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Il risveglio delle lingue alpino-padane. Riparliamone dopo vent'anni

L'attualità delle lingue minoritarie

(27.05.18) Solo in Italia, per evidenti motivi politici (la paura delle "spinte centrifughe" prima, del leghismo poi) le lingue minoritarie (tranne le alloglotte e alcune più periferiche) sono classificati "dialetti". Non importa se le lingue alpino-padane siano classificate in un gruppo romanzo-occidentale e la lingua italiana in quello orientale. Dopo il riconoscimento del provenzale-occitano, sardo, friulano, le altre lingue alpine hanno potuto compiere soli piccoli passi per la loro tutela. Solo di recente, in particolare, la Regione Lombardia il patrimonio linguistico è stato inserito nelle materia oggetto di azioni di promozione e tutela
(l.r. 7 ottobre 2016, n. 25, “Politiche regionali in materia culturale – Riordino normativo”) e ne è derivata qualche prima timida azione.

 Eppure la lingua lombarda è la più importante lingua del versante meridionale alpino, parlata con le sue varianti anche nei territori dell'Ossola, Verbano, Cusio e novarese, in Canton Ticino e nelle valli meridionali dei grigioni, nonché nel Trentino occidentale (diviso tra area lombardofona e veneta, con qualche isola tedesca e alcune aree di transizione tra lombardo e romancio). E' forse un caso le aree "piemontesi" (solo perché annesse dai Savoia) intendano tornare in Lombardia? Quanto pesa la comunità di cultura e di lingua? Il risveglio identitario non è casuale, è semmai intrecciato e parallelo al declino del modello centralistico sabaudo-torinese e al dinamismo di una Lombardia policentrica mai aggiogata alla capitale (a differenza del Piemonte).

Oggi la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale sono invocate quai unanimemente. Ma la politica del patrimonio culturale, maxime quello rurale, può prescindere da quella di rivitalizzazione della lingua? Non è possibile studiare, conoscere, descrivere, valorizzare il patrimonio legato alle tradizioni agroalimentari, ai saperi contestuali, se non si utilizza la lingua che quella cultura ha veicolato e di cui è parte integrante. Slegata dalla cultura immateriale, dalla lingua in particolare, ogni azione di valorizzazione della cultura materiale, del paesaggio, del patrimonio architettonico, agroalimentare, sono a rischio musealizzazione. Situazione un po' migliore troviamo in Veneto e in Piemonte anche se non va dimenticato che la lingua lombarda, parlata anche in Svizzera, ha potuto essere oggetto di azioni importanti a cura del centro di Dialettologia e di etnografia di Bellinzona che ha prodotto un monumentale vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana. Nelle aree montane il lombardo è ancora largamente utilizzato nelle conversazioni private (e occasionalmente anche in qualche evento pubblico). Utilizzato anche dai giovani (a differenza dell città e di larga parte della pianura) non è certo a rischio di estinzione anche se la competenza linguistica dei parlanti è sempre in diminuzione. Pur con qualche fenomeno in controtenzenza se solo si pensi al successo presso un pubblico trasversale in termini di età della canzone in lombardo che, con  Davide Bernasconi (Van de Sfroos), da fatto autoriale è diventato di costume rappresentando una nuova forma di musica popolare (la "nuova musica lombarda") che ispira una serie di band giovanili che si rifanno all'artista laghée (e ha un suo festival).



Come per tutte le lingue minoritarie, nell'era della comunicazione multicanale il futuro di una lingua è legato alla possibilità di essere usata in forma scritta o semi-scritta (la forma dei "messaggini" e delle chat).
Vent'anni fa riponevamo grandi speranze nella diffusione di Internet. Non erano mal riposte. Tanto è vero che è solo grazie alla comunicazione più libera dei blog, di facebook, delle chat che il "dialetto" (ma non lo è) viene oggi "sdoganato". Chi lo usa su facebook impara a maneggiarlo anche in altri contesti più formali e sta regredendo rapidamente lo stigma che equiparava l'uso della lingua etnica a una bassa condizione sociale.
 L'uso sempre più frequente di altre lingue ha rotto il monolinguismo che in Italia, pur di impedire che si parlassero le lingue locali, rappresentava anche un grave blocco nell'apprenbdimento delle lingue straniere. L'obbligo di parlare inglese sta anzi divenendo una nuova forma di stratificazione sociolinguistica: i nuovi alfabeti, l'élite, si distingue per l'inglese fluente frutto dell'apprendimento scolastico (in Italia presso scuole private o all'estero) quale lingua tendenzialmente prima.
La diffusione dei corsi universitari in inglese e l'uso inflazionato di termini inglesi anche quando sono disponibili i corrispondenti tecnici e scientifici italiani, sta fracendo scivolare l'italiano a rango di dialetto che, presto, l'élite parlerà sempre meno. Italiano dialetto dell'Inglese quindi, classificando con i criteri dell'accademia italiana che, alla fine, tiene conto solo del prestigio linguistico e di fatti politici. Quando l'italiano sarà parlato solo dal "popolino" la lingua di Dante non esisterà più: sarà un itanglese da terzo mondo.
Consapevoli che questo nuovo monolinguismo (un italiano semplificato nella struttura e nel lessico e sempre più infarcito di anglicismi), coloro che non accettano di sprofondare nel "popolo basso" si rendono conto che la competenza plurilingustica è fattore di arricchimento anche quando riguarda la lingua minoritaria, che consente di acquisire sia la padronanza di più registri linguistici (mantenuti distinti) che un'identità personale e collettiva che sono garanzia di non scivolamento nella "nuova classe" (italiani di serie B "rimasti indietro" e immigrati meno qualificati).
Ci sono motivi per ritenere che la rivitalizzazione delle lingue locali non rappresenti una battaglia persa. Se il calo di parlanti continua è anche vero che sta diminuendo la vergogna di parlare la propria lingua etnica. L'italiano ha trionfato con la televisione ma oggi, con la comunicazione gestita a network l'avanzata dell'italiano a spese delle lingue locali ha perso vigore. Il "tradimento dlele élite", che fanno studiare i figli in inglese come lingua veicolare rappresenta un altro motivo per riequilibrare le sorti di una battaglia che sembrava segnata.
vent'anni fa pubblicavamo l'articolo qui ripreso. Sorprendentemente ancora molto attuale. Il significato? Non autocompiacimento ma desiderio di sollevare una discussione. Il tema è di quelli stimolanti: mentre la globalizzazione arranca e i movimenti populisti rappresentano per la prima volta in Europa una seria minaccia alla dittature delle élite, scopriamo che la gente non si ribella solo per motivi economici ma anche perché pensa che la cultura e l'identità siano beni preziosi.




Il risveglio delle lingue alpino-padane

Articolo pubblicato su Forum padano-alpino n. 3, Aprile 1998 .


Jørgen Giorgio Bosoni è un lombardo-norvegese, ricercatore presso il Department of Language and Literature Faculty of Humanities dell'Università di Trondheim


di Michele Corti e Jørgen Giorgio Bosoni


Sinora prive di alcun riconoscimento, in quanto assimilate dal sistema centralista italiano a "dialetti dell 'italiano ", le lingue alpino-padane - nel contesto del movimento internazionale a favore delle lingue regionali e minoritarie - sono attualmente oggetto di importanti iniziative di promozione.

Nell'ambito dei movimenti autonomisti l'interesse per le questioni linguistiche ha assunto un peso diverso a seconda delle circostanze. Alcuni movimenti hanno messo al centro del loro programma politico e della loro mobilitazione le rivendicazioni linguistiche (insegnamento delle lingue del gruppo regionale o etnico in questione, utilizzo delle lingue negli uffici pubblici, segnaletica stradale, sostegno alle istituzioni culturali e linguistiche locali ecc.). In altri casi la questione linguistica è rimasta marginale.
Ci si rende conto però che attualmente le questioni linguistiche hanno ripreso una forte valenza politica non solo nell'ambito di quei conflitti autonomistici ed indipendentistici che già erano caratterizzati da un forte impegno in questa direzione, ma anche dove la questione  era "dormiente", "superata" o comunque sembrava essere stata archiviata dalla generale affermazione della lingua ufficiale.
I trionfi conseguiti in questo secolo dallo  stato-nazione di matrice ottocentesca sono, fortunatamente, transitori. L'era della carta stampata e la prima era televisiva hanno fornito potenti strumenti allo stato-nazionale per disgregare e omologare le culture regionali e minoritarie perché questi mezzi ben si adattavano al controllo sulla scala territoriale di degli stati "nazionali".
Se è vero che per certi versi la Tv via satellitare e Internet rappresentano veicoli per una ulteriore affermazione dell'inglese come lingua universale non sfuggono altre evidenti implicazioni delle nuove tecnologie applicate all'informazone. La possibilità di collegarsi con tutto il mondo da parte di chi disponga di una parabolica o di un abbonamento a Internet smaterializza quei confini che lo stato-nazione era riuscito a far percepire come realtà quasi naturale e divengono impossibili i controlli sul flusso di informazioni che percorre la "ragnatela mondiale".
Qui ci interessa sottolineare come questi nuovi strumenti consentono anche a piccole comunità, sottoposte a forme di negazione dei propri diritti di espressione culturale, di stabilire contatti con organizzazioni internazionali in grado di sostenere la loro causa. La "ragnatela" Internet consente anche a piccoli gruppi di creare pagine www  in  una qualsivoglia lingua e di metterle in rete. Le difficoltà nell'accedere a forme di comunicazione scritta (redazione, stampa, diffusione di materiale a stampa) che si potevano incontrare di un passato ancora molto vicino, sono state facilmente superate favorendo la moltiplicazione delle più svariate espressioni culturali. La possibilità di collegarsi direttamente e facilmente con enti, associazioni, centri accademici in ogni parte del mondo ha enormemente accresciuta anche la capacità di trattare a fini di studio e ricerca, ma anche di divulgazione, argomenti come quelli delle lingue minoritarie sin qui limitata dalla difficoltà di raccogliere, archiviare e trasmettere informazioni su realtà così circoscritte.

Il movimento per la tutela della diversità linguistica

Le nuove possibilità offerte nella trasmissione, trattamento e archiviazione delle informazioni forniscono uno strumento potente per lo studio e la tutela della grande varietà delle lingue umane. Ethnologue (1) , una pubblicazione che da decenni si occupa della catalogazione delle lingue, è arrivata a elencarne 6.700! Non è un caso che con l'estendersi della rete Internet si siano moltiplicate le iniziative a favore delle "lingue in pericolo" e delle associazioni
L'interesse per le lingue e le culture minoritarie deriva dalla consapevolezza che i processi di globalizzazione tendono ad impoverire l'umanità e a negare quel "diritto alla diversità" che la cultura postmoderna riconosce come altrettanto importante del diritto al benessere materiale. Al di là del riconoscimento del valore della diversità culturale come fatto che di per sé arricchisce l'umanità, sociologi e psicologi concordano nel riconoscere un ruolo fondamentale alle specifiche identità culturali nell'assicurare alle persone il necessario orgoglio-di-sé la cui carenza è spesso causa di apatia, degrado e disgregazione sociale.
Analogamente al movimento per la difesa della diversità biologica animale e vegetale quello per la difesa delle culture autoctone vede nella diversità delle lingue una straordinaria forma di adattamento dell'umanità alle diverse circostanze ecologiche e storiche incontrate sul suo cammino. Ogni riduzione della diversità rende il mondo vegetale e animale e anche la specie umana più poveri, meno capaci di adattarsi ai cambiamenti dell'ambiente nello spazio e, soprattutto, nel tempo.
Attualmente la metà della popolazione mondiale si esprime nelle 10 lingue più diffuse (cinese-mandarino, inglese, hindi, spagnolo, russo, arabo, bengalese, portoghese, malese-indonesiano, francese) e taluni ritengono che nel giro di una generazione metà delle lingue attualmente parlate saranno estinte. Ogni lingua rappresenta una particolare forma di rapportarsi al mondo e di interpretarlo. Le mille sfumature delle lingue umane colgono tutta la complessità del rapporto tra le comunità umane e l'ambiente, ad ogni lingua che si estingue si perde un pezzo di umanità.  Le  lingue  con la loro intricatissima rete di affinità e diversità rappresentano anche la storia vivente dell'umanità. Per gli studiosi non solo di linguistica, ma anche di altre discipline (dalla storia alla antropologia, alla psicologia alla genetica) la perdita di un tassello linguistico rende più difficile ricostruire la storia delle culture umane, delle migrazioni, dei popolamenti.
E' bene precisare che la negazione dei diritti linguistici e culturali di una comunità etnica e regionale non è limitata alle forme brutali che assume nei paesi in via di sviluppo la politica di oppressione etnica, ma rappresenta una realtà anche del mondo occidentale dove, apparentemente senza violenza, i processi di urbanizzazione e i movimenti migratori, assecondati dalla politica culturale degli stati, sortiscono esiti non molto di versi da quelli conseguiti con la brutalità nelle aree meno sviluppate. Il movimento di tutela delle lmgue minacciate di estinzione non ha pertanto i caratteri della difesa di realtà esotiche e pittoresche, è qualcosa che riguarda nello stesso modo comunità che abitano la foresta amazzonica così come il cuore dell'Europa.

Alcune iniziative internazionali ed i loro limiti

Sul piano mondiale ed europeo la consapevolezza della necessità di tu- telare la diversità culturale e linguistica delle popolazioni autoctone appartenenti a minoranze etniche o regionali si è tradotta in una serie di iniziative che, per quanto significative, si fermano spesso alla enunciazione e di principi e che incontrano l'opposizione dichiarata o di fatto degli stati. L'Unesco ha promosso la redazione di un Libro Rosso delle lingue in pericolo (2). A queste iniziative si collegano quelle di istitutuzioni accademiche come la International Clearing House for Endangered Languages(Tokyo) (3) e di diverse organizzazioni non governative, fondazioni e associazioni (4). Nel Libro Rosso dell'Unesco la lingua friulana figura tra quelle "minacciate" mentre il Piemontese, il Ligure, il Veneto e l'Emiliano sono considerate in buona salute. Questo la dice lunga sui limiti di certe iniziative che, pur basandosi su dei rapporti scientifici, finiscono per essere influenzate dalle fonti ufficiali o comunque dalla scarsità di informazioni sulla materia, scarsità a sua volta determinata dall'ostracismo degli ambienti ufficiali.
Non ci vuole molto per comprendere che il Friulano, pur essendo sotto pressione da parte dell'italiano, lingua ufficiale dello stato, è certo meno in pericolo del Piemontese e del Veneto (che pure sono oggetto di parziali misure di tutela) per non parlare del Ligure, del Lombardo, privi di qualunque forma di tutela e di riconoscimento pur essendo ampiamente riconosciute dalla letteratura scientifica internazionale come lingue distinte dall'italiano e pur essendo appartenenti, secondo una delle più diffuse classificazioni delle lingue romanze, ad una diversa famiglia romanza (quella gallo-romanza) cui appartengono, oltre alle lingue piemontese, ligure e lombarda anche il franco-provenzale e il francese (5).

La tutela delle lingue regionali e minoritarie nell'ambito Ue

E 'evidente che lo stesso riconoscimento dello status di "lingua minacciata" dipende dal contesto politico. A volte sono le lingue più minacciate a non veder riconosciuta la lorostessa esistenza rendendo problematica  qualsiasi azione orga- nizzata  di recupero. Per riprendere l'esempio del Friulano esso non solo è riconosciuto dal Consiglio d'Europa ma  è compreso  tra le 18 lingue regionali e minoritarie dell' European Network for Regional  or Minority Languages (Mercator)  della  UE6 e, recentemente, è stato tutelato da una legge della Regione autonoma Friuli-Venezia-Giulia. Questi risultati sono il frutto di un  decennale  impegno politico e culturale degli autonomisti friulani.
Queste considerazioni ci introducono agli aspetti politici del problema delle lingue minoritarie.
Sul piano europeo il Consiglio d'Europa (cui appartengono 49 paesi) ha approvato nel 1992 una Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie che rappresenta un atto di grande rilievo anche se la mancata ratifica da parte della maggior parte dei membri del Consiglio (compresa l'Italia) la dice lunga sulla reale volontà degli stati di tradurre in impegni vincolanti i principi di multilinguismo e di tutela delle differenze regionali. Nell'ambito del Consiglio d'Europa il riconoscimento del Piemontese come lingua data dal 1981 (Parlamentary assembly of the Council of Europe , Doc. 4745, pag. 24) mentre per il Lombardo sempre nel 1981 ci si limitava a citare il "dialetto meneghino" che "Il Corriere dela la Sera segnalava in ripresa". Questo è il grado di approfondimento scientifico di certi rapporti sulle lingue minoritarie! Per quanto riguarda la UE, che in quanto super-stato ha molto  più potere  del Consiglio d'Europa, si è già fatto riferimento a Mercator.  C'è  da notare  però  che anche a livello Ue l'impegno su questo fronte è tutt'altro che scontato. Il  budget  Mercator  è passato  dal 1996 al 1997 da 4 a 3,675 milioni di Ecu e si deve ritenere che l'ingresso nella Ue di nuovi paesi dell'europa centro-orientale,  moltiplicando  le lingue minoritarie nell'ambito Ue, si tradurrà in una minore disponibilità per le lingue già tutelate. All' European Network  for Regional  or Minority Languages, finanziato da  Mercator, partecipano  il franco-provenzale (Valle d'Aosta e valli limitrofe piemontesi), il ladino e il friulano. Il limite della politica europea di difesa delle lingue regionali e minoritarie consiste nel fatto che ancor oggi sono gli stati membri a decidere lo status di lingua regionale e minoritaria. Solo la revisione dei trattati istitutivi delle istituzioni europee nel senso del riconoscimento delle entità regionali potrebbe rovesciare una situazione nella quale diversi stati membri possono decidere di "negare" l'esistenza di lingue e culture regionali e minoritarie o di ridimensionarle la diffusione.

Lingue e dialetti: una distinzione a pretesto della negazione dei diritti linguistici

Lo strumento attraverso cui passa la negazione di una lingua regionale e minoritaria è la sua qualificazione come "dialetto". Questa distinzione è prevista nella Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie che all'Art. 1 recita: "le previsioni della seguente Carta non si applicano ai dialetti". Questo è l'alibi giuridico che consente agli stati di continuare a negare l'esistenza di differenze etniche e regionali e di procedere sulla via della loro "assimilazione".
La distinzione tra lingue e dialetti è tanto artificiosa ed arbitraria quanto cruciale. Essa non è una  questione linguistica, ma squisitamente politica. E' noto l'aforisma secondo il quale una lingua è un dialetto con il passaporto. Negli ambienti linguistici è nota la definizione scherzosa  citata da uno  studioso  di sociolinguistica (Ralph  Fasold) " ...it seem to be the case that what is considered standard or worthy of official promotion, depend only to the social position of the people who use that particular variety. One waggish way this idea is sometimes put is to say that a standard languages is any language whose speakers have an army and a navy".  Dal punto di vista di un linguista una lingua è semplicemente un dialetto che... ha fatto carriera e cioè che ha ottenuto un prestigio sociale. Ciò significa che forme linguistiche adottate dalle cancellerie o utilizzate da gruppi di scrittori e poeti sono in seguito state utilizzate dalle élites dominanti ed adottate dai nascenti stati-nazionali come lingue ufficiali. Di fatto l'acquisizione di un prestigio linguistico significa spesso semplicemente che una forma linguistica viene usata dalla maggioranza degli    abitanti di un paese soppiantando la pluralità linguistica precedente. Il ruolo degli stati a questo proposito è decisivo ed è difficile distinguere tra prestigio culturale ed azione politica perché lo stato cerca con tutti i mezzi di estendere l'uso della "lingua nazionale" come decisivo fattore di unificazione e di attenuazione delle tendenze autonomiste e centrifughe. Esaminato sinteticamente il problema di cosa si intende per "lingua resta da capire che cos'è un "dialetto"? La questione ci interessa da vicino perché inci incide notevolmente sui problemi delle culture e delle lingue padano-alpine. In Italia la tendenza della cultura ufficiale è quella di considerare "dialetti" tutte quelle espressioni linguistiche che non possono richiamarsi a lingue ufficiali parlate in altri stati. Questo criterio crudamente politico ha trovato paludamento accademico nelle definizioni dei padri della "dialettologia" italiana (cui peraltro vanno riconosciuti enormi meriti scientifici). Il Merlo, sulla scia di Ascoli, distingue nel 1925 (7)  tra "dialetti che si staccano dal sistema italiano vero e proprio, ma pur non entrano a far parte di alcun sistema neolatino estraneo all'Italia" da quei "dialetti che si scostano più o meno dal tipo schiettamente italiano o toscano, ma pur rientrano a formar con il toscano uno speciale sistema di dialetti neolatini". Di fatto, sulla base di questa distinzione, il solo buon senso suggerirebbe di assegnare solo ai secondi la qualifica di dialetti dell'italiano; come possono essere dialetti dell'italiano varietà linguistiche che ... si staccano dal sistema italiano? La filologia romanza d'oltralpe assegnando il Piemontese, il Ligure, il Lombardo e spesso anche l'Emiliano alla famiglia gallo- romanza ha chiarito l'equivoco. Le nostre lingue non appartengono ad un "sistema neolatino estraneo all'Italia", nel senso che non sono dialetti del francese, ma appartengono ad un gruppo al quale il francese fa parte e che si distingue dallo "speciale sistema di dialetti neolatini" di cui fa parte il toscano e le varietà linguistiche centro-italiche.

Il riconoscimento della diversità linguistica come fatto politico

A dimostrare l'importanza dei criteri politici in materia di "dialetti" c'è da osservare che la politica ufficiale italiana in materia quando ha dovuto derogare dal "primo principio" politico (è dialetto tutto quello che non si ricollega ad una lingua ufficiale di un altro stato) ripiegando su un secondo criterio (sempre politico), quello della autonomia speciale. Ecco allora che a fatica e in modo contradditorio il Sardo e il Friulano hanno ottenuto o si avviano ad ottenere uno status di semi-lingue. Ma dove le Regioni sono "ordinarie" e non c'è alle spalle uno stato interessato a tutelare la "sua" minoranza li Roma non cede di un millimetro. Ciò è possibile perché le competenze in materia di minoranze etniche e linguistiche è di esclusiva materia dello stato. Non si potrà parlare di federalismo sino a quando le Regioni non saranno in grado di gestire autonomamente tutte le materie culturali ed educative comprese quelle linguistiche. Sostenere che la distinzione tra lingua e dialetto è principalmente politica (e secondariamente sociale) significa che non esistono criteri scientifici univoci per discriminare tra l'una e l'altro. E' però vero che alcuni "requisiti" appaiono importanti. Più che l'esistenza di una forma scritta da un punto di vista scientifico contano i rapporti filogenetici (parentele, derivazioni) con le altre lingue e, in definitiva, il grado di differenza dalle altre lingue conosciute. Nel caso dei nostri "dialetti" esiste però oltre ad una incontestabile diversità ed autonomia dal toscano una letteratura in prosa e versi, grammatiche, dizionari, traduzioni della Bibbia ("requisito" molto apprezzato a livello internazionale). La presenza di diverse varietà di una lingua, l'assenza di koinè o quantomeno di grafie unificate rappresenta senza dubbio un ostacolo diretto ed indiretto non solo al "riconoscimento", ma anche alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio linguistico. Il problema della varietà di forme locali non si pone certo solo per le nostre lingue, ma anche per lingue di cui nessuno oserebbe contestare il carattere assolutamente autonomo (basti pensare al basco!) Quello che però difetta (parliamo soprattutto del Lombardo) è la volontà di essere lingua, l'autocoscienza degli ancora-parlanti di possedere una specificità culturale e dei non-più-parlanti di avere perso una preziosa specificità, un elemento di ricchezza e di orgoglio. A sua volta questa autocoscienza non basta, deve tradursi, in una effervescenza politico-culturale che, se organizzata e se in grado di contare su un sostegno di massa può concretizzarsi in pr mozione linguistica e in risultati concreti nel campo del riconoscimento e della tutela. Dove c'è effervescenza culturale si cercherà di lavorare sulla normalizzazione grafica e sulla creazione di forme di koinè, si cercherà di promuovere l'uso scritto della lingua, pubblicazioni, traduzioni, grammatiche, dizionari.  C'è  insomma  un "circolo virtuoso"  della rinascita linguistica che ci ricorda che la lingua non è un"fatto naturalistico", ma sociale e politico. Anche se per  la cultura ufficiale il Piemontese deve restare un "dialetto  settentrionale",  il fatto che esso abbia da due secoli una grafia ed una grammatica unitane ed una enorme letteratura,  unito all'attivismo  dei numerosi enti privati di studio, tutela e promozione della lingua, ha fatto si che la lingua piemontese sia riconosciuta  dal  Consiglio  d'Europa nel novero delle 38 lingue minoritarie e regionali europee. Inoltre una prima timida iniziativa legislativa di tutela (Legge regionale 10 aprile 1990, n.  26 "Tutela, valorizzatone  e promozione della conoscenza dell'originale patrimonio linguistico del Piemonte") è stata recentemente  modificata dalla Legge 37 del 1997 che, finalmente, cita la lingua piemontese insieme all'occitano al franco-provenzale e al walser.  Ciò è il frutto di una forte ripresa del l ' attivismo di base piemontesista che ha portato alla creazione della Consulta per la lengua piemontèisa (8 )  cui aderiscono 22  tra gruppi e associazioni impegnati nella difesa e valorizzazione del piemontese e che punta con slancio verso la conquista del bilinguismo. Codificazione delle varianti linguistiche come momento essenziale di una strategia di tutela. Nel caso lombardo la presenza di una forte differenziazione della comune matrice linguistica ha sinora ostacoato l'azione a tutela del patrimonio linguistico regionale. Anche se sull'apparente minor attaccamento al "dialetto" hanno pesato in Lombardia fatti sociali e politici è indubbio che la frammentazione dialettale ha impedito che le iniziative di tutela assumessero un carattere politicamente e culturalmente consapevole collegandosi al movimento in atto in altre regioni alpino-padane e sul piano internazionale. Le recenti iniziative assunte da istituzioni locali (Il Comune di Bovegno e la Provincia di Brescia) pur rappresentando i primi atti ufficiali di enti locali lombardi in direzione della tutela del patrimonio linguistico tradizionale, registrano la realtà di frammentazione attuale avendo per oggetto il dialetto bresciano. La potenzialità di iniziative che non si prefiggono la tutela di una lingua in quanto tale (seppure articolata in varianti locali) è ovviamente limitata. La consapevolezza di ciò non significa che si debba necessariamente seguire la via della creazione a tav lino di una "varietà standard" di Lombardo. Si tratta invece di superare la proliferazione caotica di grafie diverse (originatesi spesso su basi fantasiose ed arbitrane o di puro tradizionalismo) che creano sul piano della lingua scritta una incomunicabilità artificiale. Ciò non ha niente a che fare con la creazione di una koinè. La grafia comune pu lasciare intatta la differenziazione delle varietà locali. Almeno sul piano della lingua scritta non è però irrealistico pensare che il Lombardo possa, attraverso un processo graduale, pervenire a due forme scritte: una per la vanante occidentale (insubre)  ed una per quella orientale  (senza  trascurare  che  il bormiese, in alta Valtellina, rappresenta una varietà difficilmente riconducibile alle due principali).
Volontà di "essere lingua" significa anche essere consapevoli che il patrimonio delle parlate locali può essere tramandato solo attraverso un certo  grado  di  codificazione, di normalizzazione,  attraverso  la presenza  di istituzioni  dedite  a queste finalità ed attente  ad attualizzare la lingua locale inserendo (a ragion veduta) neologismi indispensabili per l'uso vivo della stessa. Queste istituzioni devono operare in un circuito di scambio di idee con altre che perseguono gli stessi fini in contesti geograficamente  e linguisticamente prossimi ma anche in un ampio ambito internazionale. Oltre alla citata Consulta per la lengua piemontèisa, alla Lia Rumantscha alla Società filologica furlana e a simili istituzioni ladine. In Lombardia i primi passi in questa direzione stanno per essere compiuti con la recente costituzione del Cunséi lumbaart per la lengua che, nato nel 1997, ha già prodotto una proposta di grafia unificata per il Lombardo occidentale, oltre ad aver intrapreso i primi passi per un riconoscimento internazionale della lingua lombarda. Il tempo del nostalgismo dialettali è finito, il "dialetto" come fatto "spontaneo" è destinato ad estinguersi.
E' necessario misurarsi con i temi della rinascita delle identità linguistiche regionali e minoritarie a livello mondiale e dotarsi di nuovi strumenti di promozione adeguati ai tempi. La cultura dialettale del passato (e del presente) può però servire ad avvicinare i giovani e gli anziani garantendo la continuità di un patrimonio culturale che è ancora enorme e per molti versi ancora integro. Tornando al caso lombardo che ovviamente ci sta a cuore è opportuno osservare che la grande varietà di forme linguistiche e la divisione in due grandi aree geografiche (occidentale e orientale) della nostra lingua se da una parte ha ostacolato iniziative consapevoli ed organizzate di rivitalizzazione linguistica ha dall'altra giocato a favore della conservazione di varianti periferiche vitali che conservano molte di quelle differenze con il toscano che si sono affievolite nel corso di in un secolare processo di "civilizzazione" del dialetto delle città. In altri termini in Lombardia è meno presente che altrove la tendenza alla creazione di una koiné basata sui dialetti urbani e dò può giocare certamente a favore di un recupero di un patrimonio linguistico originale e vitale.
In un mondo dove le occasioni di comunicazione diretta ed orale lasciano sempre più il posto a comunicazioni di diverso tipo (su basi linguistiche ma anche su altri codici), la presenza di forme linguistiche scritte è indispensabile per continuare a veicolare, attraverso il medium della lingua regionale, una componemte significativa della comunicazione sociale. La varietà dialettale orale può sopravvivere solo grazie alla presenza di forme di riferimento scritte. Ciò vale in modo particolare per le lingue gallo-romanze dell'area padano alpina che appartengono ad un sistema diverso dall'italiano e che, stante il monopolio dell'italiano nell'ambito dei media, sono particolarmente esposte al rischio di corrompersi.

Fattori a favore della ripresa delle lingue regionali e della loro affrancazione dallo status dialettale

 L'italofonia ormai generalizzata (chi parla "dialetto" è comunque in grado di parlare anche l'italiano) rende l'uso della parlata locale un fatto non più "spontaneo" ma sempre più consapevole. L'uso di due o più registri linguistici (italiano standard + "dialetto" e/o italiano regionale) è legato sempre più ad una scelta e non all'appartenenza ad un determinato strato sociale. In particolare l'uso del "dialetto" al di fuori degli ambiti sociali e territoriali più conservativi (pensiamo alla montagna e al mondo agricolo) rappresenta più o meno consapevolmente l'espressione di una differenziazione spesso polemica e comunque orgogliosa. La padronanza dell'italiano standard da parte di tutte le classi sociali rende il "dialetto" sempre meno una condizione di subalternità subita quanto la manifestazione dell'orgoglio dell'appartenenza e della padronanza di un bilinguismo che conferisce "qualcosa in più" a chi lo utilizza. Le preoccupazioni dei genitori che temevano che l'apprendimento del "dialetto" compromettesse il raggiungimento di una posizione sociale desiderabile appartengono ormai al passato remota. Allora solo la scuola trasmetteva l'italiano ed il suo apprendimento era difficile in un mondo dialettofono.
Nel dualismo italiano standard-dialetto si è inserito comunque un terzo "registro linguistico" che ha assunto, con il restringersi della dialettofonia, un ruolo sempre più importante sul piano socio-linguistico; stiamo alludendo agli "italiani regionali o popolari".
La regressione del dialetto ha lasciato spazio a forme popolari regionali di italiano. Il fenomeno dell'italiano regionale non è certo nuovo ma, recentemente, con il dilagare dei media e la necessità di utilizzare una lingua viva di facile presa esso ha assunto una nuova dimensione. L'uso delle varianti regionali (caratterizzate da lessico e sintassi differente) è stato in qualche modo legittimato e oggi possiamo affermare che da un punto di vista linguistico esistono dei "nuovi" dialetti rappresentati  dalle varianti regionali dell' italiano. Quelli che invece erano definiti "dialetti"  (ossia le nostre parlate alpinopadane) possono essere considerati sì dei dialetti, ma dialetti del lombardo, ligure ecc. Sono dialetti del lombardo occidentale il milanese, il mendrisiotto, il lecchese. L'italiano regionale ticinese o l'italiano regionale veneto sono dialetti dell'italiano! Dal punto di vista socio-linguistico l'italiano regionale popolare rappresenta spesso la forma meno prestigiosa di registro linguistico. Ciò conferma che questo è il vero dialetto mentre le nostre parlate tendono, ad assumere il prestigio delle lingue.

L'intervento politico-culturale

 A questi fatti legati alla spontaneità sociale deve associarsi la consapevolezza dell'importanza di una azione culturale e politica. Si tratta di fare valere politicamente nelle sedi locali e internazionali la consapevolezza di questa nuova distinzione tra dialetti (varianti dell'Italiano) e lingue regionali separate per fonetica, fonologia, morfologia, sintassi, lessico dall'italiano. Si tratta di rompere con la tradizione di una cultura vernacolare ripiegata nella nostalgia e subalterna, si tratta di riconoscere che senza una forma di codificazione e senza l'uso scritto la lingua locale non può sopravvivere. A ciò deve fare seguito sul piano della azione culturale e politica la rivendicazione per le nostre lingue dello status di lingue regionali e minoritarie, e la mobilitazione per ottenere gli strumenti legislativi per promuovere nella stampa, nella scuola, nei media la lingua regionale nell'ambito di un plurilinguismo che, spezzando il monopolio della lingua ufficiale favorisca la pluriappartenenza europea e regionale. Si tratta di una prospettiva nella quale l'azione a favore delle parlate regionali in ambito padano-alpino si può saldare con quella per una maggior diffusione nella scuola e fuori delle principali lingue europee ed alpine di cultura: francese e tedesco.
Nelle nostre regioni/nazioni alpino-padane devono sorgere, seguendo gli esempi più avanzati, degli organismi finalizzati ad operare nel campo della diffusione e promozione delle lingue regionali raccogliendo e coordinando le forze già impegnate su questo piano e proiettandole in una dimensione europea e mondiale. Al raccordo con gli organismi che tuteano e rappresentano le lingue e le culture regionali e minoritarie europee e alla pressione sugli organismi consultivi della Ue e delle agenzie sovranazionali deve corrispondere anche una azione di stimolo sulle amministrazioni locali, sui governi e le assemblee regionali. La grande valenza politica di queste iniziative non deve fare compiere l'errore, peraltro sinora accuratamente evitato, della loro politicizzazione o peggio della pretesa di questa o quella organizzazione politica di assumerne il monopolio. I referenti delle organizzazioni per la tutela e la promozione delle lingue regionali devono essere le istituzioni rappresentative e ciò presuppone la completa apartiticità di questi organismi. Anche la possibilità di un riconoscimento internazionale è subordinata a  chiare  regole di apartiticità e aconfessionalità.
In ogni caso qualsiasi pretesa di attivare meccanismi di tutela o solo di interessamento della causa di un gruppo linguistico regionale è legata alla dimostrazione del radicamento dell'espressione linguistica in questione nella realtà storica e territoriale ed ad un serio lavoro culturale e scientifico. Va da sé che iniziative di dubbio valore scientifico come quelle della grafia comune per le lingue padane (9) non possono certo contribuire al credito internazionale delle rivendicazioni che le nostre lingue stanno sostenendo per il loro riconoscimento internazionele e rappresentano un incomprensibile fattore di divisione del fronte autonomista che, come visto, in Friuli, in Veneto ed in Piemonte ha già conseguito risultati parziali ma importanti nella tutela del FRIULANO, PIEMONTE E e VENETO , risultati legati  nche alla formalizzazione e ufficializzazione delle rispettive grafie.

Conclusioni

La battaglia per l'identità linguistica è tutt'altro che "passatista. Essa, al contrario, rappresenta un importante fattore di aggregazione. Intorno a questa battaglia può e deve svilupparsi la rivitalizzazione delle nostre culture e delle nostre comunità ed il loro risveglio civile e morale. Questi sono gli obiettivi di una autentica politica autonomista. Gli strumenti politici ed economici rappresentano uno strumento per raggiungerli e non possono, pena gravi conseguenze, essere confusi con i fini.

Note (aggiornate al maggio 2018)

1. Ethnogue (1997) a cura di Barbara F.Grimes, ed.The Summer Institute of Linguistics 13a edizione, è disponibile in una versione on-line. L'indirizzo del s i to è: https://www.ethnologue.com/
2. II rapporto  relativo  all'Europa  si trova a http://www.helsinki.fi/~tasalmin/europe_index.html
3. Non risulta più attiva
4.  Vale la pena citarne alcune:
- Terralingua partnership for linguistic and biological diversity 
- CIEMEN (Centre Internacional Escarré per le Minories Etniques i les   Nacions)
- Osservatorio europeo del plurilinguismo;  
- Elen (European Language Equality Network);
- Foundation for Endangered Languages
AIDLCM Association Internationale pour la Defense del Langues et des Cultures Menacées.
5. Il problema della classificazione delle lingue gallo-romanze non è certo di facile risoluzione . La classificazione a cui abbiamo fatto riferimento è accolta oltre che dai citati Red Book dell'Unesco e da Ethnologue anche dall' Enciclopedia Britannica e fa riferimento a due elementi fondamentali: l'origine (e quindi il comune substrato celtico) e alcuni elementi fonetici (la lunghezza vocalica).
6. vedi n. 5.
7. Cit. da Fiorenzo Toso, Frammenti di Europa, Baldini e Castoldi, Milano 1996.
8. La consulta ha esordito ufficialmente ufficialmente ad Alessandria/ Lissandria il 5 aprile 1998.
9. Vedi l'articolo di Gilberto Oneto su "La Padania", del 18.2.98, pag. 13.



 

 

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