(11.04.11) Una cena a tema dedicata alle carni di castrato tradizionale bergamasco-camuno. Con sei portate Michele Valotti, chef-patron de La Madia ha dato prova convincente della versatilità e del pregio di queste carni
Alla Madia di Brione vanno in scena
il castrato e la tranzumanza
testo di Michele Corti
foto di Pablo Zucchi, Giancarlo Reccagni, Michele Corti
La 'serata a tema' (definirla così è però riduttivo) che si è svolta sabato sera alla Trattoria La Madia di Brione ha rappresentato una tappa importante del progetto Castrato tradizionale . Un percorso esemplare intrapreso dai pastori e dagli chef 'territoriali' (con il supporto di esperti appassionati e competenti) per dimostrare alla ristorazione di qualità lombarda che - senza saperlo - dispone di una grande carne ovina a km 0
Dietro una serata gastronomica riuscita c'è il lavoro di parecchie persone; ma il numero, da solo, non è decisivo. Ci vuole la convergenza di ispirazioni e di passioni, di competenze. La Madia di Brione è un luogo di convergenze, dove la buona cucina è un fatto tecnico ma è prima di tutto un catalizzatore di un sistema di piccoli produttori agro-artigianali sparsi nel raggio di qualche decine di km. Michele Valotti è molto puntiglioso nel redigere i suoi menù indicando per ogni piatto gli 'autori' delle materie prime. Molti chef ritengono che un simile esercizio comprometta la libertà creativa dell'unico vero artefice (lo chef stesso). É un modo diverso di concepire la propria attività. Per Michele un piatto assume significato non solo in forza delle combinazioni di gusti, consistenze, colori, ma principalmente in relazione alla storia che c'è dietro, alla storia delle materie prime che lo compongono, delle persone che hanno contribuito a produrle, della terra, degli animali. Trasmettere queste storie attraverso i piatti è altrettanto importante per Michele che realizzare un piatto tecnicamente ineccepibile. Con queste premesse la 'tappa' alla Madia del percorso di valorizzazione delle carni del castrato tradizionale - che di storia ne hanno parecchia alle spalle - aveva tutti i presupposti per tradursi in un successo. Frutto del lavoro di parecchi amici, che hanno contribuito ad organizzare la serata e a divulgarla, ma anche di tutti coloro che hanno partecipato in modo attivo (pochi erano lì solo 'per mangiare'). Il fatto stesso che la documentazione fotografica di questo resoconto (o fotoracconto) sia a sei mani la dice lunga sul clima di collaborazione che si respira intorno alla Madia ma che anche il tema del Castrato ha il pregio di suscitare.
Cucina del territorio, praticata con 'radicalità', quella della Madia che, però, può indicare come: 'di campagna, di monte e di lago'? Come è possibile avere questa 'estensione'?. Grazie alla collocazione di Brione. Un paese di alta collina sito a 614 m. Troppo alto per essere nella Franciacorta enologica, troppo basso per essere montagna. Brione è al crocevia di diverse direttrici ed influenze che, guarda caso, erano anche quelle della transumanza. É in Franciacorta, per quanto ai margini; è in Val Trompia (se non geograficamente almeno amministrativamente, visto che fa parte della Comunità Montana). Per capire dov'è Brione ho scattato una foto (sopra) all'uscita del casello di Ospitaletto della A4. Brione è quel paesino che si vede a metà montagna (a destra).
Il legame con la Valle Camonica è mediato dal Sebino (e dalle antiche e nuove transumanze). Così tra i prodotti che alla Madia sono di casa vi sono parecchi formaggi camuni (anche caprini, come il Fatulì della Malga Adamè) come diverse carni e salumi. Vi è il Nostrano di Val Trompia d'alpeggio, l'olio del Sebino, i vini della Franciacorta e quelli della Valle Camonica. La scelta di questi ultimi riflette la volontà di stringere il legame con la montagna ma anche l'empatia per vini che non sono ancora conosciuti fuori di Brescia e che hanno alle spalle storie agli antipodi di quelle delle cantine franciacortine. Sorte, almeno spesso, dove regnavano le vitellaie, i pollifici (tra i quali i primi in Italia ad impiegare le 'batterie'), le porcilaie.
Per la cena del castrato Michele si è affidato più a questi legami empatici che alle considerazioni tecniche sugli accostamenti con i suoi piatti. 'Vini di montagna' ha indicato Michele nel menù, con chiaro intento di marcare la sua scelta. I vini: Opol (parola camuna per 'piede di vite') di Enrico Togni, Grandimani (riferimento al 'pitote', ovvero incisione rupestre con l 'orante') della Cantina Flonno di Sandro Sorteni e Giacomino Laidelli e Camunnorum, della coop Rocche dei Vignali. I produttori dei primi due erano presenti alla cena. Si tratta di vini che hanno alle spalle storie in salita di ripresa pionieristica della viticultura camuna, storie di piccoli produttori che in un territorio - sino a ieri ritenuto non vocato - hanno scommetto di fare della viticoltura professionale, storie di uve pagate ai contadini molto di più di quello che un mercato avaro tende a retribuire. Pensi allora alle storie parallele (da me meglio conosciute) dei pastori, alle prese con prezzi della carne a volte insultanti, dei malghesi spesso costretti a svendere i loro formaggi s'alpeggio (per mancanza di cantine e quindi di potere contrattuale).
E capisci che gli accostamenti e le convergenze di cibi, piatti, vini, che si possono realizzare attraverso un evento gastronomico sono a volte più sostanziali di quelli cui si limiterebbe un somellier.
Arrivato alla Madia il sole, prossimo a delarsi dietro al linea dell'orizzonte dei colli franciacortini, illuminava ancora con luce radente l'ingresso del locale . L'atmosfera è un po' surreale. Anche dopo che il sole è calato si può stare tranquillamente in maniche di camicia; la brezza serale che in questa stagione prende a spirare all'improviso e da piacevole si trasforma in un fastidioso brividino che corre su per la schiena. Niente di tutto ciò. Transitando sulla A4 I termomentri dei capannoni segnavano 30°C secchi. Prima della cena c'è da lavorare. Non ferve il lavoro solo in cucina ma anche fuori dall'ingresso della trattoria. La troupe della RAI era già presente quando sono arrivato. Si sono messi a punto un po' di dettagli e si è dato il via alle interviste preventivamente concordate con il giornalista Sergio Carrara. Nella foto sotto Carrara intervista il pastore Danilo Agostini, uno che la sa lunga anche di macellazione e di castrati considerato che ha un piccolo macello e che le mezzene che sono state utilizzate per la cena le ha preparate con le sue mani. Più filiera corta di così.
Oltre a Danilo siamo stati intervistati anche io e Michele Valotti. La trasmissione, realizzata nell'ambito di 'Rai parlamento' andrà in onda il 23 aprile su Rai2 alle 11. Dopo le interviste c'è stato anche il tempo di discutere di una trasmissione sul lupo. Carrara, che ho incontrato al Roumiage di setembre a Coumboscuro in Valle Grana, vorrebbe sentire le due 'campane'. Andrà prima ad Entraque presso la 'tana del lupo', ovvero il Centro per la tutela e la conservazione dei grandi carnivori e poi nella 'tana' degli anti-lupo, ovvero i pastori e abitanti della Val Maira esasperati per la presenza sempre più 'indavdente' dei branchi lupini.
La temperatura calda trattiene i primi arrivati al fresco della terrazza; in sala è tutto pronto ma la gente è impegnata in cucina o fuori sulla terrazza, a parlare, intervistare.
Non riununcio nemmeno io (come altri fotografi e videoperatori) a fare una una visita in cucina. La foto di Michele che taglia la carne (sotto) è però di Pablo Zucchi.
Nella calma della sala ancora vuota scatto anche la foto del menù sotto). Sette portate di cui sei con il castrato. Gli altri ingredienti sono all'altezza: monococco della pianura bresciana, Nostrano di Valtrompia d'alpeggio, Fleur du Maquis. La provenienza corsa dell'ultimo formaggio citato non fa che mettere in evidenza la stretta territorialità della generalità degli altri ingredienti. Sì ma perché il Fleur? Perché è di pecora, a latte crudo di pecore Lacaune, perché di pascolo e... ha la consistenza giusta per la fondutina (che Michele chiama più nostranamente e originalmente 'zuppetta'). Che poi sia veramente un formaggio artigianale è difficile da dire perché anche in Corsica i pastori consegnano spesso il latte ai caseifici. Un fatto che interessa proprio i pastori veri, quelli che fanno il pascolo 'guidato' nel... maquis.
Dal menù fotografato sui tavoli non emerge però un dettaglio chiave. Il costo della cena che, con tre vini, era fissato al 'prezzo politico' di 38€. La volontà del ristoratore di sostenere il progetto è evidente. Da parte loro i pastori hanno offerto uno dei due castrati utilizzati per la cena (e diverse altre persone, tra cui chi scrive, ci hanno messo il loro impegno, tempo e altro). I progetti che partono dal basso, sostenuti da chi ci crede e che lo dimostra mettendoci 'del suo' hanno dalla loro di sicuro una 'spinta' che progetti profumatamente finanziati non hanno.
Ormai il sole è all'ultimo suo raggio. Manca poco all'inizio della cena.
Dopo una mia introduzione (spero di non essere stato troppo logorroico) si parte con l'antipasto. Il tema della serata come si vede è sottolineato dalle gigantografie che ritraggono scene di transumanza e che abbiamo collocato sia all'ingresso che nella sala da pranzo. Il pastore con tabarro sembra Cleant Easwood con il sigaro in una nota inquadratura cinematografica. É invece Tino Ziliani da giovane (lo vedremo dopo nella veste attuale di capo-pastore).
La cena si apre con un piatto in cui la carne di castrato si presenta al naturale. Il colore è rosso intenso ma la consistenza morbida, tanto da consentire di amalgamare bene, con gli altri componenti il piatto ogni boccone. Ci sono un po' tutte le consistenze: la granulosità del monococco, la fluidità della zuppetta. Ben bilanciato l'aromatico marcato dello spinacio con la carne cruda che mantiene una nota dolce ma è più intensa di una carne bovina. Già da questo primo impatto i pregiudizi verso la carne del castrato percepita come fibrosa, dura, 'selvatica', da 'palati forti' cadono come birilli. Superato (felicemente) questo impatto i commensali affrontano psicologicamente rassicurati il resto del percorso. Scelta 'tattica' intrelligente quella di Michele che ha scelto di fare 'vedere' la carne tal quale all'inizio e alla fine (escluso il dessert ovviamente) .
Il secondo antipasto (Trippa di verdure e fegato confit) è 'programmatico': espone la scelta di valorizzare integralmente l'animale. Protagonista quindi il quinto quarto. Una delicata trippettina colorata di verdure è associata ad un fegato confit (con fico, con aderenza etimologica). Chi fa caso alla semiologia culinaria e al suo gioco di contrasti noterà che al fegato confit sul 'ricco' pane biscottato fa da contraltare una trippa che simbolicamente (la carta da macellaio) richiama un piatto 'povero'.
La busecchina di castrato conferisce una nota diversa ma per nulla 'strana' alla trippa rispetto a quella solita di bovino. Va tenuto conto che la busecchina ovina è 'preziosa' perché la sua preparazione richiede, in proporzione, molta più manodopera rispetto a quella bovina (se non altro per il piccolo calibro dell'intestino tenue da cui è ricavata). Agli 'integralisti' estimatori del quinto quarto vengono proposte 'sorprese' a base di linguina e rognoncino. Non me le perdo. Si tratta di chicche; non ce n'è per tutti.
Si passa ai primi. Il risotto estivo con castrato, gelato di Nostrano di Val Trompia d'alpeggio e liquerizia è quanto mai in tema con questa torrida primavera.
Una rivisitazione dei casoncelli è - da queste parti - quasi d'obbligo in una cucina che vuole fare leva su una 'gastronomia identitaria' non elitaria e che, senza entrare in dettagli storici e filologici troppo pedanti, percepisce un piatto come questo quale riferimento fondamentale. Ecco quindi i casoncelli al ripieno di ragù bianco di castrato saltati con topinanbur e germogli di piselli. Tante note nelle quali la carne di castrato, con il morbido ripieno che valorizza i 'ritagli' rischia di confondersi. A meno che non si assapori con attenzione, addentando senza troppa velocità e fretta di tritare-amalgamare-deglutire. I pastori a mio fianco, pur apprezzando i piatti , lamentano di non 'vedere' nella sinfonia di ingredienti e di sapori la carne di castrato declinata nelle maniere famigliari: cotta alla brace, al forno; le braciole con le patate...
La discussione sul punto si svilupperà nel prosieguo della serata. Intanto mi corre l'obbligo ribadire che oltre ai pastori e agli chef a costruire la serata (e a divulgarla) ha concorso il lavoro di molte persone: la troupe della Rai, che abbiamo già visto all'opera cva citato Stefano Mariotti, direttore del periodico caseario online www.qualeformaggio.it che ha accettato con entusiasmo il mio invito a costruire un video su questa storia che si sviluppa tra storia, pascoli, transumanze e cucine. E poi Pablo Zucchi e Giancarlo Reccagni (loro parecchie delle foto qui pubblicate). Quindi i personaggi che sono intervenuti nel dibattito (arrivano tra poco).
Non voglio nemmeno dimenticare il contributo degli altri membri dello staff de La Madia vorremmo almeno ricordare con la foto sotto (di Pablo) Silvia Peroni, anima della 'sala'.
Ed ecco un personaggio noto: Riccardo Lagorio. Lagorio è il noto ideatore di eventi come 'Franciacorta in bianco', 'Expo dei sapori di montagna'; è uno dei 'padri' delle Deco (insieme a Veronelli). Il collegamento con la sua presenza alla cena del castrato è però legato ad una iniziativa in particolare: Occhio al consumatore. La rivoluzione parte dal menù. L'obiettivo della pubblicazione, frutto di una rigorosa ricerca, è di dare risalto ai locali e ai prodotti della montagna lombarda e spiegare al consumatore, in modo semplice e chiaro, la provenienza di ciò che gli viene proposto in quel determinato locale o ristorante. Uno schema che ricalca quello che Slow Cooking (www.slowcooking.
org) ha iniziato a sviluppare partendo dalla Valtellina. E siccome La Madia è luogo di convergenze c'è da aspettarsi che proprio qui si realizzi ila 'sutura' tra diverse esperienze e circuiti di area bresciana con quello di Slow Cooking, che è da qualche tempo sbarcato in tèra de Bèrghem.
Nella foto (sopra) Riccardo è impegnato a contemplare, con evidente compiacimento, il piatto di castrato affumicato cotto nel fieno di monte.
Piatto forte della serata e piatto che-più-gastropastorale-di-così-non-si-può (potrei cerare subito un fb fan club!). La settimana prima, quando ero venuto alla Madia per organizzare la serata del 9, avevo provato la versione usuale del piatto; quella con la carne di vitello. Dei vari piatti della serata l'unico a non destare in me particolari entusiasmi era propri quello perché il fumo - che in genere apprezzo - rischia di essere un po' invasivo. Ma la carne di castrato è carne di monte, come il fieno in cui è cotta, e che viene molto opportunamente a far parte del piatto quale decorazione.
La carne di castrato affumicata pur rimanendo morbida e persino umida al centro ha quella 'personalità' di gusto che bilancia il fumo. Personalmente a questo piatto assegno un voto molto alto "Sei partigiano" ha commentato ironicamente Michele di fronte al mio giudizio che interpone un gradino netto tra questo piatto e la versione 'smorta' (vitellelesca). Ma poi: il vitello mangia il fieno di monte? Giammai. Mangia una miscela ricostituita di alimento 'simil latte' costretto anche a fare il poppante ad una età alla quale in natura mangerebbe all'erba. Nel caso del castrato che vive di erba tranne le prime settimane la 'morte' nel fieno di monte per lo più ha un significato che è del tutto assente nella versione vitellina. Mi sono dilungato un po', ma questo piatto lo meritava.
Infine (foto sopra, mia) il ciclo si chiude e - come in una sinfonia - si torna al tema dell'overture: la carne con le sue proprietà sensoriali solo minimamente alterate. Cotta, quel tanto che basta, sulla piastra di sale, rossa nel cuore. E scioglievole. Se questo piatto ha riscosso un consenso unanime non va dimenticato che è tutto il percorso che porta sin qui che ha un senso e un valore. Le portate intermedie, in cui lo chef ha dimostrato la sua professionalità e creatività nell'utilizzare in vario modi varie parti del castrato (anche i ritagli) è servita a diversi scopi: dimostrare che la carne di castrato non è 'ostica' ma si presta a svariate preparazione anche nel contesto di un uso 'tranquillo', ma non certo banale e monocorde di pietanze delicate, dove il gusto della carne non deve sopraffare quello di altre materie prime.
Carlos Mac Adden (a destra nella foto sopra), ideatore di Made in Brescia, ha proprio messo in evidenza questi concetti: il risultato ottenuto nello sfatare preconcetti di carne 'ostica', adatta solo a 'palati forti' e nel dimostrare, in positivo, la versatilità. Ha poi richiamato l'esperienza de LO SCULTORE locale del centro storico di Brescia dove, nell'ambito del 'Progetto castrato bergamasco-bresciano' è stato realizzato, oltre ad altri piatti, il Lamburger, una intelligente (e buona) provocazione gastronomica a scopo 'gastropedagogico'. Sul ruolo degli chef nel promuovere l'educazione ad un consumo intelligente e sostenibile ha poi insistito Lorenzo Berlandis (a sinista in piedi nella foto sopra, già dinamico responsabile della Condotta Slow Food delle Valli Orobiche ed ora responsabile per la Lombardia di Terra Madre. Berlendis ha messo in evidenza l'importanza del lavoro di chef come Michele Valotti che valorizzano tutte le parti di un animale. Ha poi preso la parola Lagorio che ha osservato che iniziative come questa aiutano a far comprendere come l'Italia oltre ad essere il mitico paese di eroi santi ed artisti è un paese di transumanze, non solo quelle del Centro-Sud, associate alla civiltà dei tratturi, ma anche quelle del Nord alpino. Sistemi di produzione pastorale che tutt'oggi assicurano l'utilizzo di aree 'marginali' prevenendo problemi ambientali e offerndo prodotti di grande qualità. Da questo punto di vista Lagorio ha ricordato come un ruolo analogo lo gioca la vitivinicoltura camuna - coprotagonista della serata - coraggiosa testimonianza di una enologia di montagna, che sfida il rischio di essere confinata nella 'marginalità'. Anche alla Madia, come nella serata al ristorante COLLINA di Almenno S/B (Bg), non sono mancate le presenze istituzionali. Beninteso, non quelle dei politici che vengono a fare passerella e a mettere il cappello alle iniziative ma quelli di politici e 'burocrati' (detto amabilmente) che vengono nello spirito di collaborare, di svolgere un ruolo costruttivo di attori di una filiera. Una filiera 'allargata' deve comprendere anche le istituzioni, così come il monmdo della comunicazione, gli esperti più o meno accademici ecc. Pastori e chef-ristoratori artefici principali, gli altri ad accompagnarli, nello spirito di coproduzione.
Alessandr Marelli (nella foto sopra in piedi) è dallo scorso anno consigliere regionale e membro delle commissioni agricoltura e cultura del Consiglio Regionale. E alla Madia era lì con lo spirito sopra delineato. Diciamo pure anche in uno spirito di servizio (del territorio) che lo ha portato a produrre 50 provvedimenti tra progetti di legge, interrogazioni ecc.
Marelli ha fatto riferimento al motto di Michele Valotti dipinto sul muro della sala (foto sopra) per ricordare che il lavoro dei pastori e di altre figure di montanari è troppo spesso ostacolato da norme burocratiche vessatorie e da un ecologismo urbano ideologico che ha condotto ad una malintesa visione dei 'Parchi'. Lui si batte per dare una mano.
Muscica per le orecchie di Tino Ziliani (sotto), il capo-pastore che non ha fatto mistero di non aver sinora trovato interlocutori nelle istituzioni. Dove pochi sono disposti a dare ascolto a una categoria che se, da una parte, con le sue 80.000 pecore in giro per la Lombardia ha una responsabilità non da poco per la cura del territorio, dall'altra con il suo numero esiguo (70 pastori + famigliari) non rappresenta certo un pacchetto di voti appetibile. Ziliani ha poi ricordato che la transumanza non è la realtà folkloristica che molti pensano. "Nel mondo siamo 250 milioni a vivere di transumanza". I nostri pastori, si sentono orgogliosamente parte (per quanto poco o nulla riconosciuti) della comunità locale e regionale, legati più di ogni altra categoria ad una lunga ed ininterrotta storia che è parte di quella regionale e al rapporto 365 giorni l'anno con la realtà dei fiumi, delle campagne, dei colli, delle montagne, delle valli di Lombardia. Però si sentono parte anche di una comunità di pastori sparsa per il pianeta.
Infine è entrato in scena lo chef (sotto) che ha illustrato ai partecipanti quelli che erano gli obiettivi che l'hanno ispirato nel creare il menù della serata. É stato bello sentire come la sua volontà di dimostrare le potenzialità e la versatilità della carne di castrato l'ha sentita e vissuta non tanto come una sfida tecnica ma come un modo di inserirsi ed essere un facilitatore della divulgazione e, in ultima analisi, della continuità di una storia piena di senso. Storia di uomini veri (detto senza retorica) che - al di lù di ogni mitizazione romantica - faticano al seguito dei greggi, su e giù per le montagna. Ma anche storia di pascoli e di animali; animali che, al contrario degli sfortunati allevati nelle fabbriche della carne, vivono in simbiosi con uomini, cani, asini (e con la montagna) una vita degna. Il che fa sì che la nostra simbiosi con loro (mediata dai pastori e da chi cucina) un patto di scambio sui basi eque e il consumo appropriato delle loro carni un fatto etico.