In montagna oltre
al Covid
c'è anche l'emergenza lupi
In valle Anzasca (Ossola), i lupi ci sono
da tempo. I signori del lupo (quelli di WolfAlps), forti dei milioni di
cui dispongono, si sentono in diritto di rispondere ai sindaci che i
dati sui monitoraggi sono "riservati". A loro interessa solo proteggere
i lupi (che non ne hanno più bisogno) ed evitare l' "allarmismo". Alla
gente continua a venir detto da pubblici funzionari che "sono cani" e non i loro lupi. Ma ci sono
le prove. Quando la magistratura inizierà a occuparsi
di questi abusi di potere e falsi ideologici? Intanto la
situazione di chi vive nelle valli è di vera e propria emergenza a
causa della politica (Regione Piemonte in primis) che ha abdicato in
modo vergognoso alle proprie prerogative a favore della lobby del
lupo. Di seguito un intervento di un rappresentante del Comitato salvaguardia allevatori della val
d'Ossola, residente a Bannio Arzino in valle Anzasca.
di Enzo Bacchetta
(21/02/2019 L’emergenza
Covid19, che ha cambiato e cambierà il mondo, ha monopolizzato
l’attenzione di
tutti, facendo dimenticare un’altra emergenza, che pure potrà cambiare
il
futuro del nostro territorio: il ritorno dei grandi carnivori ed in
particolare
del lupo, con una inimmaginabile proliferazione senza precedenti.
Dato
l’aumento di queste presenze, in modo del tutto spontaneo, allevatori,
pastori,
cacciatori e semplici valligiani si sono ritrovati e confrontati
dapprima in
Valle Anzasca e via via poi in Ossola,
nel Cusio, in Valle Strona e in Valsesia
coinvolgendo centinaia di persone riunite ora in quattro gruppi
collegati fra loro, al solo scopo di fare emergere e portare
all’attenzione
delle popolazioni, delle amministrazioni e dell’informazione la vera
portata di
questo fenomeno.
Una
campagna mediatica ha dato molto spazio, in termini nettamente
positivi, al
ritorno dei grandi carnivori, in una montagna idealizzata e con un
apparente
richiamo alle più autentiche tematiche ambientali.
Ma
c’è
l’altra faccia della medaglia, vissuta quotidianamente da chi invece
vive in
montagna, procurandosi faticosamente un reddito fra difficoltà
infinite,
rinunciando a comodità e facili guadagni, spesso per proseguire
attività
condotte da generazioni, ma anche di chi semplicemente ha scelto di
rimanere
nei piccoli paesi pur lavorando altrove, non volendo troncare le
proprie radici
e spopolare ulteriormente le valli, divenendo guardiani e custodi
del territorio.
Custodi
di un mondo da cartolina che è bello da visitare in giornata o in
vacanza, un
mondo più difficile da vivere nella quotidianità ed in cui, alla fatica
di
resistere, si aggiunge adesso questa invasione di lupi (e fra non molto
anche
altri grandi carnivori) che sconvolge il lavoro di coloro che hanno
scelto di
rimanere in montagna, fino a indurli a dover lasciare la propria terra
e quella
che per qualcuno è una missione, per l’intervenuta paura,
preoccupazione,
sfiducia, senso di abbandono.
“Convivere
con il lupo” è una bella frase detta nei salotti buoni, un po’ meno
negli
alpeggi dove si vedono i propri animali dilaniati e straziati,
distruggendo in
un attimo il lavoro di mesi e di anni.
Certo
ci sono “soluzioni” a tavolino, ma oggettivamente difficili da
realizzare sul
campo, per esempio le reti elettriche, teoricamente efficaci, peccato
che
l’alpigiano che le vuole utilizzare deve portarsele – oltre a tutto il
resto
per vivere e per gestire il bestiame – a spalle fino all’alpe. Reti,
attrezzi e
batterie che comunque non fermano il lupo, con gli animali che
spaventati
finiscono avvinghiati nei recinti e muoiono soffocati, altri che
scappano nelle
pietraie dove restano intrappolati finendo di stenti e banchetto per i
rapaci,
come accaduto nella ormai abbandonata Valle Olocchia, terra di nessuno
quella
che era un tempo di alpeggi e ricca di vita, senza più sentieri, prima
curati
dal gratuito e faticoso lavoro del locale Gruppo Escursionisti Val
Baranca.
Certe
misure di “protezione” degli allevamenti dagli attacchi del lupo non
tengono
conto del “benessere animale”, spesso invocato ma che è incompatibile
con
l’ammassamento negli spazi ridotti e fangosi dei recinti
elettroprotetti,
misura necessaria per prevenire le aggressioni.
Anche
i cani maremmani non sono una soluzione, perché comportano ulteriori
costi di
acquisto, di mantenimento e poi la difficile gestione, perché il
maremmano
difende il territorio non solo dai lupi ma pure da chi appare come
“invasore”,
perciò anche gli escursionisti ed i turisti, magari con i loro
cani,
che legittimamente attraversano gli alpeggi.
Questo genera scontri e
contenziosi, d’altra parte l’alpigiano non può,
oltre a
svolgere il proprio lavoro, fare anche il custode dei maremmani messi a
guardia
degli armenti per proteggerli dai lupi.
Il
ricorso ad asini o lama, che per le loro dimensioni dovrebbero
scoraggiare
l’aggressore, non è in realtà per nulla efficace, poiché ci sono casi
di
quadrupedi inseguiti fino allo sfinimento o alla caduta in un dirupo,
come nel
2019 in valle Tignaga e ammesso che sappiano difendersi, asini e lama
non
corrono certo in soccorso di una pecora o una capra aggredita.
Poi
anche equini e bovini sono attaccati dai lupi, con una fine lenta e
dolorosa
per l’animale e fonte di sofferenza per i proprietari, perché se
è brutto vedere il proprio animale ucciso,
diventa terribile assisterne all’agonia.
Certo
chi abita lontano a queste cose non ci pensa, perché non le vive, non
sa per
esempio che in Anzasca abbiamo avuto il caso di ben tre vitellini, uno
di un
mese e due appena nati, aggrediti e portati via alle madri che pure
erano di
razza Highlander, di una certa stazza e note per la determinazione
nella difesa
dei loro piccoli.
Certo
nessuno dice che il lupo tendenzialmente assale e smembra anche più
capi in
sequenza, si ciba di una piccola parte degli organi e delle viscere
delle
proprie prede e poi le lascia ancora vive ad agonizzare per ore o
giorni, paradossalmente
il Regolamento CE n. 1099/2009 sulla protezione degli animali
durante l’abbattimento richiede di “Evitare agli animali dolori, ansia
o
sofferenze evitabili”, ma se c’è di mezzo il lupo le sofferenze sono
autorizzate.
Difficile
accettare per chi vive in montagna questa “convivenza” dopo aver visto
certe
scene che sono autenticamente di orrore e anche qualche turista si è
ricreduto
vedendo quello che era rimasto del suo amato cagnolino ucciso e
dilaniato.
Si
parla spesso di indennizzi e si pensa ad un automatismo fra il danno
del lupo
ed il pagamento al proprietario dell’animale ucciso, in realtà se sulla
carta
ci sono le norme, la trafila burocratica
richiesta le depotenzia.
Prima di tutto il
danneggiato deve disporre di
una assicurazione, il cui premio è a proprio carico e dunque si paga
per essere
indennizzati, poi l’accertamento deve essere fatto da un veterinario
dell’ASL,
ma questi sanitari non possono essere ovunque e se arrivano nelle zone
più
accessibili, questo non avviene negli alpeggi più lontani raggiungibili
con ore
di cammino.
Perciò senza il verbale
del veterinario l’indennizzo
diventa
impossibile, senza considerare l’uso della formula “probabile
aggressione da
lupo” e quel “probabile” e perciò non
certo è un altro insormontabile ostacolo alla pratica di ristoro del
danno.
Senza contare che è prassi rimproverare
all’allevatore, che non avrebbe
custodito adeguatamente i propri animali e che quindi la
responsabilità è comunque la sua e non
dei lupi aggressori.
Fa
notizia il ritrovamento di un lupo morto, a cui seguono autopsia,
ricerca del
dna e
addirittura la taglia per il bracconiere, mentre l’uccisione di diversi
capi di bestiame fonte di onesto e sudato reddito non vede in qualche
caso
neppure la possibilità di un sopralluogo per l’indennizzo e in più,
beffa oltre
il danno, la spesa per il trasporto e lo smaltimento della carcassa in
un
inceneritore autorizzato, che non è certo sulla porta di casa.
Forse
vale di
più il lupo che uccide, piuttosto che i poveri animali che ne sono
vittima. Non
è
però solo una questione di soldi, perché dietro ciascun capo di
bestiame per l’allevatore c’e’ tanto impegno e ogni allevamento
richiede anni di delicato e intelligente lavoro che solo l’allevatore
conosce.
Un
lavoro materiale che spesso non si concilia con la burocrazia degli
indennizzi,
fatta di tante carte e attese negli uffici, generando sfiducia nelle
istituzioni, con la conseguenza di rinunciare alle denunzie dei danni,
facendo
così diminuire nelle statistiche i numeri delle aggressioni.
Così
apparentemente gli attacchi dei lupi calano ed il problema si attenua o
scompare, facendo contenti tutti quelli che stanno altrove, salvo la
gente di
montagna che vive e soffre di questa situazione.
E
cosa
dire della parallela strage della fauna selvatica con le diffuse
uccisioni di
cervi, caprioli e altri pacifici animali, forse con meno “diritti”
rispetto al
lupo, alterando l’equilibrio raggiunto nell’ultra decennale lavoro di
controllo, selezione e protezione portato avanti dai comprensori
alpini?
Emergono
poi i timori per l’uomo e con i sempre più numerosi avvistamenti nei
pressi di
località abitate, aumentano le paure, che si concretizzano nei divieti
per i
bambini di giocare in zone periferiche dei paesi e la rinunzia alla
passeggiata
nel timore di brutti incontri.
Sembrano
esagerazioni, ma c’è da chiedersi in caso di future aggressioni a
persone, se
poi non si scatenerà la caccia al colpevole, forse agli amministratori
locali
che hanno anche compiti di tutela della sicurezza e dell’ordine
pubblico nelle
proprie comunità e che, con il senno di poi, si dirà che avrebbero
dovuto
prendere provvedimenti.
La
sensazione è che alla fine è che si voglia dare una ultima spallata ai
pochi
presidi umani in montagna, incentivando lo spopolamento e trasformando
le
nostre valli in una grande riserva disabitata, dove la natura si
riapproprierà
di alpeggi, terrazzamenti, sentieri, strade e paesi, cancellando i
segni della
secolare civiltà montanara.Forse
è uno scenario che, partendo dal problema del lupo e oggi anche
dell’orso, sembra
esagerato, ma è anche vero che solo pochi mesi fa si diceva che il
Coronavirus fosse
poco più di una influenza. Poi è diventato pandemia.
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