(11.12.11) I partecipanti del seminario di Milano: 'La montagna di fronte alla crisi' sono stati concordi nel giudicare la crisi un'occasione irripetibile per le Terre alte che, per vivere, necessitano nuove forme di auto-organizzazione
di Michele Corti
Si è svolto ieri a Milano il seminario promosso da Ruralpini e Quaderni valtellinesi sul tema: "La montagna di fronte alla crisi". Ora si vuol preparare un Manifesto per l'autogoverno delle Terre alte e un convegno a Sondrio.
Il seminario è stato ospitato dall'Associazione consiglieri presso la sede del consiglio regionale (palazzo Pirelli). Partito da una proposta di Quaderni Valtellinesi (Dario Benetti) e Ruralpini (Michele Corti) il seminario era stato preparato con un incontro cui hanno partecipato anche Ronza (Confronti), Mariano Allocco (Patto per le Alpi piemontesi) e Giancarlo Maculotti (Incontri TraMontani). Ora si avvia una fase di serrata discussione e confronto (via internet) per arrivare a un Manifesto/Carta dell'autogoverno delle Terre alte e a un convegno a Sondrio, città al centro delle Alpi. Con lo scopo dichiarato di dare espressione politica (ma non c'entrano i partiti tradizionali) a quel fiume carsico dell'autonomia e libertà alpina che prese origine con la Carta di Chivasso ('44) e proseguì con quelle di Sondrio ('86) e di Coumboscuro ('87) e, più di recente ('06), con il Patto per le Alpi piemontesi. Con l'idea di passare dalle "Carte" all'azione.
L'incontro di ieri ha rappresentato un importante confronto non solo tra diverse realtà alpine (Lombardia, Piemonte, Veneto) ma anche tra le diverse componenti sociali, professionali, culturali del "movimento delle terre alte": amministratori, ricercatori, docenti e studiosi, esponenti di minoranze linguistiche e centri culturali, manager, sindacalisti. Tutti o quasi i partecipanti sono o sono stati amministratori pubblici, tutti o quasi sono impegnati nello studio e la divulgazione della storia e delle culture alpine, e nella valorizzazione delle forme tradizionali di vita alpina, autori di saggi e volumi e impegnati in più associazioni.
In questo articolo mi limiterò a presentare i partecipanti e a riferire in estrema sintesi dei loro interventi in attesa di redigere i resoconti dei lavori.
Chi c'era
Vediamo quindi chi c'era e chi è scusandomi con chi conosco meno per eventuali omissioni. Iniziamo da coloro che abbiamo già citato: Robi Ronza (giornalista, esperto di questioni internazionali, di istituzioni e culture alpine); Dario Benetti (architetto, animatore di associazioni culturali tra cui il Centro Don Minzoni, l'assocaizione ambientalista Humana dimora, l'associazione per il recupero dell'architettura alpina Furfulera); Mariano Allocco (primo firmatario del Patto delle Alpi piemontesi, ex-presidente della comunità montana, promotore dell'associazione allevatori del cavallo di Mérens); Giancarlo Maculotti (dirigente scolastico, amministratore locale, organizzatore culturale, coordinatore degli Incontri TraMontani). Oltre a Benetti vi erano altri tre valtellinesi tutti più o meno coinvolti nell'associazione Valtellina nel futuro: Fausto Gusmeroli, Enrico Dioli e Ivan Fassin. I primi due non avevano potuto partecipare all'incontro preparatorio del seminario ma avevano condiviso sin dall'inizio il percorso in atto. Gusmeroli oltre ad essere ricercatore (nel campo dell'alpicoltura e foraggicoltura) presso la Fondazione Fojanini di Sondrio è vice-presidente di Valtellina nel Futuro ed è impegnato - così come il sottoscritto e Luca Battaglini (citato tra breve) nell' associazioni Amamont (amici degli alpeggi e della montagna) e SoZooAlp (Società per lo studio e la valorizzazione dei sistemi zootecnici alpini). Dioli è stato sgeretario provinciale della Cisl a Sondrio, presidente della provincia e consigliere di amministrazione di Irealp (l'ente sulla montagna della regione lombardia di recente soppresso). Fassin è sgretario provinciale dei pensionati Cisl, impegnato in numerose associazioni, studioso di antropologia e cultura materiale alpina. Dalle valli bergamasche sono venuti Arrigo Arrigoni (esponente del Centro studi storici brembani, ex-sindaco e attuelmente consigliere comunale a Vedeseta, storico locale autore di diverse pubblicazioni) e Carlo Caffi (ex-sindaco e attuale vice-sindaco di Clusone, con esperienza presso più assessorati di regione Lombardia e presso il disciolto già nominato Irealp).
Tra gli accademici presenti figuravano Paolo Bossi docente di storia dell'architettura presso il Politecnico di Milano, Massimo Moretti (della Val Maira) docente di informatica al Politecnico di Torino impegnato in Tecnogranda il parco scientifico e tecnologico per l'agroindustria, il già citato Luca Battaglini dell'Università di Torino, zootecnico con interessi focalizzati sulla montagna nonché presidente del corso di laurea in Scienza e cultura delle Alpi, interessante esempio di offerta formativa interdisciplinare. Un ultimo gruppo di partecipanti (ai quali andrebbe aggiunto anche Allocco) comprendeva gli esponenti di centri culturali espressione di minoranze linguistiche alpine. C'erano il musicista David Arneodo (il fratello Mauro ha inviato una lettera) figlio di Sergio Arneodo ed esponente del centro di Coumboscuro in Valle Grana (Cn), Vito Massalongo presidente del Curatorium cimbricum e amministratore in Comunità montanara della Lessinia veronese ed Ezio Bonomi, insegnante ed anch'egli esponente del centro culturale timbrico. Nell'auto-presentazione dei partecipanti che ha preceduto gli interventi hanno tutti aggiunto interessanti particolari "socioantropologici". Gli scampoli delle diverse storie di vita mettono in luce una comune natura "nomade" (da qualcuno dichiarata esplicitamente), una mobilità tra la montagna e la pianura o la città diversa dal classico pendolarismo. C'è chi risiede in città o comunque in pianura e lavora in montagna (i pendolari al contrario), c'è chi ha trascorso parte della vita professionale in città e torna stabilmente in montagna ecc. La decisione di occuparsi di montagna, di lavorare in montagna, di tornare a vivere in montagna non è mai una scelta casuale ma molto consapevole.
Gli interventi
Nella sua introduzione Robi Ronza ha tenuto a precisare che il seminario, pur svolgendosi nei locali del Consiglio regionale e pur ricoprendo egli stesso alcune funzioni nell'ambito del'istituzione, non avava alcun carattere "ufficiale". Partito da un'idea lanciata da Ruralpini e Quaderni valtellinesi, in assenza di una sponsorizzazione della regione (... i tagli...), aveva l'iniziativa aveva infatti assunto il carattere di un incontro autoconvocato. Ronza ha tenuto a precisare che l'obiettivo del seminario e delle iniziative che seguiranno non è in ogni caso quello di creare un nuovo partito politico ma di redigere un manifesto di rivendicazioni e di autogoverno per le Terre alte. Di certo un'azione politica ma al di fuori di qualsiasi orizzonte partitico. Ha quindi richiamato i precedenti ai quali la nuova iniziativa si intende rifare. la Carta di Chivasso e quella di Sondrio, ma anche le altre iniziative che sinora hanno posto sul tappeto la "questione alpina" senza peraltro addivenire a risultati concreti. Il tempo però non è scorso invano. Rispetto ai primi pionieri, maestri elementari come Sergio Arneodo che rivendicavano l'orgoglio delle radici culturali oggi si è sviluppata la consapevolezza che la cultura ha un valore non solo come testimonianza ma come collante e motore indispensabile di iniziative sul piano dell'economia e dell'autogoverno, specie a fronte del fallimento dei modelli politici ed economici imposti dalle pianure, dalle città, dagli stati nazionali centralizzati.
Dario Benetti ha sviluppato la sua relazione prendendo a tema l'assetto del territorio e il paesaggio. Ha messo in evidenza la duplice natura del paesaggio: risultato di una stratificazione storica che si carica di valenze identitarie, affettive e di quelle che sono le scelte attuali in ordine all'organizzazione delle attività economiche, ai trasporti, agli insediamenti produttivi e residenziali. La Valtellina presenta contrasti stridenti: il paesaggio culturale delle terrazze vitate e la realtà urbana lineare del fondovalle con l'affastellarsi brutale di capannoni e centri commerciali. Un paesaggio che inverte le antiche polarità quando il fondovalle era il paesaggio incolto, dove le piene dell'Adda potevano avere libero corso e la principale utilizzazione economica era la vaine pâture, dopo l'alpeggio. Le attività del passato si concentravano sul versante mentre oggi uno sviluppo dagli aspetti largamente discutibili spinge a calare a valle a lasciare i versanti abbandonati. Benetti ha richiamato la drammaticità di uno "sviluppo" che da molti anni si autosostiene sulla svendita del territorio, divorato pezzo dopo pezzo (senza i proventi dell'espansione urbanistica i comuni non avrebbero da che chiudere i bilanci). Oltre alla svendita-devastazione del territorio il modello di sviluppo ha comportato anche monocoltura dello sci, sperequazioni abissali tra valori immobiliari e saccheggio delle risorse idriche. Da questo punti di vista Benetti ha richiamato le cause intentate dalla società energetica A2A (erede di AEM) contro il volume "Acque misteriose" edito coraggiosamente dai Quaderni valtellinesi.
Michele Corti. Mi sono attribuito la trattazione della tematica socio-economica. Ho esordito ricordando come la crisi è anche il risultato della separazione che la modernità ha imposto tra le sfere del sociale, del politico e dell'economico. Stato e mercato l'hanno fatta da padroni. Ne è derivata una società sotto tutela, dipendente, incapace di risolvere da sé i problemi, uno stato che si è arrogato funzioni che potrebbero essere gestite in modo più efficace ed economico dalle famiglie e dalle comunità, una economica che non conosce i limiti, che impone la logica del "sempre di più", esposta alle conseguenze di una interdipendenza e finanziarizzazione estreme. Lo stato è alle prese con debito pubblico e una pressione fiscale insostenibile ma che è l'unico mezzo per evitare a breve la bancarotta. Reagisce tagliando in maniera irrazionale, cercando di mantenere la presa sulla società ma "disarticolandosi". La prospettiva del "taglio dei rami secchi" ovvero la stretta all'erogazione dei servizi pubblici e sociali alle aree deboli è una prospettiva inevitabile. Cosa devono fare le Terre alte che nella dittatura dello stato e del mercato si sono trovate in una tenaglia che le ha fatte decadere da una condizione prospera a quella di aree "fragili"? Una cosa al tempo stesso naturale ma non facile: riprendersi l'autogoverno che esercitavano così efficamenente sino a 2-3 secoli fa. Nella memoria storica l'esperienza dell'autogoverno è sopravvissuta e sinanco in alcune istituzioni eredi delle comunità rurali alpine. Oggi le risorse della montagna diventano sempre più preziose: acqua, legname, altre energie rinnovabili; anche l'agricoltura che con la crisi ecologica e energetica vedrà la montagna recuperare competitività. Grazie alla valorizzazione delle proprie risorse, libera dalle pastoie imposte da una regolazione burocratica esasperata le Terre alte possono tornare a rifinanziare il proprio sviluppo, le proprie attività economiche, i propri servizi (da basare su principi di mutualismo, reciprocità, sburocratizzazione, deistituzionalizzazione. Dicendo allo stato: ridateci la nostra libertà e tenetevi l'elemosina.
Mariano Allocco. Ha esordito ricordando che solo qualche giorno fa uno degli ultimi artigiani “ Non molto tempo fa quassù eravamo capaci a fare di tutto, dagli attrezzi per lavorare, alla tela per vestirsi, dalle case al pane e al companatico e senza dover chiedere a nessuno come e con cosa fare". Oggi, però qualcosa sta cambiando in Val Varaita (valle vicina alla Val Maira da cui Allocco proviene). Con il progetto Gestalp i comuni diventano produttori di energia con la quale si finanziano e fanno pagare le tqariffe elettriche al 50%. La filiera bosco-legno viene riattivata grazie alla confluenza di proprietari privati in una sociatà e ad un impianto che utilizza gli scarti delle biomasse e si sta attivando anche una filoiera carne con il primo macello per selvaggina delle Alpi cetro-occidentali. Tutto ciò senza chiedere nulla alle istituzioni ma con un progetto autofinanziato. Un progetto "pericolo" per un certo potere centralista, partito dalla gente, dalle associazioni e poi fatto proprio dai comuni, un progetto che ha una valenza politica perché dopo quattrocento anni non si va più a chiedere con il cappello in mano ma si decide di fare da sé. Acqua, pascoli, boschi, animali (domestici e selvatici) diventano i motori di uno sviluppo endogeno. Servono una tattica e una strategia ma raggiungere gli obiettivi di libertà non è impossibile. Ma è necessario aggregare le intelligenze ad essere disposti a fare politica.
Giancarlo Maculotti. Ha ripreso il tema della montagna come luogo di libertà ma non in un senso romantico. Chi ha dissodato la montagna nelle epoche passate, i colonizzatori erano spesso gruppi o individui ai quali - nell'ambito di un progetto politico - si concedeva la libertà. Oggi, però, il primo ostacolo ad un progetto politico che punta al recupero di libertà e capacità di autogoverno della montagna è il montanaro stesso. Maculotti ha poi sostenuto che le dinamiche culturali sono ancora più importanti della disponibilità di servizi. Sono importanti le nuove tecnologia (per esmpio la fibra ottica che consente di gestire uno studio professionale in altra Valle Camonica), ma è indispensabile agire sulla mentalità. Un tempo i montanari erano più istruiti e aperti dela gente che abitava in pianura. Oggi far leva sul livello culturale, anche sull'istruzione universitaria, diventa un fattore chiave. Altrimenti ci si ritrova con giovani che ci dicono "Qui non c'è niente". Spesso hanno tutto (la Valle Camonica è di fatto anch'essa una città lineare) ma pensano di trovare chissà cosa in città. In un paese come Paspardo la gente si vergogna ha dichiarare la propria provenienza. Dicono che sono dei paesi a valle. Eppure a Paspardo c'è la scuola, la media, la posta, l'occupazione (fanno tutti i bidelli...). Maculotti ha concluso facendo riferimento ad opportunità concrete: al basso valore immobiliare delle case in montagna che può attirare nuovi abitanti, alle opportunità degli ecomusei, che devono diventare un affare economico e non aspettare fondi che non arriveranno pià, all'elbergo diffuso.
Ivan Fassin. Riallacciandosi al lavoro culturale indicato da Maculotti come una chiave per l'innesco di controtendenze alla disgregazone e alla passività ha ricordato l'azione pedagogica delle maestre di montagna di un tempo che oltre a insegnare a scrivere e a far di conto trasmettevano un "minimo di apertura" e un sentimento di orgoglio locale, un localismo intelligente. Erano anche protagoniste di una comunicazione personale che procedeva anche in modo biunivoco dal momento che dal rapporto con gli alunni anche la maestra acquisiva molto. Oggi i media hanno colonizzato la comunicazione inaridendo quella personale. fassin ha poi ricordato come il sindacato è stato sì un agente di modernizzazione ma non sempre in modo positivo. Ha applicato anche alla montagna una logica categoriale corporativa che oggi si sta cercando di cambiare tanto che si parla di "Sindacato della montagna". Tra i limiti del sindacato anche una pratica incompiuta di un federalismo e di una sussidiarietà incoraggiate solo a livello teorico. ha poi citato l'opera dell'economista valtellinese Alberto Quadrio Curzio autore di decine di libri sullo sviluppo locale che si è recentemente cimentato nel rinverdire la logica degli antichi statuti di valle. Si tratta di una retroinnovazione che istituzioni come la provincia e la Camera di commercio potrebbero raccogliere, un esperimento che va - in forma modernizzata - va nella direzione dell'autonomia e dell'economia sociale. Non c'è solo dipendenza e conflitto.
Enrico Dioli. Riferendosi alla propria vicenda personale ha richiamato come il "ritorno alla montagna" (avrebbe potuto fare il sindacalista a Roma) rappresenti una scelta di orgoglio e di libertà. La politica è in crisi totale e esperienze come Valtellina nel fututo rappresentano un ambito che consente riflessioni fuori dalla quotidianità della politica e delle istituzioni. I disegni di aggregazione di unità amministrative dall'alto, invece, sono espressione di un quadro istituzionale sull'orlo del fallimento. Si vogliono accorpare i comuni ma sopra i comuni oggi ci sono solo rappresentanti nominati. È quindi il momento di osare proposte molto innovative; altrimenti non si va avanti e la montagna chiude. Ma perché allora non si rimette in discussione anche la Regione? Dioli propone la creazione di sotto-regioni, una coincidente con l'area della montagna alpina. Ha stigmatizzato la chiusura di Irealp, unico ente dedicato alla montagna con bilancio positivo. Un esempio di come si va a tagliare... Bisogna avere il coraggio anche di rimettere in discussione i principi che ripartiscono i vantaggi dello sfruttamento energetico. Premesso che prima viene l'interesse del territorio, poi le energie rinnovabili. Non va deturpare ettari di superfici con i pannelli solari o e montagne con enormi pale eoliche. la titolarietà del demanio idrico deve essere posta in capo alla montagna. È una rivendicazione forte e va sostenuta senza cedere alla demagogia. Nell'intervento di Diolo ci sono anche state considerazioni di forte valenza politica e di forte attualità: "Si deve guardare verso Nors, verso l'Europa e non verso Sud; si deve concepire una politica dell'intero arco alpino che guardi in avanti fino al 2030, al 2050. Le decisioni dei prossimi anni sono già state prese. Guardare avanti significa fare i conti con un modello di sviluppo insostenbile: risparmio, sobrietà, cambio dell'uso del territorio, delle costruzioni, della mobilità, del modello di sviluppo. La montagna deve chiedere più ,potere e non sovracanoni da sprecare in mille rivoli come nel passato, deve unirsi per un cambiamento perché ha più chances degli altri territori.
Fausto Gusmeroli. La montagna è in grado di fornire utili insegnamenti, insegnamenti che oggi divengono indispensabili. Tratto caratteristico della vita in montagna è la sobrietà, la capacità di vivere un territorio con vincoli forti. Ciò induce a prestare attenzione all'essenza delle cose. La montagna non ha appeal in ragione di una crisi di identità e del modello culturale dominante. Vedi l'utilizzo del tempo libero negli Ipermercati. Se in luogo del Pil utilizzassimo altri indicatori la montagna tornerebbe ad apparire vivibile. La transizione va aiutata e la crisi offre delle opportunità. Il comandamento futuro è la sobrietà. I vecchi montanari capaci di ricavare dal territorio tutto il possibile hanno vissuto in modo sostenibile. Va quindi coniugata la libertà con l'integrazione; un territorio difficile necessita intelligenza e innovazione.
Luca Battaglini. Ha osservato come in diversi interventi la realtà dei giovani sia stata oggetto di preoccupazione. Occupandosi di formazione universitaria Battaglini può però testimoniare che oggi aumentanoi giovani che si avvicinano alla montagna spinti da forti motivazioni. Cita ad esempio emblematico una relazione di uno studente su: "I custodi della montagna". Quello studente ha poi intrapreso un interessante progetto di ripresa di attività di allevamento e di alpeggio in Val Sangone (To). Il ritorno della consapevolezza dei giovani circa l'importanza della montagna viene dopo che la generazione precedente aveva sviluppato una forte disaffezione. Sono segnali che bisogna saper cogliere. L'Università di Torino ha istituito un corso di laurea - attualmente purtroppo congelato - dal titolo Scienza e cultura delle Alpi. Unire i due termini è stato pensato per far apprezzare ai giovani la pienezza della ricchezza delle montagne. Si sono laureati in 100 e gli ultini 5o-60 hanno dimostrato una grande passione. Gli Ecomusei hanno una grande funzione se contemplano al proprio interno attività produttive come nel caso dell'Ecomuseo della pastorizia di Pontebernardo in alta valle Stura di Demonte che coniuga la persentazione di una storia con una realtà produttiva. Sono realtà che costituiscono occasioni di speranza.
Vito Massalongo. Qual'è il nesso tra minoranze e recupero della montagna? La situazione attuale non è confortante; si sta subendo lo status quo, la crisi è occasione di sconforto. Da questo punto il recupero della cultura diventa essenziale per ridare senso a un modo di vivere, di praticare l'artigianato e l'agricoltura che rischia di diventare una forma di sussistenza. Purtroppo le istituzioni non hanno un briciolo di idee sulla montagna e, di fronte alle sfide globali non sono capaci di altro che proporre l'ipermeccanizzazione mentre avanzano nuove forme di colonizzazione come il trascorrere il sabato e la domenica nei centri commerciali. Ma la montagna può da "vita al confino" trasformarsi in un laboratorio per il superamento della crisi togliendo di mezzo quella vena di rassegnazione che si percepisce ovunque. Quale agricoltura allora? Si alleva come in pianura trasportando il ceroso, standardizzando il gusto dei prodotti che non presenta più differenze. Noi dell'associazione culturale cimbra della Lessinia attraverso la rivista, le attività annuali rilanciamo l'idea che la montagna è più ricca. Non bisogna perdere nel vortice della modernità i valori della tradizione. la montagna è ricca di valori propri, frugalità ma anche libertà. Con tenacia si è conbservato qualcosa di buono. Le scolaresche che vengono da noi scoprono che abbiamo un patrimonio che in città è stato disperso e tra questo conservare e un progetto complessivo non c'è una frattura. Il bosco avanza, l'agricoltura si è fatta selettiva e si perde il pascolo. Non c'è più l'alpeggio che con le stalle tecnologiche si perde. Manca ancora il coraggio di cambiare; non c'è ancora un intreccio tra la consapevolezza culturale e uno strumento politico finalizzato ad assicurare un futuro alla montagna. la crisi determina la cessazione dei finanziamenti pubblici e ciò dovrebbe scuotere le persone e spingerle verso la realizzazione di un progetto per la montagna attraverso la cultura e la valorizzaizone degli elementi specifici della sua realtà.
David Arneodo. Ricorda che oltre alla carta di Chivasso e a quella di Sondrio esiste anche quella di Coumboscutro del 1987. probabilmente ci sono anche altri documenti interessanti da prendere in considerazione. Coumboscuro come riconosciuto in divesri interventi è stato un faro, ha insegnato a coltivare l'amore per il territorio attraverso la formazione culturale.