(04.11.11) Il Bitto storico con le sue tecnologie, le sue innovazioni, la sua esprienza fuori dal comune è stato oggetto ieri di una lezione di 'laboratorio di design' al Politecnico di Milano (sede Bovisa)
di Michele Corti
Nell'ambito di un corso tenuto da Giacomo Mojoli, l'esponente di Slow Food che per primo 'scoprì' i ribelli del Bitto, il 'caso bitto' è stato presentato agli studenti di design. Un'esperienza che varrebbe la pena ripetere anche in altri ambiti accademici
Giovedì 3 novembre presso la facoltà di design del Polimi (Milano Bovisa) il Bitto storico è salito in cattedra. Più concretamente agli studenti del corso "Laboratorio di disegn-concept" sono stati presentati l'esperienza storica di una tradizione produttiva e quella attualissima della 'ribellione contadina postmoderna' che quella ha inteso difendere e valorizzare.
La presentazione è stata affidata a Paolo Ciapparelli (il guerriero del bitto) che ha introdotto la vicenda singolare del Bitto storico, così densa di significati e così anticipatrice di tendenze. Il compito di trasmettere informazioni ma anche suggestioni agli studenti è stato in gran parte affidato però al video realizzato ormai sei anni fa da Slow Food con il titolo "Bitto, formaggio perenne".
Le parole e le immagini hanno portato all'attenzione degli studenti una realtà che pare lontana nel tempo e nello spazio e che invece riassume come in un microcosmo o in un laboratorio sociale tanti aspetti della tarda modernità (comprese le scelte drammatiche in materia di sostenibilità agroalimentare che Piero Sardo a Sondrio a richiamato nella sua conferenza sul Bitto storico il 1° novembre - vai all'articolo).
Ciapparelli ha ricordato come la storia del Bitto storico ruota intorno alla inaspettata e apparentemente disperata ribellione di alcuni produttori, casari, alpeggiatori (e di coloro che li hanno sostenuti intuendo quali valori essi stessero sostenendo).
I ribelli del Bitto (produttori e sostenitori) hanno osato sfidare l'ortodossia del marketing e un intero assetto ideologico, politico, economico nei suoi aspetti agroindustriali, burocratici, istituzionali. Nessuno avrebbe scommesso sull'esito di questa ribellione in quanto giudicata 'roba da trogloditi', lotta contro i mulini a vento, contro il 'progresso'.
Tutto per difendere qualcosa che appare 'imperfetta' agli occhi della cultura dominante, necessaria di innovazionii tecnologiche modernizzatrici ma che agli occhi degli strenui difensori del valore di un prodotto legato ad una precisa origine territoriale e a una storia che si è svolta e sedimentata qui - per via di determinate circostanze e caratteri. E che non poteva svilupparsi altrove.
Giacomo Mojoli, titolare di un modulo del corso (l'altro è tenuto da Giulio Ceppi che ha seguito con interesse la presentazione) ha esordito invitando gli studenti a non lasciarsi distrarre dagli aspetti gastronomici ma a concentrarsi sui suggerimenti progettuali, sul volore della storicità e della solo apparente arcaicità derlla storia dei ribelli del Bitto, sul valore innovativo di questa storia.
Essa, ha continuato Mojoli ci parla di una logica ben precisa del sistema di pascolamento, di un ruolo di una diversa scansione del tempo e di una capacità di adattamento alle 'imperfezioni' di un sistema che è agli antipodi delle logiche industriali, che è in sintonia con esigenze di qualità ma anche di tutela ambientale, di accudimento del territorio. L'attualità tragica di queste lezioni è stata giustamente sottolineata da Moioli.
Agli studenti il docente ha poi indicato delle piste di lettura utili per la loro esercitazione progettuale. Li ha invitati a prendere lezione da un tipo di lettura stimolata dall'esperienza Bitto storico che consente di non fermarsi alle immagini che - se lette in modo superficiale - rimanderebbero alla nostalgia del bel tempo che fu dentro ma a leggere gli aspetti di conflitto e di innovazione di grande valore.
Un esempio lo sgabellino di mungitura, lo scagn, realizzato in fogge che li rendono uno diverso dall'altro. Sono realizzati ancor oggi dagli stessi pastori utilizzando un unico pezzo di legno e proprio per questo sono così imperfetti e diversi - non solo nella decorazione - dovendosi adattare alle caratteristiche del legno. Ascoltando Moioli pensavo che l'associazione tra sgagn e design che può apparire strana in un aula del Poli di Milano ha prodotto in Svizzera una mostra sul Botte-cul (nome dello scagn sugli alpeggi della Svizzera francofona). Partita da Milano al centro svizzero di piazza Cavour nel 2002 la mostra - che comprendeva Botte-cul 'arcaici' e interpretazioni tecnologiche di design - ha poi girato l'Europa ed è approdata anche a New York. Più attenzione che a Milano l'ha ricevuta a Bolzano, proprio alla facoltà di Design e Arti. Povero scagn, ha la colpa di essere nato in un paese dove ciò che sa di rurale (a maggior ragione pastorale) è trattato con sommo disprezzo. Un pregiudizio che è anche chiave di lettura della storia del Bitto storico.
Mojoli ha comunque richiamato l'attenzione anche sul calécc, la mitica 'capanna casearia' del Bitto storico manufatto 'primordiale' e altamente 'imperfetto' (si adatta alla pendenza, alla presenza sul pascolo di massi in funzione di pietre angolari e di componenti del muro a monte incaricato di sopportare la spinta del terreno in ragione della parziale funione di contenimento). Ma anche tassello di un sistema di pascolo altamente sofisticato. Chiamato a presentare il libro "Ribelli del bitto" ho concluso richiamando l'importanza della dialettica arcaicità-innovazione, sottolineando il valore attualissimo delle tecnologie di fine adattamento all'ambiente e del connessi sistemi di saperi 'impliciti'. Ho anche ribatito come l'interpretazione accademica della realtà è spesso inficiata da pesanti filtri ideologici (acuiti dallo 'scientismo' e dalle sue pretese di autoreferenzialità e neutralità). Nel caso del bitto storicoi i 'tecnici' del tutto ignoranti dello spessore delle relazioni sociotecniche sottese al sistema Bitto hanno qualificato come arcaico, bucolico, superato un sistema che si era perfezionato nei secoli sviluppando al massimo le risorse legate al capitale sociale, alla comunità di pratica, alla stessa professionalizzazione spinta dei casari e degli altri attori (commercianti, stagionatoci, proprietari di alpeggi, 'esperti'). Gli ignoranti laureati (i peggiori) hanno assimilato il sistema Bitto a quelle produzioni di mera sussistenza che gli alpigiani realizzavano in altri contesti. Contesti in cui perfezionamenti tecnici e di relazione sociale tra gli attori non avevano alcuna chance di sedimentarsi e di capitalizzarsi in uno straordinario livello di qualità.