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(05.01.10) L'escolo de Sancto Lucìo de Coumboscuro (Cn)

Da una esperienza esemplare una serie riflessioni su scuola, montagna, identità e uno stimolo per tante comunità alpine a mantenere o riaprire le proprie scuole. Una riflessione sulle conseguenze culturali dello statalismo, dello svuotamento (prima spirituale che materiale) delle comunità, dell'affermazione di gerarchie di valori che antepongono le colate di cemento, i presunti business (per pochi o per altri , de foravia) all'investimento in capitale umano. Mantenere le scuole di montagna, socializzare i piccoli nella cultura e nella lingua dei veci apre alla comprensione e alla valorizzazione delle diversità. Sancto Lucìo, attaccato tenacemente alla propria identità provenzale alpina, è aperto al mondo. Si può dire lo stesso delle scuole di tanti centri di fondovalle dove sono stati 'concentrati' gli alunni 'montagnini'? leggi tutto

 

Articolo de l'Adige del 2007 sui rapporti tra le scuole di Coumboscuro e di Pejo  vai a vedere


 

La scuola di Peio è straordinaria: salvatela

Lettera da Bologna al quotidiano il Trentino del 26 aprile 2011

Ho conosciuto il maestro Alberto Delpero un’estate di tre anni fa in circostanze che nulla avevano a che fare con la minaccia di chiusura della scuola elementare “R. Bevilacqua” di Pejo. Mi trovavo in Val di Rabbi a fare l’apprendista pastora presso la pastora Cheyenne Daprà. La sera stessa del mio arrivo Cheyenne mi comunica che andremo a cena in malga. Più tardi, seduto vicino a me, sconosciuto fino a due ore prima, c’è il maestro Delpero. Mi sorprende sentirgli dire che conosce l’associazione bolognese per cui lavoro e che è abbonato alla rivista per cui scrivo (il quadrimestrale “Hamelin. Storie figure pedagogia”). Perlopiù estranea ai tanti saperi della montagna, eppure da subito “intima” rispetto ai modi di fare e di pensare delle persone che durante la cena mi circondano, percepisco che quello è “un giorno diverso”. Per mestiere mi occupo di letteratura per l’infanzia ed è pane quotidiano, nel mio campo, incontrare insegnanti, bibliotecari, studenti, genitori. A 2000 metri di altitudine, però, con un maestro delle elementari da un lato e una pastora di professione dall’altra, a parlare di letteratura per ragazzi non mi ci ero mai trovata. La competenza di Alberto Delpero si rivela da subito di eccezionale grado e intensità. Ne parlo, al mio ritorno dalla montagna, con i colleghi di Bologna e con gli amici editori di Milano Topipittori. Inizio, da quel momento, un via vai che dura tuttora, tra Bologna, Milano e il Trentino, per approfondire la conoscenza di quel territorio-persone-scuola. Ne scaturisce, poco dopo, un’intervista pubblicata sulla rivista “Hamelin” e sul blog Topipittori che pubblica anche questa lettera, affinché la notizia dell’annunciata chiusura della scuola di Pejo giunga oltre le valli, fuori dalla provincia. Gli argomenti che questa vicenda solleva vanno ben oltre la politica e la cultura locali. I bambini di Pejo, riuniti in pluriclassi, fanno scuola secondo modalità che è rarissimo ritrovare in altri contesti, specie quelli urbani. La specificità della situazione “pluriclasse” e la straordinarietà della figura di Delpero (maestro elementare, archeologo, direttore di cori, fondatore della Libera Università di Pejo), attira nel corso del 2009-2011 l’attenzione anche di un gruppo di educatori che operano in Emilia-Romagna e in Campania. Con la scusa dell’uscita dei due articoli, racconto della scuola di Pejo e del maestro Delpero alla scrittrice e poeta Giusi Quarenghi, che coglie l’importanza di dare voce a questo modo di “fare scuola” e si rende immediatamente disponibile a incontrare i bambini di Pejo per una giornata dedicata alla scrittura e alla poesia (data prevista 3 maggio 2011). Anche Giovanna Zoboli e Paolo Canton si dicono d’accordo a salire a Pejo per una giornata dedicata a come nascono i libri illustrati. Tali e altre iniziative stanno prendendo forma attorno alla scuola di Pejo, per mettere in luce l’opportunità della sua esistenza secondo le caratteristiche fino a oggi mantenute. Al solito, siamo noi adulti a parlarci addosso e a decidere “per loro”, i bambini. Assessori e dirigenti non hanno ritenuto utile, fino a questo momento, interpellare direttamente l’infanzia, di cui si perde di vista il ruolo di protagonista. Forse è da lì, dai bambini e dalle bambine di Pejo, dal loro coro di voci senza solisti, che il dibattito tra adulti può decollare e trasformarsi, nella difficoltà tutta umana di “fare delle scelte”, un laboratorio politico, sociale e culturale rivolto al futuro.

Giulia Mirandola 

 

(15.05.11) La 'resistenza in quota' delle comunità alpine da fastidio a un sistema 'globale' che vuole omologare tutto e rendere tutti completamente dipendenti alle reti di produzione e distribuzione di cibo, energia, conoscenze

 

Chiudere le scuole per far morire la montagna

 

di Michele Corti

 

Il caso di Pejo è emblematico. Non si chiude solo una scuola ma un centro di iniziative culturali e di esperienze pedagogiche. Gemellata alla famosa Escolo de Santo Lucio de Coumboscuro la scuoletta di Pejo grazie alle iniziative del maestro Delpero ha attirato l'attenzione di gruppi di educatori in diverse regioni italiane.

 

Dal prossimo anno scolastico 2011-2012 la scuola di Pejo sarà chiusa. A meno che gli appelli e le proteste delle famiglie del paese ma anche di tanti ambienti politici e culturali in Trentino (e non solo) non saranno ascoltate. La scuola non chiude per mancanza di alunni (vi sono 19 bambini) ma per una decisione di 'razionalizzazione'. Nel fondo valle, presso Cogolo, è stato realizzato l'edificio del nuovo plesso scolastico, che dovrà raccogliere tutti gli scolari dell'alta valle del Noce. Costo del nuovo edificio: 5 milioni di €. I 19 bambini delle due pluriclassi di Peio dovranno essere 'deportati' dagli scuolabus. La solita soluzione 'facile' di amministrazioni locali e scolastiche prive di fantasia. Una 'soluzione' che ha il sapore di 'soluzione finale' per la montagna. É ormai noto che alla chiusura della scuola elementare fa seguito il trasferimento di almeno parte delle famiglie in inverno nelle località a valle, un trasferimento che poi da stagionale diventa permanente. Così nei paesi restano i vecchi a vivere di pensioni e la fine arriva non solo per ovvi motivi biologici ma anche per implosione, mancanza di idee, stimoli, innovazioni.

 

Una scuola che si vuole chiudere non perché asfittica ma al contrario...

 

Pejo non si merita l'affronto della chiusura della scuola. Scuola e villaggio sono vivi e insieme all'Ecomuseo alla dinamica Biblioteca comunale, alla Libera Università di Pejo fondata dal maestro Dalpero, testimoniano di una comunità che 'si tiene'.  A Peio a ben 1.600 m – realtà unica in Trentino – vivono ancora 400 persone, in inverno. La comunità ha trovato nuove motivazioni e stimoli in un fecondo connubio tra iniziative culturali ed economiche. Grazie all'Ecomuseo a Pejo è attivo  l'ultimo caseificio turnario di un Trentino che ha adottato acriticamente i paradigmi del modernismo industrialista chiudendo tutti i caseifici di paese e sostituendoli con grosse strutture. La Provincia, che ha concesso la 'grazia' al caseificio di Pejo, in forza del suo ruolo di 'museo di sé stesso', pensava forse che la musealizzazione rendesse l'esperienza del caseificio 'innocua' . Ma poi è rinato il caseificio di Strigno in Valsugana e l'idea sovversiva della riapertura di caseifici di paese - visti anche i disastri economici delle maxi strutture casearie trentine - sta riprendendo piede. A Pejo sono anche state ripristinate delle malghe che erano abbandonate e sottoutilizzate. Il rilancio dell'allevamento caprino che ha potuto contare sul rinnovato ruolo della latteria e su uno schema di pascolo di servizio sui prati abbandonati nei eressi del villaggio, ha consentito di recuperare la Malga Covel (con capre da latte). Aggiungiamo che a Pejo ci sono giovani allevatori, famiglie con bambini.

Caseificio e scuola punti di riferimento complementari e indispensabili

 

A Pejo c'è una realtà viva e abbastanza unica. La scuola come il caseificio ne sono dei centri dinamici, uccidere la scuola significa uccidere il paese e l'esperienza che esso rappresenta. La si vuole sopprimere proprio perché è viva, perché rappresenta un esempio che può dare fastidio. Perché è inserita in reti di esperienze di 'resistenza in quota'. La scuola di Pejo deve chiudere perché è troppo 'avanzata', troppo 'aperta' non perché è asfittica. Altro che 'favorire la socializzazione'. I bambini di Pejo e di Coumboscuro sono aperti al mondo perché le loro comunità hanno una chiara consapevolezza della propria identità. É l'omologazione coatta che crea chiusure e paure.  La montagna viva, con la sua identità e la sua cultura più autentica, dà fastidio a tanta gente. É  un piccolo ma fastidioso ostacolo alla marcia trionfale del mercato, del pensiero, del consumo unici megapolitani.

 

Resistere in quota è 'sovversivo'

 

Le comunità che resistono oggi in quota lo fanno spesso con consapevolezza, la sola loro esistenza determina lo scandaloso mantenimento di differenze e sia pur parziali indipendenze che derivano da un qualche legame persistente con le radici nel tempo e dello spazio. Legami che impediscono lo stabilirsi di un unico, totalizzante legame dalle reti di produzione, distribuzione e consumo di energia, cibo, conoscenze, valori. In un Trentino che si lancia in investimenti mega nelle metropolitane delle valli bucando le montagne come groviera e che vuole la metro a Trento (solo per grandeur perché è una città vivibilissima) forse sarebbe importante anche investire in umanità. Investire nei bambini. Orsi e cemento sono frutto della stessa logica 'progressista'.  Gli orsi e i lupi hanno il compito di scacciare gli ultimi renitenti, gli ultimi 'ribelli della montagna' che non si adeguano a scendere a valle e a vivere del tutto come fanno 'tutti'.

Chiediamo a tutti coloro che credono che la scuola di Peio e tutte le piccole scuole della montagna abbiano diritto di continuare a vivere di inviare una e- mail che esprima il loro sostegno alla scuola di Peio a: lettere@ladige.it. Inviare copia alla scuola di Peio all’indirizzo: a.delpero@tin.it.

 

 

La lettera-appello degli alunni della Escolo de Santo Lucio de Coumboscuro

 

Siamo i “Fiet de l'Escolo de Santo Lucio de Coumboscuro”, un piccolo paese a 1100 m di altezza in una valle provenzale della provincia di Cuneo. Da anni conosciamo i “fiet de l'escolo” di Peio, con cui scambiamo lettere, emozioni, esperienze.

abbiamo però saputo all'improvviso, con gran dispiacere, che qualcuno vuol far chiudere la bella scuola di Peio. Noi, nelle nostre valli, svuotate dall'emigrazione e dallo spopolamento, sappiamo bene che la chiusura di una scuola significa la morte di un paese di montagna. Un paese senza scuola è morto, senza vita. A causa dei forzati spostamenti verrà presto disabitato e l'unica gente che verrà d'inverno sarà per le stazioni turistiche, mentre d'estate invaderanno i turisti tedeschi e francesi, venuti per farsi il “barbecue” e prendere il sole, in un paese ben conservato e vuoto di gente.

Vogliamo chiedere a tutti quelli che governano le montagne del Trentino di non chiudere la scuola di Peio, perché è una bella scuola, in un bel paese ancora vivo e pieno di gente. E noi vorremmo che quel paese, quelle montagne, quella scuola fossero sempre piene di vita e di gente contenta, come ora. 

La nostra è una scuoletta di quattro bambini che da anni lotta per sopravvivere. Noi siamo già stati a trovare i nostri amici a Peio, loro sono venuti a Coumboscuro e assieme ci siamo raccontati le meraviglie delle nostre montagne, quando sono coperte dalla bianca coltre della neve e quando sono verdi e piene dei raggi di sole che fanno spiccare i tetti di lose e le nostre case di pietra. Per lettera abbiamo sognato di giocare assieme a “barbouiro folo” e “ marelo”...

 

I Fiet de l'Escolo de Santo Lucio (maggio 2011)

 

            

 

pagine visitate dal 21.11.08

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