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(08.05.11) Il Bitto storico guarda avanti
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Il 25 settembre a Branzi in alta Val Brembana (BG) è stata sancita la nascita di un'inedita forma di valorizzazione delle produzioni casearie:
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(14.03.10) Il Bitto storico a 'Fa la cosa giusta' (Fiera Milano City-Porta Scarampo)
Il Bitto storico è a Milano a 'Fa la cosa giusta', la fiera del consumo solidale e sostenibile. Vi aspettiamo
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(11.01.10) Sarà DOP ma ... non è Bitto
In ossequio al disciplinare della DOP il Bitto DOP dovrebbe essere contrassegnato da una pasta con: 'presenza di occhiatura rada ad occhio di pernice'. Ma l'uso estensivo dei fermenti selezionati
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(29.11.09) Decisi a difendere un diritto storico inalienabile
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(17.11.09) Van de Sfroos ha ignorato l'appello in favore del Bitto storico: qualche considerazione
I produttori del Bitto storico avevano chiesto a Davide Van de Sfroos di dire una parola durante i concerti di Morbegno del 13 e 14. L'appello, che era stato rilanciato anche da Paolo Marchi sulle colonne del Il Giornale, è caduto nel vuoto. Davide di solito sensibile alle cause 'sociali' è stato frenato dai suoi manager
che hanno evidentemente fatto valere considerazioni di realpolitik ovvero di 'sensibilità' per gli interessi politici degli sponsor istituzionali. Il Bitto, si sa, è un argomento scottante.
Intanto i 'trogloditi' e 'ribelli' del Bitto stanno preparando una grande campagna di informazione e di mobilitazione a sostegno del loro leggendario formaggio. Primo appuntamento al Centro del Bitto di Gerola alta sabato 28.
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(15.11.09) Morbegno (So). Parte la campagna per il Bitto storico
In occasione del concerto di Van de Sfroos a Morbegno del 14 novembre ha preso il via (con volantinaggio, cartelli di protesta e la presenza di alcune capre Orobiche di Valgerola) la campagna di informazione e di iniziative culturali e politiche a difesa del Bitto storico che la burocrazia e una certa politica vorrebbero mettere
'fuorilegge'. Pastori, capre, volantini e cartelli di protesta. Intanto si prepara la costituzione di un ampio Comitatoleggi tutto
(11.11.09) Ruralpini si appella a Van de Sfroos per il Bitto storico
Van de Sfroos, il nostro Davide, il cantore ruralpino (la cultura laghée è pastorale, altro che barchette!), l'artista che ha tenuto mitici concerti in alpeggio facendo arrancare i Tir con le scene su per le mulattiere, sarà giusto Venerdì a Morbegno. Dall'Auditorium S.Antonio partirà il nuovo tour 'Van de Sfroos
show' con uno spettacolo che è anche teatrale oltre che musicale. Il tutto anche in nome di quella cultura e identità per la quali si battono i 'ribelli del Bitto' e tutti noi che li sosteniamo. Potevamo perdere l'occasione di chiedere a Davide una testimonianza pro Bitto storico dopo le odiose sanzioni ministeriali che lo hanno colpito? No ovviamente. Allora leggi il testodell'appello e se conosci Davide o qualcuno che gli è vicino fai in modo che lo legga e ci aiuti
(02.11.09) Valtellina (So). Poliziotti del gusto per imporre la burocrazia del gusto. Il Bitto 'storico' è fuorilegge
Il giorno 21, giusto due giorni dopo la conclusione della mostra del Bitto 'ufficiale', funzionari del MIPAAF si sono presentati al 'Centro del Bitto' (presidio Slow Food ed Ecomuseo risconosciuto dalla regione) per notificare due sanzioni (per un max di 60.000 €) per violazioni delle norme
sulla Dop. I produttori 'storici', come è noto, sono usciti dalla Dop per non confondere il prodotto nato nelle loro valli e che essi continuano a produrre in modo tradizionale con il Bitto Dop 'modernizzato' fatto 'per legge' in tutta la Provincia (Foto Cheese Time). leggi
tuttoL'aumento di capitale verrà formalizzato a settembre ma già sin d'ora è possibile versare un anticipo per opzionare azioni della Società valli del Bitto, il braccio commerciale del Consorzio del Bitto storico. É possibile sottoscrivere anche una sola zione del valore di 150 €. Vi spiego perché
farlo. Perché vale la pena fare un investimento etico in una causa cristallina in un prodotto che rappresenta un'economia morale, ecologica storico-identitaria. leggi tutto
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(04.06.11) Può una Dop mettere fuorilegge
la storia e la geografia? Può annullare i diritti collettivi nei confronti del patrimonio di una comunità?
Le ragioni del Bitto storico (in vista di
Cheese)
di Michele Corti
In vista di Cheese 2011 - che vedrà il Bitto storico orobico protagonista - riassumiamo i termini della resistenza dei produttori storici del Bitto
Negli ultimi mesi la vicenda del Bitto è stata caratterizzata da ulteriori tentativi di affossare l'esperienza eroica dei 'ribelli del Bitto'. Una esperienza che rappresenta una spina nel fianco nel sistema agroindustriale valtellinese coagulatisi intorno al Distretto agroalimentare diretto
da Patrizio del Nero, ex sindaco di Albaredo e politico di lungo corso. Del Nero un tempo era un grande sostenitore del Bitto della tradizione, del Bitto delle Valli del Bitto (una è quella di Gerola, l'altra quella di Albaredo). Dopo lo strano 'riavvicinamento' tra Gerola e Albaredo in occasione dell'ultima edizione della Sagra del Bitto (settembre 2010 a Gerola) anche il sindaco di Gerola ha assunto un atteggiamento ostile al Consorzio del Bitto storico e al suo presidente Paolo Ciapparelli (il 'guerriero
del Bitto'). L'ostilità è arrivata ad auspicare che - previa sostituzione di Ciapparelli alla guida del Consorzio - il Consorzio 'ribelle' cali le braghe dopo diciassette anni di lotta e confluisca nel Consorzio ufficiale ormai ingranaggio del Distretto di cui sopra. Tale posizione sarebbe motivata dall'atteggiamento dei produttori ribelli che avrebbero 'guastato la festa' in occasione della Sagra dello scorso settembre quando le istituzioni locali sono rimaste 'spiazzate' dal rifiuto dei caricatori
d'alpe 'ribelli' di salire sul palco e di ritirare, dalle mani del presidente della provincia, i premi a loro tradizionalmente riservati. Ovviamente si da la 'colpa' al solito Ciapparelli che da anni le caste valtellinesi considerano un gran guastafeste e cercano di delegittimare in tutti i modi ('è malato di protagonismo', 'è un pazzo', 'un incompetente venditore di piastrelle', 'è inaffidabile, fa saltare le trattative giocando sempre al rialzo'.
Produttori stufi di fare le comparse e di essere lasciati all'oscuro delle manovre sopra le loro teste
In realtà i produttori erano talmente adirati contro il Sindaco che non avrebbero voluto neppure presenziare alla Sagra e portare il formaggio. E' stato Ciapparelli a fare da 'pompiere' e a convincerli a partecipare per non penalizzare i partecipanti, la comunità di Gerola. Ma perché
i produttori erano adirati? Perché senza comunicare nulla ai produttori e a Ciapparelli era stato combinato il 'volemose bene' con Albaredo con tanto di invito alla Sagra degli assessori comunali e dei due casari-caricatori di Albaredo che, già nell'associazione 'ribelle' Valli del Bitto, nel 2006 erano rimasti nel Consorzio ufficiale preferendo restare allineati con la posizione del proprio comune e del sindaco di allora Patrizio del Nero (il fatto che avessero e tutt'ora abbiano i affitto i due
alpeggi comunali forse ha qualcosa a che fare con questa posizione). Non contenti della 'defezione' rispetto alla battaglia dei 'ribelli' quelli di Albaredo hanno anche voluto sostenere che i due casari erano stati 'cacciati' dall'associazione Valli del Bitto. Con la nascita del 'Centro del Bitto' a Gerola che vedeva - sino a pochi mesi fa - l'impegno concorde di Comune e Associazione Valli del Bitto (oggi Consorzio Bitto storico) quelli di Albaredo non hanno esitato a definire la realizzazione del comune 'rivale'
un Luna Park, una 'cattedrale del deserto'.
Di qui piccate risposte di Fabio Aquistapace, sindaco di Gerola. Con queste premesse era ovvio che i produttori 'ribelli' si sentissero traditi. Tanto più che il venerdì prima della Sagra (che cade di domenica) sulla stampa locale erano usciti articoli in cui Patrizio Del Nero annunciava
la 'pace del Bitto' tra Gerola e Albaredo. A Ciapparelli e a tutti i caricatori-casari del Bitto storico questo annuncio è apparso come una grande e losca manovra alle loro spalle. In seguito Aquistapace ha smentito che l'avvicinamento tra lui e del Nero riguardasse il Bitto ma intanto la fritatat era fatta. In ogni caso è un fatto che Sagra abbia visto la presenza di quelli di Albaredo senza che il sindaco si degnasse di comunicare una sola parola ai 'suoi' produttori di Bitto, quelli che grazie
al loro lavoro (e grazie ai sostegni che la loro causa ha raccolto) fanno parlare di Gerola in Italia e nel mondo. Che ci fosse una pastetta dietro (promesse di finanziamenti per Gerola verosimilmente) o no l'atteggiamento del Sindaco che si atteggia a 'padrone del Bitto' (e che poi accusa Ciapparelli di 'eccessivo protagonismo') non è andato giù ai casari 'storici'. Stanchi anche di fare le comparse, le belle statuine che vanno a ritirare i premi. I tempi sono cambiati e i produttori vogliono essere
protagonisti della loro Sagra, della celebrazione del loro formaggio. Non ne possono più di rappresentanti delle istituzioni che li trattano come pedine. Vogliono essere sul palco e dire la loro.
Il falso 'pacifismo' dell'establishment che mira solo a delegittimare il 'guerriero del Bitto' e i 'ribelli del Bitto'
In ogni caso anche le ultime manovre contro il Consorzio del Bitto storico sono fallite. I rais valtellinesi non si rendono ancora conto fino in fondo che i sostegni che ha il Bitto storico fuori della Valtellina lo rendono 'inaffondabile'. E proveranno ancora a farlo saltare.
Quanto all'affidabilità dei politici e imprenditori che fanno al guerra al Bitto storico (e che rimproverano a Ciapparelli di non essere coerente e affidabile) basti citare alcuni fatti.
Loro vogliono passare per colombe di pace, muniti di santa pazienza, contro quel 'matto' di Ciapparelli ma sono anche i furbetti che parlano di tregue e di accordi mentre:
1) Non hanno dato seguito all'accordo del 1996 sul marchio aggiuntivo Valli del Bitto (siglato da Comunità Montana, Coldiretti, Consorzio ufficiale CTCB se non nel 2003. Una volta siglato l'accordo e riconosciuto il marchio aggiuntivo il CTCB non hanno mai provveduto a comunicare
la cosa al Ministero;
2) Quando nel 2006, dopo alterni pareri, il Ministero dichiarava il marchio aggiuntivo Valli del Bitto 'fuorilegge' e ne diffida dall'uso gli esponenti del Consorzio e dell'establishment si dichiararono soddisfatti per la 'soluzione' che venne raggiunta. Essa consisteva nella sostituzione
del marchio 'fuorilegge' Valli del Bitto controllato dall'Associazione Valli del Bitto (sino allora parte integrante sia pure 'protestataria' del Consorzio 'ufficiale') con la 'facoltà' di imprimere il nome dell'alpeggio sullo scalzo (corona) delle forme prodotte in modo 'tradizionale' (ma senza latte di capra obbligatorio). Tale 'facoltà' era concessa a tutti gli alpeggi della provincia di Sondrio ed era applicata sotto il controllo del Consorzio 'ufficiale'. Una soluzione che - unita al cambiamento
di disciplinare che consentiva ai produttori non 'tradizionali' di usare mangimi e fermenti selezionati - rappresentava la demolizione di tutte le istanze dell'Associazione Valli del Bitto. Mai nei momenti decisivi il Consorzio ufficiale ha fatto presente a Regione e Ministero che le sottodenominazioni e el sottozone nelle Dop casearie esistevano eccome (Grana Padano e Mozzarella). A loro andavano bene le posizioni anti-'storiche' delle Dott.ssa Parma e La Torre che rispettivamente a Milano e Roma hanno trattato
le questioni del Bitto. Solo nel 2010 quando ormai i giochi erano fatti il Consorzio ufficiale con dimostrazione tardiva e ipocrita di 'buona volontà' ha organizzato un incontro con il Consorzio Grana Padano per vedere come funziona una sottodenominazione (Trentingrana)
3) In più riprese le 'colombe' hanno auspicato l'intervento della Repressione frodi contro l'Associazione Valli del Bitto. Nel 2008 in occasione di una delle trattative più importanti della lunga storia della 'guerra del Bitto', il tavolo aperto dall'ass. regionale Ferrazzi,
di fronte al rifiuto di Ciapparelli a cedere su un punto chiave (il controllo da parte dell'Associazione Valli del Bitto del chimerico 'marchio aggiuntivo' o 'sottodenominazione' fu lo steso ass. provinciale Severino de Stefani (riconvermato in carica successivamente) ad auspicare la 'repressione'.
E la 'repressione' arrivò il giorno 20 ottobre 2009 si presentarono al ‘Centro del Bitto’ alcuni funzionari del MIPAAF per notificare alla società che opera la commercializzazione del Bitto ‘storico’ (Valli del Bitto trading) due sanzioni per un massimo di 60.000 € motivate dal mancato
assoggettamento ai controlli previsti per la produzione DOP e dalla usurpazione della denominazione protetta ‘Bitto’. Dopo un ricorso della società una delle sanzioni venne annullata e l'altra ridotta a 3.000 €. Euro che comunque rimarranno nella storia dei prodotti tipici italiani come l'esempio di come le Dop possano rappresentare l'opposto di quelle che la stessa UE proclama essere la finalità della loro istituzione.
"Queste denominazioni e i prodotti che esse proteggono simboleggiano le tradizioni, le culture e i saperi di migliaia di anni" (Pascale Lamy, Commissario Europeo al Commercio, Giugno 2003)
La prima considerazione da fare riguarda lo sfacciato tempismo dell’iniziativa (il 18 si era svolta a Morbegno la mostra del Bitto Dop, ‘ufficiale’ e si volevano evitare spiacevoli scandali), la seconda il carattere di vera e propria svolta che l’azione repressiva del Mipaaf ha impresso alla
‘guerra del Bitto’. Si tratta del noto contenzioso tra i produttori ‘storici’ che operano nell’area di produzione tradizionale del formaggio Bitto, che si trascina da 15 anni. Il motivo è semplice: i produttori storici non accettano che il loro formaggio storico sia posto sullo stesso piano di una versione ‘semplificata’ che per diversi aspetti contraddice un procedimento di lavorazione costante nel tempo e che ha i suoi caposaldi, oltre che nella qualità del latte di bovine alimentate con un sistema
razionale di pascolo turnato senza somministrazione di mangimi, nell’immediata lavorazione del latte a caldo, nell’aggiunta del latte di capra, nella lentezza e accuratezza della lavorazione (che richiede sino a 4 ore).
La notizia delle sanzioni contro il Bitto ‘storico’ venne resa pubblica solo il 1° novembre attraverso un articolo su ‘La Stampa’ di Roberto Burdese, presidente di Slow Food che si schiera senza se e senza a tutela del Bitto ‘storico’ (presidio Slow Food). L’uscita della notizia ha infatti seguito
importanti riunioni nelle quali gli attori interessati hanno messo concordato la strategia di reazione, strategia che verrà resa pubblica nei prossimi giorni. Ricordiamo che il Bitto ‘storico’ rappresenta una realtà con diversi protagonisti oltre alla società Valli del Bitto trading spa e, ovviamente, i 14 alpeggi 'ribelli': il Presidio Slow Food, il Comitato sostegno Bitto storico.
Vi è poi il ruolo di una più ampia rete si simpatia e solidarietà che ha già avuto modo di manifestarsi da tempo, specie da quanto, alla fine del 2008, Ruralpini lanciava la campagna a sostegno del Bitto storico con la petizione on-line che ha raccolto oltre 3.600
firme e numerose altre iniziative (il 'treno del Bitto', le tante serate con protagonista il Bitto in locali prestigiosi, la 'causa' su Facebook 'Salviamo il Bitto della tradizione' arrivata a 1.500 membri. Il tentativo di colpire l’anello commerciale del ‘sistema Bitto storico’ attraverso lo strumento delle sanzioni economiche non tiene conto del fatto che la il fronte dei sostenitori del Bitto storico è pronto a giocare la partita su tutti i piani: legale, mediatico, politico non certo chiudendosi in
difesa. La 'memoria' presentata alla Commissione Europea, che riprendeva le questioni dei mangimi e dei fermenti quali elementi suscettibili di modificare l'identità del prodotto e di rottura del presupposto di un metodo di fabbricazione costante è stata surrettiziamente respinta perché 'fuori tempo massimo'. Surrettiziamente perché era chiaro che non si trattava di un ricorso (che avrebbe essere presentato nei termini del periodo in cui era il Ministero, ovvero l'autorità nazionale,
a doversi esprimere) ma di una memoria con la quale si sottoponeva alla Commissione affinché la valutasse autonomamente alla luce delle norme che regolano le Dop. Purtroppo ai tempi della contestazione del 'nuovo disciplinare' i nostri 'guerrieri del Bitto' non erano ancora addentro in certi meccanismi e pensavano in buona fede che le opposizioni verbali e scritte presentate fossero sufficienti. Serviva invece un atto formale di opposizione. Ma la falsità storica' su cui poggia la Dop e la grossolanità
delle modifiche al metodo di produzione tradizionale sono tanto smaccate che lasciano la possibilità di ulteriori percorsi legali (una volta assicurato un robusto sostegno economico all'intrapresa delle nuove battaglie legali).
Intanto, tra il 2010 e il 2011, prima il Centro del Bitto (la casera di stagionatura del Bitto storico) poi alcuni singoli produttori hanno chiesto all'Ente di certificazione (CSQA) di effettuare i controlli per il marchio Dop. Ciò non significa affatto un rientro nel Consorzio ufficiale
(come qualcuno spera) ma, anzi, l'affermazione della volontà di portare avanti la battaglia anche all'interno di una Dop che pure i produttori 'ribelli' disconoscono. Sia per evitare nuove sanzioni sia per predisporre le condizioni per nuove azioni legali. La provocazione dell'uscita da una Dop sia pure contestata è servita a fare se ce ne fosse bisogno chiarezza su un Bitto 'allargato' e 'modernizzato' che ha l'arroganza di 'abrogare' il Bitto autentico di tradizione millenaria. Ora si volta pagina.
Una spa più etica di tante Onlus espressione della responsabilità sociale degli imprenditori e del desiderio di ‘supplire’ all’assenza delle istituzioni
E’ bene precisare che la società che commercializza il Bitto ‘storico’ ha la sola finalità di sostenere la produzione dei 16 alpeggi aderenti all’Associazione Valli del Bitto e riconosciuto quale Presidio da Slow Food. La società – che opera in stretta collaborazione con i produttori
e con Slow Food - acquista il Bitto ad un prezzo politico concordato di ben 15-16 € al kg pagati al produttore per il prodotto fresco. Essa, per poter valorizzare il prodotto, gestisce la casera del ‘Centro del Bitto’ per la quale sono stati versati al Comune di Gerola alta (proprietario dell’immobile) 300.000 € a titolo di versamento anticipato dei canoni di affitto. Con queste premesse è evidente che la società ‘Bitto trading’ è l’espressione di una vera e propria rete di solidarietà
che si è concretizzata in un concreto sostegno alla causa del Bitto storico da parte di alcuni imprenditori e professionisti locali e non (quarantatrè soci in tutto) che hanno rischiato (e rischiano) di tasca propria. Molti, altrove, parlano di ‘responsabilità sociale’ dell’impresa qui, nella migliore tradizione lombarda, la si pratica senza tante parole. Gli imprenditori locali che sostengono il Bitto ‘storico’ – svolgendo un ruolo di ‘supplenza’ si sono di fatto sostituiti alle istituzioni
locali (in buona misura latitanti) per non disperdere un patrimonio del territorio che, altrove, sarebbe da tempo stato il fulcro di una forte strategia di marketing territoriale (non a caso – riferendosi espressamente al Bitto delle Valli del Bitto – il compianto Luigi Veronelli – si chiedeva cosa avrebbero fatto i francesi ‘se avessero il Bitto’).
Va notato che al ‘Centro del Bitto’, oggi luogo fisico e simbolico al centro della ‘guerra del Bitto’ è stata contestata la sua stessa denominazione. Qualcuno, con sarcasmo, ha osservato che per far contenti ‘quelli del Ministero’ si dovrebbe anche deviare il corso del fiume Bitto che scorre
sotto la casera (giusto per togliere ogni pretesto) o persino cambiarne il nome. Forse bisognerebbe anche imporre al comune di Gerola alta di cambiare denominazione alla ‘Via Bitto’ e, chissà, magari anche ingiungere di cambiare cognome – pena sanzioni per uso abusivo di denominazione tutelata dalla Dop – a chi porta il cognome Bitto (non sono pochi e qualcuno è abbastanza famoso). Giusto nel caso che a qualche Sig. Bitto frulli per la testa di darsi alla ceseificazione e di ‘piantar grane’. Per
tagliare la testa al toro sarebbe il caso anche di cancellare dalle carte geografiche il toponimi ‘galeotti’ Valle/Valli del Bitto.
Per tali zelanti ‘protettori’ , però, non sarebbe ancora finita. Bisognerebbe oscurare migliaia e migliaia di pagine internet, e accendere innumerevoli pire per bruciare svariate tonnellate di libri, articoli di riviste, giornali che fanno riferimento alle famigerate ‘Valli del Bitto’ indicandole
come ‘luogo di origine e di elezione’ del formaggio Bitto. Le ‘carte’ da bruciare sono tante anche perché è da almeno 5 secoli che si parla di ‘formaggio della Valle del Bitto’.
Basterà a sradicare di qui al prossimo secolo la memoria storica di un impudente ‘Bitto storico’. Riuscirà la Dop dopo questa immane azione censoria a far dimenticare il proprio vizio di origine? Chissà? Nella storia alcuni regimi e tirannie hanno provato a cancellare la storia
e la geografia, qualcuno ci è persino riuscito.
Le bugie hanno le gambe corte
Non crediamo, però, che il tentativo dei ‘protettori’ della Dop possa spingersi tanto avanti. Tentano di scrivere retroattivamente la storia e di oscurare la geografia ma l’opera di cancellazione, come abbiamo visto, è improba. E con i regolamenti a tutela della Dop si possono comminare
pesanti sanzioni, persino sequestrare materiali e prodotti ma non ce la si fa cambiare le carte geografiche, a bruciare i libri, a distruggere i documenti storici.
Tra l’altro bisognerebbe bruciare anche i volumi editi dal Ministero e dalla Regione Lombardia pochi anni prima del riconoscimento della Dop che asserivano come il Bitto derivasse solo dalle vallate orobiche. In particolare bisognerebbe bruciare il volume dedito da Ersaf (Ente regionale per i servizi
agricoli e forestali) ala fine del 2009 con il titolo ‘Il formaggio Val del Bitt’ dove si ricostruisce minuziosamente la storia del Bitto chiarendo che è dal 1500 che è noto è apprezzato il formaggio ‘della Valle del Bitto’ e come l’area di produzione sia rimasta sino agli anni ’80 quella delle valli del Bitto e limitrofe. Non è finita. Come la mettiamo con la Camera di Commercio di Sondrio che dal 1983 al riconoscimento della Dop ha marchiato ‘Bitto valtellina’ solo il formaggio grasso
d’alpe proveniente dagli alpeggi della Comunità Montana di Morbegno e da quelli di alcuni comuni della Comunità Montana di Sondrio (di fatto un’area di poco più ampia di quella storica)? Fuori dall’area ristretta indicata:
‘I formaggi stagionati prodotti negli alpeggi siti fuori della zona del Bitto vengono genericamente denominati «Valtellina d’Alpe». Più che indicare un prodotto dalle caratteristiche ben definite, il termine comprende un insieme di tipi di formaggi […]’ [1]
La guerra contro il Bitto ‘storico’ sconta anche un’altra serie di aspetti paradossali per poter essere condotta ‘fino in fondo’. Il ‘Centro del Bitto’ è casera di stagionatura ma è, al tempo stesso, sede dell’Associazione Produttori Valli del Bitto (ora Consorzio salvaguardia Bitto
storico) e del Presidio ‘Bitto Valli del Bitto’ di Slow Food. Tale presidio, come tutti i presidi Slow Food, è sostenuto dal MIPAAF. Il ‘Centro del Bitto’ in quanto luogo di stagionatura del Bitto ‘storico’ è parte integrante e sede dell’Ecomuseo della Valgerola, un ente culturale che fa capo al Comune di Gerla Alta e che è riconosciuto dalla Regione Lombardia. Difficile liquidare la questione del ‘Bitto storico’ come faccenda da ‘talebani del gusto’, ‘bastian contrari’, ‘smania di protagonismo’
(con riferimento al presidente dell’Associazione, Paolo Ciapparelli). Difficile anche per il Comune di Gerola, ora che gli equilibri politici in Comunità Montana, l'hanno riavvicinato a quello di Albaredo, fare a guerra al Bitto storico che si identifica, piaccia o no, con Paolo Ciapparelli e con 14 produttori che ne condividono pienamente la linea.
C’è un paradosso ancora più di fondo
Nel caso del formaggio Bitto si assiste al paradosso di una Dop che tutela dal prodotto realizzato nell’area storica di produzione e con i metodi tradizionali una produzione ‘similare’ realizzata in un’area geografica molto allargata e con metodi di produzione ‘faciliati’ (integrazione dell’alimentazione
al pascolo con mangimi per aumentare la produzione di latte, aggiunta di fermenti selezionati al latte per ‘pilotare’ i processi fermentativi e ‘facilitare’ la lavorazione casearia, utilizzo facoltativo dell’aggiunta del latte di capra che esonera dal mantenimento di un gregge di capre da latte in alpeggio).
Il sistema delle Dop è – almeno in teoria - finalizzato a proteggere le denominazioni di origine da imitazioni e usurpazioni, nel caso più comune si tratta di scoraggiare le ‘taroccature’ ovvero la diffusione di prodotti realizzati al di fuori dall’area di produzione, utilizzando materie
prime e metodi tali da ridurre i costi di produzione rispetto al prodotto originale operando una concorrenza sleale. Il tutto per consentire ai produttori di mantenere metodiche leali e costanti e garantire un risultato qualitativo elevato al riparo di una concorrenza che frustrerebbe lo ‘sforzo produttivo’ elevato richiesto per mantenere tutto ciò. Alla base del ruolo di garanzia assunto dall’Unione Europea con l’istituzione delle denominazione protette non vi è solo l’esigenza di tutelare una
generica qualità. Con le DO è in gioco quella qualità specifica che deriva da un riconosciuto legame tra il territorio (con le sue determinanti ambientali e culturali) e il prodotto. Le DO rispondono all’esigenza strategica di promuovere lo sviluppo rurale sottraendo in particolare le aree svantaggiate da una concorrenza perdente in partenza con le produzioni agroindustriali. La tutela del prodotti tipici, di cui le DO rappresentano un aspetto importante, è pensata quale ‘moltiplicatore
economico’. A differenza del prodotto agroindustriale che non genera valore aggiunto (la trasformazione, distribuzione, commercializzazione avvengono altrove), il prodotto tipico può generare un volano positivo per l’economia rurale di aree geografiche svantaggiate in quanto coinvolgono una comunità locale che comprende sì dei produttori ma inseriti in una filiera territoriale (che non è solo agroalimentare, ma anche turistico-culturale e turistico-gastronomica).
La gestione del Consorzio e le recenti modifiche del disciplinare hanno rafforzato la volontà dei produttori storici di non confondersi con il Bitto 'generico'
Consentire che la Dop venga utilizzata come strumento contro i produttori dell’area storica rappresenta la negazione dello spirito della DO che sono state pensate quali strumenti di protezione, tutela e promozione di diritti comunitari collettivi in opposizione a diritti privati monopolistici. Se
il Bitto storico è il prodotto di una comunità locale che è stata in grado di rinnovare e attualizzare i nessi tra prodotto e territorio. Il Bitto Dop 'generico', invece, è inserito in un ben diverso contesto. 80 produttori di Bitto Dop 'generico' sono inseriti in un sistema (Consorzio Tutela Bitto e Casera) che - come espressamente dichiarato dai suoi responsabili - ha la finalità di tutelare i ‘formaggi tipici’ valtellinesi e valchiavennaschi nel loro insieme tanto è
vero che si sarebbe voluto comprendere anche lo Scimudin nel ‘paniere’ (ma il Mistero ha stoppato un consorzio trinitario, due formaggi bastano e avanzano). I produttori di Bitto Dop 'generico' sono ‘annegati’ nel più vasto numero di soci conferenti il latte alle Coop che producono Valtellina Casera Dop (300.000 forme all’anno versus le 20.000 di Bitto Dop 'generico'). I produttori di Bitto Dop 'generico' oltre che minoranza sono anche spesso in posizione subordinata alle grandi latterie cooperative e
agli stagionatori dal momento che essi durante l’inverno consegnano il latte alle coop stesse. Di fatto il CTCB è gestito dai manager delle latterie e dagli amministratori delle coop (grossi allevatori che spesso traggono il loro prestigio e influenza in quanto imprenditori in settori extra-agricoli).
Il Bitto Dop 'generico' è del tutto estraneo ad una comunità di produttori ed anche ad una comunità economica locale ed a strategie di filiere e marketing territoriale
La strategia delle latterie e del CTCB guarda alla GDO, alle esportazioni, ragiona in termini industriali.Nello specifico va poi ricordato che l’uscita dei produttori storici dalla Dop è avvenuta dopo l’approvazione
(in sede nazionale, per ora) delle modifiche di un disciplinare che già in origine si distaccava dalla tradizione consolidata di produzione del Bitto. Le modifiche, contestano i produttori storici, vanno nel senso della ulteriore ‘facilitazione’ della produzione del Bitto Dop. Per loro non sono giustificabili in quanto non contribuiscono all’aumento della sicurezza del prodotto, ovvero delle sue caratteristiche organolettiche legate al territorio. L’impiego dei mangimi (3 kg di sostanza secca di mais non
sono ‘una brancata’!) comunque lo si valuti riduce il legame con il territorio (diminuendo l’apporto assoluto o comunque relativo di erba di pascolo).
Le modifiche al disciplinare rappresentano un regresso, possono modificare in peggio la qualità, compromettono i pascoli e non possono essere giustificate
Non sono modifiche neppure giustificabili con il ‘progresso tecnico’ dal momento che la ‘selezione genetica’ addotta come motivo che imporrebbe un ‘aiuto alimentare’ alle bovine per non ‘compromettere’ il benessere è ormai riconosciuta quale fattore negativo e di ‘regresso’. Se il Panel degli
esperti chiamati a fornire all’Efsa un parere sul benessere delle vacche da latte ha concluso che, a causa della selezione per l’aumento della produzione di latte, le bovine soffrono per una condizione di insufficiente benessere e salute a maggior ragione ciò dovrebbe indurre a valutare con severità la politica di introduzione in montagna di bovine di razze selezionate specializzate per elevate produzioni di latte. Oggi moltissimi allevatori che intendono praticare l’alpeggio stanno cambiando razza
introducendo la Pezzata Rossa o anche razze più rustiche attraverso incroci o acquisto di animali in purezza. La soluzione della ‘integrazione’ con il mangime si è dimostrata fallimentare dal momento che tale pratica non risolve il difficile adattamento delle vacche super selezionate all’ambiente dell’alpeggio (con conseguente stress) ed è causa di ulteriore degrado dei pascoli alpini dal momento che con l’introduzione dei mangimi e dei carri di mungitura meccanica si tendono ad utilizzare
solo i pascoli più comodi dove si concentrano le deiezioni degli animali: là avanzano gli arbusti, qui l’eutrofizzazione e il grave degrado per diffusione di flora ammoniacale.
Sulla qualità del formaggio basti dire che in uno studio recente di Fausto Gusmeroli (ricercatore della Fondazione Fojanini di Sondrio) si è dimostrato che i panel di assaggiatori ufficiali impegnati nella Mostra (ufficiale) del Bitto Dop 'generico' assegnano per alcuni parametri che
definiscono la qualità organolettica del formaggio punteggi inferiori (anche dal punto di vista della significatività statistica) alle forme ottenute con l'utilizzo di mangimi rispetto a quelle ottenute dal latte di vacche a 'solo pascolo'. Notare che Gusmeroli non è un 'talebano del Bitto storico' ma uno degli esperti che aveva avallato nel 2005 la richiesta di inserire nel disciplinare la possibilità di utilizzare sino a 3 kg (di sostanza secca) per vacca e per giorno di alimenti
concentrati extra-pascolo (cereali, soia, melasso).
Si può concludere che le modifiche introdotte nel disciplinare del Bitto Dop rispondono ad una logica produttivista (propria dei soggetti industriali che gestiscono il CTCB) che va a scapito della qualità, della tradizione e dello stesso ambiente e che quindi non può ritenersi
compatibile con il Regolamento 510/06 CE. Sono queste le ragioni per cui i produttori storici erano usciti dalla Dop.
Prodotto storico e patrimonio di una comunità territorialmente identificata e definita da relazioni funzionali tra molte figure (proprietari del bestiame, caricatori d’alpe, casari, stagionatori, commercianti) che hanno in passato costituito la ‘comunità di pratica del Bitto’ il sistema
Bitto – come quello di altri prodotti fortemente radicati nella storia e nel genius loci locale – questo patrimonio non avrebbe senso e non potrebbe essere ‘messo a frutto’ e rivendicato quale proprio al di fuori di un contesto di una comunità locale consapevole del valore di questo bene e desiderosa di metterlo a frutto. Oggi alle figure tradizionali della ‘comunità di pratica’ si sono aggiunti altri attori locali a testimonianza di una straordinaria vitalità e continuità della ‘civiltà
del Bitto’. La Società valli del Bitto trading e il Comitato sostegno Bitto storico (che si sta formalizzando in un'associazione) rappresentano due aspetti, uno sul piano culturale, l’altro su quello economico-commerciale di ‘attivazione comunitaria’ intorno al Bitto che viene visto da alcuni esponenti delle comunità locale appartenenti alla 'società civile', ma anche da tanti supporter vicini e lontani, come opportunità unica e preziosa di ‘economia identitaria’.
Il formaggio Bitto storico è patrimonio collettivo secolare di una comunità territoriale che può dimostrare di aver operato per mantenere vivo questo patrimonio e di essere consapevole del suo valore e della necessità di difenderlo. Si merita i suoi piccoli trionfi,
La tutela di questo patrimonio rimanda a diritti fondamentali del tutto analoghi a quelli che vengono rivendicati dai ‘popoli indigeni’ o altre comunità e che non possono essere usurpati da una regolazione burocratica quale quella della Dop la cui ratio, come abbiamo visto, è la protezione
dei prodotti tipici dalla concorrenza sleale di imitazioni realizzate al di fuori del tradizionale areale di produzione con metodi semplificati e a costi ridotti e non certo l’esproprio di diritti collettivi legati alla storia, alle tradizioni, alle pratiche culturali che si esprimono in una produzione ‘tipica’.
Una Dop può riscrivere la storia e le tradizioni locali?
Nei materiali editi dal Consorzio i riferimenti alla storia e all’area di produzione del Bitto sono sempre stati i più vaghi possibile tradendo un evidente imbarazzo derivante da una ‘questione’ irrisolta e . Gina Ponciani nel suo studio linguistico sul ‘caso Bitto’[2] osserva come nel sito del Consorzio i testi riguardanti il formaggio Bitto sono molto concisi; il background ‘storico’ rimanda alla presunta derivazione dall’etimo ‘Bitto’ da ricondurre al celtico ‘Bitu’ con significato di ‘perenne’. Il contenuto del sito è ancora tale: i riferimenti sono all’alpeggio, ai profumi, alla natura; l’unico riferimento storico-culturale al di là di quello alla
‘antica tecnica di lavorazione’ è sempre e solo quello ai Celti mentre la provenienza del prodotto è definita asetticamente ‘dagli alpeggi della Provincia di Sondrio e dei comuni limitrofi dell'Alta Valle Brembana’. E’ evidente che il Consorzio desidera mantenere quanto più possibile nel vago e in lontananza l’origine storico-geografica (Ai Celti si fanno risalire l'antica tecnica di lavorazione e il nome Bitto 'Bitu' che significa perenne). Un Bitto destoricizzato e delocalizzato quindi
per togliersi l’imbarazzo di un approfondimento che solleverebbe troppe questioni. E’ l’unico caso di un formaggio che potendo disporre di una numerosa documentazione (carta canta!) che ne traccia la storia e ne attesti l’utilizzo della denominazione di origine da 5 secoli preferisce, come tanti prodotti che tale storia non possono vantare, rimandare alla vaghezza di un passato ‘immemorabile’. Ergo c’è qualcosa di storto.
La Ponciani confronta due brochure edite nel 2002 nell’ambito del progetto ‘Valtellinaestero’ finalizzato a promuovere all’estero la Bresaola i vini Doc e il Bitto. E’ significativo che delle due brochure realizzate nell’ambito dell’iniziativa una, senza il logo del Consorzio, ma comunque ‘ufficiale’
intitolata ‘A taste of Valtellina’ rimarca il legame tra le Valli del Bitto e il Bitto stesso nel mentre l’altra, recante il logo del Consorzio, non si fa riferimento alle Valli del Bitto ma solo … ai Celti. La storia del ‘Bitu’ è funzionale a far dimenticare quel ‘maledetto’ fiume e ancor più quella stramaledetta valle con lo stesso nome.
E’ evidente che sono contraddizioni difficili da gestire quelle che il Consorzio e il Ministero, i ‘protettori’ della Dop e le latterie industriali si sono trovate ad affrontare. La Dop è per definizione una denominazione di origine che fa riferimento alla geografia. Normalmente la Dop si
identifica con il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare - originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e - la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell'area geografica delimitata. C’è il Parmigiano-Reggiano,
il Ragusano, l’Asiago, il Bra. Se il nome fa riferimento ad una caratteristica del prodotto o a qualche elemento legato alla tecnica di produzione (attrezzi, siti di maturazione) si aggiunge la provenienza in forma aggettivale o meno: Grana ‘Padano’, Prosciutto di Parma. La Fontina non è definita ‘della Val d’Aosta’ perché riconosciuta e protetta molto prima delle Dop. Ma il Bitto cos’è? Da una parte è il vecchio ‘formaggio della Valle del Bitto o ‘del Bitto’ con riferimento al fiume)
che nell’uso è diventato semplicemente ‘Bitto’ ma, fino alla istituzione della Dop, conservando in tutti coloro che vi si riferivano un chiaro riferimento ad una precisa origine geografica, dall’altra è ‘un nome celtico’. La difficoltà di giustificare il legame tra prodotto e origine geografica non potrebbe essere più evidente.
In ogni caso, al di là del Consorzio e della promozione più ‘istituzionale’ nella letteratura specializzata e nei media il legame tra il Bitto e la sua area storica di produzione nelle Valli del Bitto e la sua peculiarità derivante dalla presenza del latte di capra non sono
venute meno. La forzatura operata con la Dop non è ‘passata’ se non in parte con il rischio che la discrasia tra una ‘vulgata ufficiale’ e la narrazione delle fonti accessibili al pubblico di professionisti e appassionati di prodotti tipici determini una grave perdita di credibilità non solo per il Bitto, ma per tutto il sistema delle produzioni tipiche valtellinesi e lombarde (e forse anche per il sistema delle Dop). Un esempio emblematico è rappresentato dall’Accademia della Cucina Italiana
che si fregia dello status paraufficiale di ‘Istituzione Culturale della repubblica Italiana’. Essa ancora nel 2001 continua a citare la Valle del Bitto come prodotto ‘in particolare nella Valle del Bitto’ e a ricordare che, tradizionalm,ente, si aggiungeva il latte di una capra a quello di una mucca:
Formaggi della valtellina e Valchiavenna. Dal luglio 1996 la Denominazione di Origine Protetta è registrata in sede comunitaria con il Regolamento n. 1263/96. Area di produzione: provincia di Sondrio (in particolare la Valle del Bitto con Gerola Alta) nonché alcuni comuni
confinanti dell’alta Val Brembana in provincia di Bergamo. Formaggio a pasta cotta ottenuto dal latte intero di mucca e di capra (tradizionalmente dalla mungitura di una mucca e di una capra, secondo il disciplinare con non più del 10% di latte caprino) (Accademia Italiana della Cucina – Guida ai ristoranti 2001, p. 93)
Il Bitto Dop 'generico' ha già perso la guerra dei media
Di seguito riferiamo alcuni commenti sul tema dei ‘Bitti’ da parte di giornalisti enogastronomici di fama nazionale. Non ci vuole un’analisi linguistica sofisticata per mettere in risalto la netta contrapposizione che questi esperti percepiscono e stabiliscono tra il Bitto Dop e quello delle Valli
del Bitto variamente definito ‘originale’, ‘migliore’, ‘tradizionale’, ‘autentico’, ‘storico’. Se l’efficacia di una Dop deve essere valutata anche sul piano della comunicazione per il Consorzio e il castello burocratico eretto a difesa del Bitto Dop la debacle non potrebbe essere più clamorosa. Chi è chiamato a valutare la vicenda non può esimersi dal considerare come i provvedimenti sanzionatori a carico del Bitto delle Valli del Bitto non possono certo ristabilire quella fiducia nella
DO che è stata pesantemente compromessa dalle modalità con le quali sono stato a suo tempo definiti il disciplinare e l’area di produzione e dalle successive modifiche tendenti ad allontanare ancor più il Bitto Dop dalla tradizione produttiva.
Edoardo Raspelli: ‘Mi piacerebbe che si tornasse al Bitto originale, quello prodotto con più fatica, ma dal sapore inconfondibile’. (Melaverde TV su Rete 4, riferito da la Provincia di Sondrio, 12.09.2004)
Luigi Veronelli: ‘Il Bitto, formaggio delle omonime valli, è prodotto da giugno a settembre, nei calècc, subito dopo la mungitura delle vacche di razza bruna alpina e delle rare ma indispensabili capre orobiche o della Val Gerola, con gli attrezzi d' antan: caldera
in rame, spino e lira in legno. Questo e non altri il Bitto «delle Valli del Bitto»’(Corsera 14.10.2004)
Paolo Marchi: […]il Bitto, un capolavoro assoluto. È prodotto in numero ridicolo, alcune migliaia di forma all’anno, da latte di vacca e latte di capra orobica (è d’obbligo ma non può superare il 20%), formaggio a latte crudo, frutto del pascolo turnato (le bestie
non brucano nello stesso fazzoletto) e del rifiuto di enzimi e mangini esterni. Solo la natura, in feroce polemica e sacrosanta contrapposizione con il disciplinare della Dop, voluto e difeso da un consorzio che certifica un prodotto tra il mediocre e il dignitoso a patto di gustarlo poco stagionato. (Il Giornale 24.07. 2009)
Francesco Arrigoni. ‘In passato il Bitto si produceva solo nelle valli del fiume e in alcuni alpeggi vicini. Nel 1996 c' è stato un colpo di mano ed è nata la Dop Bitto (Denominazione di origine protetta dell' Unione europea) che ha autorizzato la produzione in tutta
la provincia di Sondrio e in alcuni alpeggi della bergamasca. Gli amatori sappiano però che il Bitto migliore è quello marchiato «Valli del Bitto»’ (Corsera 5.10.2003)
Licia Granello ‘i produttori del bitto tradizionale e quelli del Castelmagno d’alpeggio ancora combattono battaglie solitarie contro le nefandezze dell’agroindustria, poco o niente supportati dalle istituzioni (con la solita eccezione di Slow Food). Risultato: insieme a mucche e
capre a bassa resa quantitativa – ma altissima qualitativa! – di latte, rischiamo di far scomparire gli straordinari formaggi prodotti a un passo da Francia, Svizzera, Austria, Slovenia’.(La Repubblica 13.09.2009)
Paolo Marchi:’ Il problema è che se tutte le novità dovessero divenire esecutive, i produttori di Bitto Storico, l’unico per il quale sono giustifica te pazzie, poche centinaia di forme che nascono negli alpeggi in quota delle Valli del Bitto, spaccature laterali
rispetto alla Valtellina, rischiano di non potere più chiamare Bitto il vero Bitto. Sarebbe come se esistesse solo il Balsamico e quello Tradizionale dovesse cercarsi un altro nome per non dare fastidio al caramello della grande industria. Vi immaginate potere chiamare auto la Duna e non la Ferrari? No? Invece sarebbe così’. (Newsletter 252 del 19.02.2009 Identità Golose)
Paolo Marchi: "Il Bitto autentico è rimasto vittima della sua bontà e dell'avidità dell'uomo. Tanto si è fatto a livello politico locale che un brutto giorno tutta la provincia di Sondrio è
diventata luogo di produzione del Bitto, una bestemmia come se la zona vocata per il Culatello di Zibello venisse estesa a Mantova, Piacenza e Cremona con la scusa che tanto è sempre terra padana". Il Giornale 12.11.2009
Francesco Arrigoni: ‘Patto per il Bitto autentico, firmano sedici produttori. [titolo]E' stato un evento storico. Una specie di giuramento di Pontida del formaggio quello fatto ieri ad Albaredo per San Marco, uno dei paesi sopra Morbegno (Sondrio) attraversati dal fiume Bitto. Un
patto sottoscritto dai casari delle Valli del Bitto, cioè da quei sedici alpeggiatori che caricano le malghe della zona storica del Bitto, il più famoso e longevo formaggio delle Alpi. L' Associazione Valli del Bitto è nata in risposta al disciplinare del Bitto a Denominazione di Origine Protetta del 1996, che di fatto ha consentito la produzione del Bitto in tutto il resto della Valtellina’.Corriere della Sera, 22.11.2003
Come può sperare di evitare ulteriori contraccolpi di immagine un Bitto Dop e un sistema di ‘protezione’ che reagisce da ‘poliziotto del gusto’, che fa leva su amministratori locali desiderosi di finanziamenti per isolare i produttori, che dispone dei grandi mezzi dei Distretti agroalimentari,
della Dop, dei finanziamenti regionali per propagandare la sua verità? Di fronte a questo Golia c'è un Davide rappresentato da un manipolo di produttori che si battono in nome dell’autenticità e delle qualità. Dalla sua il Bitto Dop 'generico' non ha neppure le ‘fredde ragioni dell’economia’: i produttori del Bitto Dop 'generico' produrranno molte più forme ma le vendono alla metà del prezzo del Bitto ‘storico’. I giornalisti che hanno espresso giudizi favorevoli sul
Bitto ‘storico’ e poco lusinghieri su quello ‘Dop’ - hanno molti motivi per confermarli e per farlo sapere in giro. E ad essi si aggiungeranno altri giornalisti, scrittori, chef, personaggi pubblici.
La vicenda poi non resterà certo confinata in Valtellina e in Lombardia. E’ anzi probabile che, grazie a Slow Food, abbia una risonanza internazionale. La prossima edizione di Cheese a Bra il 16-19 settembre potrà essere il palcoscenico per un 'salto di qualità'.
Questa storia della ‘polizia del gusto’, che va a punire non già i tanti taroccatori in circolazione ma i ‘puri e duri’ i ‘ribelli del gusto’ rischia di gettare cattiva luce su tutto il sistema delle produzioni alimentari di eccellenza del Made in Italy. Una bella grana che poteva essere
risolta prima se non vi fosse stata molta presunzione e molta arroganza da parte di chi ha sottovalutato le ragioni di quattro ‘trogloditi che si oppongono al progresso’.
[1] F. GUSMEROLI, Tipicità e tecnologia dei prodotti caseari»
in: La Valtellina e i suoi formaggi a cura di F. Gusmeroli e R. Sozzoni, Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1984, p. 58.
[2] G. PONCIANI, Can a geographical indication help rewrite local history
and traditions? The case of Bitto cheese. In: Linguistica e proprietà intellettuale, M.C Jullion (a cura di), F.Angeli, Milano, 2007, pp. 87-100.
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