(02.04.12) In Trentino la Coldiretti se la prende con gli
"allarmisti", ovvero la gente della Val di Non (appoggiata da alcune
amministrazioni comunali) stufa di essere spruzzata di pesticidi a ridosso
delle proprie case
Trentino
felix (al pesticida):
tutto
ok, tranne gli "allarmisti"
Dalle parti della Val di Non (Melinda
Valley) qualcuno comincia a capire
che le proteste dei "reprobi"
del Comitato per la salute Val di Non
prima o poi avranno eco a livello
nazionale
e la gente si chiederà se questa Mel è
linda o non tanto.
Così Melinda corre ai ripari e annuncia
che la quota bio salirà in sei anni al 1.5%
di Michele Corti
Primavera. È tempo ditrattare, di spruzzare veleni. Specie nei meleti intensivi, specie in quelli
coltivati in monocoltura su un'ampia e
compatta superficie territoriale.
Al 28.03 la Fondazione
Mach (ex Istituto Agrario di S. Michele all'Adige) aveva già emanato 9
bollettini di trattamenti con una serie nutrita di prodotti. In questi giorni
per il diserbo viene consigliato il Glifosate (Roundup della Monsanto), un
insetticida (Etofenprox) contro la psilla del melo e vari aficidi. Ma siamo
solo all'inizio di una serie di decine di trattamenti. A costo di essere
ripetitivi dobbiamo ricordare come il Glifosate, avendo la "sfortuna"
di essere molto utilizzato nel mondo (e da molto tempo), ha avuto l'onore di
parecchi studi sui suoi effetti. Difficile negare (vi sono troppi studi
condotti su molti organismi viventi, uomo compreso) il rischio di danno
genetico e le evidenze di un suo ruolo quale distruttore endocrino (alterazione
delle azioni degli ormoni della riproduzione) mentre vi sono anche forti
sospetti di cancerogenicità (per
alcune specifiche forme tumorali). Quanto all'"innocuo" Etofenprox è comunque classificato molto pericoloso per
gli organismi acquatici. Nel corso della stagione, da qui alla raccolta, si succederanno bollettini su
bollettini che dicono quale pesticida, pardon, prodotto fitoiatrico, utilizzare. Alla fine saranno un bel repertorio.
Una specie di
coprifuoco
All'uscita di ogni
bollettino, emanato a pro dei melicoltori, il Comitato per la salute della Val
di Non provvede a diffonderlo anche tra gli abitanti raccomandando di non far
giocare i bambini per 48 ore nei meleti e in
prossimità dei meleti. Un clima da coprifuoco che contrasta un tantino con gli idilliaci spot di Melinda con gente felice che sgambetta e pedala
allegramente nei meleti e coglie al volo le mele senza lavarle.
Uccellacci del malaugurio
questi abitanti della Val di Non che da un po' di tempo in qua hanno deciso di
non voler più subire passivamente. Hanno intrapreso una campagna per il diritto
alla salute e contro la nocività ambientale che è diventata permanente. Un bel coraggio considerato che l'economia della valle
ruota intorno a Melinda, che nei consigli comunali c'è il problema del
conflitto di interessi e che quando si affrontano questioni sensibili come i
pesticidi molti devono allontanarsi. Un bel coraggio considerato che chi osa
mettere in discussione Melinda è malvisto da molti abitanti anche non
direttamente coinvolti nella filiera ma che temono che Melinda possa
delocalizzare le fasi della lavorazione post-raccolta se gli fanno "girare
le mele".
Al posto di Melinda si
fa avanti Coldiretti
Eppure il Comitato non
demorde e tutto questo, che loro qualificano "allarmismo
ingiustificato", comincia a creare
nervosismo.. A venire allo scoperto, però, è
stata la Coldiretti con un comunicato del 28 marzo. Forse è bene ricordare che
il presidente provinciale della Federazione Coldiretti (che si è chiamata
Unione contadini trentini sino al 2003) è tale Gabriele Calliari di Romeno (Val
di Non), un grosso imprenditore agricolo (altro che contadini) che opera in
campo zootecnico e frutticolo. Un imprenditore dinamico tanto che ha acquistato
terreni anche in Veneto dove, lui e altri
trentini e altoatesini, sono sbarcati da piantatori bianchi alla conquista
dell'Africa spianando intere colline (vedi
articolo su Ruralpini) .
Il tutto per espandere la
produzione melicola visto che a casa loro le mele le hanno piantate ovunque (e
quindi si spruzza a fianco delle case). Particolare da non trascurare, Calliari è anche vice-presidente dalla Fondazione Mach.
Basta allarmi
ingiustificati destituiti da ogni fondamento
Ma vediamo cosa sostiene
la Coldiretti. Il succo è che quello che viene definito come l'"allarmismo" degli abitanti della Val di Non, che si
riconoscono nel Comitato per la salute,
finisca per suscitare echi anche fuori del Trentino incrinando l'immagine
costruita a furia di spot e compromettendo il fiorente business di Merinda.
"Da qualche tempo è stato diffuso un allarme ingiustificato
da parte di un gruppo di cittadini del Trentino aderenti al Comitato per il
Diritto alla Salute in Val di Non, rispetto ai presunti effetti nocivi per la
salute e l’ambiente che sarebbero determinati dai fenomeni di deriva delle
sostanze impiegate nei trattamenti antiparassitari effettuati dai produttori di
mele della Val di Non. Purtroppo, la diffusione di notizie allarmistiche del
tutto infondate rischia di incrinare gravemente l’immagine di qualità legata ad
una delle varietà di mele più famose e tipiche dell’agricoltura".
Per sostenere la tesi dell'allarmismo
ingiustificato la Coldiretti si appella alle conclusioni di uno studio
dell'Azienda sanitaria provinciale .
"Lo studio conferma la possibilità che i principi attivi
utilizzati possano, per varie ragioni, in primo luogo la deriva distribuirsi
all’interno delle abitazioni; tuttavia, i valori riscontrati sono nell’ordine
dei nanogrammi e cioè sono tracce di prodotto che dal un punto di vista
tossicologico rivestono scarso, se non nullo significato".
Pesticidi a domicilio e dentro i corpi, ma "poco"
Non si nega che i pesticidi, in forza della deriva (vai
alla nota) arrivino nelle case e che contaminino le
persone.
L'art. 844 del codice
civile qualifica come illecite le immissioni derivanti anche indirettamente
(trasportate dal vento) da un fondo vicino
ma ci si appella alla "dose accettabile" ovvero al fatto che i
campioni analizzati dall'azienda sanitaria provinciale presentavano valori al
di sotto del limite massimo ammissibile per legge. Peccato, però, che nei campioni di urine fatti analizzare dal comitato per
la salute questi limiti erano superati (specie nel caso dei bambini, che l'azienda
pubblica non ha considerato). Peccato che i valori osservati prima e dopo i
trattamenti con i pesticidi mostrassero, anche nel caso dell'indagine
dall'Azienda pubblica, un innalzamento. Quello
che è certo è che i trattamenti determinano, in forza del fenomeno della
deriva, una contaminazione delle proprietà private e dei corpi delle persone.
Evidenze che non consentono alla
Coldiretti di trarre le sue rassicuranti conclusioni:
"I risultati emersi dallo studio condotto dalla Asl
evidenziano, quindi, che le modalità di utilizzo dei fitosanitari sono oggi
ragionevolmente sicure e quindi le preoccupazioni del comitato per il diritto
alla salute in Val di non hanno alcun fondamento".
Le preoccupazioni del comitato per la
salute della Val di Non trovano invece riscontro nelle motivazioni della
sentenza del Tar di Trento depositata il 14 gennaio scorso. Appellandosi al
principio di precauzione (leggi l'articolo su Ruralpini) il
tribunale amministrativo trentino ha respinto il ricorso dei melicoltori contro ilComune di
Malosco che aveva stabilito limiti di distanze di nebulizzazione dalle
abitazioni precauzionali e il divieto di alcuni pesticidi molto pericolosi (ma
ancora in commercio e consigliati dalla Fondazione Mach nonché da altri servizi
di fitoiatria pubblici).
Il TAR non la pensa come
Coldiretti
Il TAR ha richiamato, sulla base della
legislazione comunitaria, l'applicabilità del principio di precauzione anche
alla tutela della salute oltre che a quella dell'ambiente. Tale principio asserisce che non si devono
aspettare le prove definitive del danno provocato alla salute da un pesticida
perché potrebbe essere troppo tardi. Bisogna agire prima. Il principio di
precauzione quindi indica chiaramente che chi ha la responsabilità della tutela
della salute dei cittadini e in primo luogo il Sindaco in quanto ufficiale
sanitario (Legge 23 dicembre 1978 n. 833 articolo 13) non può esimersi dall'assumere
comportamenti preventivi efficaci a fronte dell'evidenza di contaminazioni. È
nella logica delle cose che di un pesticida si vengono a conoscere gli effetti
nocivi solo nel tempo (gli studi sono costosi e richiedono tempo). L'amianto
avrà pur insegnato qualcosa! La
sentenza del TAR di Trento, che
certo non piace alla Coldiretti e a Melinda, richiamato il principio di precauzione, ha
tenuto conto che:
"accreditati riscontri medico-scientifici, come anche
puntualmente indicati nella memoria depositata dall’Amministrazione comunale in
data 22.7.2011, rilevano che
l’esposizione a pesticidi, anche a dosi bassissime, rappresenta un
rischio per la salute umana, in special modo durante le prime fasi della vita,
comportando una documentata associazione a specifiche patologie cancerogene, in
particolare linfomi, mielomi e leucemie".
Il
principio di precauzione applicato in questo contesto ha tanto maggiore valore
quanto più si consideri che, nel caso dell'esposizione ai pesticidi, ci si
trova di fronte ad un cocktail di sostanze sul cui effetto combinato abbiamo
ben poche conoscenze. Cosa succede quando l'organismo è sottoposto a dosi
"ammissibili" di una pluralità di veleni? Ulrich Beck, teorico della
"società del rischio", che a proposito dei livelli
"ammissibili' di contaminazione, ha osservato che tali limiti
sono spesso fissati in maniera del tutto arbitraria. Più in generale la logica
della dose di avvelenamento "sostenibile" è giudicata dall'autorevole
sociologo come il frutto di un'etica biologica di risulta:
"Abbiamo a che fare con l'etica biologica di risulta
della civiltà industriale avanzata, un'etica che rimane caratterizzata da una
sua peculiare negatività. Essa esprime il principio, un tempo del tutto
ovvio, di non avvelenare il prossimo. Per essere più precisi si dovrebbe dire:
il principio di non avvelenare completamente. Infatti essa, per ironia della
sorte, consente proprio quel famoso e controverso "un po’''". [...] In questo senso i valori massimi non
sono altro che linee di ritirata di una civiltà intenta a rifornirsi in
abbondanza di sostanze inquinanti e tossiche. L'esigenza di per sé ovvia di non essere avvelenati viene respinta come utopistica.
Nello stesso tempo, con i valori massimi consentiti quel "po’" di avvelenamento diventa normalità, scompare dietro
essi. (U. Beck. La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci,
Roma, 2000, p. 85.
Quella lotta integrata che non diventa mai bio
Tra i vari argomenti addotti dalla Coldiretti per respingere l'
"allarmismo"
del Comitato uno merita ancora un cenno. La Coldiretti sbandiera come un vanto
il fatto che: "produttori ortofrutticoli trentini hanno adottato la difesa
integrata, come sistema di lotta fitopatologica, dal
1988". Allora è bene ricordare due cosette: la prima che senza la lotta
integrata ("adozione di buona pratica agricola",
"condizionalità") i contributi della PAC si perderebbero e quindi non
è per amore dell'ambiente che si "integra" (ossia si usa un minimo di
lotta biologica); 2) la "lotta integrata" è stata venduta come un
modo per facilitare la transizione dall'era dei pesticidi a quella della lotta
biologica integrale (non "integrata"). Chi scrive si ricorda ancora
di una esercitazione nei meleti della Valtellina nei lontani anni '70 durante
la quale veniva spiegato dai docenti agli studenti che la lotta integrata
(allora una novità) era da considerare come un modo per facilitare la
transizione alla lotta biologica". Dopo quarant'anni siamo allo stesso punto (o quasi).
Dico "o quasi" perché a tante decantate innovazioni tecnologiche
(atomizzatori più efficienti), principi attivi più mirati, il consumo di pesticidi non solo è in calo ma cresce.
Ecco allora che,
forse temendo che gli "allarmismi" sortiscano indesiderati
effetti presso i consumatori, che Melinda
cerca di parare il colpo e dimostra di muoversi finalmente verso il bio (l'Adige del 30 marzo, pag.
41). Lo ha fatto in una conferenza stampa in cui si annunciava l'accordo con il
Gruppo Poli (23 negozi in
Trentino la più grande
impresa privata della provincia) al fine di diffondere la Mela Bio.
peccato che i numeri siano striminziti.
Dallo 0,5% di bio sul totale Melinda (relegato in "corner") si
arriverà in sei anni all'1,5%. Una crescita travolgente non c'è che dire.
Eppure come riconosce Melinda i consumatori chiedono sempre più bio e l'offerta
è scarsa.
Nota- La deriva dei pesticidi consiste nel trasporto delle
goccioline di liquido irrorato per opera le vento la metà circa del
"prodotto fitoiatrico" non raggiunge la vegetazione beraglio e si
diffonde per trasporto passivo veicolata dalle correnti d'aria e raggiunge
direttamente o indirettamente le acque superficiali e le falde acquifere. (torna su)