(13.03.11)Continuano gli incontri nelle valli di Cuneo e di Torino per mettere a fuoco i motivi di criticità dell'allevamento montano anche in relazione con la presenza del lupo
Gli allevatori delle valli Maira e Grana
denunciano un fortissimo disagio
di Michele Corti (foto di Marzia Verona, video di Michele Corti)
Il giorno 9 a San Damiano Macra si è svolto l'incontro previsto nell'ambito del progetto PROPAST. Il progetto regionale a favore della sostenibilità dei sistemi pastorali e dell'allevamento estensivo delle valli del torinese e del cuneese alle prese con il problema del lupo. Prossime tappe Valli Varaita e Po.
All'incontro la partecipazione è stata notevole tanto che qualcuno ha osservato che non c'era mais stato in valle un incontro con gli 'agricoli' così numeroso e partecipato. Evidentemente il tema del lupo, ma più in generale, della 'sofferenza' della zootecnia e del pastoralismo in montagna è molto sentito. La gente è venuta avvista da una locandina della Comunità Montana (nella cui sede si è svolto l'incontro) ma soprattutto grazie al 'passa-parola'. Gli interventi degli allevatori (sotto le registrazioni in audio e video integrali ) sono stati appassionati.
In Valle Maira le difficoltà sono accentuate dall'isolamento e dalla conformazione della valle
Per capite tanto calore va richiamato il fatto che la Valle Maira è una valle lunga ma stretta e senza sbocco verso la Francia. Il lupo è arrivato tardi (solo due anni) fa ma ha creato notevoli problemi agli allevatori che hanno dovuto abbandonate le pecore ma che denunciano problemi anche con i bovini (almeno tre casi di vitelli sbranati) e persino con i puledri . I centri abitati sono piccoli, frammentati in molte borgate; non mancano i problemi di accessibilità. Bisogna vivere (estate e inverno) qui per comprendere l'esasperazione di giovani allevatori che oltre ad allevare animali - che mantengono viva e pulita la montagna - sono anche tra i pochissimi ad allevare ... bambini.
C'è chi a cinque figli; diversi tre. Invece di aiutare queste persone che meriterebbero, se non una medaglia quantomeno quello che ricevono i loro colleghi in Svizzera e in Austria, c'è chi fa di tutto per portarli all'esasperazione. I nemici principali si chiamano lupo e burocrazia. É vero, ci sarebbe anche il mercato che - con le produzioni globali che fanno concorrenza - remunera con prezzi avvilenti la carne e il latte
(fermi a venti anni fa!). Ma la 'globalizzazione' è un nemico dal volto inafferrabile. Alla fine i meccanismi economici e sociali fanno sì che il 'mercato' venga vissuto come una 'calamità naturale' mentre si è molto meno disposti ad accettare le perversioni della burocrazia che, a cascata, da Bruxelles sino alle amministrazioni locali, riesce a complicare ogni anno che passa la vita di chi gestisce un caseificio aziendale (messo a volte sullo stesso iano della Kraft) o di unallevamento di venti-trenta mucche (messo sull piano delle 'fabbriche zootecniche' inquinanti della pianura padana con centinaia o migliaia di capi). Ma anche la burocrazia è vissuta come una 'calamità seminaturale', un male che è difficile sradicare dalla società moderna.
Il lupo non è 'digeribile'. É espressione sfacciata di egoismo sociale e di cattiva coscienza ambientalista fatta pagare a chi conserva l'ambiente
É sul lupo che scatta un moto di ribellione. Il lupo è percepito come la cosa meno naturale di tutti. Gli allevatori non lo sanno, ma le analisi di autorevoli antropologi e sociologi tendono a
dare loro ragione. La reintroduzione del lupo è percepita correttamente come un fatto sociale, politico, ideologico. Inutile ironizzare come fanno i Verdi ad ironizzare sui 'lupi paracadutati'. Il fatto è che la diffusione del lupo è stata favorita in ogni modo, sottostimando la consistenza delle popolazioni lupine, attribuendo le malefatte dei lupi ai cani, impedendo l'applicazione delle deroghe previste dalle convenzioni internazionali e direttive comunitarie che
consentono abbattimenti selettivi.
Che il lupo, dietro al facciata delle favole dell'equilibrio ecologico, del 'vertice della catena alimentare', della bandiera della natura 'incontaminata' ci sia una mera costruzione sociale lo capiscono tutti anche senza essere socioantropolgi. Così come i montanari capiscono bene che il lupo è un 'cavallo di troia' per consentire agli interessi della città (sia a quelli ammantati
di verde che altri di tutt'altro segno) di mettere le mani sulla montagna.
La ribellione contadina e montanara ai nuovi signori feudali
Quando viene un emissario di un Parco (novello potere feudale) a dirti cosa devi fare a casa tua, come devi tenere le pecore o le mucche o le capre o i cavalli, dove farli pascolare e dove no, che ti impone (pena la perdita di ogni indennizzo dei danni o la mancata corresponsione delle elemosine del 'premio pascolo gestito') di trasportare sulle tue spalle su per sentieri da capre le reti per difendere gli animali
o la carne per sfamare la 'necessaria' muta di cani da guardiania cosa si è instaurato? Un bel rapporto di sudditanza ai nuovi Signori che ti dicono che devi convivere con il lupo. Ma chi l'ha stabilito se non loro e le potentissime lobby internazionali che stanno alle loro spalle? Forse c'è stato un dibattito democratico per decidere su un fatto così importante per la vivibilità e la gestione stessa del territorio? Nemmeno per sogno. Una volta c'era il 'diritto divino', oggi
c'è la 'necessità ecologica' proclamata dai profeti, dai santoni, dai pontefici della nuova religione ecologista ammantata da panni 'scientifici'. Non pare un grande progresso.
Secoli di lotte per mantenere e riconquistare autonomia e libertà vengono ora definitivamente vanificati. Ovvio che la gente, quando può, si ribella. Si ribella anche al fatto che il risarcimento, reale e simbolico, per la natura violentata dalla società urbano-industriale venga fatto pagare a chi sta in montagna. Si ribella ad una ideologia nichilista che dice che l'uomo è un 'disturbo' per
la natura e che è meglio se, nelle Terre alte, nuova frontiera di un colonialismo interno, nascono cuccioli di lupo che di uomo. Una posizione, sia detto per inciso, che ben si sposa con quella di chi - facendo della ragioneria sociale - valuta che sia 'troppo costoso' mantenere la gente in montagna (considerato che qualchen servizio bisogna pur sempre assicurarglielo).
Ingeneroso qualificare gli allevatori che invocano l'abbattimento dei lupi come 'estremisti'
Tutto questo per dire che i toni esasperati (che a volte possono
apparire un po' 'coloriti' o 'estremisti') degli allevatori delle valli Maira e
Grana vanno capiti tenendo presente cosa c'è dietro. Tenendo presente che siamo
in valli particolarmente vulnerabili. Citiamo solo qualche locailtà: Canosio 88 abitanti
1.323 m, Acceglio 180 abitanti 1.200 m, Elva 99 abitanti 1.637 m. Ma
anche le altre a quote minori non sono meno spopolate. Sono tutte località con
tante piccole borgate di pochissimi abitanti
Il disagio di una località come Prazzo
'assediata' dai lupi lo abbiamo colto personalmente la scorsa settimana (vedi l'articolo qui su Ruralpini)
ma è uguale nelle località testé citate. Gli interventi degli allevatori
all'incontro di San Damiano Macra non sono 'politicamente corretti'. Per
fortuna viene da dire. Per fortuna che ci sono ancora energie per reagire. Di
fronte a denunce così chiare e nette, di fronte al 'grido di dolore' di queste
valli la politica, la cultura, l'accademia non può evitare di prendere
posizione. Non vogliamo fare del manicheismo a tutti i costi. Ma non si può
nemmeno cavarsela con posizioni che tentano di salvare capre e cavoli. O si sta
col lupo o si sta con la montagna dell'uomo. Non si tratta di sterminare i lupi
ma di contenerne la presenza specie in determinate situazioni. Non è una
posizione 'estremista', sempre meno comunque di quella del partito del lupo che
sostiene che il carnivoro deve diffondersi ovunque ci sia un habitat 'naturale'
adatto.
Testimonianze preziose
All'incontro
a San Damian/S.Dümian c'erano anche amministratori ed ex-amministratori,
il presidente della Comunità Montana, Colombero (che oltre a fare i saluti
di casa è intervenuto nel merito dei problemi), rappresentanti della
Coldiretti, del Settore Agricoltura della Regione (Dr. Luigi Ferrero) e il
Sen. Carlotto. Il tema si è allargato anche alla più generale condizione
della montagna. Degli interessanti interventi di chi non ha parlato in quanto
allevatore riferiremo in altra sede.
Qui
riporto gli interventi dei pastori, dei margari, degli allevatori stanziali di
bovini e cavalli. Testimonianze 'senza filtri' che assumono un notevole valore.
Il quadro, come non ci si stancherà mai di dire, dipende anche dalle
specificità locali, che non riguardano solo la conformazione orografica e le
strutture fondiarie e le consuetudini di uso dei pascoli. Riguardano anche
l'attenzione e gli interventi delle amministrazioni locali del passato e del presente.
Solo quando il quadro dell'insieme della valli sarà completo sarà possibile
trarre un bilancio relativo alla gerarchia delle criticità, ed attuare
soluzioni concrete.