and
common buckwheat (F.
esculentum Moench). Plant Production Science, 12,
475–480.
(9)
Janeš, D., Prosen,
H., & Kreft, S. (2012). Identification and quantification of aroma
compounds of tartary buckwheat (Fagopyrum
tataricum Gaertn.) and some of its milling fractions. Journal of food science, 77(7).
C746–C751. doi:10.1111/j.1750-3841.2012.02778.x
(10) Ivi
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