Il Cuz, più che un piatto a base di carni ovine è una modalità di conservazione (sino a 12 mesi!). A Corteno in valle Camonica si pensa a qualche modalità per tutelarlo e 'brevettarlo', ma intanto incontra un crescente
interesse
anche in ambito provinciale
La riscoperta della cucina pastorale:
il Cuz di Corteno Golgi (Bs)
In considerazione dell'interesse intorno al Cuz con l'amico Enzo Lo Scalzo, da lungo tempo frequentatore di Corteno, abbiamo ritenuto utile riproporre queste sue note di quasi vent'anni orsono. Per parecchi aspetti molto attuali
Non solo “cuz”: anche carni, radici ed erbe... e sole
di Enzo Lo Scalzo
Cucina delle valli di
Corteno (da appunti per Mangiarbere, della Delegazione di Milano Internazionale
della Accademia Italiana della Cucina, ai primi anni ‘90 )
La buona cucina e i vini tipici si propongono ormai
abitualmente come fattore importante per il richiamo del turismo nel
territorio: cosa si sa della cucina cortenese? Quale riflesso può’ avere come
espressione dei valori culturali legati alle tradizioni popolari?
La frase fatta è che le valli di Corteno non abbiano una
cucina caratteristica se si eccettua il “cuz”. E’ bensi vero che nelle tablat o löc (baite) primeggiano formaggi e salami, latte e polenta, ma è
innegabile che il territorio offre ospitalità
ed esperienze di genuinità stupefacente. Dà rià (accudire le mucche due volte al giorno) era pratica delle
donne e dei ragazzi; cagià (cagliare
il latte) era pratica degli uomini per fare casata
o ‘l formai.
Passo di pellegrini, soldati, turisti, il territorio dà
accoglienza da Aprica a Edolo a un traffico rotabile anche alla ricerca di
paesaggi alpini veri e di natura fusa a tradizioni gastronomiche. Titubante
alla (tra l’altro poco diffusa) tipicità del “cuz” e ai suoi sapori naturali,
il turista proveniente dalla vicina Valtellina si ricorda di bresaola, pizzoccheri, polenta taragna,
minestre d’orzo, cucine alla piòta, chisciöi e sciatt, carni di selvatici e di domestici arrosto e in guazzetto.
Seppure in minore misura questo è il mangiare ormai anche
dei camuni, “alti” e “medi”, e si trova
disponibile nella semplice ristorazione delle baite-rifugio orobiche cortenesi, con altre pietanze a diffusione “globalizzata” come...
pizza, spaghetti e qualche risotto, accompagnate da vini sfusi e/o di buona
stirpe.
Di fatto i vini camuni
sono scomparsi da tempo dalla disponibilità commerciale, ma stanno per
rientrare in circuito per effetto di alcune iniziative, soprattutto con vitigni
merlot. Mancano tempietti, stelle,
cappelli di guide titolate, soprattutto perché la maggior parte dei rifugi sono
aperti solo pochi mesi all’anno, con rere proposte dalle ricette della nonna cucinate in paiolo “tarato” a mano sul fumo e
fuoco di frasca... In Aprica, a
monte, tutto questo si trova in genere in edizione riprodotta e fotocopiata! Da
un paio d’anni, il centro commerciale di Edolo ha messo in dovuta esposizione
materia prima e semilavorati per gustare queste antiche formule alimentari
pastorali.
Alcuni supermercatini di San Pietro, l’altra metà della
comunità aprichese, ne fanno un’avvincente proposta accanto a mangiari
valtellinesi.
Per chi proviene da sud, soprattutto dai territori
circostanti la bassa valle e il bergamasco, lo stupore non è cosi netto: le
popolazioni hanno fatto parte per tanti secoli della Serenissima, della
Repubblica Veneta, anche se il territorio a nord di Breno è stato a lungo
considerato di fatto come “territorio di confine”. Della cucina bergamasca
ritroviamo radici di verdure selvatiche, di sedano
dei campi, erba di stregone
(dragoncello), casulotto (formaggette),
basciamella, (besciamella), funghi frari (porcini) e di cucina alla bornìs o bernìs, “cenere che conserva
ancora il calore o che ha ancora un po’ di fuoco”. Alcune case patrizie della
valle hanno imparato le cotture “alla Giannina” di moda nell’Ottocento per
caprioli e cervi; salmì per lepri di montagna, arrosti di “fagiano alla
moderna” e spiedi di cosce di montone (gighò
alla francese, in bergamasco), trasformato in bistecche trasversali alla piota nelle feste popolari cortenesi.
Funghi di casa in conserva (solo porcini e cantarelli),
cipollette e zucchine si allineano sulle mensole di casa. Un tempo si
conservavano anche insalate annuali miste in salamoia, allo stesso modo d’uso
nella conservazione cinese e coreana in analoghe latitudini, per un bisogno
quotidiano di vitamine durante l’inverno, da consumare in occasione di merende
al caldo della “stua”.
Tanta polenta, ma
anche erbe e radici
Per la delizia dei palati dei turisti più coraggiosi ci sono
incontri di ricerca ancora fruttuosa di un’alimentazione da frugifero, "mangiatore di frutta",
di bacche, di virgulti, di radici.
Radici di Genziana, Cynara,
Chicorium buone e toniche; germogli
di asparagi selvatici, di Rumex, di Carlina acaulis, fiori come i bucaneve, le primule; ciuffetti di Taraxacum,
denti di leone... Funghi.
E’ un mondo di gnomi e di fate, da giardino del Paradiso...
da “sortilegio”. Un mondo che richiama
episodi biblici e gusti naturalmente curiosi chiamati con nomi poco diffusi: redit (radicchio), schlizega (schiopettini) e latughe
(lattughe di roccia) per le insalatine di campo; timo serpilo (timo), menta
e carè (cumino dei prati) per le erbe
aromatiche per fare grappa e tortel; farinei , pa’ del cucû (acetosella) e erba
di San Giovanni per fare frittate; zaresgiöl
(uva di monte), ribes, mirtilli e varieta’ di fragole per
addolcire la bocca con rinfrescanti frutti e succhi agrodolci selvatici...
E finalmente il“cuz’.....
Appena arrivato a Galleno
(da Morbegno all’Aprica nel ‘74 e da Aprica alla valle Camuna nel ‘83) ho
incontrato la sorpresa del “cuz”, tradizione che resta da millenni nelle valli cortenesi legata alla sua pecora e alla vita di fuga della gente
nelle famose “buche” (grotte naturali e adattate a rifugi di sopravvivenza).
Appassionato di storia dell’uomo, ho avuto subito in regalo la copia di una
ricerca che le classi del maestro Pellegrini della scuola elementare di Galleno
avevano fatto con i ragazzi. Tra le
“tradizioni alimentari” si legge che al
tempo del nonno il pranzo principale si consumava al mattino. Il piatto era
fisso: polenta con formaggio e latte;
qualche volta con cotechini di
maiale. A mezzogiorno un po’ di pane e
formaggio, o anche pane senza companatico. Alla sera la minestra. Abitudine dettata dalle
fatiche del lavoro di campagna. E
aggiungo, anche del lavoro del muratore, mestiere largamente diffuso
soprattutto a Galleno.
La pecora -
raccontano i ragazzi - è un animale che non presenta grosse difficoltà per il
suo allevamento ed è molto diffusa a monte. Le famiglie numerose d’un tempo
macellavano più capi insieme e cucinavano la carne, tagliata a pezzetti in un
grande paiolo. La carne cotta
lungamente e con pazienza a fuoco dolce, dopo la mangiata di festa veniva
riposta per la conservazione in recipienti di terracotta, salata e conservata
nelle cantine. Questa conservazione permetteva una alimentazione ricca in
proteine animali anche nei periodi di fuga nelle “buche”. A casa serviva per
condire la minestra e, a colazione,
da portarsi in cantiere, al lavoro.
Il pane si faceva
a casa: ognuna era provvista di un forno a legna per cuocere il pane. La
famiglia seminava la segale nei
propri campi per il quantitativo di farina che serviva per tutto l’anno.
Il maiale si
allevava altrettanto a casa, con lui si facevano solo salami, salamelle e cotechini
che duravano a lungo nelle cantine, disinfettate per “fumigazione”..
I nonni hanno
ricordato ai ragazzi che una volta gli abitanti del paese vivevano
esclusivamente del cibo prodotto dal proprio lavoro. I fienili occupavano uno
spazio importante nel paese, ancora più importante della stessa abitazione
perché nella casa si raccoglieva tutto il raccolto dei campi e nelle stalle
passavano l’inverno gli animali: buoi, pecore e capre.
Nel cortile si lasciavano a riposo per la stagione di lavoro
i carri. In solaio si mettevano a essiccare i prodotti, tipicamente i foraggi.
Spesso per risparmiare spazio ed energia in un solo stabile abitavano più
famiglie e tutte le case formavano blocchi divisi solo da stretti vicoli. Si
tratta di una situazione urbanistica ancora largamente diffusa nei vecchi villaggi
e paesi della valle. In famiglia di fatto si stava solo in inverno, nei mesi
più rigidi: per il resto dell’anno si andava nelle cascine o “löc”...
Oggi la tradizione del “cuz” ci pare strettamente incrociata
con quella della “pecora a cotturo” di antica tradizione di transumanza (per i
Camuni müda). Ne incontrai la
descrizione nel primo quaderno dell’Accademia Italiana della Cucina dedicato
agli atti del convegno “L’importanza dell’allevamento della pecora attraverso i
secoli e la civiltà dei tratturi”, Manfredonia, 10 marzo 1990. L’Accademia è
alla ricerca di antiche tradizioni da riproporre alla considerazione dell’età post nucleare .
Non mi dilungo a raccontarvi di più in quanto sia mio
desiderio convincere gli operatori locali (pubblici e privati) a una gara
conviviale tra Nord e Sud, tra Corteno
e Potenza. Ciascuna con le sue
pecore, con i suoi paioli, con la sua tradizione. O prima o dopo mi riuscirà di
convincere i sindaci o chi per loro a diffondere la conoscenza del “cuz” e del
“cotturo” al resto del mondo con un’eco più favorevole alla carne di pecora!
Essa in Italia rischia di passare - dopo gli onori del medio evo e del
rinascimento - all’oblio limbico...!
Eppure per razza e potenzialità gustativa le pecore nostrane
non temono nemmeno la rivalità dei famosi près
salés (agnelli e pecore dei prati salati, a bordo del mare) di Normandia o quelle delle montagne ricche
di quercia d del versante sud del massiccio francese, le famose pecore e
agnelli di Sisteron.
La ricetta del cuz...
In Accademia ho coordinato l’edizione dei ricettari della
Regione Lombardia che hanno chiuso la collana di ricette raccolte in tutte le
regioni italiane. A fine 2001 la trentina di volumetti in formato tascabile
hanno dato luogo a una prima edizione dei Ricettari
della cucina regionale italiana edita dal Touring
Club Italiano, oggi in seconda edizione in un bellissimo volume che ha
incontrato successo e consenso di lettori. La ricetta è inclusa fin dalla prima
edizione e completa cosi anche l’inserimento che il Comune di Corteno Golgi ha
richiesto alla Regione Lombardia del “cuz” come prodotto alimentare
conservabile, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale...
Dal mio primo incontro l’ho gustato tante volte; ho imitato
i cortenesi proponendolo agli amici
chiamati in valle per festeggiare un anniversario o in altre occasioni. E’
difficile da proporre ai cittadini cosi come viene cucinato tradizionalmente;
richiederebbe forse come tutte le pietanze popolari una rivisitazione da parte
di chef per ripercorrere il successo e la strada
percorsa dai pizzoccheri e dalla polenta taragna.
Il fattore di maggiore importanza è determinato dalle
materie prime: la razza cortenese di
pecora da carne, di taglia piccola, è fondamentale a mio avviso! Sarebbe come confrontare il Bagoss vero dei pascoli di Crocedomini
con un Silter di latteria, magari da
latte di Baviera...
La valle sta rivedendo la propria capacita di proposta a
tavola e alla gastronomia in quanto la sua ricchezza di prodotti genuini
rappresenta un patrimonio da gestire con attenzione e cura. Quello del “cuz”
consente una sfida “biblica” a qualsiasi stracotto di pecora... Ne saremo più
certi dopo l’esito della tenzone con gli amici di Potenza, legati
potenzialmente a doppio filo con Corteno Golgi per la scalata ai rifugi di alta
montagna e per una tradizione rupestre antica come l’uomo.
"Cuz" o
Stracotto di Pecora...
un agnellone intero, da 25-30 kg
1-2 kg di sugna
mazzetto di salvia e rosmarino
E' una tradizione, nella
sua specialità, limitata alle valli di Corteno(1) Golgi, in alta val Camonica,
dove storicamente si è sviluppata una razza di ovini locale, di taglia piccola,
"cortenese", che sta
lentamente degenerando in quanto si incrocia con maschi di razza bergamasca, di
stazza più forte. E' pietanza originata probabilmente tra il 750 e il 1000, in
epoca di occupazione del passo alpino da parte di genti ungare e saracene, ma
pare che entri nell'uso corrente solo alla fine dell'ottocento, per iniziativa
di emigrati albanesi. Di fatto, per la popolazione locale, è ancora il piatto
della festa di famiglia.
L'etimologia risalirebbe
da “huz" (ungherese), o da
“cutsch" o “hus" (slavo), col significato di
carne, condita.
La cottura assomiglia a
quella dell'agnello"a cotturo"
della tradizione di transumanza, eseguita nel paiolo di rame (2). All'agnello
(o pecora, o castrato), tagliato a pezzi, viene normalmente anche aggiunto del
grasso di maiale (3) (servirà per la
conservazione) e viene fatto cuocere nel paiolo a fuoco lentissimo, di legna,
per cinque o sei ore. Il brodo grasso di cottura che si genera mantiene in
umido i pezzi dell'animale, e occorre fare attenzione che tutte le parti
possano cuocere in prossimità della parte inferiore del paiolo, rimestando con
costanza e regolarità.
Viene mangiato in
famiglia e in comunità del territorio di Corteno in tutte le occasioni di
festa; un tempo i pezzi caldi venivano prelevati direttamente dal paiolo e
accompagnati nelle ciotole con ricotta affumicata (oggi con formaggio
Parmigiano grattugiato) e polenta. Le parti restanti vengono separate dal brodo
di cottura, salate e conservate sotto il loro grasso, per esser mangiate
successivamente, a "merenda",(4)
a temperatura ambiente, accompagnate da patate lesse.
(Ricetta di Enzo Lo Scalzo, su documentazione e usi di Galleno di Corteno
Golgi, Val Camonica)
(1) Sono tradizionalmente dedite al pascolo estivo le valli
di Campovecchio e la Val Brandet, in quota attorno ai 1400-2000 metri.
I locali apprezzano le carni particolarmente alla fine del
pascolo estivo, intorno a ottobre-novembre e i “cuz” e tradizionalmente la
pietanza della festa dei morti.
(2) - Si tratta di paioli particolarmente capienti, dello
stesso tipo e dimensione usati per la cagliatura dei formaggi locali denominati
“casatta” e “casalino”.
(3) - Il grasso di maiale e quello più comune. E’ noto che
la rognonata di vitellone sia molto più delicata. A Galleno si aggiungono anche
bacche di ginepro e più raramente un rametto di rosmarino che verrà tolto alla
fine.
(4) La merenda e’ un’usanza di ospitalità alle baite. La
parte centrale dell’invito si concentra nel pranzo di mezzogiorno... a cui
segue una siesta... che si conclude con una merenda a base di salumi, formaggi,
pane, vino a chiusura dell’ospitalità e della cucina di campagna...
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Il sole
Un' amica finlandese un giorno mi promise documenti sulle
feste dell'estate nel nord, col mistero del sole di mezzanotte e delle aurore
boreali. Ama la montagna, le nevi, le radici, i prodotti della natura e ci
potremmo fare raccontare qualche fiabesca rappresentazione. Potrebbe essere la
sorpresa dell'estate, a volte così lenta a manifestarsi in annate ingenerose
nelle prestazioni naturali di cibo: che sia un augurio di amicizia per noi maturi, di fecondità e di speranza
per i giovani, di serenità e saggezza per i più anziani. E che gli dei ci siano
propizi.
Il cibo, le bevande, la competizione sportiva, il Sole
sapranno compiere ancora una volta il miracolo di un momento di serenità, di
festa e di pace nella comunità.
Appunti sulla preparazione e sul 'lessico' del Cuz (estate 2008)
Tecnica tradizionale
La carne di pecora va lasciata frollare per un paio di
giorni, si pone sul fondo del paiolo il grasso triturato.Di tanto in tanto si procede ad agitare il paiolo … oppure a rimestare con legno…Il paiolo con la carne cotta si pone al centro del locale
e i convivianti sono seduti tenendo sulle ginocchia il piatto di polenta…Il sugo che si è formato si chiama "col". Nel sugo
in intinge la polenta con formaggio o "mascherpa"…I pezzetti di pecora cotta si chiamano "roscioi" e
si mangiano dopo il boccone di polenta. La parte di "cuz" rimasta viene conservata in un
mastello di legno chiamato "coviol" e funge da pietanza nei giorni
successivi da mangiarsi fredda con patate calde oppure da buon condimento per
una minestra di erbe…
Cuz delle trippe...
Si prepara senza rognone, fegato.. ma con testa, piedini, budella, stomaco, pelle
bruciacchiata e arrostita parzialmete, ecc.Aromatizato dall’estratto del grasso del cuz di pecora
lasciato depositare... che si chiama salaria, perhe gia salato per la
conservazione dei residui dalla...