(06.04.11) Le mamme milanesi contestano la società che gestisce le mense scolastiche. Non sarebbe rispettato il capitolato con il Comune: verdure congelate,
tonno filippino, Grana Padano al posto del Parmigiano Reggiano
Le mamme milanesi si inseriscono
senza saperlo nella sotterranea
guerra tra 'Padano' e 'Parmigiano'
di Michele Corti
La polemica scoppiata in campagna elettorale sulle mense scolastiche ha avuto un'ampia eco mediatica. Per il Grana Padano si è trattato di uno spot al contrario che porta all'attenzione del pubblico il problema della presenza di un conservante in un prodotto
Dop, alfiere del Made in Italy
Le commissioni dei
genitori non hanno contestato solo la sostituzione del Parmigiano Reggiano con
il Granapadano. Secondo i
genitori sono parecchi i punti non rispettati del capitolato con il
quale il Comune di Milano ha affidato a Milano Ristorazione il contratto della
gestione delle mense scolastiche milanesi: verdure congelate al posto di quelle
fresche, carne tritata invece che a fettine, tonno dalle Filippine invece che
'nostrano' ecc. Quel rifiuto del Grana Padano (di seguito GP) proclamato
dalle pagine del Corrierone e di Repubblica ha però dei significati che vanno
al di là di una giusta ma generica pretesa di cibi di qualità, possibilmente
bio e km 0 per i propri figli. Alle proteste dei genitori che contestano
la presenza del conservante lisozima nel GP e che fanno notare che il GP costa
all'ingrosso 3-4 €/kg meno del PR è stato risposto con un po' di faccia tosta
che il GP è ... km 0. Per ora per chiudere l'imbarazzante polemica la
questione del Parmigiano Reggiano e del GP è stata 'tamponata' sostituendo il
GP con il 'Rusticone' un formaggio bio di una ditta lodigiana (si tratta di
forme di 7-8 kg con pasta granulosa ma occhiata, quindi di un prodotto con
caratteristiche completamente diverse dal GP o Parmigiano Reggiano le cui
forme pesano in media 30 kg).
Un argomento scabroso
La questione
sollevata dai genitori milanesi rappresenta un argomento scabroso non solo per il
GP ma per le Dop in generale che si (auto)proclamano prodotti di eccellenza,
alfieri del Made in Italy ma che poi 'cascano' su conservati e antibiotici (non
c'è solo il GP, anzi c'è di peggio). Perché mettere un
conservante in un formaggio 'genuino' si chiede la gente e, a maggior ragione,
i genitori?
Se un prodotto
'tipico' ha bisogno di essere addizionato di un conservante tanto
che le mamme della capitale della Padania non gradiscono che venga
somministrato ai propri figli come si fa poi ad andare a vantarne la qualità
per il mondo? Interrogativi spontanei che, dalle parti di Desenzano, gli
strateghi del Consorzio di tutela non possono non considerare con inquietudine.
Le norme sulla pubblicità comparativa hanno sinora impedito al prodotto
concorrente (il Parmigiano Reggiano, di seguito PR) di reagire all'aggressiva
concorrenza del fratello-coltello. A Reggio Emilia sanno bene che
senza poter mettere sotto il naso del consumatore le differenze qualitative tra
GP e PR la guerra è persa in partenza per gli emiliani. Il PR è un formaggio
blasonato che può guardare il GP dall'alto in basso come un parvenue, ma le strategie produttive e
commerciali del GP sono più dinamiche, più spregiudicate. Il PR ha alle spalle
un sistema di centinaia di piccoli caseifici che lavorano il latte di un numero
esiguo di aziende zootecniche, per di più di dimensioni nettamente
inferiori a quelle lombarde.
Il GP ha una
struttura di grossi caseifici che spesso producono anche altri prodotti e che
quindi sono al riparo dalla ciclicità del mercato del Grana. Ogni anno il PR
perde quote di mercato a favore del rivale. Non può reagire anche perché
riceve, come i rivali, molti contributi pubblici, e questi dissuadono dallo
scatenare una guerra 'fratricida' che sputtanerebbe il Made in Italy. Un aiuto
insperato è arrivato dalle mamme di Milano.
E1105 cos'è?
Le mamme, almeno
qualcuna, l'etichetta la legge e vede che il GP ha per ingrediente un
conservante: il lisozima proteina dell'uovo, nome in codice,E1105. Il disciplinare per la produzione del Grana Padano DOP all’articolo 5 ammette “l’uso di lisozima, tranne che per il Trentingrana, fino ad un massimo di 2,5 grammi per 100 chilogrammi di latte". Ma il lisozima è o non è u conservante? É o non è un battericida? La schermaglia semantica su queste questioni
è tutt'altro che un fatto irrilevante. L'industria alimentare sa bene che queste parole ('conservante', 'battericida', 'antibiotico') scatenano riflessi condizionati nel consumatore e cercano di esorcizzarle.
La definizione di 'conservante' nell'ambito della legislazione europea è sostanzecheprolungano il periododi conservazione degli
alimenti proteggendoli daldeterioramento
provocato damicrorganismi. Dal momento che il lisozima non è usato per questo scopo ma per evitare l'insorgenza di difetti prima della immissione sul mercato si è potuto classificarlo nella categoria degli 'altri additivi alimentari'. Il suo largo uso come conservante alimentare nel mondo fa si che esso sia classificato come tale nella letteratura scientifica e nel Codex alimentarius
dall'apposita commissione della FAO (vai alla scheda). É usato nel vino, nel sidro, nella frutta e verdura fresca, nel tofu, nei frutti di mare, nella carne e nelle salciccie, nell'insalata di patate e in parecchi formaggi
quali Edam, Gouda e .... "alcuni italiani". É in buona compagnia si direbbe il nostro GP. Ma non si dica che il lisozima non è un conservante
Quel negare, contro ogni evidenza, che è un 'conservante' e un 'antibatterico'
ll fatto che sia un enzima, una proteina
dell'uovo potrebbe rassicurare il consumatore. Dopotutto non è una molecola di
sintesi. È naturale. Sì, ma proprio perché è una proteina naturale dell'uovo la
sua presenza nel GP non può passare inosservata. Deve essere indicato in
etichetta ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, e
successive modifiche ed integrazioni. Il decreto riguarda
l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari e
stabilisce che le uova e i prodotti derivati dalle uova in considerazione delle
loro proprietà allergeniche “qualora utilizzati nella fabbricazione di un
prodotto alimentare e presenti anche se in forma modificata debbono figurare in
etichetta col nome dell’ingrediente da cui derivano”. Il lisozima di uovo di gallina è ovviamente diverso da quello umano. Le proteine con attività allergenica hanno una piccola componente specifica (epitopo) che in forza di modifiche della sequenza
di aminoacidi può variare la propria attività di legamame anticorpale. Dire che "il lisozima è una proteina del corpo umano" è una mezza verità (o una mezza bugia). Il punto è che nel GP c'è lisozima di albume d'uovo. In quantità notevoli se si pensa che per "proteggere" un kg di formaggio mediante l'azione antifermentativa del lisozima serve il contenuto in lisozima di 3-4 uova.
Con parere del 17.07.2008 (Lisozima
nel Grana Padano) il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare
presso il Segretariato nazionale della valutazione del rischio della catena
alimentare del Ministero della salute "raccomanda la messa in atto
di ogni intervento utile a favorire la scelta consapevole del consumatore
e, in particolare, di quella quota dei consumatori allergici alle proteine
dell’uovo" e caldeggia la seguente dicitura in etichetta di GP: “Ingredienti:
latte, sale, caglio, lisozima da uovo” oppure “Ingredienti: latte, sale,
caglio, lisozima-proteina dell’uovo”. In questo modo - conclude il
Comitato - le persone sensibili alle proteine dell’uovo sarebbero correttamente
informate.Sì, però si evita la parolina 'conservante' e nel
preambolo del parere si definisce l'attività del lisozima in
termini di 'modulatore dei processi fermentativi'. Evidentemente il
suddetto Comitato pare preoccupato del possibile effetto sul consumatore dalla paroline 'conservante' e 'antibatterico'. Ma è un
Comitato per la sicurezza alimentare o per la sicurezza del business
dell'industria alimentare? Lasciano poi perlessi anche le seguenti
considerazioni del Comitato (sempre riferite nel "Parere sul Lisozima nel
Grana Padano"):
"Nei formaggi che nel corso della
caseificazione sono stati addizionati di lisozima la molecola si ritrova
analiticamente anche dopo lunghi periodi di stagionatura ma scarse sono le
informazioni sui livelli della sua effettiva presenza. Questa carenza
d’informazioni è stata recentemente evidenziata anche dal Panel on
Nutrition dell’EFSA [Ente europeo per la sicurezza alimentare] il
quale – in carenza di dati analitici – ha affermato, da una
parte, che si stima che il lisozima contenuto nel formaggio sia
pari a circa 250-400 mg/kg di prodotto in dipendenza del tipo di
formaggio e del processo di produzione e, dall’altra, che non
sono disponibili dati analitici sui residui di lisozima effettivamente
riscontrati sul prodotto finito. A suo tempo, il più volte citato DM
1° agosto 1983 aveva stabilito che il residuo dell’enzima nel
formaggio non dovesse, comunque, superare i 300 mg/kg di prodotto".
Le reazioni allergiche
Uno studio presentato al convegno Arna (Ass. ricercatori nutrizione alimenti) del 20111 mette in evidenza come in soggetti pediatrici con allergia specifica il Grana Padano provochi reazioni allergiche anche severe. Il TN (Trentin Grana) che non utilizza lisozima
non da luogo ad alcuna reazione. Nel formaggio con stagionatura oltre 20 mesi l'insorgenza di reazioni allergiche. Appare quindi importante che sia mantenuta nell'etichettatura del formaggio e di tutti i prodotti che lo contengono la dizione "lisozima da uovo" o "lisozima proteina da uovo". Con buona pace del Consorzio che avrebbe desiderato far sparire del tutto la scomoda menzione.
http://www.arnaweb.org/images/convegni/arna2011/documenti/relazioni/Rossi.pdf
Raccomandato dalla
FIMP (pediatri)
Le mamme che storcono il naso di fronte ad un prodotto che si
presenta 'tipico' ma contiene conservanti sono state guidate dal buon senso ed
evidentemente non hanno ascoltato la Federazione Italiana dei Medici
Pediatri che ne 2005 aveva stipulato una convenzione con il Consorzio
del GP che consentiva a quest'ultimo di apporre sulla confezione la dicitura "prodotto
raccomandato dall Federazione italiana medici pediatri". Poi con è
successo? I pediatri si sono fatti prendere dagli scrupoli? No. É successo che
una 'raccomandazione' della FIMP rischiava di divenire un boomerang. Nel
2008 infatti la FIMP è stata stangata dell'Antitrust con una bella multa
di 300.000 euro rea di aver sponsorizzato una marca di uova, la
Novelli, apponendo sul prodotto l'etichetta "Ovito: l'unico uovo
approvato dalla Federazione Italiana Medici Pediatri". Secondo
l'Autority per la concorrenza e la pubblicità il messaggio pubblicitario,
falsava in misura rilevante le scelte dei consumatori facendo leva sulla
sensibilità che i genitori, e inducendoli di fatto a credere erroneamente che
Ovito fosse l'unico uovo ad aver ottenuto 'l'approvazione', tra i tanti
esaminati da FIMP, e che tutti gli altri fossero stati esclusi perché non
meritevoli. Dietro la 'raccomandazione' non c'era alcuna attività di
analisi o di ricerca medico-scientifica sui prodotti ai quali veniva concesso
il logo. Alla sanzione di 300.000 euro, comminata per aver sfruttato,
esclusivamente per finalità commerciali, il credito riposto dai consumatori nei
medici pediatri si aggiungeva anche quella di 40.000 euro comminata
per "aver fornito informazioni non veritiere" all'Autorità nel corso
dell'istruttoria. Con questi precedenti in tempi più recenti la
'collaborazione' tra Consorzio del GP e la FIMP ha assunto forme più eleganti,
mediata dall'Osservatorio Nutrizionale GP, un ente sostenuto dalla
filantropia del Consorzio GP.
Se si va nel sito dell'Osservatorio però, oggi non si trova più traccia di FIMP; sono
solo indicati i pediatri che vi partecipano a titolo personale.
Mamme
ingenerose verso le nobili attività di sponsorizzazione del GP
Oltre che diffidenti nei confronti dei pediatri le mamme
milanesi appaiono anche insensibili rispetto alle nobili attività di
sponsorizzazione del GP che sostiene efficamentente (in larga misura con i
contributi pubblici) i viaggi in Cina dei top chef, i più
prestigiosi congressi di cucina, persino Slow Food (attraverso la
sponsorizzazione ufficiale dei Master of Food, oggi cessata). Sostiene insomma
l'immagine nel mondo della gastronomia italiana. Non sappiamo cosa
pensino i cinesi della presenza del lisozima; intanto, però, sono state
realizzate lussuose pubblicazioni in cinese con le ricette dei top chef
testimonial del GP. Forse la legge cinese non imporrà di indicare i
conservanti e gli allergeni. Chissà? Fatto sta che alle mamme di Milano il
Lisozima non piace. Ma allora perché si mette nel GP qualcosa che può far
storcere il naso ai consumatori più sensibili ai valori salutistici?
Come agisce il
lisozima
ll lisozima è
una proteina ad azione enzimatica presente in vari
tessuti animali e dotato di attività battericida. Lisa ('scioglie') la parete batterica protettiva di alcuni
batteri (Gram
+) catalizzando l'idrolisi (scissione)
del legame beta 1,4 tra l'acido N-acetilmuramico (NAM) e la N-acetilglucosamina (NAG) che
sono la
componente principale del peptidoglicano di cui la parete cellulare è costituita. Gli esperti parlano di
'modulatore delle fermentazioni' quando si parla del Lisozima nel latte e nel
GP. Ma la sua funzione è quella battericida o antibiotica che di si voglia. Le disquisizioni circa le differenze tra 'azione battericida', e 'modulazione delle fermentazioni' appaiono francamente cavillose e richiamano l'ipocrisia semantica utilizzata nel definire 'probiotici' quegli antibiotici ('selettivi' per carità) ora messi al bando dalla Ue ma largamante usati da decenni in zootecnia industriale per spingere le performance degli animali (a spese del grave danno dovuto all'insorgenza di ceppi
di patogeni resistenti agli antibiotici). In
natura il lisozima protegge le mucose dalla penetrazione dei batteri. Le lacrime tengono
umettata la congiuntiva e la 'pattugliano' neutralizzando i batteri che potrebbero
oltrepassarla . Si trova anche nella saliva e in concentrazioni elevate anche nell'albume d'uovo da dove viene
estratto (sotto forma di cloridrato). Venne scoperto da Fleming prima della
Penicillina. Un giorno Fleming raffreddato lasciò accidentalmente colare un po'
di scolo nasale (muco) su una piastra di cultura. Osservò con sua meraviglia
che il suo muco aveva ucciso le colonie batteriche. Il Lisozima è quindi un
antibiotico anche se non efficace su uno spettro così ampio come le
Penicillina. La sua grossa molecola lo rende poi poco adatto ad usi
terapeutici.
Diciamo subito che
l'uso del lisozima come battericida è un progresso perché, sino al 1991, veniva
usata la formaldeide (formalina) un potente battericida usato come
disinfettante. Un disinfettante usato anche per uso domestico. Il famoso
Lisoformio (soluzione acquosa di formaldeide al 6%) usato anche come presidio
chirurgico per uso esterno di recente ha sostituito la formaldeide
con sali di ammonio. La formaldeide è classificata cancerogena
dall'International Agency for Research
on Cancer, sospetta cancerogena da altre agenzie.
Perché ieri la formaldeide e oggi il lisozima?
La formaldeide ieri, il lisozima oggi sono aggiunte al latte destinato a trasfromarsi in GP per via della frequente contaminazione del latte stesso con spore di clostridi butirrici. I clostridi sono batteri anaeroici
obbligati
(necessitano
di condizioni di assenza di ossigeno), in condizioni sfavorevoli 'sporificano'
producendo una capsula protettiva che consente loro di sopravvivere a lungo
nell'ambiente e di 'germinare' quando le condizioni tornano favorevoli.
Il lisozima, come, visto agisce sulla capsula, uccidendo anche le spore. Le spore, se non neutralizzate, germina nel formaggio dopo mesi dalla sua produzione e possono provocare gravi
difetti; gonfiore tardivo, spaccature della pasta, caverne, sino a far 'scoppiare' le
forme. L'acido butirrico prodotto dai closstridi è anche responsabile di gravi
alterazioni del gusto del formaggio. Si tratta di difetti che compromettono
gravemente il valore del GP che può essere solo parzialmente
'recuperato'. Il principale 'colpevole' di questi misfatti è il Clostridium
tyrobutyricum. Ma perché il latte utilizzato oper produrre GP è a rischio clostridi? É presto detto: mentre con l’alimentazione tradizionale (a base di erba o
fieno) si trovano meno di 200 spore di clostridi per litro, con quella a base
di insilati se ne possono trovare più di 2000. Va osservato, però, che le moderne tecniche di fienagione (rotoballe) che hanno notevolmente aumentato la produttività dei cantieri di raccolta hanno aumentato l'incidenza della contaminazione del fieno con la terra e fatto aumentare la presenza di Clostridi anche nel latte destinato a Parmigiano Reggiano. Resta il fatto che il problema resta controlabile nel PR anche senza il ricorso al lisozima.
Il Clostridium tyrobutyricum fermenta i carboidrati e l’acido
lattico, producendo acido butirrico e gas (CO2 e H2). La presenza dei
clostridi butirrici è legata alle condizioni di raccolta del mais e insilamento
non ottimali: contaminazione di terra e insufficiente acidificazione naturale
dell'insilato (per opera dei lattobacilli). Quest'ultima causa è legata sia ad un
insilamento non a regola d'arte che a un insufficiente contenuto di umidità e di zuccheri
solubili (in grado di far 'partire' rapidamente l'azione del lattobacilli)
dello stesso trinciato di mais al momento della raccolta. Qualità sacrificata alla quantità.
La pianura padana è diventata un paesaggio monotono, dominato da due monocolture: la capannonicoltura e la maiscoltura
Il latte contaminato dai clostridi è un latte con problemi di qualità
Nelle condizioni favorevoli allo sviluppo dei clostridi (scarsa acidità) oltre ai
clostridi saccarolitici (che utilizzano gli zuccheri e che sono responsabili dei
difetti del formaggio) possono svilupparsi anche i clostridi
proteolitici (Cl. sporogenese Cl. bifermentans) che, a loro
volta, distruggono le proteine (proteolisi) e gli
aminoacidi (putrefazione), liberando, oltre ad acidi organici e CO2, ammoniaca
(che tampona l'acidità e peggiora la situazione) e una gamma di composti
azotati tossici e maleodoranti )ammine). La conclusione è
semplice: si usa il Lisozima perché il latte utilizzato per produrre GP
contiene molte spore di Clostridi e se ci sono molte spore di Clostridi
l'insilato non sarà di grande qualità anche sotto altri profili (con detrimento
della salute delle vacche e della qualità del latte).
Gli allevatori
e la 'filiera' del GP sa benissimo tutte queste cose, ma siccome gli insilati
abbattono i costi della 'razione' delle lattifere, il loro uso continua ad
aumentare. La colpa, però, non è solo dell’insilato. In tutto questo problema non conta solo cosa mangiano le vacche
ma anche come viene somministrato loro l'alimento. L’unifeed è l’altro 'imputato'.
La tecnica dell’unifeed ovvero del 'piatto unico', mediante la quale si
somministrano - in un’unica 'passata' - tutti i componenti della dieta
mescolati tra loro, è stata adottata per guadagnare tempo nella distribuzione
degli alimenti.
Distribuzione dell'unifeed con il carro miscelatore
Il problema clostridi è legato all'insieme del sistema di alimentazione e allevamento
Per distribuire l'unifeed alle vacche si utilizzano enormi carri miscelatori superaccessoriati (da 20 metri cubi di capacità!) che estraggono l’insilato dai
silo, lo mescolano a mangimi, altri foraggi ed altre materie prime (anche
liquide) o acqua. L'alimento così trattato è consumato dalle mucche senza
lasciare 'avanzi'. In più, somministrando insieme mangimi e foraggi, si possono
far ingerire quantitativi più elevati di mangime rispetto a quanto sia possibile fornendo il mangime da solo. Si riesce insomma a 'pompare' ancora di più le povere 'macchine
da latte'. Quanti vantaggi! Peccato che con questo
sistema la polvere e la terra che contaminano i foraggi finiscano nella
miscelata e che la presenza di acqua, amidi e zuccheri favorisca lo sviluppo
dei clostridi. Le mucche ingeriscono le spore e le 'restituiscono' nelle feci;
con il liquame, sparso copiosamente sui terreni. le spore tornano al terreno, i
clostridi proliferano ... e il ciclo ricomincia. L'intensificazione produttiva con il crescente carico zootecnico (e quindi quantità di reflui) per unità di superficie e la più frequente distribuzione dei liquami sul terreno è stata roconosciuta come una delle cause che hanno provocato un aumento costante dei clostridi anche nel latte destinato
a PR (unita alla già citata meccanizzazione
spinta e alla tendenza a tagliare il foraggio ad altezza troppo ridotta
dal suolo).
Vacche ammassate in attesa della mungitura. Si notino il forte imbrattamento con sterco (che contiene elevata carica di spore di clostridi) e lo 'spigi-vacche elettrificato (i fili verticali) che provoca una scossa alle bovine per farle avanzare
Veniamo al latte. La sua contaminazione avviene principalmente attraverso le feci e
l’imbrattamento delle mammelle. I moderni sistemi di stabulazione 'libera', che
non prevedono l’ uso di paglia, sono spesso caratterizzati da 'aree di
esercizio'
sporche, dove le mucche si imbrattano di deiezioni;
ammassate nelle sale di mungitura esse si sporcano ulteriormente. Stalle e
impianti sottodimensionati rispetto all’aumentato numero di mucche presenti, la
contrazione della manodopera e l’inevitabile aumento dei problemi gestionali
contribuiscono a peggiorare la situazione in quanto non si puliscono abbastanza
le aree di riposo, le attrezzature a contatto con gli animali, le mangiatoie
(dove restano i residui di alimento). Quanto alla mammella e ai capezzoli non
c’è sempre il tempo per pulirli adeguatamente. L’uso 'industriale' di
disinfettanti non risolve il problema, semmai lo aggrava perché riduce la flora
microbica ‘buona’, in grado di contrastare i clostridi. Loro, invece, resistono.
Lavaggio della mammella con spruzzo d'acqua. Lava via il grosso dello sterco ma, in compenso, lo solubilizza. Se non seguito da accurata pulizia a mano non risolve il problema della contaminazione delle guaine prendiocapezzoli della mungitrice meccanica
L'impatto ambientale della maiscoltura
foraggera
Tutto questo sistema, governato dalla
logica della quantità a spese della qualità, non determina solo problemi
alla qualità del latte, ma anche gravi impatti sul benessere degli animali (le
vacche che 'lavorano' per produrre il latte destinato a GP hanno una vita molto
breve e l'incidenza di patologie è molto elevata) e sull'ambiente.
L'insilato di mais produce il massimo di
unità foraggere per unità di superficie agricola ma richiede un fiume di acqua
di irrigazione. Questo spiega perché nelle zone del PR non usano l'insilati. É
la logica del fare necessità virtù. Non che ci sia un etica ambientale
superiore dalle parti di Parma e Reggio; semplicemente non possono disporre
dell'acqua di irrigazione che in Lombardia è fornita da quegli enormi serbatoi
che sono i laghi prealpini! Ma produrre l'insilato di mais per foraggiare
le vacche da latte (grazie al Lisozima) ha ulteriori conseguenze: mangiano mais
i 4 milioni di suini degli allevamenti lombardi, i vitelloni, le galline, i
polli e .... i digestori da biogas. Tutti mangiano mais e le campagne
lodigiane, cremonesi (ma anche le altre non sono molto da meno) sono uniformemente
dominate dalla monocoltura maidicola. Le conseguenze sono: malerbe sempre
più resistenti, recrudescenza dei parassiti (es. insetti).
Per combattere le malerbe si devono usare
fiumi di erbicidi, talmente tanti che in primavera, dopo la semina del mais le
concentrazioni dei diserbanti nel Po oltrepassano i limiti di legge. Si devono
usare anche gli insetticidi per combattere la Diabrotica virgifera, un
insetto americano 'sbarcato' a Malpensa e rapidamente diffusosi nella pianura
padana che risulta molto dannoso (le larve distruggono le radici) dove -
come è la norma - si coltiva mais per più di due anni sullo stesso terreno. C'è
poi la grande quantità di azoto apportato alla coltura. Oltre a quello organico
(liquami) serve anche del concime chimico azotato 'pronto assorbimento' per far
partire lo sviluppo della piantina a primavera. Se la natura del suolo, la
piovosità non sono favorevoli larga parte dell'azoto apportato alla coltura
finisce lisciviato e quindi ad inquinare le acque di falda contribuendo ad
aggravare il problema dei nitrati. Laddove, oltre al mais, si coltiva
sullo stesso terreno l'erbaio di loiessa (graminacea foraggera 'tradizionale')
l'utilizzo dell'azoto apportato al terreno diventa efficiente e il rischio di
lisciviazione ridotto. Ma nella maggior parte dei casi si fa mais e basta...in
attesa di un nuovo ciclo.
Conseguenze 'globali'
Vi sono poi le conseguenze indirette.
L'alimentazione della vacca da latte a base di insilato di mais richiede una
integrazione con fonti proteiche perché il mais - rispetto ai foraggi
tradizionali - è povero di proteina. E la fonte proteica per eccellenza è la
soia Ogm di provenienza sudamericana la cui coltivazione contribuisce,
direttamente o indirettamente, a 'mangiare' le savane e le foreste. Il PR
non è ancora riuscito a liberarsi della soia OGM ma ne fa meno impiego.
Tutta una catena di fatti e di impatti
legata ad un 'innocente' proteina dell'uovo. Le mamme, senza rendersene conto,
hanno sollevato un vaso di Pandora. Ma non c'è da meravigliarsi: dietro
qualcosa che non quadra in un cibo c'è dietro tutto un sistema agroalimentare e
agroambientale che non 'quadra'.