(05.01.12) A Gandino (BG), centro industriale della montagna bergamasca, il percorso esemplare del recupero e valorizzazione di quella che per un secolo e mezzo è stata la coltura alimentare principe: il mais (melgòtt) da polenta
di Michele Corti
Il mais "Spinato di Gandino", varietà autoctona fortunosamente recuperata, ha mobilitato la comunità gandinese in un percorso storico-identitario per riscoprire tecniche di coltivazione e di uso alimentare (non solo polenta) del melgone
È notizia di questi giorni che la Commissione per la De.co. (denominazione di origine comunale) di Gandino (BG) ha concesso il marchio per la produzione di farina di mais "Spinato di Gandino Deco" a sei coltivatori (foto a nella colonna a sinistra in alto): Alessandro Bertasa, Giovanni Savoldelli, Guido Castelli, Ivan Moretti, Andrea Nicoli e Clemente Savoldelli. La De.co prevede diversi marchi : per il mais da destinare al mulino, per il mais da seme, per la farina (di "Melgotto") e per il biscotto "Melgotto" di Gandino.
Il tutto sulla base di un disciplinare piuttosto puntuale e rigoroso che stabilisce - come vedremo oltre - le diverse operazioni dalla semina alla produzione della farina. Il tutto per un quantitativo di qualche decina di q.li che fa sorridere chi concepisce l'agricoltura sono come peroduzione di massa ma che dimostra una impostazione seria, di chi vuole valorizzare un patrimonio, per andare lontano. Un po' all'opposto di certe Dop che il patrimonio se lo sono trovato in eredità e che lo sfruttano come una rendita senza guardare al futuro, disperdendolo con disciplinari di produzione che "facilitano" l'applicazione di tecniche omologate sempre più industriali .
Un progetto agriCulturale da manuale
Quello che è degno di apprezzamento nell'operazione "Spinato" è la gradualità e la sistematicità delle azioni intraprese, la loro conseguenzialità, il coinvolgimento di numerosi attori (Comune, Pro loco, Unità di ricerca per la maiscoltura Cra-Mac di Stezzano, scuole, contadini, fornai e pasticcieri, operatori culturali). Il tutto facendo partecipe l'intera comunità anche con varie iniziative divulgative, culturali, gastronomiche. La filiera agro-alimentare costruita mattone su mattone intorno allo "Spinato" presenta concrete ricadute educative, sociali, paesaggistiche, economiche e turistiche per la comunità. In una fase in cui la monocoltura tessile (tappetifici, lanifici, copertifici) perde colpi tutto e appare la disoccupazione ciò ha un valore che va oltre le Deco, i biscotti e le rappresentazioni strapaesane delle trasmissioni televisive (che pure svolgono anche una funzione di utile grancassa). Gandino era famosa in Europa per i suoi lanifici e le sue ricche famiglie che eressero fastosi palazzi come Palazzo Giovanelli. Rimase, però, una terra di pastori transumanti (che fornivano all'industria la materia prima) e di malghesi (altrettanto transumanti). Pastori e malghesi erano, al di là di una retorica distorta, veri e propri imprenditori che maneggiavano somme di denaro, utilizzato per commerciare il bestiame e i suoi prodotti ma anche per operazioni creditizie e altri traffici. Il motore agro-pastorale e quello industriale per secoli furono entrambi importanti e interrelati. Poi l'agricoltura e l'allevamento hanno perso importanza, non si coltiva più nulla e gli stessi alpeggi (a Gandino ve ne sono di belli) sono sotto-utilizzati. Nel terzo millennio ci sarà un riequilibrio (volenti o nolenti).
(a sinistra Palazzo Giovanelli, Foto Michele Corti tratta da M.Corti e G.Foppa. La pecora bergamasca, Provincia di Bergamo 1999)
Il primato della coltivazione del Melgone (già all'inizio del Seicento)
La tradizione vuole che Gandino sia stata la prima località della bergamasca dove venisse coltivato il mais. Proveniva direttamente da Venezia con la quale vi erano rapporti commerciali diretti e molto stretti. Il mais, a differenza della patata, conquistò rapidamente il favore dei contadini tanto che essi cercarono di estenderne la coltura sino all'estremo,sino a dove il clima freddo della montagna costringeva a semine molto tardive che mettevano a rischio la maturazione delle spighe. Utili le osservazion di un agrimensore di Taleggio (altra vallata bergamasca) che ci ha lasciato interessanti e dettagliate osservazioni relative ai primi decenni del XIX secolo (Cenni ed osservazioni sulla Vallata di Taleggio - Manoscritto di Giuseppe Arrigoni, 1823, edito a cura di Arrigo Arrigoni, Stampa Geam, Città di Castello - Pg). Osservava il Locatelli a p. 23:
Questo grano provenutoci dall'America in Italia occupa tutta l'attenzione del Contadino nel coltivarlo, e quasi tutta la piccola estenzione de campi; come dissi, non giunge a godibile maturità, posticipandosi quivi la seminazione di esso mercè la posticipazione della primavera, e dalle continue ripercossioni di arie rigidissime che mantengono freddo questo ambiente per le preaccennate ragioni
Locatelli, a proposito di altri cereali: segale frumento, farro, miglio e panico si chiedeva perché non venissero più coltivati pur risultando più adatti alle condizione di clima e di terreno:
La segale poi è quella specie di grano che meno di tutto coltuvasi quando appunto essa meritarebbe di estenzione ed incoraggiamento negli abitanti, e specialmente di quei circondarj e situazioni più alte e rigide della Vallata; ma la pertinacia de contadini ad onta che quasi mai giunga a maturazione il grano turco in tali circondario; tuttavia li fa persistere in seminarlo: perdendo così il frutto del terreno; le moltiplica fatiche; e l'abbondante concime che esigge sopra gli altri quel vegetabile. Il Farro appena conoscesi da pochi abitanti, e per conseguenza non ne sanno nè la squisitezza nè la agricoltura; Questo dovrebbe occupare dei vasti tratti de campi rispettivi a sussidio di minestre omogenee, e di buon nutrimento: e così il buon Farro, il Pannico, il Miglio dovrebbe sostituirsi nelle citate alpestri situazioni e molto più il formento in primo luogo; ed allora protrebbonsi estendere a limiti dei campi, che ora giacciono a sola disposizione del gambo di Melgone antedetto. (ivi, p. 24)
Grande era la "passione" del contadino bergamasco per il "melgone" (un nome assegnato non tanto per affinità morfologiche al miglio quanto al fatto che il nuovo cereale venne a sostituire il più rustico cereale in molti usi alimentari). Grandi erano le rese in mais se confrontate a quelle degli altri cereali (anche se comportavano pesanti operazioni colturali e abbondante concimazione) ma la sua popolarità era anche legata alla facilità di raccolta manuale, alla conservazione in spighe appese ai grandi loggiati che caratterizzano l'architettura rurale bergamasca. Una componente del successo del mais è senza dubbio legata alla facilità di preparazione della polenta (specie se confrontata al pane) e al suo ottimo gusto. Il nostro palato, ormai abituato ai mais ibridi di grandissima resa, ma meno adatti (anche quando di qualità vitrea) alla preparazione dei una polenta come si deve, ha scordato quel gusto che solo le varietà autoctone di mais conferiscono alla polenta. Il successo dei mais autoctoni (in testa quello di Storo dop) è in larga misura legato a questa riscoperta della "vera polenta". Si può pagare pure il doppio per una farina di qualità tenuto conto che la polenta rimane una preparazione poco costosa. La riscoperta di un gusto che ci si era rassegnati a ritenere perduto rappresenta sicuramente uno dei meccanismi che hanno motivato gli anziani (coltivatori e consumatori) a sostenere il progetto del mais "Spinato". A questo punto, però, prima di tornare all'attualità vale la pena ricordare come è nato il progetto.
Quando gli attori collaborano
Il Comune di Gandino aveva sollecitato l’Istituto di maiscoltura di Stezzano ad analizzare il materiale detenuto dai contadini ed ex-contadini nella speranza di ritrovare la vecchia varietà. Purtroppo il genoma del materiale controllato risultà non interessanti ed in parte molto ibridato. Poi, però, avvenne vennero scoperte delle spighe risalenti a parecchi anni addietro (non è corretto definire "pannocchie" quelle del mais da un punto di vista della nomenclatura botanica) e un vaso di semi dell'anteguerra. I semi germogliarono. Il seme autoctono non "imbastardito" è stato isolato in località Ca’ Parecia, antica cascina vicina al confine con Cazzano S. Andrea, dove viveva la famiglia Savoldelli.
Ultimi contadini furono Giacomo e Andrea Savoldelli, i cui rispettivi figli Giovanni e Bernardo collaborano attivamente al progettoattuale. Il lavoro tecnico-scientifico - sviluppato mediante una convenzione tra il Comune-motore del progetto e il CRA- Unità di ricerca per la Maiscoltura - è consistito nella definizione di protocolli di coltivazione e nell'attività di selezione conservativa che ha consentito di pervenire alla prima produzione del seme di fondazione della varietà autoctona di mais denominata “Spinato di Gandino”. Il progetto è stato curato da Paolo Valoti, un tecnico dell'Unità di ricerca ma anche un appassionato conoscitore ed estimatore della realtà rurale che ha saputo - cosa rara tra i ricercatori condizionati da decenni di cultura agronomica produttivista - armonizzare i diversi aspetti tecnici e socio-culturali. Valoti, referente scientifico del progetto, è un po' il papà dello Spinato senza dimenticare altri padri (gli amministratori che hanno creduto nel progetto, i contadini che si sono tramandati le sementi e segnatamente Antonio Rottigni, presidente della commissione De.co e il "custode del seme" Giovanni Savoldelli.
Caratteristiche e tecniche di coltivazione
Le caratteristiche dello Spinato di Gandino come tutte le varietà locali presentano una inevitabile variabilità. Il ciclo vegetativo (dalla nascita della piantina alla maturazione) si completa in 120-130 giorni. La pianta è alta in media 2 metri; su di essa troviamo una spiga (detta volgarmente "pannocchia"), raramente due, lunga 20-25 cm, cilindrica, con semi disposti su 14-16 ranghi (file) e tutolo rossastro. Il seme è vitreo, di colore gialloarancio e rostrato, ovvero con una punta conica (rostro), nella parte esterna della spiga, rivolta verso l'alto, detta "spina" da cui il nome della varietà.
In forza di una produttività minore rispetto agli ibridi il mais Spinato di Gandino si adatta bene alla coltivazione in terreni di collina bassa montagna e al metodo biologico (che però non è previsto come obbligatorio dal disciplinare). Per la concimazione si preferisce l'utilizzo di concime organico anche se non è vietato l'utilizzo di oculate dosi di concimi chimici. Si semina in aprile maggio e si raccoglie in settembre-ottobre; va posto un seme ogni 25-30 cm su file distanziate 75 cm. A differenza degli ibridi, il seme dello "Spinato di Gandino", come quello di tutte le varietà locali di mais, può essere utilizzato come semente. Il campo per la produzione della semente deve però essere posto a non meno di 200 metri di distanza da altre varietà; il mais "da seme" va raccolto e conservato "in pannocchia" Per il controllo delle infestanti si utilizzano la sarchiatura e la rincalzatura meccaniche, la zappatura manuale oppure la pacciamatura con bioplastica. La produzione media è di 35-40 quintali per ettaro, ma può raggiungere i 50 quintali per ettaro nei terreni fertili ed irrigui (contro gli 80-90 degli ibridi a granella vitrea).
La raccolta del mais è fatta in spiga, a mano per eliminare le spighe e le cariossidi malate e ammuffite, e può iniziare dalla maturazione fisiologica, segnalata dalla comparsa dello strato nero all’apice della cariosside. L'essicazione, al fine di assicurare un abbattimento dell'umidità al di sotto del 14,5% (necessario al fine di evitare infezioni fungine e possibile produzione di micotossine durante la conservazione) è eseguita in essicatoio con flusso d'aria riscaldata. Operazione di certo non sostenibile (si brucia gasolio) ma, sino a quando saranno disponibili altre soluzioni più ecologiche difficilmente eliminabile in un prodotto destinato all'alimentazione umana che deve assicurare standard di sicurezza (il problema delle fumonisine e del rispetto dei limiti massimi di legge è reale). Le operazioni della macinazione devono essere svolte presso un molino a pietra di riferimento per tutta l’area di produzione dello "Spinato", che consenta di ottenere prodotti con granulometrie differenziate in funzione dell’utilizzo delle diverse tipologie di farina: bramata, fioretto e fumetto. Dallo scorso anno è in funzione un piccolo mulino presso Palazzo Giovanelli, storico edificio del XVII secolo - lo abbiamo citato sopra - oggetto di progetti di recupero per attività culturali.
La conservazione del seme (una bella rete ma... mandarlo tra i ghiacci...)
Conclusasi il lavoro di costituzione della varietà ci si è posti il problema della conservazione dello "Spinato". Lo schema che si è venuto sviluppando è quanto mai interessante e coinvolge una rete che va dal "contadino custode", il già citato Savoldelli che è interfaccia tra il Cra- Unità di ricerca sulla cerealicoltura di Stezzano e gli altri coltivatori. Ma la rete non finisce qui. Un patrimonio locale è anche un patrimonio globale della biodiversità agricola creata e conservata dall'umanita contadina. Così, per mantenere il germoplasma dello "Spianato" a beneficio delle future generazioni Il quattro novembre 2010 sono stati consegnati 5000 semi di "Spinato" al Laboratorio di Ecologia Vegetale e Conservazione delle Piante, attivo presso l’Università di Pavia. Ma non è finita. I semi dello "Spinato" e del "cugino" (il "Rostrato di Rovetta") sono stati trasferiti in Norvegia, sull’isola di Spitsbergen nell’arcipelago delle Svalbard, a 1200 chilometri dal Polo Nord. Qui ha sede lo Svalbard Global Seed Vault (Deposito Sotterraneo Globale dei Semi) conosciuto anche come "Arca dell'apocalisse". Trattasi di una miniera di carbone abbandonata che conserva migliaia di semi provenienti da ogni parte del mondo, al fine di garantirne la salvaguardia nel tempo. Su questo progetto (ma è il caso di tornarci in un'altra occasione) non sono poche le riserve dei movimenti per la biodiversità. Se è vero che dietro il progetto c'è una Fondazione finanziata dal governo norvegese e sostenuta dagli altri paesi scandinavi ha suscitato inquietudine il fatto che tra i “mecenati” del Progetto “Svalbard Seed Bank” ci sia la Bill & Melinda Gates Foundation ma anche la famigerata fondazione Rockefeller (uno dei soggetti pià attivi nel spingere la "rivoluzione verde" a base di pesticidi e concimi chimici nei paesi "in via di sviluppo") e gli stessi fabbricanti di pesticidi, sementi ibride e OGM: la Du Pont e la Syngenta. Ci si chiede se sia giusto affidare a un centro che è sostenuto dai nemici della biodiversità e dell'agricoltura contadina un patrimonio di agribiodiversità recuperato a fatica. La biodiversità è un patrimonio da congelare (lettralmente) in banche dei geni o qualcosa di vivente che vive in quanto espressione di comunità contadine. Un sistema di interazione tra esse (i "custodi") e delle istituzioni pubbliche (non troppo distanti) dovrebbe garantire la conservazione di questo patrimonio.
Il coinvolgimento delle scuole
ll progetto "Spinato" è stato caratterizzato dal ruolo attivo delle scuole. Con l'aiuto dei contadini locali e attraverso la collaborazione di diversi insegnanti e classi (che si sono passate il testimone) gli alunni hanno contribuito alla prima fase di diffusione della coltura partendo da un campo di ridotte dimensioni vicino alla scuola e poi seguendo i lavori "in piena campagna" in località Ca’ Parecia, provvedendo in particolare alla semina ma partecipando o comunque assistendo anche alle altre operazioni. Il progetto didattico a partire dal 2009, verte sulle seguenti linee guida:
-
il ciclo di vita del mais (osservazioni del campo in diversi momenti, raccolta...)
-
leggende e racconti di origine centro americana e italiana legati al mais
-
la lavorazione e “i derivati” del mais (visita al mulino “Nicoli”, e visita ad un vecchio mulino quale confronto tra una realtà industriale euna tradizionale)
-
l’importanza della polenta nell’alimentazione al tempo dei nonni
-
la polenta in bergamasca (ricette...).
La dimensione comunitaria
La comunità gandinese negli anni è stata coinvolta sempre più attivamente nel progetto "Spinato" le iniziative scolastiche si sono integrate ad iniziative divulgative rivolte a tutta la popolazione anche sul tema della coltivazione. Nel mese di ottobre è diventato un appuntamento irrinunciabile “I giorni del Melgotto”: una tre giorni di festa all'insegna della rievocazione attiva della vita rurale e della sua rivitalizzazione caratterizzata da convegni, mostre, degustazioni (senza farsi mancare musica e poesia). L'obiettivo è quello di creare intorno a momenti ludici ed educativi la saldatura tra l'entusiasmo degli anziani per un patrimonio ritrovato e la curiosità dei ragazzi; veicolo di socializzazione e trasmissione di saperi pratici è il rito della scartocciatura delle spighe in piazza abbinata con i canti ed i racconti della tradizione. Va sottolineato che questa rappresentazione collettiva di un passato che vuole rivivere non solo nella nostalgia ma come nuove opportunità per la comunità si svolge nel cuore della cittadina,
Micro-economia e turismo
Come ogni progetto che si rispetti di valorizzazione di un sistema agroalimentare fortemente localizzato e a valenza storico-identitaria il progetto "Spinato" non ha voluto limitarsi agli aspetti cultural, educativi, socializzanti che rischiano di svuotarsi di contenuti se non innescano anche dinamiche economiche. Sin dall'inizio ci si è preoccupati che il rilancio dello "Spinato" non avesse per finalità solo la preparazione casalinga della polenta ma che coinvolgesse anche una dimensione artigianale materializzandosi anche in prodotti trasformati in grado da fare da veicolo dell'immagine abbinata Spinato-Gandino. Così è stato elaborato da parte di un fornaio locale su indicazione della Commissione De.co e degli attori del progetto un biscotto capace di valorizzare al meglio le qualità organolettiche della farina (il "fioretto") di "Spinato". E così - riprendendo usi localmente perduti ma molto radicati nell'area con forti tradizioni di consumo di mais per l'alimentazione - è nato il "Melgotto", un biscotto che sin nella forma e nell'aspetto richiama la spiga e la polenta. E Gandino, oltre ad essere il "paese della lana" è diventato il paese dello "Spinato" e del "Melgotto". Il biscotto viene prodotto almeno per ora solo dagli artigiani del comune.
Al fine di proporre anche vecchi/nuovi utilizzi della farina di mais è stata anche elaborata (anche se non è ufficilamente oggetto del marchio De.co la "spianata" ispirata ad antiche modalità di consumo dei cereali e adatta ad accompagnare formaggi e salumi. Con l'ardire di fare concorrenza a pizza e piadine. Perché no? Certo che un bel piatto di polenta bergamasca di "Spinato", da gustare nei locali che partecipano al progetto di filiera dal campo alla tavola, rimane il motivo principe - insieme alla visita della Basilica-Museo per recarsi a Gandino