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Il lupo può diventare pericoloso quando

l'uomo non fa più paura al lupo

di Michele Corti

 

Il dibattito sulla pericolosità del lupo interessa diversi paesi.  Da parte dei pastori e delle popolazioni rurali viene chiesto di rivedere - in presenza di popolazioni lupine in aumento - lo status di protezione assoluta che anche perché aumenta  le probabilità di situazioni di potenziale pericolo per l'uomo

Il lupo non è 'pericoloso' o 'non pericoloso' in quanto specie con caratteristiche comportamentali ‘fissate’ (geneticamente) una volta per tutte. La pericolosità del lupo per l’uomo dipende da aspetti contingenti (rabbia, estrema deprivazione alimentare) e individuali (aggressività /timidezza superiori/inferiori alla media della popolazione) ma, soprattutto, da aspetti ‘culturali’ . Questi ultimi sono legati a situazioni spazio-temporali che condizionano (per un numero di generazioni lupine più o meno grande) la pericolosità dell’uomo per il lupo e la frequenza di incontri uomo-lupo.

Il Nord-America non fa(ceva) testo

Tra tutti questi fattori vi sono ovviamente delleinterazioni. Le affermazioni circa l’infrequenza di casi di aggressione da parte di lupi cresciuti e vissuti nell’ambiente selvatico ed esenti da rabbia sono condizionate dal peso della letteratura Nord-americana (di certo più ampia che in paesi 'poveri'). Nel Nord-America (dove spesso i lupi sono di taglia elevata) l’infrequenza di attacchi all'uomo – almeno sino ad anni recenti  – è legata all’organizzazione sociale (insediamenti, orientamento delle attività economiche, ‘cultura delle armi da fuoco’). La cultura dei pionieri è cultura di allevatori che, per difendere le proprie mandrie e greggi hanno creato una debita ‘distanza di sicurezza’ tra il raggio dell’allevamento estensivo (rangeland) e i territori popolati dal lupo. Nelle fattorie nord-americane le armi da fuoco erano presenti in abbondanza, per difendersi non solo dai lupi e dalle altre ‘fiere’  ma da banditi, nativi americani. L’atteggiamento dell’autorità rispetto al possesso di armi da parte dei pionieri era ovviamente diverso da quello delle autorità di altre parti del mondo (Europa compresa) che hanno sempre cercato di limitare il possesso di armi da fuoco temendo lo scoppio di violente ribellioni individuali e collettive nel contesto di società maggiormente stratificate. Basti ricordare che nella monarchia assolutistica francese, dove ai contadini era proibito detenere armi, esisteva la louveterie, un corpo armato reale addetto alla caccia al lupo (ma qualcosa di simile, seppure meno organizzato militarmente esisteva anche negli antichi stati italiani). Di certo, però, è più efficace una caccia capillare praticata da pastori e contadini dotati di armi da fuoco di quella esercitata dai cacciatori del Re. La rarefazione dei lupi tra XIX e XX secolo in Italia e altrove è dovuta anche alla maggiore disponibilità di armi da fuoco da parte dei montanari e campagnoli (oltre che alla crescente efficienza delle armi stesse).

A parte la facilità nell'ottenere il porto d'armi è il costo delle armi da fuoco e delle munizioni nel Nord-Americaera, il più basso al mondo specie tenendo conto della capacità di spesa del consumatore americano, che fa la differenza. Fatto sta che questi fattori hanno contribuito a determinare nei lupi nordamericani un timore nei confronti dell’uomo di certo superiore rispetto ai lupi dell'India dove i casi di aggressioni mortali anche a minori sono stati numerosi in anni recenti. La pericolosità del lupo per l’uomo (e dell’uomo per il lupo) varia quindi molto da continente a continente ma varia anche nello stesso continente da epoca ad epoca.

 

Una pericolosità che varia molto nel corso della storia

 

Il lupo in Europa è stato percepito come pericoloso in alcune epoche, ma non in altre. Nell’alto medioevo la paura del lupo era quasi sconosciuta. Paradossalmente la ‘favola di Cappuccetto Rosso’ è relativamente ‘moderna’. É nel basso medioevo, con la riduzione delle aree incolte e forestali disboscate e bonificate che l’ambito dell’ampliamento degli insediamenti agricoli  che l'uomo viene più di frequente a contatto con il lupo e che si diffonde la paura nei suoi confronti veicolata da storie e racconti finalizzati a limitare lesituazioni di pericolo con un comportamento 'prudente'.

La forte pressione antropica esercitata dalle popolazioni rurali e montane nel XIX secolo, unita all’aumento del bestiame e della disponibilità di armi da fuoco efficienti ha spinto il lupo – sotto la spinta di una persecuzione accanita - a rifugiarsi nelle aree più impervie e lontane dai centri abitati ma ha anche sviluppare una forte paura per l’uomo quale necessario requisito per la sopravvivenza. La persecuzione del lupo è stata forte sono agli anni ’70. Poi è stato introdotto lo status di protezione. Il riavvicinamento tra uomini e lupi e la moltiplicazione di incontri più o meno ravvicinati è stato poi determinato dalla riconquista da parte della foresta e dell’incolto degli spazi perduti nei secoli passati. La foresta è arrivata a lambire e a circondare gli abitati, a cingere d’assedio i pascoliresidui.

 

L'assedio del bosco porta i lupi sotto casa

 

Oggi i lupi sono aumentati sotto l’ombrello protettivo di una tutela assoluta che era giustificata quando le popolazioni lupine erano ridotte al lumicino ma che oggi consente loro di aumentare e allargare l' habitat, un habitat che si sovrappone sempre di più ad aree abitate.

Aree dove, però, non c’è più nemmeno un forte presidio di attività agro zootecniche e pastorali che, al di là del quadro legale di protezione della specie, esercitano comunque forme di ‘contrasto’ nei confronti del predatore. In questo contesto le interazioni con il lupo aumenteranno e diminuirà sempre più la paura del lupo nei confronti dell’uomo.

Di qui una situazione di potenziale pericolo i qualora si verifichino le circostanze sopra richiamate (fame, aggressività individuale). Altrove nel tempo (nella Lombardia e nel Piemonte del XVIII secolo) e nello spazio (l'India di oggi) il lupo antropofago rappresenta una realtà. Non lo dicono le favole. Nel caso dell’India lo dicono le cronache, in quello delle nostre regioni quegli storici che si sono presi la briga di studiare gli archivi (e chissà quanti altri casi emergerebbero se fossero condotti studi sistematici). Ma la prova del nove della potenzialità pericolosità del lupo, quando la specie viene sottoposta a eccessiva tutela, viene dal Nord-America dove da quando è protetto (a differenza del ‘parente povero’, il coyote) si sono registrati diversi casi di aggressioni mortali ad umani da parte di esemplari non rabidi. In ultimo vorremmo ricordare che la scarsità di ‘casi documentati’ di attacchi mortali da parte di lupi sani è legata a diverse circostanze che i conservazionisti a volte evitano di citare. Per essere ‘documentati scientificamente’ servono le prove che il lupo fosse sano (difficili da ottenere se la fa franca)e servono testimoni oculari che sottoscrivono una testimonianza scritta.

Non è corretto 'riscrivere' le favole

La favola di ‘Cappuccetto Rosso’ quindi è vera o falsa? Larisposta è: dipende. Dove le popolazioni lupine aumentano, le interazioni con l’uomo (senza conseguenze negative per il lupo) aumentano, le probabilità che sia vera aumentano anch’esse. E’ la politica che si deve prendere la responsabilità di consentire che il livello di pericolo potenziale aumenti. Sapendo che la foglia di fico delle attestazioni dei biologi pronti a giurare e spergiurare che ‘non è pericoloso’ non vale molto e che comunque in materia di pericolosità del lupo (e degli altri grandi carnivori) sono più attendibili gli storici. Anche perché meno coinvolti emotivamente dall’amore per il lupo.

 

                   

 

 

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