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ex bitto storico
Bitto: la guerra è
finita,
ma qualcuno non depone le armi
La
rivista trimestrale valtellinese Le
montagne divertenti, nel suo numero in edicola, rende pubblica una vicenda sconcertante che, risale
al dicembre scorso. Una guida di scialpinismo della Valgerola, rea di
spiegare, nell'introduzione, la vicenda del bitto storico, viene
boicottata dai comuni della valle Gerola e dal Parco delle Orobie che
pure l'avevano commissionata. Una vicenda dai contorni grotteschi, che
ha coinvolto il prefetto di Sondrio e che qualifica una volta per
sempre, per la "finezza" dei metodi utilizzati, i ras locali, già
sostenitori entusiasti del bitto storico, poi divenuti suoi mortali
nemici quando si accorsero che non potevano farne il loro giocattolo.
di
Michele Corti
Per aiutare a orientarsi nell'intricata
vicenda della guerra del bitto abbiamo scritto un apposito Dizionario
del bitto ribelle in coda al presente
decine di articoli di Ruralpini sul tema
(03.07.19) Per comprendere questa sciagurata vicenda che non depone
certo a favore delle istituzioni locali, bisogna sapere che la
Valgerola è la valle delle Orobie occidentali valtellinesi (comprese
nella Comunità montana di Morbegno) con la più spiccata vocazione per la
pratica scialpinistica e, al tempo stesso, la valle che ha dato il nome
al famoso formaggio bitto. Esso, per secoli, è stato chiamato senza
pericolo di ambiguità "Formaggio di val del Bitto" (il Bitto è il
torrente che la solca). Fino agli anni '80 del secolo scorso, tutte le
pubblicazioni, comprese quelle istituzionali (Regione Lombardia, Camera
di commercio di Sondrio, Provincia di Sondrio) asserivano che il
formaggio bitto era prodotto esclusivamente nella bassa Valtellina
(Comunità montana di Morbegno), ovvero Valgerola e valli limitrofe. Il
marchio Valtellina della
Camera di commercio, sino al 1993 era assegnato a due distinte tipologie di
formaggio grasso d'alpeggio: il bitto, che si produceva
esclusivamente nella Comunità montana di Morbegno, e il "Grasso
d'alpe", che si produceva altrove. Le pubblicazioni tecniche dell'epoca
spiegavano come il formaggio grasso d'alpe fosse prodotto in alcune
valli come la Valmalenco e, limitatamente, nel tiranese e il alta
Valtellina, mai in Valchiavenna (la valle del Mera, che insieme alla
Valtellina e al Livignasco costituisce la provincia di Sondrio).
Questo "grasso d'alpe", però, aveva caratteristiche molto
eterogenee e si distingueva dal bitto per il peso (forme più piccole) e
lo scalzo (diritto o convesso invece che concavo). In realtà sono
moltissime le particolarità che fanno del Bitto della Valgerola, quello
storico, un formaggio particolare (il modo di pascolamento, il
trasporto del latte, la lavorazione a caldo con il latte tiepido di
munta, l'aggiunta di latte di capra ecc. ecc.).
Negli anni '90 in
Valtellina i dirigenti del settore caseario (le grandi coop),
supportate dalla politica locale e dalla Coldiretti, decisero di
intraprendere la stada della Dop, di ripercorrere il percorso della
Fontina che si produce in tutta la valle d'Aosta. Così, smentendo sè
stesse, le istituzioni attestarono, con falso clamoroso in atti
pubblici, che il bitto si produceva tradizionalmente in tutta la
provincia di Sondrio (per l'Unione Europea che regolamenta le Dop, ciò
significa da almeno 25 anni). Basti dire che in tutta la Valchiavenna
il prodotto pregiato dell'alpeggio era il burro e ci si sforzava di
produrre un formaggiuo magrissimo (magnüca,
dove "gnucco" sta per duro, durissimo, caratteristica del formaggio
privato del grasso ). Il tutto per aumentare al massimo la resa in
panna e quindi in burro del latte.
Ne
è seguito un conflitto che si è trascinato sino al 2016. I
casari/alpeggiatori della Valgerola si sono infatti ribellati
all'esproprio di
una denominazione che consideravano un patrimonio locale e hanno poi
rotto con il Consorzio ufficiale quando questo ha ammesso l'uso dei
mangini e dei fermenti "starter" industriali (l'uso del latte di capra
è stato reso facoltativo sin dall'inizio della nuova Dop). La loro
ribellione ha sempre trovato comprensione e simpatia nell'opinione
pubblica locale che ha giustamente percepito il bitto tradizionale"
quale bandiera di identità e motivo di orgoglio. Le
produzioni, sostenevano i ribelli, erano troppo diverse per convivere
sotto lo stesso ombrello di un'unica Dop.
Al Consorzio, che per anni ha spinto per l'aumento della produzione,
faceva comodo che ci fosse una versione premium che non poteva
differenziarsi legalmente da quella "industrializzata": nella
confusione (appositamente ricercata) tra i due prodotti ci guadagnava
ovviamente quello più massificato. Considerata l'impraticabilità di
risolvere legalmente la questione (sarebbe stata necessario istituire
una doppia Dop, con istituzioni tutt'altro che disposte a fare pressione
su Bruxelles), i ribelli rimasti (diversi avevano nel frattempo
disertato, sottoposti a pressioni da parte dei ras locali e delle varie
istituzioni provinciali coalizzate) decisero di chiamare "storico
ribelle" il
loro formaggio, depositando un marchio aziendale.
Il nome richiama in modo trasparente quello precendentemente usato, ma
mai legalizzato (nonostante le promesse), di "bitto storico" e, al tempo stesso, la
qualifica, universalmente riconosciuta e autoattribuita con orgoglio, di
"ribelli del bitto". Questa decisione ha posto una parola
fine alla "guerra del bitto", trascinatasi per vent'anni.
Alla fine il Consorzio ufficiale (dominus la Latteria sociale
Valtellina di Delebio, che è il principale stagionatore) è soddisfatto
perché si è tolto il nome "bitto" ai ribelli. Imboccate ciascuno la
propria strada, il Consorzio non ha più da temere il fastidio delle contestazioni
e delle "denigrazioni" da parte dei ribeli e dei loro tanti fan mentre
continua a beneficiare, di riflesso, dell'immagine di grande tradizione
che essi hanno saputo tener in vita a dispetto di tutti (erano
qualificati come "trogloditi" dal Consorzio stesso e dalle varie
istituzioni).
I ribelli si sono trovati con un marchio prestigioso, sia pure di
nicchia, di loro proprietà e non devono più subire minacce di sanzioni
amministrative e penali.
Per il territorio non è stata una
vittoria perché non c'è stata una sintesi vincente, in grado di
valorizzare - con un gioco di complementarietà - le due produzioni, ma una
soluzione al ribasso che garantisce entrambe le parti nel loro
orticello. Le potenzialità di una sinergia sarebbero state enormi, ma
un politica di bassissimo profilo non ha voluto e non ha potuto
intervenire (nonostante le ripetute chiamate in causa della stessa regione
Lombardia).
Con questi antecedenti sembrava che di guerra del bitto non si dovesse
più parlare. Invece oggi scoppia un caso che dimostra che, almeno dalla
parte dei ras locali non si sono
affatto deposte le armi ma, sotto la cenere, è stato coltivato un forte
livore contro il "nemico" e tutti coloro che ardiscono prenderne le
parti, esporre la squallida storia della guerra delle istituzioni coalizzate
(politiche, amministrative, economiche, sindacali, camerali) contro un
pugno di produttori di montagna.
Quella guida non s'ha da
far circolare
Ha del tragicomico la vicenda di una guida scialpinistica che diventa
un caso politico, di lesa maestà delle istituzioni locali (per il solo
aver risollevato il caso del bitto). Presentata il 16 dicembre aveva
riscosso gli elogi di uno dei più fieri nemici dei "ribelli", Patrizio
del Nero, nuovo-vecchio sindaco di Albaredo. Del Nero, inizialmente,
aveva appoggiato, da sindaco, negli anni '90, la ribellione con la
speranza di poter mettere il tutto sotto la propria ala, poi era
diventato uno dei più fieri nemici dei ribelli (anche perché da
presidente del consiglio provinciale era dimentato "manager" di una
società della provincia - il Multiconsorzio - che raccoglieva i
prodotti Dop e IGM). Un percorso simile venne seguito da Fabio
Acquistapace, già sindaco di Gerola alta (poi sostituito dalla
sorella). Anch'egli da grande sostenitore dei ribelli divenne un fiero
nemico quando si accorse che non gli era possibile prendere il
controllo della Società valli del
Bitto che era divenuta il braccio commerciale dei produttori
ribelli. Gli altri comuni vanno a ruota di Albaredo e di Gerola, il
Parco delle Orobie ha un presidente, Raschetti, che va a ruota di Del
Nero. Il paradosso è che le istituzioni locali, per i motivi suddetti
(o comando io o te la faccio pagare) si sono schierate con
quegli interessi che, a suo tempo, hanno espropriato la Valgerola di un
suo patrimonio.
Ma vediamo cosa c'era scritto di tanto lesivo per le istituzioni locali
(o di irritante per i personaggi che le controllano) nella guida Val Gerola e Albaredo. Tutte le cime.
scitta da Roberto Ganassa con l'introduzione dell'editore "ribelle"
Enrico Beno Benedetti? Di seguito tutto ciò che fa riferimento al bitto
[In
Valgerola] Rinomata era la produzione dei tappeti tipici, i pezzotti,
ma ancor di più lo era quella del Bitto, un formaggio grasso di
altissima qualità, che poteva essere
conservato per anni senza perdere le proprie caratteristiche. Uso il
passato, non perché non si produca più tale prodotto, ma perché ora
quel nome identifica tutt’altri formaggi di matrice anche industriale,
che si avvalgono di tale nomea per trascinare verso l’alto il loro
prezzo.
Storicamente
il
formaggio Bitto veniva prodotto nelle valli del Bitto e seguendo, oltre
a una particolare procedura casearia, alcune regole fondamentali, tra
cui:
- usare solo latte
di mucca di razza bruna alpina, aggiungendovi dal 10 al 20% di latte di
capra orobica, tipica della val Gerola;
- le mucche devono mangiare
solo l’erba dei pascoli di montagna, perciò niente mangimi o prodotti
fermentati;
- il latte va lavorato,
ancora tiepido e subito dopo la mungitura, all’interno dei cosiddetti
calèc’.
Una
manovra di
carattere prettamente commerciale, studiata negli anni ‘80 e applicata
a partire dal decennio successivo, ha esteso l’area produzione del
Bitto fino a coprire l’intera provincia di Sondrio. Ma non solo,
gradualmente si è arrivati
a decretare che il Bitto DOP potesse esser prodotto senza latte di
capra, senza lavorazione sul posto e addirittura dando mangimi alle
mucche per aumentarne la produttività.
A ciò si
sono
fermamente opposti i produttori storici rimasti, eredi di una
tradizione secolare. Questi sono usciti dal consorzio di tutela e dal
2016 hanno deciso di non chiamare più Bitto il loro formaggio, ma bensì
semplicemente “Storico Ribelle”, per differenziare questo prodotto
artigianale di altissima qualità dalle produzioni casearie di carattere
industriale tutelate dal marchio DOP. Tali produttori conferiscono i
loro formaggi al Centro del Bitto di Gerola, una struttura del tutto
all’avanguardia, dove vengono fatti stagionare e commercializzati.
Cosa è successo poi?
Entra in gioco il prefetto
I comuni di Cosio, Rasura, Pedesina e Gerola Alta, che dovevano
ritirtare (e pagare) 500 copie non si sono più fatti vivi. Il comune di
Albaredo che doveva ritirare 200 copie non si è più fatto sentire. Il
Parco delle Orobie, che doveva ritirare 150 copie non si è più fatto
sentire. Solo la Comunità Montana ha ritirato e pagato le 200
copie che aveva commissionato. Venendo a mancare la maggior parte delle
copie prenotate l'editore si è comprensibilmente trovato in difficoltà
e ha pertanto scritto al prefetto di Sondrio per far richiamare le
amministrazioni ai loro impegni. Sotto la lettera che Beno ha
indirizzato al prefetto il 21 marzo.
Il
prefetto, a sua volta, scriveva alle amministrazioni, invitandole a
rispettare gli impegni presi, senza che nulla ne sortisse.
La denuncia pubblica dell'azione censoria
Il comportamento delle amministrazioni che, con il loro venire meno a
un impegno economico assunto, hanno danneggiato un editore che ha
osato, ad uso dei suoi lettori, riassumere una vicenda controversa ma
molto sentita e rispetto alla quale molti cittadini sono schierati
dalla stessa part, appare grave. Beno ha assunto il punto
di vista di una parte in causa in una vicenda controversa ma senza
utilizzare nessuna affermazione oltraggiosa per alcuno, riferendo
circostanze e valutazioni che, in Valtellina, negli anni scorsi, sono
state riportate decine di volte dai mezzi di informazione. Dietro
l'atteggiamento di "guerra ad oltranza" che è stato assunto dai comuni
e dal Parco, si celano vicende che hanno coinvolto personalmente
diversi sindaci e loro congiunti. A quanto ricordato sopra va aggiunto
- sono dati di fatto - che i fratelli della sindaca di Gerola sono
soci, con un importante pacchetto di minoranza, nella Società valli del Bitto e che
l'allora amministrazione di gerola, sindaco Fabio Acquistapace,
sottoscrisse una convenzione con la Società per l'uso di locali di
proprietà comunale. Non si può non vedere un intreccio di
interessi personali (oltre che di obbedienza a ordini di scuderia) in
queste posizioni che tendono a rilanciare fuori tempo la "guerra del bitto".
Ma la cosa assurda e imbarazzante è che la Comunità montana, presenti
questi signori, ha approvato all'unanimità - dopo che era già scoppiato
lo "scandalo" l'acquisto del volume. Esso è stato poi messo in
distribuzione attraverso i canali della CM stessa. I signori del niet
non se la sono sentita, in un contesto ufficiale come la CM, sotto i riflettori
pubblici, di prendere posizione. Tanto, avranno
detto, decidendo, senza pubblicità importuna, nell'ambito dei nostri
piccoli feudi, possiamo affossare comunque la guida ribelle.
Quando si fanno i conti
senza l'oste. L'editore denuncia pubblicamente le intimidazioni e il
"sopruso del potere"
I
ras locali della Valgerola non hanno, però, fatto i conti con
l'editore che invece di piegare la testa ha reagito sdegnato. Abituati,
a casa loro, a piegare alla loro volontà i
cittadini con l'uso, purtroppo comune presso le amministrazioni locali,
del bastone e della carota (elargizioni, autorizzazioni e dinieghi in
campo
edilizio), non hanno previsto che l'editore della
guida "che non s'ha da diffondere" non solo non ha cercato un accordo
al ribasso con i suddetti ras del tipo: "lo ristampiamo se ci mettiamo
d'accordo", ma ha denunciato, attraverso le colonne della sua rivista, Le Montagne divertenti, molto
seguita in Valtellina, tutto l'accaduto.
Questo l'amaro, ma per nulla rassegnato, editoriale di Beno.
Pur non praticando il
mondo della politica, la mia attività giornalistica ed editoriale
m'impone talvolta di averci a che fare. Solo rapporti protetti,
s'intende: uso gli stivali alti e le mutande di ghisa, per non esser
coinvolto negli oscuri e spesso maleodoranti meandri della politica
che, invece di guidare le comunità con uno sguardo lungimirante, ne
asseconda il declino e la decadenza, stroncando con comica
inconsapevolezza ogni resilienza al processo di globalizzazione e
omologazione (cui, per peculiarità orografica, un territorio montano e
la sua popolazione mal si adatterebbero), ma anche calpestando alla
luce del sole, con ferocia censoria e repressiva, diritti come la
libertà di pensiero e di espressione. Tanto siamo in Valtellina...
Ovviamente ci sono eccezioni che incredibilmente (e grazie al cielo)
sopravvivono ai tempi e al mio pessimismo, divenuto più nero da quando
ho visto il comportamento degli ex ragazzi rivoluzionari della mia
generazione una volta assunti ruoli decisionali. Sto delirando?
Purtroppo no. Vi faccio un esempio che sto vivendo sulla mia pelle da
quando ho pubblicato la pregevole guida di scialpinismo di Roberto
Ganassa, "Val Gerola e Albaredo. Tutte le cime con gli sci". Una
raccolta di itinerari all'aria aperta cui, come si usa spesso nelle
guide, ho premesso di mio pugno una parte introduttiva sul territorio:
orografia, storia, cultura, prodotti tipici ... Un tempo le tipicità di
queste valli erano due: i pezzotti (che non si fanno più) e il
formaggio Bitto, che però è stato vittima di un processo di
speculazione alimentare. La storia è fin troppo nota, ma per comodità
dei lettori la riassumo qui brevemente. A partire dagli anni '80 l'area
di produzione del "Bitto", tutelato dal marchio DOP, è stata via via
estesa a tutta la provincia di Sondrio, includendo perciò formaggi che
nulla hanno a che vedere con quello tradizionalmente prodotto negli
alpeggi delle valli del Bitto (senza dare al bestiame prodotti
fermentati o mangimi, unendo latte di mucca e di capra, caseificando
direttamente in loco...). Così, grazie alla grande distribuzione -
sempre sia lodata - il Bitto ha colonizzato gli scaffali dei
supermercati sfruttando l'argomento populista che finchè fosse stato il
formaggio delle valli del Bitto sarebbe stato destinato a un mercato di
nicchia, dato che in quei recessi orobici e coi metodi millenari e
trogloditi non se ne sarebbe mai potuto produrre a sufficienza per quel
mercato sempre più globale e foriero di benessere per tutta la
provincia. Un mercato a cui solo gli sciocchi non vanno incontro.
Alcuni tra gli
aristocratici allevatori che hanno perseverato nelle procedure
tradizionali, espropriati del nome del loro formaggio, si sono riuniti
nel consorzio guidato da Paolo Ciapparelli e, dopo varie vicissitudini,
hanno chiamato il loro formaggio "Storico Ribelle". Lo "Storico
Ribelle", riconosciuto presidio Slow Food, è un'eccellenza delle valli
del Bitto che i turisti meritano di conoscere. Nella guida ne ho
parlato, non per fare un affronto ai suoi detrattori, ma perché ho
ritenuto doveroso menzionare un'iniziativa lodevole e di successo che
ha contribuito al rilancio di un sano turismo nelle due valli. "Val
Gerola e Albaredo. Tutte le cime con gli sci", promuovendo in sinergia
d'intenti il turismo escursionistico, avrebbe dovuto beneficiare del
patrocinio dei comuni delle valli (tranne Bema), del Parco delle Orobie
Valtellinesi e della Comunità Montana Valtellina di Morbegno. Alla
presentazione ufficiale del libro a Morbegno, Patrizio Del Nero, in
rappresentanza di alcuni enti patrocinanti, aveva speso parole di
elogio verso il volume appena uscito grazie anche al loro contributo.
Dopo pochi giorni, però, mi è arrivato come un fulmine a ciel sereno un
sms in cui si parlava addirittura di querela per quanto scritto a
favore dello Storico Ribelle. Un atto intimidatorio, insomma, come se
l'impegno verbale ad acquistare copie del volume configurasse per ciò
stesso un diritto ad intervenire preventivamente sui suoi contenuti o a
censurarli, una volta stampati, perché non condivisi. Nel mio testo
tuttavia non c'era alcuna frase che potesse suonare falsa o offensiva
nei confronti di chicchessia. E, infatti, alla minaccia non è seguita
alcuna querela. Mentre la Comunità Montana Valtellina di Morbegno ha
puntualmente mantenuto fede al proprio impegno, comuni e Parco sono
invece improvvisamente spariti e non hanno pagato le copie prenotate,
con l'effetto di mettere in seria difficoltà l'iniziativa editoriale.
La presentazione del libro a Gerola è stata quindi, senza alcuna
comunicazione ufficiale, di colpo annullata. Non da noi. Comunicazioni
formali? Atti ufficiali? Nessuno, forse per la consapevolezza di star
compiendo un vero e proprio sopruso. E per i soprusi è bene non
lasciare traccia. Come vuole la procedura, ho inviato a febbraio una
pec a tutti i sindaci dei comuni interessati (Cosio, Rasura, Pedesina,
Gerola e Albaredo) e al presidente del Parco chiedendo di mantenere
fede agli impegni presi. Nessuna risposta, né entro 40 giorni, né fino
ad ora (31 maggio 2019). Il Prefetto Scalia, cui mi ero rivolto
inviando sostanzialmente la stessa lettera spedita alle
amministrazioni, a marzo aveva gentilmente invitato i comuni e il Parco
ad adempiere agli impegni verbalmente assunti (i due documenti li
trovate riprodotti in queste pagine). Ma comuni e Parco lo hanno
ignorato. La faccenda sta ora andando avanti e io mi trovo dinnanzi al
compatto e sinergico muro di gomma che tali amministratori pubblici
erigono dinnanzi a chi osa anche solo accennare qualcosa di non
conforme al pensiero di alcuni di loro. Non voglio star qui a far
inutili dietrologie, registro solo di essere stato condannato da alcuni
politici amministratori della val Gerola e della valle di Albaredo
poiché reo di apologia dello "Storico Ribelle", cioè del formaggio
tradizionale delle loro valli! La libertà di pensiero e di espressione,
antidoto all'ipertrofia e all'arroganza di ogni potere, piccolo o
grande, nazionale o locale, purtroppo è considerata anche in Valtellina
da molti perbenisti un vezzo inutile, fastidioso e fazioso. Ma quel che
è più grave è che a questa logica censoria e intimidatoria del potere
ci stiamo oramai lentamente abituando. Fatti del genere, che fino a
pochi anni fa avrebbero sollevato
un'ondata di indignazione, oggi all'opinione pubblica
non arrivano più, perché ad essi non ci si ribella più, ci si rassegna
illudendosi di potere così aggiustare il mondo. Forse quello dello
"Storico Ribelle", ad opera dei pastori della val Gerola, è stato in
Valtellina l'ultimo atto di successo di ribellione al sopruso del
potere. In quel nome non c'è oggi solo l'eccellenza del formaggio
tradizionale delle valli del Bitto, ma c'è anche un messaggio morale:
quello di non darla vinta alla mediocrità di certi formaggi che
trionfano nel mercato del consumismo contraffatto e che assomigliano
sempre più alla mediocrità di alcuni nostri politici che trionfano nel
campo dell'amministrazione pubblica.
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